Cos’è l’Iraq l’11 settembre 2004? Un inferno di fuoco e sangue, un territorio occupato da forze usurpatrici?
Gruber, D’Alema, Moussa e Talabani hanno parlato della situazione politica irachena ad un anno dallo scoppio della Guerra
di Giulia Mietta
Cos’è l’Iraq l’11 settembre 2004? Un inferno di fuoco e sangue, il ricettacolo di tutti i terrorismi, un territorio occupato da forze usurpatrici? Oppure un paese il cui processo di ricostruzione democratica è imminente e dove «la situazione non è poi così drammatica come la descrivono i mass media occidentali»?
E’ rimasto di stucco il pubblico della Sala Miccichè, sabato pomeriggio, sentendo pronunciare queste ultime parole proprio da due importanti politici iracheni: Jalai Talabani e Hameed M. Moussa.
C’è l’orgoglio di essere considerati una dirigenza politica autonoma e capace, c’è il desiderio di democrazia, e c’è la gioia di essersi liberati dal regime Husseniano nell’ottimismo, forse poco realistico ed esasperato, del Presidente dell’Unione Patriottica del Kurdistan e del Segretario del Partito Comunista Iracheno. Ad un anno di distanza dall’inizio della guerra in Iraq sono stati invitati alla Festa dell’Unità, per fare il punto su Baghdad e dintorni, insieme a Lilli Gruber e a Massimo d’Alema.
Il futuro innanzitutto. Si attendono con ansia, e con preoccupazione, le elezioni che nel prossimo gennaio daranno vita alla prima legislatura democratica in Iraq. Tanto l’Upk quanto i Comunisti iracheni auspicano il formarsi di un Iraq democratico, federale, dove vengano rispettati i diritti delle donne e degli uomini, e la cui costituzione non abbia basi teocratiche o fondamentaliste. «E’ chiaro che una volta costituito questo governo –ha dichiarato Talabani– e una volta creata una polizia di stato, le forze della coalizione dovranno abbandonare il nostro paese».
Un quadro ben diverso quello dipinto dalle parole di Lilli Gruber, che soprattutto alla luce degli ultimi dolorosi fatti, dall’omicidio di Baldoni al rapimento delle due Serene, non nasconde una certa perplessità. L’Iraq di cui ci parla Lilli è il paese in cui nessuno degli obiettivi posti da Bush è stato raggiunto.
«Non c’è democrazia. E non saranno certo i caccia a portarcela. Non c’è prosperità, nonostante l’Iraq sia uno dei paesi più ricchi al mondo. E non c’è sicurezza». La Gruber ha anche evidenziato la necessità di non dare troppo credito «alle frasi ad effetto degli speech-doctors americani e alla retorica della guerra al terrorismo come unico punto su cui focalizzare l’attenzione. L’unica possibilità per evitare il tanto paventato scontro di civiltà è di conoscere le altre civiltà».
Inoltre ha parlato della necessità di organizzare il ritiro delle forze della coalizione: « c’è bisogno di una struttura permanente di negoziazione composta da Siria, Iran, Arabia Saudita, Turchia e Usa, Russia, Onu, Ue e Iraq».
Ha chiuso il dibattito Massimo D’Alema, che dopo aver puntualizzato le responsabilità dell’occidente nei confronti del terrorismo, per stemperare il clima, ha ricordato un gustoso aneddoto. E come spesso accade, sono i fatti più semplici a chiarire il senso di tutto. Fu un tale politico iracheno, qualche mese fa, a confessargli: «Saremo per sempre grati agli Usa per averci liberato da Hussein. Ma saremo grati all’Europa se ci libererà dagli Americani».