Prima pagina di Time delle due Simone tra gli European Heroes 2004 non a causa del rapimento ma della scelta umanitaria di aiutare il popolo iracheno lavorando per una ong.
Nessuno è profeta in patria. Da noi sui giornali di destra vengono fatto oggetto di sarcasmo, scherno e critiche per la loro scelta.
Furio Colombo su l'Unità ha parlato di vero e proprio mobbing nei loro riguardi. Segnalo l'articolo:
Avvertenza ai lettori. Se non ci fosse l’Unità, se all’improvviso questo giornale, per le ragioni del mercato (niente pubblicità, meno pagine, meno copie) dovesse una mattina non essere più in edicola, non leggereste questo articolo né niente, anche più tenue, indiretto, moderato, in difesa di Simona Torretta e Simona Pari, su un altro giornale. Ciò che sta accadendo, che l’Unità e Antonio Padellaro hanno già denunciato, è un attacco che si disloca tra sarcasmo, disprezzo e accusa, contro le ragazze scampate allo sgozzamento, una sorta di persecuzione rumorosa e mirata che rimbalza - forse per emulazione - fra giornali rivali (Libero, Il Giornale, di cui pubblichiamo le truculente aperture nelle pagine interne) e nei testi sacri del fondamentalismo occidentale, guidati da Il Foglio. Tutti gli altri giornali, per grandi che siano, tacciono. Il fenomeno si chiama “mobbing”. È un parola americana diventata comune in Italia. Vuol dire quando un branco di teppisti si accorda per isolare e tormentare qualcuno, fino a cacciarlo (dal lavoro), a espellerlo (dalla scuola), a screditarlo (fra i suoi colleghi e i suoi vicini), a indurlo alla resa e alla fuga. Il mobbing si può fare a una condizione: coloro che non partecipano devono stare zitti. Una sola intromissione, una sola voce libera, e il mobbing diventa impossibile.
Questo per dire che cosa sta succedendo in Italia. Da giorni e giorni un mobbing furioso, volgare, violento è cominciato contro Simona Torretta e Simona Pari. Dicono gli esperti che il mobbing quasi mai è completamente gratuito. Qualche ragione, magari una piccola cosa, c’è sempre. Nel caso di Torretta e Pari ci sono - più o meno esplicite - tre ragioni: sono donne e dovrebbero stare zitte. Sono pacifiste e dovrebbero vergognarsi. Sono vive e avrebbero dovuto tornare solo come salme per una bella cerimonia di unità nazionale, come prova evidente che la guerra di civiltà è scoppiata davvero. In quel caso, donne o non donne, nessuno avrebbe negato loro l’Altare della patria. Disgraziatamente sono tornate vive. E come se non bastasse, dopo avere guastato la festa unitaria che era pronta per loro («le lacrime non sono né di destra né di sinistra», avrebbe nobilmente dichiarato qualcuno in un appropriato talk show politico-funerario), queste sfacciate parlano. Parlano come se l’Italia in cui stiamo vivendo fosse un Paese normale.
Questo è un altro punto su cui voglio richiamare con senso di allarme ciò che sta accadendo. Il mobbing a due ragazze, tornate a casa dopo essere sopravvissute a un grave e imminente rischio di morte, oggi non sarebbe possibile in alcun Paese democratico al mondo, occidentale o no. Non lo sarebbe perché gli autori del mobbing sarebbero severamente zittiti dagli altri organi di televisione e di stampa, perché chi ha voce pubblica e capacità di farsi sentire non tacerebbe, perché articolisti, editorialisti e rubrichisti per un giorno dedicherebbero qualche paragrafo a condannare l’infame spettacolo italiano. Invece silenzio. L’ostinazione a non vedere, non sapere, non notare ha avuto un suo piccolo exploit la mattina del 2 ottobre, quando Marco Taradash, un ex deputato di Forza Italia che il sabato legge la rassegna della stampa di Radio Radicale, ha detto: «Oggi l’Unità ha davvero passato il segno con il titolo: “Il linciaggio delle ragazze liberate”». Stranamente non ha visto, o non gli ha fatto alcun effetto, il titolo di Libero dello stesso giorno: “Ci hanno stufato: le due Simone petulanti superstar di stampa e Tv” (apertura, pag. 1).
E ancora: “Pontificano sui bravi guerriglieri mentre Al Qaeda lancia minacce all’Italia”, (pag. 1). (Si noti la mancanza di nesso fra la prima e la seconda parte della frase). E a pag. 2: “Prima sproloquiano sulla guerriglia, poi si pentono ma alla fine ci ricascano: i cattivi sono gli americani”. È lo stesso giorno in cui l’altro quotidiano di destra, Il Giornale, titola “Rivolta contro le due Simone”. “Nelle lettere degli italiani, critiche, rammarico e sdegno”. Le lettere dei lettori di destra (spesso più oltranzisti del loro quotidiano preferito) a un giornale di destra vengono presentate come “le lettere degli italiani”. Il titolo è grave anche perché può suonare come un appello alla rivolta che finora non c’è stata, salvo due svastiche sotto casa, quando le due ragazze erano ancora prigioniere. Anzi c’è sempre sul portone una piccola folla che fa festa. Ma tutto ciò non impressiona l’ex deputato di Forza Italia che ogni sabato conduce la rassegna stampa di Radio Radicale. Malafede di Taradash? Qui affiora qualcosa che fa più paura. Una volta stabilito un solido regime mediatico e un unico modo di dare notizie, con il silenzio totale, immediato e complice di chi permette il trionfo delle interpretazioni di regime, diventa oggettivamente difficile cogliere il senso di una voce anomala che sfida il silenzio. Strano che avvenga in casa dei Radicali, che il silenzio non l’hanno mai accettato. Ma è avvenuto, e bisogna segnalarlo come un sintomo insolito e allarmante.
La stagione di caccia, un po’ ignobile e decisamente estranea alla democrazia, si è aperta quando Gianfranco Fini, pur essendo il vicepresidente del Consiglio italiano, ha pubblicamente e drammaticamente dichiarato: «Guerra al pacifismo». Lo ha fatto di fronte a una platea di giovani e di ragazzi che tipicamente, data l’età, non sono inclini a interpretare le parole come metafora. Guerra vuol dire guerra, e il pacifismo viene indicato come un nemico contro il quale è necessario combattere. La domanda che svela il tormento italiano nel quale viviamo è sempre la stessa: potrebbe una cosa simile accadere in un altro Paese? Potrebbe uno come Fini, con il ruolo che riveste, dire ciò che ha detto senza essere duramente attaccato - o almeno criticato - dalla stampa di qualunque Paese non intimidito, senza una televisione non colonizzata? Si tenga conto che la solenne dichiarazione di guerra al pacifismo da parte del numero due del governo è avvenuta mentre le due italiane erano ostaggi di cui non si aveva notizia, mentre si ricevevano terribili annunci della cui attendibilità, allora, non si sapeva nulla. Si tenga conto che - negli stessi giorni - tutta l’opposizione si era impegnata al silenzio per dare prova di unità nazionale. Quel silenzio - evidentemente - non era considerato vincolante per Fini. E neppure per il titolare di un’altra istituzione repubblicana, la Commissione Affari Esteri della Camera.
In piena prigionia delle due Simone, il presidente di quella Commissione, Gustavo Selva, ha proposto una domanda che era stato proibito porre a proposito dei primi ostaggi italiani, i quattro “addetti alla sicurezza”. Ha detto: «E poi, quando tornano, ci dovranno spiegare che cosa facevano quelle signore in Iraq». Naturalmente Selva avrebbe potuto telefonare a “Un ponte per...” nel caso che gli fossero sfuggite le storie, note a tutti, delle due Simone. Ma Selva, in un gioco di staffetta non proprio nobile, però giustificato dalla “guerra al pacifismo” già dichiarata da Fini, doveva aprire la strada al dottor Scelli, commissario straordinario della Croce Rossa italiana. Scelli ha parlato, tra conferme, mezze versioni, smentite e altre conferme, di un oscuro elenco di spie, forse quello che i sequestratori avevano in mano al momento del rapimento delle due Simone, e che Scelli ha definito “elenco americano”, ripetendo non si sa a quali fini e perché, in Italia e in pubblico, ciò che gli sarebbe stato detto da mediatori non identificati.
È buon materiale per un racconto di Graham Greene o per un romanzo di John Le Carré. Ma in quelle narrazioni tutti i personaggi sono sporchi, ambigui e dediti all’avventura. Noi, invece, stiamo parlando dell’Italia di oggi, di fatti e persone realmente esistenti e titolari di funzioni istituzionali o di responsabilità nell’informazione. Stiamo citando tra virgolette cose dette davvero, pubblicate davvero, nel silenzio del resto della Repubblica, come non potrebbe avvenire in alcuna democrazia del mondo. E ci permettiamo di nuovo di far notare ai lettori che se questa storia non l’avessimo raccontata noi, non ci sarebbe. La vicenda della persecuzione alle due ragazze colpevoli di essere tornate vive mancherebbe per sempre dall’archivio italiano degli anni di Berlusconi e di Fini. È un appello a coloro che comprano ogni giorno l’Unità.