Dall'eco di Bergamo di ieri, pagina culturale. Non risulta essere stata scritta da Montalbano...
Marzabotto, giustizia non è stata fatta
Dal 29 settembre al 5 ottobre del '44 i nazisti uccisero 1.830 persone, fra donne, vecchi e bambini Il massacro fu attuato dal maggiore Reder, l'unico responsabile che pagò con l'ergastolo
N ella seconda metà del 1944 le armate del Terzo Reich avevano ormai definitivamente imboccato la parabola discendente della loro diabolica avventura sulla deturpata faccia dell'Europa. Sotto l'incalzante avanzare degli angloamericani e dei sovietici e col costante pungolamento al fianco operato dai movimenti di resistenza, i nazisti ripiegavano verso la madrepatria su tutti i fronti. Un tragico ritiro, che lasciò dietro di sé innumerevoli episodi di violenza gratuita, in un aberrante campionario delle umane atrocità. Travolti da una cieca furia, gli sconfitti cucirono sulle proprie divise col sangue di civili innocenti il marchio dell'infamia.
In Italia, Paese guardato con disprezzo dai tedeschi perché aveva tradito il Patto d'acciaio, dall'8 settembre 1943 al termine della guerra si contarono oltre 400 azioni criminali perpetrate ai danni della popolazione inerme: rappresaglie ed esecuzioni sommarie compiute spesso senza ragione vuoi dai soldati teutonici vuoi dai repubblichini di Salò. Tra l'aprile e il settembre del '44 furono colpite in modo particolare le regioni centrali: Grosseto, Massa Carrara, Forno, Guadine, Sant'Anna di Stazzema furono teatro di carneficine mascherate da operazioni militari contro i partigiani operanti nel territorio. La guerriglia contro l'occupante era particolarmente attiva ed efficace sull'Appennino. Malgrado la disparità di forze, la Resistenza aveva inflitto perdite cospicue al nemico, asserragliato sulla linea gotica, fronte che andava dalla Spezia a Rimini: i partigiani erano addirittura riusciti a interrompere i collegamenti radiotelegrafici dei nazisti con le loro armate nel Nord Italia.
Terra
bruciata
Questo irritava i comandi germanici ancor più dell'avanzata degli Alleati, che dalla Resistenza traeva un aiuto non indifferente. I partigiani erano reputati alla stregua di banditi e ad essi non veniva accordato il trattamento previsto dalla convenzione di Ginevra, che del resto i tedeschi furono sempre recalcitranti ad applicare. Il Feldmaresciallo Albert Kesselring aveva parlato chiaro: per farla finita con i partigiani non c'era che una soluzione, fare terra bruciata. Una direttiva che fu rispettata alla lettera dal sedicesimo battaglione SS Panzergrenadier «Reichsführer», comandato dal maggiore Walter Reder, detto «il monco» per via del braccio sinistro amputato sotto il gomito, responsabile di abominevoli massacri che culminarono nell'eccidio di Marzabotto, tra il 29 settembre e i primi di ottobre del '44. Questa strage, per la brutalità che la contraddistinse, sfugge a qualsiasi logica repressiva di guerra: fu un sadico accanimento di un mostro crudele contro degli indifesi esseri umani. Essa colpì anche altri borghi della zona, tra cui Grizzana, Monzuno, San Martino, Cerpiano, Casaglia, San Giovanni di Sotto: fu il più grande massacro di civili compiuto nell'Europa occidentale.
La disgrazia di Marzabotto fu di trovarsi in una posizione nevralgica: nell'Appennino emiliano, sulla strada da Pistoia a Bologna. Perciò attorno ad esso si attestò un massiccio concentramento di guarnigioni tedesche, che comprendevano anche squadre speciali di SS ed erano affiancate da alcuni reparti delle Brigate nere. Lungo quei crinali agiva la formazione partigiana Stella rossa, sorgente di continui grattacapi per i nazisti. Dopo lo sfondamento in vari punti della linea gotica da parte degli americani, questa zona rimase l'ultima roccaforte tedesca a difesa di Bologna e della pianura padana e perciò assunse un valore strategico immenso. Si decise dunque di provvedere ad un'opera di «pulizia» dei dintorni per garantire la sicurezza dei soldati del Reich. Incaricato dell'operazione fu lo zelante Walter Reder con le sue SS, che al termine «pulizia» associò l'aggettivo «totale».
Il 29 settembre buona parte degli impauriti abitanti, in maggioranza donne, vecchi e bambini, sentendo avvicinarsi il rabbioso invasore, si rifugiò in una piccola chiesa in località Caviglia: i nazisti buttarono giù la porta e vi fecero irruzione a mitra spianati, fra gli urli di terrore della gente. Il parroco don Ubaldo Marchioni fu falciato da una raffica mentre, dall'altare, guidava i fedeli nella recita del Rosario.
A colpi
di mitragliette
Tutti gli altri, circa 150 persone, furono condotti nel cimitero e lì assassinati a colpi di mitragliette e con bombe a mano. Poi s'iniziò a rastrellare gli abitanti nei casolari sparsi. I pochi scampati raccontarono che le SS legavano i poveretti fra loro fino a un certo numero, poi li crivellavano di colpi o li facevano saltare in aria con le granate: un modo per non perdere tempo prezioso con fucilazioni isolate, onde evitare la fuga di quegli «sporchi ribelli criminali», moltissimi dei quali erano bambini e vecchi malati.
Altre squadre della morte preferirono uccidere casa per casa, senza nemmeno preoccuparsi, poi, di rimuovere i corpi, cosicché, quando i superstiti tornarono, si trovarono di fronte un agghiacciante spettacolo, tra macerie fumanti e cumuli di cadaveri. A Caprara di Marzabotto gli abitanti furono rinchiusi in un'osteria e massacrati con bombe a mano. Uomini, donne, bimbi, anziani, infermi, sacerdoti. I nazisti uccisero indiscriminatamente chiunque si trovassero davanti. Interi nuclei familiari furono sterminati. Case e fabbriche, strade e ponti, scuole, cimiteri e chiese furono bombardati o fatti saltare in aria con la dinamite.
Invano dalle montagne i partigiani tentarono di fermare la strage(cioè dalle montagne, nel senso che restavano in montagna, hanno tentato invano di fermare il massacro. Nemmeno i fischi disperati delle marmotte fecero recedere il mostro dall'insano proposito...) , che si protrasse fino al 5 ottobre. Reder fece inoltre imbottire la terra circostante di mine, che dopo la guerra avrebbero ucciso altre 55 persone (l'opera di bonifica fu terminata solo nel 1966). Alla fine si contarono 1.830 morti, 200 dei quali erano bambini di meno di dodici anni. La dimensione dell'orrore fu tale da indurre la Repubblica sociale italiana a protestare e a chiedere spiegazioni ai comandi tedeschi. Questi si giustificarono con le loro usuali, spudorate menzogne, sostenendo che si era trattato di un'azione di guerra contro le brigate partigiane e che nessun civile era stato ucciso. I partigiani furono accusati di mistificare la realtà e ingigantire le cose; e la questione finì lì.
Giustizia
e ragione di stato
Degli autori della strage di Marzabotto solo Reder sarà processato e condannato all'ergastolo, nel 1951, dal Tribunale militare di Bologna. Tutti gli altri rimasero vergognosamente impuniti. Sulla giustizia prevalsero i soliti motivi della ragion di Stato e dell'opportunismo internazionale: non si voleva rivangare un passato doloroso che ancora non era stato seppellito, rischiando di guastare i rapporti con la Germania e di provocare nuove tensioni sociali in quell'Italia, in quell'Europa che a fatica si stava rimettendo in moto dopo tanto sangue versato. Solo nel 1994 la Magistratura italiana e quella tedesca hanno ripreso le indagini. Un gesto più simbolico che altro, teso alla riconciliazione. Ormai per avere giustizia è troppo tardi.
Claudio Cadei

a parte tutto, non conosco Cadei, però quasi quasi mi faccio uno shampo