Ferite mai curate.

Cicatrici troppo visibili.

Ieri sera abbiamo visionato una delle puntate dell'interessantissimo (e poco apprezzato) programma di Giovanni Minoli "La Storia Siamo Noi" dal titolo: 1945 - Nodo di Sangue. Come si percepisce immediatamente l'intenzione del documentario è quello di analizzare gli avvenimenti e la scia di sangue lasciata da alcune bande di partigiani all'indomani della fine della guerra e quindi di far rivivere il tragico periodo immediatamente successivo al 25 Aprile 1945.

Dopo aver letto i libri di Pisanò prima, e di Giampaolo Pansa poi, eravamo curiosi di conoscere il modo con cui il sempre ottimo Minoli ha affrontato un argomento che definire "spinoso" è un puro eufemismo. L'ondata di polemiche e di tristo livore che ha accompagnato l'uscita delle pubblicazioni di Pansa costringe chiunque voglia approcciare all'argomento quantomeno a muoversi come un elefante fra la cristalleria.

Come al suo solito, Minoli ha integrato le vicende storiche del periodo, ormai ben note a tutti, con i racconti personali di testimoni oculari di quegli anni integrandoli con l'opinione di alcuni storici. In particolare il documentario si è soffermato sugli eventi che hanno caratterizzato la zona del Reggiano, zona che come ben sappiamo è stata quella dove le vendette partigiane si sono estrinsecate in tutta la loro furia.

Di particolare interesse è ascoltare il racconto del figlio di Edgardo Marani, un fascista del Reggiano, assai moderato ma nondimeno barbaramente trucidato (insieme ad altre 5 persone) al termine del conflitto. Tralasciando i particolari narrati dal figlio della vittima, resta evidente come l'azione delle "squadre rosse" che entrarono in azione in quei mesi aveva lo scopo di compiere delle vendette antifasciste persino immaginabili alla fine di una guerra civile, ma nel contempo macchiandosi di eccidi contro individui che avevano certamente militato nell Partito Fascista (anche Repubblicano) ma erano certamente rei di evidenti colpe nè avevano partecipato ad eccidi di cui avevano scontato un'ingiusta colpa.

La gravità di quegli eccidi sta proprio in questo passaggio: furono uccisi centinaia (se non migliaia) di individui innocenti, che, in taluni casi, si erano perfino distinti per comportamenti morigerati anche durante la Guerra Civile. E il fatto che ancora oggi per qualcuno sia tabù il solo parlarne o ricordarne gli eventi, rende ancora più incomprensibile la scia di polemiche che ha accompagnato la pubblicazione dei libri di Pansa, uno strano "vocio" che sembra pervenire ormai da un oltretomba sepolto dalla storia. Giampaolo Pansa forse non sarà un esimio storico (ma non ha nemmeno l'intenzione di esserlo) ma, oltre ad essere un ottimo giornalista, ha avuto il merito di "sdoganare" e rendere di pubblico dominio degli eventi la cui memoria fino a questi anni era solo destinata a poche decine di specializzati del settore. E il successo che hanno avuto i suoi libri dimostra che il "buio" sugli avvenimenti di quei giorni era pressochè totale.

Ma torniamo al documentario.

Altra rara testimonianza riportata da Minoli è quella di Piero Sebastiani, arruolatosi nel 1943 come volontario nelle Brigate Nere, e successivamente autore di alcuni libri di memorie dove ha riportato quelle tristi ma dignitose esperienza. Quello che rende merito a Sebastiani sono principalmente due aspetti:

- l'essersi arruolato dalla parte dei cosiddetti "Repubblichini" perchè schifato dalla perdita d'onore a cui fu sottoposta l'Italia, quell'Italia dei voltagabbana savoiardi che si erano schierati con gli Alleati dopo l'armistizio di Cassibile. Stessa scelta quella del Sebastiani che praticarono molti giovani del NordItalia. Una scelta di cui per molti anni si sono dovuti ingiustamente vergognare.

- l'aver chiaramente ammesso di essere rimasto inorridito davanti alla ferocia dei battaglioni delle SS che compivano impunemente stragi contro dei civili inermi, ed essere stato costretto controvoglia a continuare la guerra dalla parte sbagliata solo per aver salva la pelle, non foss'altro per dare un contributo di coerenza, tanto raro nell'Italia di oggi.

La determinazione con cui Sebastiani ribadisce questi concetti a distanza di 64 anni ci mostra come quelle generazioni fossero permeate di un'ideologia e di una moralità a cui le generazioni attuali sono distanti anni-luce.

Ovviamente all'interno del documentario non poteva mancare la testimonianza diretta di alcuni partigiani combattenti, ognuno dei quali ha il merito di raccontare la propria esperienza in maniera molto passionale . Ma fra tutti questi racconti è proprio l'opinione di Gaetano Davolio, presidente della sezione dell'ANPI di Campagnola (RE), che stona all'interno del coro. Purtroppo, ma non è il solo, questo signore riesce ancora a giustificare quelle atrocità, ammettendo che tuttalpiù ci sarebbe stato qualche "episiodio di vendetta personale" ma che i vertici del CLN e del CVL non appena cessate le ostilità si sarebbero prodigati per evitare inutili spargimenti di sangue. Le sofferenze di una guerra civile sono percepibili anche a distanza di molti anni, ma ci pare ormai incomprensibile la posizione di alcuni testimoni dell'epoca che tendono ancora oggi a sminuire il barbaro operato di alcuni loro "compagni", nonostante ormai siamo più che comprovati gli eccidi di quei mesi, specialmente in alcune zone dell'Emilia Romagna.

Ma se può apparire perfino "giustificabile" l'opinione di un anziano partigiano, rimane inaudita la posizione di due cosiddetti "storici": Massimo Storchi e Claudio Pavone.

Il primo, Massimo Storchi, è autore di un libro intitolato "Il Sangue dei Vincitori" teso a dimostrare che i rastrellamenti, le deportazioni, le fucilazioni e le torture perpretate dai "repubblichini" (!) avessero trovato il loro naturale sfogo in quel clima di giustizia sommaria dei giorni successivi la Liberazione. Dal titolo stesso è palese la volontà se non di sbeffeggiare, ma comunque di cavalcare l'onda del successo dei libri di Pansa, e al contempo di confutarne alcune delle tesi principali.

Quando si parla di Claudio Pavone invece, si parla addirittura di un Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana oltre che di un esimio storico, partigiano e antifascista italiano "vicepresidente dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia, presidente della Società italiana per lo studio della storia contemporanea", catalogato come uno degli eminenti e più autorevoli rappresentanti di quella vulgata antifascista che ha permeato, se non egemonizzato, il panorama culturale italiano degli ultimi 60 anni, monopolizzando lo studio della Storia Contemporanea.

E' paradossale che anche Pavone tenda quasi a giustificare gli eccidi di quei giorni con le colpe additate ai Fascisti durante il periodo della Repubblica di Salò. Il compito di uno storico sarebbe appunto quello di approfondire la storia e sviscerarne gli avvenimenti e le concause più documentate ma non quello di autoinglobarsi nella cosiddetta "storiografia di sinistra", tanto cara agli ambienti culturali ed accademici della seconda parte del secolo scorso.

La visione del documentario ci ha lasciato uno strano sapore in bocca.

Appare chiaro che dopo 64 anni ancora non siamo riusciti a superare quegli eventi. La cosa ben più grave è che ricercatori meno attempati come Storchi portino ancora avanti le tesi degli storici più anziani, spesso diretti testimoni di quell'epoca e che n molti casi non hanno avuto l'onestà intellettuale per giudicare in maniera serena taluni avvenimenti. Pavone, in fondo, ha vissuto la sua carriera di storico per dimostrare che le tesi che a suo modo sono inoppugnabili avendo sicuramente seguito una condotta accademica a suo modo coerente .

Ma cosa spinge uno storico (?) come Storchi a propugnarci ancora tesi che poteva no aver significato sostenere soltanto fino a qualche decennio fa?

Abbiamo voluto verificare se le opinioni espresse da Storchi in occasione di questo documentario fossero state ribadite in altre occasioni. Ed infatti non c'è alcun dubbio che quantomeno lo storico rimane sempre coerente nelle sue affermazioni. Leggiamo insieme alcuni passi di una sua intervista (TUTTOMONTAGNA). Abbiamo evidenziato di rosso i deliri dell'intervistatore e le frasi dello "Storchi pensiero":


E la violenza esercitata al di fuori degli obiettivi della lotta, perché rimane tabù?

Le è capitato di incontrarne la memoria?

“La violenza era parte fondante della cultura fascista, non di quella antifascista che dovette, suo malgrado, affrontare il problema di farne uso. Non appartiene quindi ai partigiani il sentimento di una ‘fierezza guerriera’ (non c’è, ad esempio, l’attaccamento all’arma o il ricordo preciso di nozioni tecniche). Nella memoria dei protagonisti la violenza è stata usata in modi e misure precise perché era necessaria. Finita la lotta, finita la violenza. Questa la regola. Comprensibile quindi la rimozione sull’uso della violenza al di fuori degli obiettivi della lotta, come può essere stata per punire partigiani colpevoli di mancanze, o altrettanto riguardo la violenza sommaria del postliberazione, che, va sempre ricordato, costituì una eccezione (seppur drammatica) alla regola”.

La destra, tra le cui fila c’è il ministro Tremaglia, il quale fece parte delle forze al servizio dell’esercito occupante, è oggi al governo. E’ servito ammazzare tanti fascisti nel dopoguerra?

“Non credo sia corretta l’espressione ‘ammazzare tanti fascisti’. La giustizia (sommaria e/o ufficiale) postbellica è un fenomeno europeo che si verificò in tutti i Paesi occupati dove avevano operato regimi collaborazionisti. Negli altri Paesi le dimensioni della giustizia postbellica furono analoghe, se non superiori (ad esempio in Francia) a quelle italiane. Non dimentichiamo poi che in Spagna il generale Franco, dopo la fine della guerra civile, uccise decine di migliaia di avversari politici prigionieri. Tremaglia è un fascista ministro del governo e di questo mi dolgo profondamente; in Germania sarebbe possibile un nazista come ministro? O in Francia un collaborazionista? Impensabile. Ma l’Italia non è ancora un Paese ‘normale’ e questo ne è segno. Ma è anche uno dei ‘costi’ della democrazia: consentire libere elezioni in cui risultino eletti anche personaggi che con la democrazia hanno nulla a che spartire. Per questo si può dire che i partigiani hanno vinto anche per quelli come Tremaglia”.

Sono state fatte carriere politiche, secondo lei, solo perché c’era il timbrino “Resistenza”, più o meno autentico?

“La Resistenza ha espresso la classe dirigente che ha ricostruito l’Italia democratica: partigiani sono diventati sindaci, cooperatori, sindacalisti, dirigenti, imprenditori. Non bastava un ‘timbrino’ per ricostruire le città, le fabbriche, le scuole. Gli uomini e le donne della Resistenza hanno portato nella società la loro etica che ha fatto progredire tutta la società locale. Le regioni dove più forte è stata la Resistenza, e quindi più numerosi i partigiani, sono quelle oggi più avanzate e progredite. Questo mi sembra un segnale univoco, confermato anche dalla difficoltà che abbiamo avuto di avvicendare quella classe dirigente; una difficoltà che tutti abbiamo sotto gli occhi. Il resto mi sembra misera recriminazione”.

Quindi secondo Storchi:

- I fascisti erano tutti individui violenti

- Il SudItalia che non ha avuto un movimento partigiano forte deve considerarsi colpevole di non avere tra le fila dei suoi governatori degli ex-partigiani e questo giustifica anche storicamente la situazione di disagio in cui versa il Meridione attualmente

- A Tremaglia dovrebbe essere imposto il "confino politico"

- La violenza partigiana postbellica deve essere considerata un'eccezione alla regola "finita la lotta, finita la violenza"


E questi possiamo definirli "giudici storici" ?

Appare ovvio che il cammino verso la "pacificazione" e verso la rigorosa analisi storica è ancora lungo, e certamente le strane "considerazioni" di taluni storici non aiutano questo difficile percorso.

Nel contempo ci dispiace anche constatare che, nonostante gli ultimi 15 anni di presenza Berlusconiana, l'humus culturale propinato dalla Intellighenzia italiana è lo stesso di 50 anni fa: "sinistro" e ormai maldestramente antifascista.

Il problema è proprio questo: ForzaItalia prima, il PDL adesso, sono il partito del Grande Fratello, delle Veline, dei NeoYuppies...un movimento o qualcosa che ci assomigli dove lo spazio alla cultura è praticamente inesistente, mentre sembra vigere soltanto il vecchio detto romano "Panem et Circenses".

Tra le fila del Partito Democratico invece, oltre al tentativo di assimilarsi al PDL in quanto a porcate e performance sessuofobiche, è in atto una strategia che comporta, per non perdere consensi, alla necessità di barcamenarsi tra una politica di stampo obamiano e contemporaneamente di tenere acceso il focolaio di una cultura nostalgica basata sugli slogan dell'ANPI, per non disperdere quei voti degli antifascisti sempiterni.

Purtroppo chi ne fa le spese di questo clima culturaleda terzo mondo sono gli Italiani del domani, le generazioni più giovani completamente inebetite dal consumismo e dalla televisione per deficienti.

E allora ci chiediamo: a quali generazioni tocca lottare per un domani diverso ?


Aprile 1945. La resa dei conti bagnata nel sangue M.S.D.F.L.I.