...irachene
A Baghdad hanno cominciato a soprannominarlo il “Consiglio dei rapitori” o dell’“ipocrisia” a causa degli ambigui rapporti fra esponenti del Consiglio degli ulema, di matrice sunnita, e le bande che tengono in ostaggio gli occidentali. I servizi segreti iracheni avrebbero raccolto informazioni sulla collusione, grazie a un ex ostaggio che capiva l’arabo all’insaputa dei sequestratori. Aspetterebbero solo la soluzione del caso dei giornalisti francesi e delle due volontarie italiane, in mano ai terroristi, per compiere arresti eccellenti. Anche se i giornali italiani sembrano non accorgersi della fama del Consiglio degli ulema e ieri hanno dato ampio spazio alla tesi di uno dei suoi personaggi più in vista e discussi, Abdul Salam al Kubaisi. Parlando dei sequestratori di Simona Pari e Simona Torretta, al Kubaisi ha avanzato il sospetto “che appartengano a qualche intelligence straniera”. Il portavoce del Consiglio degli ulema, Muhammad Bashar al Fayadi, intervistato dal giornale arabo Al Sharq Al Awsat, ha rincarato la dose: “Al Kubaisi mi disse che loro due (le rapite, ndr) erano molto intimorite e avevano paura degli americani e di alcuni uomini delle forze governative irachene”. Le ipotesi sono due: la prima è che gli ulema, sollecitati a trovare un contatto con i sequestratori dall’ambasciatore italiano a Baghdad, Gianludovico De Martino, non sappiano che fare e quindi sparino notizie fantasiose per creare una cortina fumogena. Se le due Simone fossero finite nelle mani dei “tagliatori di teste” come Abu Musab al Zarqawi, sfuggirebbe anche agli ulema il controllo della situazione. Lo stesso al Zarqawi li ha accusati di essere “marci” e mollaccioni. Oppure potrebbe essere che si tratti di un indiretto messaggio di al Kubaisi al governo italiano. Se mi tagliate fuori dalle trattative o cercate altri canali, sparo a zero sui vostri alleati americani e iracheni. La conferenza stampa in cui è affiorato il fantasioso complotto della Cia e del Mossad, a danno delle volontarie italiane, è stata indetta il giorno in cui il ministro degli Esteri, Franco Frattini, viaggiava nei paesi del Golfo per cercare contatti e notizie. L’annuncio che i kuwaitiani, i quali hanno una vasta rete di intelligence in Iraq, avessero fornito “informazioni importanti” è passato in secondo piano rispetto all’accusa di al Kubaisi. L’ulema ha anche ribadito che le due italiane rapite si sentivano minacciate e volevano organizzare una nuova missione di aiuti a Fallujah, roccaforte della guerriglia sunnita. “Un ponte per…”, l’organizzazione umanitaria per la quale le due Simone lavoravano, sostiene di non essere al corrente delle recenti minacce. Fin da aprile, quando è iniziato l’assedio di Fallujah e sono scattati i rapimenti, tutti i volontari stranieri a Baghdad sono in pericolo. Le due Simone erano state informate dai collaboratori iracheni di volantini che giravano in cui gli estremisti sunniti incitavano al rapimento di stranieri, con in tasca un passaporto di uno dei paesi “occupanti”, anche se facevano del bene. Le due volontarie, come il resto del personale umanitario, furono evacuate per un breve periodo ad Amman. Tornarono a Baghdad quando la situazione sembrava più calma. Il 2 settembre un razzo è piombato a cinque metri dalla sede di “Un ponte per…” e anche in questo caso i responsabili hanno minimizzato, garantendo che non era indirizzato all’ong italiana. Invece il fotografo Mario Boccia, che collabora con il Manifesto ed era sul posto, ha spiegato, dopo il rapimento, che arrivarono subito strani personaggi. Due potevano sembrare contractor ed erano stranieri, ma un terzo misterioso individuo gli si avvicinò nel buio, pochi minuti dopo l’esplosione, per sussurrargli in inglese: “Non capisci, siete un obiettivo, andatevene”. La richiesta ad al Kubaisi, da parte delle due Simone, di organizzare l’ennesimo convoglio di aiuti a Fallujah, poche ore prima di essere rapite, dimostra che sentendosi minacciate volevano ulteriormente garantire che stavano con gli iracheni.
(1. continua)
saluti