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Dal nostro inviato invisibile tra gli inviati a Bagdad
Qualcuno, prima o poi, dovrà avvertire gli italiani che quello che leggono sui giornali e vedono in televisione è solo una “immagine” di ciò che sta accadendo in Iraq. A mettere in guardia su questo grave deficit di informazione sono gli stessi cronisti spediti sul campo di battaglia. Lo stato delle cose sarà pure atroce nella sua terribilità politica e umana (ormai è chiaro a tutti che il terrorismo paga e ha una rendita altissima) ma le “omissioni mediatiche” non possono essere sostituite dagli appelli accorati di Ciampi e del Papa.
La brutta verità – sostiene il nostro “inviato” - è che le due Simone sono state rapite e in pratica abbandonate. Rapite da qualche banda di guerriglieri o miliziani o ribelli e nascoste quasi sicuramente nella roccaforte terroristica di Falluja, assediata dalle forze americane. Da una parte. Dall’altra, “abbandonate” dall’intelligence italiana costretta ad operare a Bagdad tra mille difficoltà e scarsi mezzi.
Le due volontarie di “Un ponte per…” sono state rapite da 14 giorni. Due settimane di spaventosa attesa durante le quali nessuna “barbafinta” ha tentato di “lavorare sul campo”. Vale a dire: non c’è traccia di intermediari arabi che bussano alle porte dei vari capi-tribù di quel paesone chiamato Falluja per intavolare trattative, fare promesse, tentar di capire se c’è una via per liberare le due Simone.
Impresa non facile per nessuno. Ma ai tempi del rapimento dei quattro “mercenari” Agliana, Cupertino, Stefio e il povero Quattrocchi sul campo si muoveva il commissario straordinario della Croce Rossa Maurizio Scelli che batteva a tappeto Falluja a caccia di un canale di contatto con gli autori o i fiancheggiatori del rapimento.
L’intraprendente Scelli riuscì solo a riportare in Italia quello che restava del corpo di Quattrocchi, se ne vantò un po’ troppo davanti alle telecamere e ai taccuini dei giornalisti, innescando l’inevitabile ira del Sismi di Nicolò Pollari. Che, a ragione, si sentì scavalcato da chi doveva aver a cuore gli aiuti umanitari piuttosto che applicarsi a difficili operazioni di intelligence.
Dopodiché Scelli è stato in sostanza messo da parte, “esautorato”, e nessun giornale oggi accenna al commissario Cri a proposito delle due Simone. Tutto stavolta è nelle mani dei Sismi e della Farnesina. Con Frattini 007 che ha la bella pensata di atterrare in missione nel Kwait, quello che è considerato lo stato più detestato dagli arabi, Emirati compresi.
(A proposito di Scelli. Si è salvato per il rotto della cuffia dal gioco al massacro all’indomani dell’assassinio di Enzo Baldoni dimostrando la sua totale estraneità, anzi contrarietà al convoglio Cri per Najaf – considerata da Scelli operazione pericolosissima - in cui fu catturato il free-lance de “Il Diario”. Una spedizione fortissimamente voluta da Giuseppe De Santis, responsabile Cri a Bagdad, poi rimosso. Ci fu anche una interpellanza parlamentare dell’Ulivo per sostenere l’iniziativa di Baldoni-De Santis, risultata alla fine tragica.)
Un’altra balla, raccontano quelli di Bagdad, che ha avuto vasta ospitalità sui media italici, riguarda le due Simone e i due reporter francesi. Non è assolutamente vero che Francia e Italia abbiano intrecciato le loro forze per la liberazione degli ostaggi. Al contrario. Le due storie, sottolineano i francesi a Bagdad, vanno tenute separate e distinte. Perché, osservano, c’è differenza sostanziale tra i due paesi: l’Italia è coinvolta nella guerra in Iraq, la Francia no. Quindi, ognuno si muove per proprio conto, con i propri contatti e intermediari. Sui giornali italiani, invece, ne abbiamo lette di tutti i colori sulle due nazioni unite per la liberazione dei rapiti.
Altro punto dolente tocca da vicino la vita dei 12 giornalisti italiani e operatori-tv di stanza attualmente in Iraq. La Farnesina, dopo gli ultimi tragici avvenimenti, ha consigliato la “ritirata”. Al momento, “La Repubblica” ha due inviati (Caprile e Dell’Omo), uno il “Messaggero” (Cubeddu), per “La Stampa” c’è Zaccaria, “Avvenire” ha Claudio Monaci, la free-lance Barbara Schiavulli per l’”Espresso”, Giovanni Porzio e il fotografo Michele Di Lauro per “Panorama”, Mediaset si collega con Toni Capuozzo, la Rai dà la linea a Enzo Nucci, La7 copre il fronte con Fabio Angelicchio.
Per il Corriere della Sera, invece, nessuno. Sabato scorso, Lorenzo Cremonesi (che è stato tra l’altro l’ultimo italiano ad aver visto Simona Pari prima del rapimento) si è imbarcato (controvoglia) ed è atterrato ad Amman, in Giordania. Il primo quotidiano italiano deve “coprire” il mattatoio iracheno con gli articoli da Roma di Fiorenza Sarzanini. Dicono in via Solferino che presto arriverà Renzo Cianfanelli. Comunque, la partenza di Cremonesi da Bagdad ha lasciato perplessi gli altri colleghi.
Anche i reporter stranieri sono ormai pochissimi. Sparsi in due o tre alberghi (Palestine, Rimel o Alhambra), che inalberano muraglioni di cemento per proteggersi da eventuali auto-bomba. Davanti alle stanze, un poliziotto sorveglia. Chi si avventura in città si deve camuffare, usare mini-telecamere e stare accorto a tirare le tendine dentro le auto. L’ambasciata italiana a Bagdad, infine, è come se non esistesse per i reporter. Una telefonata ogni 15 giorni. Come va? e via.
Dagospia 20 Settembre 2004