L'intellettuale dimenticato. L'antagonista di Benedetto Croce
NAPOLI - “Ma tu poi, in fondo, in questi cafoni cosa ci trovi?”. A quella precisa domanda di Benedetto Croce, con il quale si era confrontato per anni, Tommaso Fiore non ebbe più alcun dubbio: “Da quel momento ho capito che Benedetto Croce, il mio grande maestro, non aveva più niente da insegnarmi.” Il contrasto con Benedetto Croce, che aveva incontrato per anni nella villa degli editori Laterza, divenne per Tommaso Fiore insanabile quando, sul finire della II guerra mondiale, le loro posizioni sul mondo dei cafoni e sulle possibilità di riscatto apparvero in tutta la loro divergenza. Infatti, Croce restava un intellettuale latifondista incapace di comprendere le ragioni profonde del mondo contadino . Tommaso Fiore è stato testimone e interprete tra i più efficaci della cultura contadina del Mezzogiorno. E’ l’intellettuale dimenticato, l’antagonista di Benedetto Croce dalla cui cultura si era alimentato. Tommaso Fiore è soprattutto un umanista che diventa critico, scrittore, politico, senza mai perdere la tensione morale e civile che alimenta un alto senso della storia.
Con Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Manlio Rossi Doria, Ernesto De Martino e altri, restituirà dignità ad un mondo, quello contadino, emarginato da secoli, ma che con il movimento dell’occupazione delle terre assurgerà a punto di riferimento per i giovani intellettuali grazie alle lotte contro il blocco agrario. Quelle lotte furono non solo battaglie per la conquista della riforma agraria, ma anche un veicolo per l’affermazione di una nuova classe dirigente per il Mezzogiorno. Fiore nacque ad Altamura,cia di Bari, il 7 marzo 1884. Di famiglia operaia, fu indirizzato agli studi classici. All'Università divorava i saggi di Labriola su Marx che lo aiutarono ad interpretare, in termini socio-economici, la situazione dei "cafoni di Puglia" e finì, irrimediabilmente, per occuparsi delle condizioni del Mezzogiorno, ed in special modo dei contadini, il mondo a lui più vicino, e al riscatto dei quali dedicò l’intera sua vita. Le opere di Benedetto Croce gli fornirono invece il senso dell'operare storico.
Fu per questo che, ritornato al suo paese dopo l’esperienza bellica, si impegnò a fianco dei suoi “cafoni” e divenne sindaco di Altamura nel 1920. Pagò un tributo alto al fascismo. L'antifascismo più radicale si organizzò attorno alla sua figura durante il ventennio. Questo costò a lui ea due dei suoi figli, Enzo e Vittore, l'arresto ed il confino. Caduto il fascismo, nel 1943 il figlio Graziano, da poco diciottenne. si mise alla testa dei dimostranti che andavano a liberare dal carcere i prigionieri politici. Tra essi c’era anche Tommaso Fiore. Il giovane figlio cadde sotto i colpi dei soldati di Roatta e di Badoglio che volevano impedire la sollevazione popolare. Fiore divenne poi collaboratore dell'Unità di Salvemini, ma si impegnò anche con “la Rivoluzione liberale” di Gobetti.
E fu proprio su richiesta di quest’ultimo che scrisse le "Lettere Pugliesi", nelle quali descriveva l’operosita dei piccoli proprietari, braccianti agricoli giornalieri, contadini, fittavoli, paragonandoli a delle formiche. Come le formiche, lavorando instancabilmente, con sangue e sudore, hanno trasformato la fascia della costa pugliese, da un ammasso di sterili sassi in un rigoglioso giardino di mandorli, ulivi e viti. Ma vi è prima di tutto una minuziosa analisi del contrasto secolare tra i proprietari ed i contadini e braccianti. Ventisette anni dopo quelle lettere vennero ripubblicate sotto il titolo di "Un popolo di formiche" e gli valsero il premio Viareggio. L’altro suo capolavoro, invece “Il cafone all’inferno” è del 1955. In questo lavoro tornano a coniugarsi l'inchiesta sociale e la descrizione letteraria in un nuovo viaggio tra le terre della sua Puglia, dove viene fuori tutto il suo amore per il mondo contadino.
“Il cafone all’inferno”, prende spunto da un racconto popolare che narra di un “cafone” che dopo morto si ritrovò davanti alla porta del Paradiso. Bussò per entrare, ma gli dissero che non c’era posto. Allora scese in Purgatorio. Ma anche qui non c’era posto per lui. Scese ancora e si ritrovò a bussare alla porta dell’inferno. Qui il posto c’era e lo fecero entrare. Dopo un periodo di permanenza in quel luogo di punizione, Lucifero, il capo dei diavoli, volle sapere dal nuovo arrivato come si trovasse. “Bene” disse il cafone. “Mi trovo molto bene”. E Lucifero sorpreso e preoccupato da quella risposta gli chiese: “Ma da dove vieni?”. “Dal Tavoliere delle Puglie. Quello si che è un inferno”. Lucifero, però, non volle credere alle parole del cafone. Chiamò un diavolo e gli disse di andare in missione nel Tavoliere delle Puglie per verificare le parole del nuovo arrivato. “Vai e fammi sapere”. Dopo un po’ di tempo il diavolo ritornò con le ali bruciacchiate, con la faccia combinata male e con il corpo che non si riconosceva. “Allora?” Gli chiese Lucifero. “Aveva ragione il cafone. Quel posto sulla terra è un vero inferno. Qui da noi sono rose e fiori”. E Luciferò: “Radunate armi e bagagli, da domani ci trasferiamo nel Tavoliere delle Puglie”.
La pubblicazione, a distanza di molti anni dalle loro ultime edizioni, pressoché sconosciute alle nuove generazioni, degli scritti più importanti e significativi di Tommaso Fiore – Un popolo di formiche e Il cafone all'inferno - rende omaggio ad un intellettuale che ha messo tutto il suo sapere e, soprattutto, la sua vita, nella battaglia per il riscatto del suo “popolo cafone”. In questi scritti Tommaso Fiore si rivela anche un tenace federalista contro il centralismo statale e della riorganizzazione in chiave regionalistica dello Stato. Nel socialismo liberale Fiore vedeva lo strumento di azione più efficace per il raggiungimento del federalismo. Morì a Bari il 4 giugno 1973.
Alcune opere di Tommaso Fiore sono state raccolte nel volume Tommaso Fiore e la Puglia (Palomar, Bari 1996).
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