Questi giovani sono stati i nostri avversari e anche nemici. Contro i fascisti, diventati servi dello straniero, non abbiamo esitato, quando ce lo imposero le circostanze stesse, a prendere le armi. La guerra di liberazione è quindi anche stata, lo sappiamo benissimo, guerra tra italiani. Ma se nel corso della guerra vi era fra le due parti un abisso e scorse il sangue, questo non vuole dire che tra noi e una parte di coloro che combattevano contro di noi non esistesse quelle che vorrei chiamare - se la parola non fosse inadeguata a un fatto politico e sociale così profondo - un "malinteso".
Non ci eravamo intesi, con le generazioni che furono fasciste, sin dall'inbizio, cioè fin dalla fine della precedente guerra, ma non è detto che non avremmo potuto intenderci, se non fossero intervenuti l'inganno e la violenza, che hanno falsato tutto il processo di sviluppo, rompendo l'unità delle forze nazionali. Il "malinteso" consisteva nel fatto che, quando una generazione di giovani aspirava alla grandezza della nazione italiana e alla felicità degli italiani che vivono di lavoro, aspirava alle stesse cose cui noi aspiriamo. Non solo, ma quando questa generazione accoglieva l'idea di una più elevata giustizia sociale, questa idea era la nostra. Il malinteso venne creato e quindi il successivo abisso che ci separò venne scavato da coloro per cui l'affermazione di questi grandi obiettivi non era che frasario demagogico e venne spezzata scagliando una parte di essa contro le forze nazionali più avanzate, che sono, nel periodo storico attuale, la classe operaia e la sua avanguardi.
[..]e un "malinteso", dunque, c'è stato bisogna dissiparlo, e per dissiparlo, bisogna discutere, ragionare, impiegare i mezzi della persuasione, dimostrare che in questo siamo mille volte superiori a quella che fu la marmaglia dei gerarchi fascisti.