Da un parte il federalismo fiscale, dall’altra il taglio deciso dal Governo dell’Ici sulla prima casa e la (improbabile) riduzione dell’Irap. E’ evidente che il taglio o la riduzione dell’imposizione fiscale è gradito al cittadino tartassato. Ma, per una di quelle coincidenze fortuite che finiscono per il non sembrare affatto casuali, sono stati decisi ridimensionamenti su due cespiti che riguardano direttamente i cosiddetti tributi locali. Il che appare un tantino contraddittorio nel momento in cui lo Stato centrale dovrebbe “passare la mano” agli enti locali su una parte del prelievo tributario. Ovvero gli enti territoriali potranno decidere come e quanto prelevare dalle tasche dei loro concittadini ma... dovranno sforzarsi d’inventare qualcosa di nuovo visto che le due principali fonti di approvvigionamento sono state prosciugate alla sorgente. E allora perché è stato introdotto il federalismo fiscale? Perché nell’intento del legislatore si intendeva concedere agli enti locali la facoltà (e la responsabilità) del prelievo tributario in modo da interrompere il circolo vizioso che vedeva i soldi raccolti sul territorio prendere la via di andata (e ritorno) da Roma. Ma tanto per cominciare quanto detto sopra è annacquato da una serie di norme sulla cosiddetta “disciplina dei fondi perequativi a favore delle Regioni e degli enti locali” che per dire pane al pane altro non sono che trasferimenti dallo Stato agli enti territoriali. Inoltre lo Stato si riserva la facoltà di concedere dei “contributi speciali” per un ampio ventaglio di occasioni che se non sono zuppa sono pan bagnato e che dire infine dei fondi che sempre lo Stato può mettere a disposizione delle Regioni perché queste ultime replichino il meccanismo perequativo a favore dei Comuni?

Quanto poi alla novità delle “tasse locali”, non è poi questa grande originalità dal momento che un calcolo approssimativo ci chiarisce che attualmente il 40% delle entrate correnti delle Regioni provengono da tributi sui quali i governatori hanno ampia possibilità di manovra così come i Comuni che con questi tributi si finanziano all’incirca per il 50%. Non si dimentichi tra l’altro il capitolo tariffe sul quale la discrezionalità è larga. Abbastanza da aver assorbito (seppure obtorto collo) l’abolizione dell’Ici sulla prima casa. Ne consegue che gli enti locali abbiano già un certo grado e un’esperienza maturata sul campo sulla materia. Quindi il federalismo dovrebbe essere il risultato di un controllo più diretto da parte dei cittadini sui risultati dei tributi versati e, al tempo stesso una verifica più semplice da parte dello Stato sugli eventuali sprechi. Occorre però che questi obiettivi siano definiti con chiarezza prima che malintesi nell’applicazione della norma generino a loro volta buchi e gestioni che potrebbero risultare parecchio divergenti da un capo all’altro della Penisola facendo infine naufragare la legge nel suo insieme. E non si può dare per scontato che una simile evenienza non si profili. Per non correre un rischio simile sarebbe necessario procedere immediatamente alla stesura di un manuale per la misurazione degli aspetti finanziari del federalismo, che individui, in modo condiviso con gli enti territoriali, gli indicatori da utilizzare e, subito dopo, li traduca in numeri. Perché solo con dei modelli di riferimento fissati nero su bianco sarebbe possibile definire degli obiettivi di miglioramento rispetto alla situazione attuale – ad esempio, di quanto si vuole incrementare il livello di decentramento tributario - e quindi, misurarne, nel tempo, il grado di raggiungimento come dovrebbe essere prassi nella gestione di una pubblica amministrazione “virtuosa”. E, almeno sotto questo profilo, molto si può ancora fare come ci testimoniano le inchieste sugli sprechi della casta e sulla mala amministrazione clientelare che sembra essere una patologia cronica in alcune parti del territorio. Patologia che poi finisce col contagiare anche la politica.


Fissare, per la riforma del federalismo fiscale, dei target misurabili da raggiungere potrebbe essere l’indicatore che si vuole davvero fare sul serio e non aggiungere un’ennesima norma che grava sulle tasche dei contribuenti.


L'Opinione delle Libert