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Discussione: Bosch: arte alchemica

  1. #1
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    Predefinito Bosch: arte alchemica

    Uova bucate da cui fuoriescono gambe umane. Corpi di uomini con volto di maiale. "Grilli", ovvero un uomo-animale con più nasi o facce sulla schiena. Pesci che volano. Diavoli con naso a forma di tromba. Pettirossi, corvi, bestie, demoni ed insetti tra il mercurio.
    Questi sono i protagonisti dei quadri allucinati di Hieronymus Bosch, pittore neerlandese vissuto a cavallo tra il "400 ed il "500 e la cui vita si confonde con la leggenda. Come un incubo appaiono i suoi Trittici la cui lettura procede da sinistra verso destra, come in un racconto.

    In tali scenari, idilliaci o infernali, si rincorrono e si avvolgono tra loro figure bizzarre, oscene, demoniache, animalesche ricavate dalle processioni, dai racconti degli inquisitori, delle descrizioni di sabba strappate con le torture alle presunte streghe, dalle esecuzioni di piazza contemporanee al pittore. Si vedono dunque brocche dalle quali si racconta esca il diavolo durante un sabba, civette che rappresentano l'eresia e l'accettazione di false dottrine, il pesce che rappresenta a seconda delle interpretazioni la purezza, l'angoscia, il sesso maschile (interpretazione freudiana) o il peccato se è morto e privo di squame, scale sparse per il dipinto o che servono per salire di girone in girone nelle pale raffiguranti l'inferno e che indicano il sesso ed il peccato della lussuria.

    Accanto a tali rappresentazioni allegoriche che tendono alla critica moralista della società in cui Bosch viveva e che non risparmia re, imperatori, papi, ordini monastici ed intellettuali (tipica rappresentazione di un saggio è infatti un uomo con un imbuto azzurro - colore del male e della frode - capovolto come copricapo e che indica la falsa sapienza) vi sono simboli alchemici che dimostrano la conoscenza da parte dell'artista di trattati e ricerche di alchimia e demonologia. Così i colori utilizzati per gli sfondi o gli abiti dei personaggi acquistano significati tratti dall'alchimia: per esempio il bianco è il colore del secondo stadio della cottura, mentre il rosso quello dello stadio finale. L'uovo in alchimia corrisponde all'alambicco o crogiuolo, nel quale si compie il "grande evento", ovvero la nascita del Fanciullo Alchemico dall'unione di mercurio e zolfo; se l'uovo viene raffigurato forato rappresenta nascite mostruose e quindi è allegoria della magia nera e del diavolo. La cucurbita e l'albero cavo alludono entrambi al crogiuolo alchemico. Il corvo rappresenta il "nigredo" ovvero la parte iniziale della cottura tra zolfo e mercurio dal quale nasce l'androgino (testa di corvo).

    I volti spesso trasfigurati, il groviglio di corpi nudi, i peccati raffigurati, il male sempre presente sottoforma di simboli o colori, le rappresentazioni demoniache o angeliche, i simboli alchemici rappresentano, quasi come in un incubo dove tutto appare irreale per la sua mostruosità, le paure del periodo in cui Bosch visse: la caccia alle streghe, l'alchimia e la magia, la paura di andare contro natura e di subire la terribile punizione minacciata dal clero, lo stesso clero corrotto dal peccato della lussuria e dell'ingordigia, la dissolutezza del potere temporale e spirituale al pari degli strati più bassi della popolazione.

    Tutto questo viene rappresentato insieme, come avvolto da un ciclone, come se tutto avvenisse "qui ed ora" in un unico dipinto diviso in piani dove si susseguono le scene della narrazione che tuttavia non appare frammentata, dove le paure e gli incubi "ad occhi aperti" si susseguono in un'arte allegorica che affascina da sempre ogni pubblico forse proprio per il mistero dell'alchimia che essa racchiude nei suoi colori e nei suoi personaggi.

    Valeria Russo su www.tribenet.it



  2. #2
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    ”… Mai il mostro è stato così esatto nei particolari, e altrettanto incredibile nell’insieme, quanto in Bosch…”
    J. Baltrusaitis


    Insetti, rettili antropomorfi, visioni terrificanti, figure grottesche che incarnano incubi spaventosi: quasi un folle genetista ante litteram, Bosch ha saputo inventarsi razze demoniache mai immaginate. Le sue assurde associazioni affascinano e sconcertano: da panieri intrecciati e congegni metallici crea stravaganti esseri viventi, da strumenti musicali e utensili domestici ricava strumenti di supplizio.

    Amo moltissimo Bosch. Nessun altro pittore mi dà le stesse emozioni, forse perché in lui trovo un po’ di tutto: suggestione, angoscia, surrealismo, simbolismo. E, paradossalmente, realismo: Bosch osserva la realtà, la scava, la analizza… anzi, va oltre e riesce ad estrapolare le paure e le inquietudini che sono in ognuno di noi, mostrando la vera essenza di ogni cosa. E così dipinge gli uomini non come appaiono, ma come sono veramente dentro, al di là dell’ingannevole maschera del corpo: creature drammatiche e tormentatissime.







  3. #3
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    Riporto alcuni stralci della novella fantastica di Dino Buzzati, pubblicata come presentazione del libro d’arte "L’opera completa di Bosch".

    Un contributo prezioso per comprendere il messaggio insito nelle sue opere. Quasi a dimostrare come, per tentare di accedere al linguaggio segreto di uno degli artisti più enigmatici, non sia strettamente necessario passare attraverso lo scandaglio razionale.

    *^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*


    IL MAESTRO DEL GIUDIZIO UNIVERSALE
    di Dino Buzzati


    Poiché mi ero sempre molto interessato del pittore Hieronymus Bosch, durante un viaggio in Olanda andai a visitare la sua città, cioè ‘s-Hertogenbosch, detta anche Bois-le-Duc, che noi chiamiamo Boscoducale. E qui l’albergatore, persona abbastanza colta, mi disse: “Se non altro per curiosità, signore, perché non va a trovare il vecchio Peter van Teller? E’ un tipo un po’ strambo, un orologiaio che vive di una piccola rendita dopo aver ceduto la sua bottega al nipote. Credo sia il decano di ‘s-Hertogenbosch. Per tutta la vita si è occupato di Bosch, è convinto anzi che Bosch sia un suo antenato da parte di madre. Su Bosch ha scritto anche un libretto, tanti anni fa, che a quei tempi fece un certo scandalo. Ha certe sue idee curiose. Chissà, un incontro potrebbe esserle utile..” Dicendo questo però sorrideva con una certa ironia, e io mi chiedevo se parlasse sul serio o invece intendesse prendermi benevolmente in giro.

    All’indirizzo indicatomi, in una piccola strada dietro il palazzo municipale, trovai una casetta a due piani, di classico stile vecchia Olanda […] Tirai, al cancello, la maniglia della campanella e dopo poco venne ad aprirmi una donnetta sui sessant’anni, straordinariamente linda, con una gentile cuffia bianca. Siccome parlava soltanto in olandese, non capii bene se fosse una donna di servizio oppure una parente del vecchio orologiaio. Per fortuna intervenne in aiuto un passante che conosceva il tedesco. Seppi così che van Teller era uscito per la passeggiata pomeridiana e non sarebbe rientrato che fra un’ora. Però, se non volevo aspettarlo, potevo raggiungerlo al giardino pubblico; van Teller sedeva sempre sulla terza panchina a destra entrando. E non potevo sbagliare: era l’uomo più vecchio di ‘s-Hertogenbosch e portava un cappello d’altri tempi a tesa larghissima. Un passante mi indicò la strada e dopo pochi minuti vidi il curioso personaggio.

    […] Quanti anni avrà avuto? Ottanta? novanta? duecento? Impressionante il numero di rughe che solcavano il volto scarno, eppure era ancora una fisionomia viva e in certo modo battagliera.
    Come mi avvicinai e lui mi guardò, avvertii subito, vedendolo di faccia, una straordinaria rassomiglianza con l’unico sicuro ritratto di Hieronymus Bosch che si conosca, il disegno cioè che si conserva ad Arras; gli stessi occhi penetranti e maliziosi di falco, la stessa bocca perentoria che finisce in due pieghe alquanto beffarde. […] Era lo stesso uomo, pareva arrivato alle soglie della decrepitezza.

    Mi presentai e fui lieto di constatare che anche van Teller conosceva abbastanza bene il tedesco. In compenso bisognava quasi urlargli nelle orecchie, tanto era sordo. “Chi le ha detto di rivolgersi a me?” domandò per prima cosa. E come lo ebbe saputo fece un breve sogghigno, quasi che stimasse l’albergatore persona poco raccomandabile. Poi tacque e riprese a guardare la gente, come se io non esistessi. […] Si riscosse, mi guardò, sorrise (aveva ancora i suoi denti): “Lei è venuto a cercarmi per il grande Hieronymus? Eh, eh. Innanzi tutto è mio dovere avvertirla, signore, che qui in città mi considerano un matto”. E fece una stridula risata da cornacchia.

    Intanto mi ero seduto al suo fianco. Con una mano scheletrica ma tutt’altro che tremante, strinse una delle mie. “Ma lei, signore, viene da lontano, lei non può sapere di questi pettegolezzi di provincia, a lei non possono interessare, però lei mi è simpatico, signore. A lei, se crede, posso dire alcune cose. Eh, eh. Avrà notato immagino, che io assomiglio a qualcuno!”. “In modo sorprendente”, dissi: “Una coincidenza quasi incredibile”. “Coincidenza, amico mio? Crede proprio si tratti di coincidenza?”. “Intende dire, signor van Teller, che si tratta di sangue?”. “Chissà, chissà”, fece lui enigmatico: “Certe cose noi non le potremo mai sapere”. Dopodiché non si fece pregare per raccontarmi la sua storia.

    Figlio di un orologiaio, aveva seguito umilmente le orme paterne, occupandosi sempre del negozio ma, fin da ragazzo, una fortissima attrazione lo portava verso tutto ciò che riguardava il famoso pittore, ritenuto, in famiglia, un antenato di sua mamma, nata van Aken. […] Poi, fattosi uomo, era riuscito a vederli pressoché tutti, i celebri dipinti; era stato a Vienna, a Berlino, a Parigi, a Venezia, a Lisbona e più di una volta a Madrid. […] Mentre van Teller mi parlava, ebbi un piccolo soprassalto: con la coda dell’occhio mi era parso di vedere una cosa scura uscire da una siepe alle mie spalle e saltellare a scatti sull’erba; ma, come guardai, tutto era normale e tranquillo.[...]

    Mi diceva come nessuno dei tanti critici che avevano scritto su Bosch, anche firme autorevoli e reputatissime, lo avessero persuaso. “Parlano dell’inferno, parlano della dannazione eterna, parlano di sant’Agostino, delle eresie, della riforma di Lutero, vanno a frugare nella vita privata di Hieronymus, che nessuno di loro può conoscere, riempiono centinaia di pagine con interpretazioni gigantesche. E la psicanalisi! E l’angoscia esistenziale con quattro secoli di anticipo! E il surrealismo con quattro secoli di anticipo! … C’è stato uno, perfino, che ha registrato uno per uno i mostri – eh, eh, li chiamano mostri – e li ha classificati come fossero tanti coleotteri, e per ciascuno ha trovato il tipo di nevrosi corrispondente. E poi il manicheismo immancabile. E i refoulements sessuali… i complessi aberranti… la componente sodomitica… l’esoterismo negromantico… Quanta fatica inutile!”. Si era fermato, ora batteva per terra con rabbia la punta del sottile bastone: “Ma se è così semplice; così limpido! Se non è mai esistito un pittore più realista e chiaro di lui!… Altro che fantasie, altro che incubi, altro che magia nera… La realtà nuda e cruda che gli stava davanti… Solo che lui era un genio che vedeva quello che nessuno, prima di lui e dopo di lui, è stato capace di vedere. Tutti qui il suo segreto: era uno che vedeva e ha dipinto quello che vedeva…”.

    Io dissi: “Capisco. Certo, in sede letteraria, non si può negare .. […] Però lei non mi dirà che quegli esseri orrendi, rettili antropomorfi, osceni meccanismi, utensili trasformati in membra, gnomi e insetti abominevoli, lui li vedesse veramente, che quattro secoli fa girassero per le strade dell’Olanda”.
    “Non li vedeva?” fece lui, arrogante: “Non giravano per le nostre strade? Oh, non mi faccia parlare!”. A questo punto non ebbe più riserve. Confessò che pure lui, non tutti i giorni ma abbastanza spesso, “vedeva” il mondo come Bosch […] Cominciavo a capire perché l’albergatore, dandomi l’indirizzo di van Teller, sorridesse in modo insinuante. […] “Ma a lei”, domandai, “non è mai venuta la voglia di dipingere?”. “Aspetti”, disse van Teller con aria di complicità: “Aspetti. Le farò vedere”. […]

    Mi accorsi che eravamo giunti alla sua casa. Mi fece strada. Entrammo. Non si fermò al primo piano dove era presumibile fossero le stanze da letto… Si uscì nell’androne sommitale ricavato dallo scrimolo del tetto spiovente. Egli accese. Un getto di vivida luce cadde su una grande tavola poggiata a un cavalletto e dipinta per metà. Sotto, su un tavolo, pennelli, colori e tavolozza. Era, per quello che se ne potevo capire, un quadro incompiuto di Bosch. […] Io rimasi là, di pietra. Era uno dei più crudeli e disperati Bosch che avessi mai visto. Eppure mai, in nessun libro o raccolta, lo avevo riscontrato. “Ma è un Bosch autentico, questo, no? E’ suo? Dove l’ha trovato? E perché è dipinto solo a metà?” Van Teller mi guardò sorridendo: “No, no, una semplice imitazione…”. “Eppure, eppure mi ricorda…”. Van Teller sembrò felice: “L’ha riconosciuto? Il Giudizio universale che andò distrutto nell’incendio del Prado? Lei ricorda la relativa stampa di Hameel, vero?” Sì, ora ricordavo perfettamente. Di quel prezioso dipinto, incenerito dalle fiamme, restava una sola testimonianza [..] ma ora qui, dinanzi a me, il capolavoro era per metà risuscitato. “E come è possibile?” feci io. […] “Qualche volta”, disse (van Teller) “mi viene a trovare”. Chi?”. “Lui, il grande Hieronymus”. “E come?”.
    Corse a un tavolo pieno di carte e vi sedette. Prese una matita, poggiò la punta della matita su un foglio di carta, la matita si muoveva da sola. “E’ qui, è qui. Stasera è venuto”, annunciò con voce spiritata: “Lei è fortunato, signore”. Dunque il vecchio orologiaio era un medium? E adesso mi proponeva le liturgie del caso? […]

    Nello stesso tempo, e la luce era tale che non poteva esserci trucco, due pennelli, da soli, si levarono lievitando dal tavolo, come due addomesticate bestioline tuffarono il ciuffo nella tavolozza, quindi puntarono verso il quadro … […]
    La scena era piuttosto allucinante. Van Teller, per quanto rapito in quella specie di trance, poté dire “Guardi, guardi dalla finestra”. Guardai dalla finestra. E capii ciò che il vecchio orologiaio aveva prima cercato di spiegarmi. Sì, Hieronymus Bosch non aveva inventato nulla, aveva dipinto tale e quale lo spettacolo offerto quotidianamente ai suoi occhi.

    Di lassù non potevo scorgere che la casa di fronte e una fetta di quelle adiacenti. Ma, per l’incantesimo di quella notte, esse apparivano come scoperchiate e nell’interno si distingueva la gente che mangiava, dormiva, litigava, lavorava, faceva l’amore, odiava, sperava, desiderava, come tutti noi. Erano uomini e donne e bambini, tali e quali il nostro prossimo quotidiano, ma frammisti a loro, con supremazia di maggioranza, si agitavano brulicando innumerevoli cose viventi simili a celenterati, a ostriche, a ranocchie, a pesci ansiosi, a gechi iracondi, simili ai cosiddetti mostri di Hieronymus Bosch; e che non erano altro che creature umane, la vera essenza dell’umanità che ci circonda. Latravano, vomitavano, addentavano, sbavavano, infilzavano, dilaniavano, succhiavano, sbranavano Così come noi ci sbraniamo giorno e notte, a vicenda, magari senza saperlo. Poi di colpo la rivelazione cessò. […]

    Il silenzio della notte, l’immobilità delle cose. Tutto come quando ero entrato: tranne quella schifosa forma metà salamandra e metà uccello dipinta sulla tavola, che quando io ero entrato non c’era. […] Guardai attentamente il dipinto. Era eseguito con la perfezione dell’antico maestro, si notavano perfino le screpolature del colore che soltanto i secoli sanno dare. “Nessuno l’ha visto?”, chiesi. “Nessuno”. “E dopo?”. “Dopo la mia morte, lei intende dire? No, signore, nessuno mai lo vedrà. Io sono un matto, un povero matto. Questo è il mio segreto. Ho dato disposizioni. Con me scomparirà”.


  4. #4
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    C'è persino una giraffa blu, descritta dalla scienza ufficiale sono due secoli dopo.
    La famosa artista idolo delle folle :" si figuri che uno ha addirittura scritto che avrei dovuto investire i MIEI soldi comprando un bar! Io!!!! La barista!!!!"

  5. #5
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    AlienArt Inc.

    - Ma siamo sicuri?
    - Certamente, dottor Shambloid; il cervello dei monstriani è assolutamente compatibile con quello umano.
    - E il risultato?
    - Riteniamo che il soggetto umano, dopo l'impianto, possa sopravvivere abbastanza per generare effetti sufficientemente remunerativi per la Compagnia, come sempre.
    - Effetti collaterali?
    - Beh, probabilmente non gli mancheranno gli incubi; il segmento onirico attualmente è fuori dalle nostre possibilità di controllo... ma verrà compensato da un elevatissimo senso artistico!
    - Mmmmmh... ai terrestri rimarrà qualcosa?
    - Naturalmente, dottor Shambloid: la AlienArt Inc. lascia sempre l'invenduto e gli scarti di produzione sulla Terra: e le assicuro che gli indigeni ne fanno gran conto ed espongono nei loro "musei" anche le più malriuscite.
    - Bene, procediamo... ah... come si chiama il soggetto?
    - Dalì, Salvador Dalì...
    - Speriamo solo che non ci faccia il casino che ci fece quell'altro monstriano...
    - Ah... si... ricordo... davvero un macello... Bosch... si chiamava Hieronimus Bosch...

  6. #6
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    In Origine Postato da pcosta

    - Speriamo solo che non ci faccia il casino che ci fece quell'altro monstriano...
    Come sarebbe a dire "monstriano"? Ma come si permette, dottor Shambloid?







  7. #7
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    Ah, dimenticavo, dottor Shambloid...c'è anche un bel cricetone toposo per lei…


  8. #8
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    Diamoci un contegno, va…
    Ripropongo questo articolo, che avevo postato tempo fa nel forum "Gnosticismo antico e catarismo".


    HERONYMUS BOSCH, ULTIMO CATARO?

    di Massimo Introvigne
    (da Avvenire, 30.4.1997)

    Tra le tante controversie che agitano le riviste culturali americane e le lunghe notti dei gruppi di discussione su Internet una delle più interessanti riguarda il pittore olandese Hieronymus Bosch (1450-1516). Questo artista ha sempre affascinato non soltanto i critici d’arte ma anche il grande pubblico. Le centinaia di personaggi che affollano ogni suo quadro - diavoli, civette, scimmie, topi mostruosi e pesci fantastici, accanto ai grandi personaggi della storia sacra a cui sono consacrati i suoi dipinti principali - fanno pensare a un surrealista ante litteram o a un Salvador Dalì nato per caso agli albori dell’epoca moderna. Lynda Harris, una specialista di Londra che ha dedicato quindici anni di studi al pittore, propone nel suo The Secret Heresy of Hieronymus Bosch [1] un ritratto più inquietante del pittore olandese. Non era un cattolico, anche se fingeva di esserlo e partecipava attivamente alla vita della pia Confraternita di Nostra Signora. Era uno gnostico, legato alle ultime sopravvivenze dell’eresia catara che cercava di preservare, in un linguaggio cifrato, nella sua pittura e di trasmettere così ai posteri. Quando l’ultimo cataro fosse scomparso dall’Europa - sostiene Lynda Harris - i quadri di Bosch ne avrebbero conservato e trasmesso le dottrine a chi avesse avuto orecchie per intendere e soprattutto occhi per vedere. Il libro di Lynda Harris è distribuito in America dalla casa editrice della Società Antroposofica, e pubblicazioni neo-gnostiche come Gnosis lo salutano con entusiasmo in quanto permetterebbe di inserire anche Hieronymus Bosch nella galleria dei grandi antenati della moderna rinascita gnostica [2].
    Niente affatto, rispondono i critici di Lynda Harris. Certo, i quadri di Hieronymus Bosch sono pervasi da un pessimismo cupo e da un notevole anticlericalismo.

    Il trittico della Tentazione di Sant’Antonio (pannello di sinistrapannello centralepannello di destra), conservato a Lisbona, può essere letto come una critica feroce del monachesimo, un punto su cui la studiosa londinese insiste ma che non è la prima a segnalare. Ma si tratta di un atteggiamento tipico del cattolicesimo olandese della fine del Quattrocento, attraversato da ansie di riforma cattolica e da fermenti che annunciano il protestantesimo. Certo, non mancano simboli alchemici ed esoterici. Ma tutti gli studiosi di Hieronymus Bosch li hanno notati, rilevando che negli stessi ambienti della Confraternita di Nostra Signora - pure certamente cattolici - si manifestavano interessi di questo genere. Al massimo - obiettano i critici di Lynda Harris - si potrebbe ipotizzare, come già aveva fatto lo storico dell’arte tedesco Wilhelm Fraenger (1890-1964), un contatto fra Bosch e gli eretici Fratelli del Libero Spirito [3]. Ma questi ultimi erano panteisti, non dualisti; celebravano il mondo e la carne - particolarmente nella variante degli Adamiti, che secondo Wilhelm Fraenger avrebbe influenzato Hieronymus Bosch - e non li consideravano radicalmente malvagi come i catari. Sarebbe dunque sbagliato presentare il pittore olandese come un dualista cataro.


    Trittico delle Tentazioni - pannello centrale

    (ingrandimento)

    Lynda Harris, però, prende in esame proprio il cavallo di battaglia di Wilhelm Fraenger - il Giardino delle delizie del Prado di Madrid - per cercare di dimostrare che il critico tedesco si sbagliava. Hieronymus Bosch rappresenta nel pannello centrale di questo trittico una festa della sensualità e della carne non per celebrarla, ma per mostrarne la radicale corruzione, senza speranza di riscatto. Non si tratta di offrire alle realtà terrene una speranza di redenzione, ma di negarle come radicalmente perdute e dannate, secondo una prospettiva tipicamente gnostica. Nel pannello di destra del Giardino, aggiunge Lynda Harris, Hieronymus Bosch rappresenta del resto un inferno che non è ultramondano, ma terreno. L’inferno è semplicemente la terra come sarà quando gli iniziati gnostici la avranno abbandonata, e le presunte delizie si riveleranno nel loro significato di corruzione e di morte. Lo stesso paradiso terrestre, che occupa il pannello di sinistra del Giardino del Prado, è del resto ambiguo. Il Cristo che tiene per mano Eva ha una funzione ambivalente (la salva o la introduce al peccato?), e si potrebbe perfino sospettare che si tratti di Satana sotto mentite spoglie. Al centro della fontana del paradiso terrestre si nasconde una civetta, certamente simbolo del diavolo nella pittura olandese dell’epoca e nei quadri di Hieronymus Bosch in particolare. Il messaggio che se ne ricava, secondo la studiosa inglese, è la quintessenza dello gnosticismo: il creatore di questo mondo è cattivo e il mondo è cattivo. L’unica speranza è costituita, semmai, dalla reincarnazione, simboleggiata da un volo di rondini a spirale attraverso le cavità di una strana roccia che compare sullo sfondo del pannello di sinistra del Giardino. Dalle esegesi di Lynda Harris - che dedica interi capitoli alle fontane di Bosch e al loro simbolismo - è facile, comunque, rimanere affascinati.


    Trittico delle Delizie - pannello centrale

    (ingrandimento)


    Neanche il più cattolico dei dipinti di Hieronymus Bosch, il trittico dell’Adorazione dei Magi, pure conservato al Prado, sfugge all’interpretazione gnostica della studiosa inglese. Una volta che si ingrandiscono le minute figurine di Bosch si notano strani particolari: una casa sullo sfondo ha tutte le caratteristiche del bordello, un asino su cui avanza una scimmia in un panorama dominato da un idolo pagano sembra una caricatura della tradizionale rappresentazione della fuga in Egitto, e della leggenda secondo cui gli idoli cadevano infranti al passaggio del Bambino. Lynda Harris ne conclude che l’Adorazione è una denuncia cataro-gnostica del presunto inganno dell’incarnazione che, nella sua materialità, sarebbe una menzogna demoniaca. Il Cristo che salva non ha vera carne e vera natura umana e può essere soltanto un Cristo doceta, che sembra uomo ma non lo è. Sarebbe naturalmente troppo lungo seguire tutte le interpretazioni di Lynda Harris: non resta che rimandare al volume, che del resto meriterebbe di essere raccomandato anche soltanto per le splendide illustrazioni.

    Lo scopo della studiosa inglese non è quello di denunciare Hieronymus Bosch come gnostico, ma di rivalutarlo. Lynda Harris ha una evidente simpatia per il catarismo, e non si risparmia qualche attacco di maniera alle perfidie degli inquisitori. Seguendo le sue analisi, dobbiamo veramente credere che il pittore preferito dal cattolicissimo re di Spagna Filippo II (ma i suoi consiglieri - nota Lynda Harris - lo mettevano in guardia contro i significati nascosti delle opere del pittore olandese) fosse uno degli ultimi catari europei? Effettivamente Lynda Harris ha scoperto molte coincidenze curiose fra i simboli di Bosch e le pietre tombali, i cosiddetti stécci, lasciati dall’ultimo catarismo in Bosnia. Le sue speculazioni su effettivi contatti di Hieronymus Bosch con le ultime sopravvivenze catare nell’Italia Settentrionale e nei Balcani - alla cui luce interpreta il viaggio a Venezia del pittore olandese nel 1500 - rimangono però congetture, ipotesi ancora in attesa di prova. Non sempre, inoltre, Lynda Harris distingue rigorosamente - come suggerisce di fare la storiografia catara più recente, per esempio Anne Brenon nella sua sintesi del 1996 Les Cathares. Vie et mort d’une Eglise chrétienne [4] - fra dualismo manicheo e dualismo cristiano (docetista) cataro. Per credere a un Bosch cataro c’è forse bisogno di attendere ulteriori riscontri. Più convincente appare il collegamento fra Hieronymus Bosch e un più vago milieu gnostico, non necessariamente cataro, di cui si conoscono numerose manifestazioni tra la fine del Medioevo e l’epoca della Riforma. Forse il pittore olandese non ha consapevolmente nascosto nei suoi dipinti una Bibbia catara, come vorrebbe Lynda Harris. Ma certo molti suoi riferimenti, che sembrano più che semplici allusioni, rivelano una presenza insieme antica e nuova di fermenti gnostici agli inizi dell’epoca moderna e confermano che l’arte - come oggi la letteratura o il cinema - può insieme rivelare e trasmettere le tensioni nascoste e profonde che attraversano ogni epoca di transizione e di crisi.


    NOTE

    [1] Lynda Harris, The Secret Heresy of Hyeronimus Bosch, Floris Books, Edimburgo 1995.
    [2] Cfr. Mark Richard Barna, Hyeronimus Bosch, Secret Cathar, in Gnosis. A Journal of the Western Inner Traditions, n. 42, inverno 1997, pp. 68-69.
    [3] Cfr. Wilhelm Fraenger, The Millennium of Hyeronimus Bosch. Outlines of a New Interpretation, ed. ingl., Hacker Art Books, New York 1976.
    [4] Anne Brenon, Les Cathares. Vie et mort d’une Eglise chrétienne, Jacques Grancher, Parigi 1996.



  9. #9
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    Sappiamo ben poco della vita di Jeroen von Aken (questo il suo vero nome, che poi cambiò in Hieronymus Bosch legandolo al proprio paese natale, ‘s-Hertogenbosch). Conosciamo la sua data di nascita con un’approssimazione di quasi un decennio (tra il 1450 e il 1460, forse il 2 ottobre 1453). Sappiamo del suo matrimonio con una giovane benestante, che probabilmente gli permise di dipingere senza l’assillo del mercato e il suo stretto rapporto con la pia Confraternita di Nostra Signora. E qualche studioso (in particolare Wilhelm Fraenger) ipotizza un suo legame occulto con i fratelli del Libero Spirito, una setta misteriosa che ambiva a ritrovare la primitiva innocenza attraverso rituali basati sulla promiscuità e sul sesso (o, almeno, così si suppone).
    Non ci sono pervenute testimonianze coeve sulla pittura di Bosch, ma sappiamo che era ritenuto insignis pictor dai suoi contemporanei. Viaggiò pochissimo e condusse una vita ritirata, tutta dedita alla sua arte, all’amministrazione dei beni della moglie e alla fattiva collaborazione con la Confraternita. Eppure, osservando le sue opere, ci si rende conto di trovarsi di fronte a un uomo tormentato, che sembra aver superato ogni tipo di inibizione per dare all’inconscio il modo di penetrare nella dimensione quotidiana, trascinando allo scoperto i peggiori incubi dell’uomo. Non era un pittore demoniaco, ma uno spirito calato nella realtà del suo tempo, sconvolto da guerre, epidemie e carestie e travolto da fanatismi religiosi.

    Nelle sue opere, forse paradossalmente da un punto di vista iconografico, c’è in effetti tutta la volontà di un ritorno alla primitiva purezza, c’è il desiderio di realizzare un uomo nuovo, staccato dal mero interesse pratico e finalmente attento alle istanze dello spirito e dell’equilibrio. Tutto questo è stato narrato anche con il mostruoso, con le ibridazioni più terribili, con i più improbabili stravolgimenti anatomici… (Massimo Centini)

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    Il Trittico delle Delizie va considerato in relazione con altri due grandi trittici, quello del Fieno e quello delle Tentazioni, attraverso i quali Bosch vuole rappresentare i tre motivi che distolgono gli uomini dalla salvezza: la cupidigia dei beni terreni (Fieno), la ricerca del godimento dei sensi (Delizie), le tentazioni d'origine intellettuale (Tentazioni). L'interpretazione più diffusa è quella moralistico-didascalica: nello scomparto a sinistra, la creazione di Eva, evento base dei mali del mondo; al centro, la raffigurazione dei peccati carnali; a destra, il castigo. A questa interpretazione sostanzialmente pessimistica se ne oppone una ottimistica ma meno diffusa, secondo la quale il trittico sarebbe la raffigurazione del paradiso degli Adamiti: l'inferno sarebbe dunque destinato agli eretici, a coloro che hanno peccato contro le dottrine della setta.


    *^*^*^*^*^*^*^*^*^*^




    TRITTICO DELLE DELIZIE

    Da "Bosch: una vita tra i simboli", Massimo Centini
    (Edizioni Polistampa, Firenze - pag. 80 e seguenti)



    L’opera potrebbe essere una metafora dell’iniziazione degli adepti del Libero Spirito, realizzata secondo i dettami del gran maestro e sfruttata anche come ausilio propedeutico per i membri della setta. Va però aggiunto che la nudità e il rimando all’eros primigenio sembrerebbero fuori sintonia con la morale cristiana, pertanto il trittico potrebbe anche risultare una composizione realizzata con l’intenzione di criticare i piaceri terreni, o addirittura un’allegorica accusa alle pratiche trasgressive dei gruppi eretici. L’ambiguità quindi permane e il mistero non si dissolve cercando un itinenario simbolico portante, poiché nel trittico tante, troppe storie si combinano, si confondono, si sommano dando vita ad una genia che dall’Eden giunge all’inferno, nella sua improbabile ricerca di una perfezione incapace di staccarsi dalle adulazioni di delizie pur sempre solo terrene.
    Una descrizione capillare dell’opera richiederebbe una trattazione molto ampia, che sarebbe comunque incompleta: l’itinerario pittorico mediato è infatti proposto con una limpidezza formale, che chiarisce nitidamente la frattura fra divino e umano. La dicotomia segnala il grande danno rappresentato dalla perdita della divina purezza, abbandonata nel paradiso terrestre e non più rintracciata nella vivacità dionisiaca delle delizie terrene, inesorabilmente orientate verso un totale disfacimento morale e fisico, che conduce all’orrore grottesco dell’inferno.

    Sulle facciate esterne delle pale laterali del trittico, è raffigurata La creazione del mondo, accompagnata dalla scritta : Ipse dixit et facta sunt. Ipse mandavit et creata sunt. (Salmi 33,9). La composizione propone il pianeta ancora avvolto dall’atmosfera primigenia velata di nebbia, secondo un’interpretazione che non è proprio quella biblica (Genesi 2, 4-6), ma invece è molto vicina alla versione luterana: ”Giacché il Signore Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, e non vi erano uomini per coltivare il suolo. Ma un vapore si levava dalla terra e ne inumidiva tutta la superficie”




    Il trittico aperto raffigura il Paradiso Terrestre, il Giardino delle delizie e l’Inferno.



    Paradiso terrestre

    (ingrandimento)

    Dal Paradiso prendono forma i modelli iconografici che permetteranno negli altri scomparti la formazione di ibridazioni sconvolgenti, destinate a supportare le molteplici intenzioni didascaliche delle tavole seguenti. Ma mentre nello scomparto di destra ci pare di osservare un bestiario medievale abilmente cucito intorno ai due nuclei portanti, la creazione di Adamo ed Eva e la fontana della vita, nel Giardino delle delizie il discorso pittorico assume toni elevatissimi, che sfuggono ad una calibrata ricomposizione esegetica che intende attenersi a modelli filologici aderenti solo alla storia dell’arte. […]



    Giardino delle Delizie

    (ingrandimento)

    Non sapremo mai quale rapporto ci sia tra le figure del giardino: le accompagnano le nudità e il privilegio della libertà iniziale, consumato nei meandri di un universo senza regolazione, in cui il peccato è posto oltre i limiti conosciuti. Specie umane, animali e vegetali si compenetrano nel tentativo di creare una simbiosi tra il principio di salvezza cristiana e la ricerca dell'equilibrio esoterico che trova relazioni nel simbolismo di numerose religioni antiche. Sembrerebbe quasi che Bosch abbia voluto rappresentare i nostri lati peggiori con un linguaggio di facile comprensione, accessibile, pur nel parossismo che governa il percorso pittorico.
    E’ il tema della lussuria mediata da molteplici inganni iconografici a dominare la tavola centrale, in cui un’irrefrenabile cavalcata di potenziali peccatori si concede ogni tipo di trasgressione. Una trasgressione che risulta collocata tra molteplici paesaggi di lussuria, in cui l’erotismo più sfrenato pare avanzare istanze di sacralità. […]
    Ogni piccola porzione della tavola propone un rimando il cui significato dilata la portata semantica del Giardino delle delizie: dalla ricorrente donna nera (Io sono bruna ma graziosa, tra le figlie di Gerusalemme, come le tende di Kedar, come le cortine di Salomone… – Cantico dei cantici 1, 5), al pesce (simbolo esoterico cristiano di salvezza); dall’uovo e dalla caverna: luoghi di rinascita dopo la purificazione, alle ampolle cosmiche in cui avviene l’apoteosi dell’incontro delle energie fisiche. […]

    Grappoli di uomini e di donne, cortei, animali esotici e fantastici, improbabili unioni antropo-zoo-fitiformi e strutture sconosciute di forma suggestiva quanto impossibile, montate sul meccanismo di un inconscio qui elevato a sceneggiatura, creano le mille vicende di questa sacra rappresentazione profana, che dà corpo alla nostalgia del paradiso primordiale, evocando una perfezione formale scevra da inquinamenti terreni.
    L’ermafroditismo iniziale domina la composizione, mentre un tempo senza più alfa né omega conduce uomini e animali in una giostra di piacere, che lascia trasparire i segni di una trasgressione destinata a non passare inosservata. E così Eva si fa Lilith, la sirena diviene la tormentata Melusina, il corteo degli uomini una cavalcata di vizi, il brulicante universo di genti alla ricerca del sogno adamitico si trasforma nel popolo dei Cercopi e Aretusa riemerge dal mito trasformando l’acqua in veleno. […]



    Per zavorrare l’elevazione totale del Giardino delle delizie, Bosch concluse la composizione con la più scenografica tra le raffigurazioni dell’Inferno. E’ uno spazio terribile, in cui i vizi capitali sono abilmente mascherati nella voluttà dell’impaginazione, velando la loro eco peccaminosa in una complicata alternanza di presagi e di violenza. […]
    I simbolismi negativi si sommano a quelli ermetici, creando un programma figurativo in cui l’angoscia prevale e la caducità dei beni terreni appare in tutta la sua effettiva dimensione. Mostri “pattinatori”, cavalieri divorati dai basilischi, suore con strane cuffie riconducibili a quelle delle sacerdotesse di Baal, parti anatomiche ed oggetti di dimensioni innaturali, una schiera incalcolabile di genti e ibridi travolti dall’inarrestabile ricerca dell’impossibile, formano una sorta di anfiteatro in cui, di fatto, sono i punti focali della prospettiva infernale. Troviamo Satana posto su un trono ai margini di un pozzo senza fondo che divora i dannati e li espelle in un’ampolla senza via d’uscita; un misterioso uomo-albero, le cui radici poggiano su due vascelli e che offre diversi significati: l’archetipo dell’albero della vita si fonde ai miti esotici dei “vegetali umani”, fino alle interpretazioni medievali sorte intorno alla mandragora e ai suoi poteri molteplici; un altro punto misterioso è costituito dalla presenza di numerosi strumenti musicali, sui quali i dannati trovano ulteriori e originalissimi tormenti. Nel dipinto di Bosch gli strumenti sono macchine infernali di sofferenza che, privi delle loro principali funzioni rituali o creative, sono ridotti a violente strutture scaraventate nel gorgo delle anime dolenti. […]

    Come abbiamo già sottolineato, quanto ci pare particolarmente importante è la constatazione che il pittore, nella realizzazione della tavola di destra, si volse ancora una volta indietro, per osservare il presagio del castigo, così come la sua ortodossia religiosa da sempre suggeriva.
    L’ipotesi di un mondo senza regole, governato dalla cultura del libero arbitrio e privo del fardello del peccato, in effetti risultava per Bosch improponibile. Il paese di utopia degli Homines Intelligentiae a Hieronymus, quasi certamente, non interessò mai; forse i conflitti eretici lo coinvolsero su altri piani, senza però condizionarlo nei suoi rapporti con il cristianesimo. L’eventuale parentesi del Libero Spirito per Hieronymus fu, al limite, una semplice fuga momentanea, forse una personalissima indagine oltre il livello ufficiale del sacro, in cui le sue visioni ebbero modo di schiudersi all’interno di una dottrina esotericamente lanciata verso il raggiungimento di un’improbabile purezza.

 

 
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