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    Predefinito Re: Rif: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    Al via le celebrazioni per il busto che conquistò anche il Führer


    Roberto Giardina

    NEFERTITI, LA REGINA DI BERLINO







    BERLINO - Avevo come vicina la donna più bella di Berlino, finché ha cambiato casa, anzi è tornata al suo primo domicilio. È guercia, alta cinquanta centimetri, sta per compiere un secolo, ma di anni ne avrebbe 3300, tuttavia milioni di turisti vengono a rendere omaggio al suo fascino. Nefertiti, che qui chiamano Nofertete, è il simbolo di Berlino, insieme con Marlene e le sue calze nere ne "L'Angelo Azzurro".

    L'archeologo Ludwig Borchardt la portò alla luce dalle sabbie egiziane esattamente il 6 dicembre del 1912, e se la portò a casa. Legalmente, non fu un furto. Parte delle opere ritrovate dalle spedizione archeologica finanziata dall'ultimo Kaiser Guglielmo II, rimase al Cairo, e di alcune furono assegnate ai tedeschi, diciamo come ricompensa. Ma l'Egitto all'epoca era un protettorato britannico, le ricerche archeologiche erano controllate dai francesi, e gli egiziani non potevano concedere alcuna autorizzazione, e con qualche ragione oggi sostengono che Nefertiti gli appartiene e la rivogliono indietro.
    Da cento anni, le vicende del busto sono strettamente legate alla storia tedesca, nel bene e nel male. Nefertiti (il nome signifca "la bella è arrivata") fu esposta al pubblico per la prima volta nel 1924, e divenne subito una star. I prussiani stavano per cedere alle pressioni dell'Egitto, durante la Repubblica di Weimar. Non solo per generosità. Gli studiosi ritenevano che Nefertiti fosse di scarso valore, una copia in gesso, come dire un multiplo moderno, uno di quei souvenirs, fabbricati a centinaia venduti ai turisti. La rispedivano a casa, in cambio di una statua autentica. I berlinesi, pur tra tanti guai del dopoguerra, fame e inflazione, scesero per strada a manifestare per la loro regina. Nefertiti rimase in riva alla Sprea, ma dieci anni dopo, all'avvento di Hitler, i nazisti erano di nuovo pronti a restituire il busto. Hermann Göring e Joseph Goebbels volevano ingraziarsi l'Egitto, ostile alla Gran Bretagna.

    I berlinesi non osarono protestare, si oppose Adolf in persona: «Non la restituirò mai». E nacque una nuova leggenda. Il Führer sarebbe stato affascinato dalla regina a tal punto da farsi fabbricare una copia, da esibire nel suo museo personale che voleva creare nella natia Austria. O, come temono alcuni, la copia la lasciò a Berlino, e lui si prese l'originale, finito dopo il crollo del III Reich nelle mani di un misterioso collezionista? Niente è certo. Secondo altre voci, lo stesso Borchardt avrebbe fatto fabbricare una copia da far scoprire in pubblico quel sei dicembre, al posto dell'originale. In gennaio, spedì il busto a Berlino, un anno dopo cominciò la Grande Guerra.

    Nefertiti era sopravvissuta tre millenni sepolta dalla sabbia, e rischiava di venir polverizzata dalle bombe. Durante la guerra fu messa al sicuro in un Bunker vicino allo Zoo, poi spostata in Turingia, in una miniera di sale. Trovata dagli americani, finì a Francoforte, rischiò di emigrare negli Stati Uniti, e solo nel 1956 tornò a Berlino Ovest. Nel 1967 finalmente trovò pace in un nuovo piccolo museo egizio nel mio quartiere di Charlottenburg. I comunisti della Ddr ne chiesero invano la restituzione, Nefertiti traslocò solo dopo la caduta del "muro", quando i musei furono riunificati, quello capitalista e il marxista.

    Ora sarà celebrata con mostre ed eventi che dureranno un anno, mentre la sua figura storica viene messa sotto una nuova luce: «Non era solo la moglie di Achnaton, a cui diede sei figli, la madre di Tutanchmen - dice l'egittologo Hermann Schlögl - , la regina fu la forza trainante della rivoluzione culturale e politica del suo tempo, come raccontano le iscrizioni nel tempio di Karnak: Aton, il nuovo e unico dio, che avrebbe mandato in pensione tutte le altre divinità, fu trovato da Nefertiti». Arriveranno altri milioni di turisti a renderle omaggio: a una copia nazista, a un falso creato da un archeologo imbroglione? E se è vera, fu esportata illegalmente, e andrebbe restituita? E i soliti specialisti guastafeste sostengono che si tratta di un'immagine ideale, nessuna donna reale avrebbe un volto dalle proporzioni così perfette. Che importa? Nefertiti rimane la più bella, misteriosa, affascinante. La Monna Lisa del Nilo.


    Roberto Giardina - Il Resto del Carlino di mercoledì 5 dicembre 2012 (edizione cartacea)

  2. #22
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    Predefinito Re: Rif: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    Citazione Originariamente Scritto da donerdarko Visualizza Messaggio
    Consiglio la lettura di questo libro del De Lubicz...

    L'ho ordinato proprio ieri
    Gli Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio.

  3. #23
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    Predefinito Re: Rif: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    Citazione Originariamente Scritto da Malaparte Visualizza Messaggio
    L'ho ordinato proprio ieri
    Merita, ma devi essere bravo in geometria e trigonometria
    Segni particolari: "macchina da espansione razziale euro-siberiana" (Giò91)

  4. #24
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    Predefinito Re: Rif: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    Citazione Originariamente Scritto da donerdarko Visualizza Messaggio
    Merita, ma devi essere bravo in geometria e trigonometria
    Purtroppo non lo sono, comunque ci starebbe anche Il tempio dell'uomo, che costa sui 200 euro
    Gli Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio.

  5. #25
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    Predefinito Re: Rif: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    Citazione Originariamente Scritto da Malaparte Visualizza Messaggio
    Purtroppo non lo sono, comunque ci starebbe anche Il tempio dell'uomo, che costa sui 200 euro
    Si trova gratis e in italiano in pdf. Prova a cercare
    Segni particolari: "macchina da espansione razziale euro-siberiana" (Giò91)

  6. #26
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    Predefinito Re: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    Manetone

    Manetone (inizio III secolo a.C. – ...) è stato un sacerdote egiziano del culto di Serapide durante il regno di Tolomeo I.
    Manetóne (gr. Μανέθων; lat. Manĕthō) scrisse, in greco, attingendo a fonti locali, una storia dell'Egitto (Aἰγυπτιακά Aigyptiaká) di cui ci sono giunti estratti in opere posteriori di Giuseppe Flavio, Sesto Africano, Eusebio di Cesarea; i testi in greco si resero necessari per farsi comprendere dai conquistatori di Alessandro Magno.
    Giorgio Sincello (761 – 846) inserisce nella sua opera Cronografia un'Epitome, ossia una lista di sovrani dell'antico Egitto, in cui suddivide tutti i sovrani tra trenta dinastie, assegnando a ciascuno di essi una durata del regno.
    L'Epitome di Sincello è basata sui dati di Sesto Africano ed Eusebio di Cesarea, e quindi in definitiva di Manetone.
    Non sempre è stato possibile associare ai nomi forniti da Manetone un sovrano conosciuto attraverso altre fonti, sia epigrafiche che archeologiche. Scarsamente affidabili sono le durate dei regni, che risultano spesso sovrastimate; secondo Manetone, le trenta dinastie avrebbero governato l'Egitto per oltre 5000 anni.

    Manetone - Wikipedia
    Ultima modifica di donerdarko; 20-03-13 alle 00:42
    Segni particolari: "macchina da espansione razziale euro-siberiana" (Giò91)

  7. #27
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    Predefinito Re: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    - Manetho -



    Despite Manetho's importance for the study of the history of Ancient Egypt, nothing much is really known about the man himself. Even the exact meaning of his name has been a point of discussion among Egyptologists and although it is now generally agreed upon that the name "Manetho" comes from the Ancient Egyptian mniw-htr, which means "keeper of the horses", the existence of such a name is not attested by Ancient Egyptian sources.

    Manetho lived in Sebennytos, the capital of Egypt during the 30th Dynasty, and was a priest during the reigns of Ptolemy I and Ptolemy II. He is said to have been involved in the creation of the cult of Serapis - a god added to the Egyptian pantheon with both Hellenistic and Egyptian traits during the reign of Ptolemy I -, but this can not be confirmed.

    Manetho owes his importance to the fact that he wrote the Aegyptiaca, a collection of three books about the history of Ancient Egypt, commissioned by Ptolemy II in his effort to bring together the Egyptian and Hellenistic cultures.

    In order to do so, Manetho had access to the archives of the temple where he served as a priest. Such archives contained a vast number of different kinds of writings, ranging in contents from mythological texts to official records, from magical formulas to scientific treaties. He thus had all the sources he needed to write down the history of his country. With such sources, however, we may not be surprised to find myths and folk-tale mixed with the facts of the Egyptian history.

    It is to Manetho's Aegyptiaca that we owe the division of Ancient Egyptian history in 30 dynasties. This division is not always based on historical facts: it was in parts based on mythology and in parts on divisions of ruling families already established in the past.

    For instance, the 18th Dynasty starts with the rule of Ahmose, who was a brother of the last king of the 17th Dynasty. The third king of the 18th Dynasty was (probably) not related to his predecessors, but yet he is still placed in the same dynasty. This seemingly bizarre composition of the 18th Dynasty can be explained by the fact that with the rule of Ahmose started a new era of prosperity for Ancient Egypt, and thus the ancient record keepers on whom Manetho based his study of the 17th and 18th Dynasties must have considered him the founder of a new house.

    The same is true for the first king of the 1st Dynasty, Menes, who probably has to be identified as Narmer: Menes' role in the unification of Egypt was so important, that he too was considered the founder of a new House.

    On the other hand, Mentuhotep II reunited the country after the 1st Intermediate Period, but yet he is still counted as a member of the 11th Dynasty.

    On other occasions, mythological elements were taken into consideration when dividing the history of Ancient Egypt into dynasties. The separation of the 1st and 2nd Dynasties seems purely artificial, so why did Manetho list 9 kings in the 1st Dynasty and 9 in the 2nd? Because 9 was a holy number: there were 9 gods in the Ennead, all of which once had ruled over Egypt.

    Unfortunately, this valuable work has not (yet) been found or identified as such. It is only known through references, occasional excerpt and comments by later authors, the most important of which are Josephus, Africanus, Syncellus and Eusebius. To make matters even worse, the sources through which the Aegyptiaca is known, sometimes represent conflicting information.

    Eusebius, for instance, counted only 3 kings in the 22nd Dynasty, whereas Africanus lists 9. The 23rd Dynasty is treated differently by the two classical authors as well: Eusebius listed 3 kings and gave the Dynasty a total length of 44 years, whereas Africanus counted 4 kings and assigned it only 31 years.The 26th Dynasty counted 9 kings with both Eusebius and Africanus, but with Eusebius it starts with a king named Ammeris and ended with Amosis, whereas Africanus names a Stephinates as the first and a Psammetikherites as the last king of that same Dynasty. Psamtek I of the 26th Dynasty is assigned a rule of 54 years by Africanus and 45 by Eusebius...

    Soon after the original composition, the Aegyptiaca was epitomised, probably by extracting a framework of kings to which clung the occasional historical statement. At the same time, however, the original work was being abused, commented and falsified for political and religious motives. It is not unlikely that at this time, new works about the history of Egypt were being written under Manetho's name. Such works were often full of tendentious commentaries and anachronisms.

    The classical authors who copied, commented or made references to the Aegyptiaca were thus confronted with different sources, all claiming to have been based on the original work. Josephus knew both the original Aegyptiaca or its epitome, and the fake Manethoan literature, but he was often unable to distinguish between them. Africanus knew and used the epitomised Aegyptiaca, while Eusebius quoted from Africanus and from a version of the Epitome altered by the Hellenistic Jews for religious purposes.

    This makes the accessibility of Manetho's work very hard, but yet, when one knows how to separate the original work from its fakes, and when one knows to distinguish between fact and myth in the original work, Manetho's Aegyptiaca becomes a valuable source for the study of Ancient Egyptian.

    The Ancient Egypt Site
    Ultima modifica di donerdarko; 20-03-13 alle 00:43
    Segni particolari: "macchina da espansione razziale euro-siberiana" (Giò91)

  8. #28
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    Predefinito Re: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    I frammenti della Aegyptiaca di Manetone nella letteratura antica (testi in inglese)

    The Fragments of Manetho
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 28-05-15 alle 15:04
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  9. #29
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    Predefinito Re: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    L'alchimia potrebbe aver avuto origine nell'Antico Egitto?

    Il Papiro X di Leida (scritto in pieno periodo alessandrino-ellenistico), sembrerebbe confermare questa ipotesi.

    Il papiro X di Leida è un codice scritto su papiro in lingua greca alla fine del III secolo, o forse attorno al 250, sepolto con il suo proprietario, e oggi conservato presso il Rijksmuseum van Oudheden di Leida nei Paesi Bassi.
    Contiene testi alchemici, riguardanti soprattutto la produzione di tinture e leghe che possono essere rese simili all'oro. Cita anche Mosè quale alchimista.

    Qui il testo integrale in inglese.
    Segni particolari: "macchina da espansione razziale euro-siberiana" (Giò91)

  10. #30
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    Predefinito Re: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    La pietra di Shabaka



    TEOLOGIA MENFITA
    La Pietra di Shabaka


    L’iscrizione di Shabaka o Pietra di Shabaka riveste grande importanza soprattutto nell’ambito della storia del pensiero filosofico. In detto reperto vengono infatti esposti i principi della cosmogonia menfita incentrata sul concetto del nous e logos, principi che, come acutamente osservò il Breasted, rappresentano uno dei pilastri, delle fondamenta su cui poggia la speculazione filosofica dei grandi pensatori greci. Questo reperto consiste in una stele di granito nero di forma rettangolare, leggermente smussata agli spigoli, di mt. 1,37 x 0,92, ove sono riportate delle iscrizioni in corsivo geroglifico molto rovinate, in un’area ristretta al centro del reperto di cm. 132 x 69. La stele, realizzata intorno al 710 a.C. per ordine del II sovrano della XXV Dinastia, il Faraone Shabaka 716-695 a.C. ca., contiene la copia di un testo antico, il cui incipit risale a periodi di molto anteriori (2780 – 2260 a.C.). In epoca post-faraonica essa fu utilizzata dai contadini come pietra per mulino. Rinvenuta a fine del XVIII sec. AD, ne entrò in possesso George John Spencer, II Earl (Conte) di Spencer (1758-1834), nel 1800 Primo Lord dell’Ammiragliato britannico, noto mecenate e cultore di letteratura dell’epoca, il quale ne fece poi dono al British Museum di Londra nel 1805 10. Da allora il reperto è rimasto colà, catalogato con il n. 498...
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 28-05-15 alle 15:05
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