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  1. #71
    brescianofobo
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  2. #72
    brescianofobo
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    iIl Sole 24Ore 02-02-2005
    QUANTO CONTIAMO ALL'ESTERO
    Negli organismi internazionali italiani in ritirata







    DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
    NEW YORK ∎ A Washington l'ambasciatore italiano Sergio Vento e quello britannico David Manning si muovono in modo sincrono. Entrambi hanno fatto da sponda all'azione dei governi per la questione degli elicotteri e per il rafforzamento delle relazioni transatlantiche. Vento ha anche lavorato con l'ambasciatore Gianni Castellaneta, consigliere diplomatico di Palazzo Chigi: insieme hanno avuto più incontri con Andrew Card, capo di Gabinetto di Bush. Da questo sforzo è emerso un modello a "matrice": approcci bilaterali con la Gran Bretagna, azioni mirate dalle capitali e forte azione locale. Come sappiamo, la questione del "content" americano e quella di un prodotto migliore hanno prevalso. Ma quanti sono i Vento o i Castellaneta nella costellazione della nostra presenza internazionale? Pochi. Anzi pochissimi.
    Sappiamo che a fronte dell'estro individuale, manca al nostro apparato di governo un contrappunto strutturale:« È un problema che abbiamo da sempre, si tramanda di governo in governo» ci dice uno dei nostri interlocutori. Possiamo essere ottimi solisti, ma ci riesce più difficile avanzare in modo organico i nostri interessi di sistema Paese sia dal punto di vista degli affari che da quello dell'influenza politica e dell'immagine. Il problema è grave «perché gurdando in avanti rischiamo sempre più di chiuderci in noi stessi, di provincializzarci di essere soppiantati da indiani, pakistani, sudamericani» dichiara una delle fonti che abbiamo interpellato. Non sorprende perciò se tra il 2001 e il 2003 il totale complessivo di funzionari italiani presenti nelle organizzazioni internazionali è diminuito da 1.507 a 1.174 persone.
    Prendiamo il Fondo monetario internazionale: in 50 anni non abbiano mai avuto un incarico fra i primi quattro incarichi della struttura di vertice. Per ciò che riguarda la nostra posizione funzionariale, in proporzione alla nostra quota di partecipazione al capitale, abbiamo circa il 20% in meno di quello che dovremmo. Non è stata appoggiata fino in fondo la candidatura di Mario Monti per la posizione di inanaging director. Alla fine è passato lo spagnolo Rodrigo Rato. In cambio è possibile che qualcuno in Europa abbia chiuso un occhio sui nostri conti.
    Da numerose interviste condotte con coloro che operano sul campo, emerge che le responsabilità ricadono sì in parte sulle singole strutture. Ma vi è anche un problema di "cultura Paese" più generale: da noi non si vuole andare all'estero; le università non ci tornano in modo adeguato, dobbiamo specializzarci all'estero e partiamo in ritardo; si guarda con distacco alle attività internazionali, non se ne afferrano fino in fondo benefici. Se non per alcune carichi, istituzionali mirate, come è successo, con la proposta di Lorenzo Bini Smaghi nel board della Bce in sostituzione di Tommaso Padoa Schioppa
    1. La resistenza culturale. Si traduce in una resistenza a recarsi in Paesi lontani. Abbiamo appreso ad esempio che vi sono delle aperture nell'agenzia dell'Onu per l'Ambiente, che ha sede a Nairobi e un ufficio a Parigi: le domande di italiani per andare a Parigi sono state venti, quelle per Nairobi soltanto due. Nel caso di un'altra Agenzia dell'Onu, la Fao che ha sede a Roma è invece accaduto il contrario: se nel 2001 e 2002 il numero dei funzionari era rispettivamente di 96 e 94 persone, nel 2003 il numero di presenze è balzato a 154. E ha portato un danno: ha neutralizzato la nostra posizione di «sotto quota» in altre organizzazioni. Un altro caso riguarda la Banca per lo sviluppo asiatico, dove siamo quasi assenti. Per questo vi fu, a suo tempo, una energica protesta del nostro governo. La banca offrì subito una disponibilità a considerare un candidato di alto livello. Risultato: in due anni non si è trovato nessuno, neppure appoggiandosi a una società di «cacciatori di teste».
    2. All'estero, nel settore pubblico, non si costruiscono delle vere carriere. La percezione è spesso corretta. 11 "ritorno" negli ultimi anni è stato più facile per manager privati, il caso di Paolo Scaroni alla guida dell'Enel ad esempio. Ma per una posizione pubblica all'estero, sul prestigio dell'incarico prevale sempre la percezione di «essere fuori dai giochi».
    3. Il problema di cultura politica: i nostri politici generalmente non parlano l'inglese e non percepiscono fino in fondo l'importanza di avere dei "civil servants" di prestigio a livello internazionale. La Farnesina a volte interviene in modo contraddittorio. Può chiedere, com'è capitato, di appoggiare la nomina di un certo candidato per la Banca Africana solo perché si spera di avere in cambio un appoggio per la riforma dell'Onu. Ma non ci sono accordi blindati. Spesso poi vengono "raccomandati" nostri candidati inadatti e non vengono accettati o, se accettati, non si integrano. E rimasto celebre il caso di un funzionario della Banca Mondiale voluto in una certa posizione direttamente da una delle più alte cariche del governo in una precedente legislatura. Poco dopo il suo insediamento lo stesso presidente Jim Wolfenshon ha chiesto che «glielo si togliesse dai piedi». Non c'è poi da sorprendersi se, nel caso della Banca Mondiale, una istituzione che offre un volano importante per commesse in Paesi in via di sviluppo, l'Italia è fra i paesi che raccolgono il numero minore di appalti.
    Ma veniamo a una partita che si sta giocando in queste settimane alle Nazioni Unite. Tra Natale e Capodanno vi è stato una sorta di «golpe bianco» di Kofi Annan che ha azzerato alcune delle sue cariche importanti. Al posto del pakistano Ikbal Riza il suo capo di Gabinetto, i britannici sono riusciti a installare Mallock Brown, già capo della Undp, l'agenzia dell'Onu per l'economia. La nomina di Brown, caldeggiata da Kofr Annan ha raccolto consensi diffusi, è piaciuta in particolare agli americani e ha segnato sul piano politico un riavvicinamento tra Washington e il Palazzo di Vetro. Gli inglesi hanno anche ottenuto la nomina dello zar antiterrorismo di Scotland Yard, David Viness, alla guida della "Sicurezza globale", una carica che non esisteva nella sua forma attuale. 1 francesi continuano ad avere Jean Marie Guehenno al dipartimento per le missioni di pace. Gli americani hanno già ottenuto la nomina di Carol Bellamy, ex segretario all'agricoltura di Bush, alla guida dell'Unicef. Noi siamo presenti a Vienna, con Antonio Costa, che ha sostituito Pino Arlacchi. Ma tre nomine restano aperte: quella per gli affari politici, quella per I'Undp, l'agenzia per gli affari economici, e quella per i rifugiati politici. Su tutte e tre le cariche l'Italia potrebbe vantare ambizioni. Ma i giochi sono aperti da oltre un mese. E forse siamo già in ritardo. Kieran Pendergast ad esempio ha chiesto di essere nominato al posto di Larsen come inviato per il Medio Oriente.
    Per l'ufficio politico sembra prendere corpo l'ipotesi di un candidato di un Paese emergente. Ma fra gli italiani i nomi in corsa non mancano. Vi è ad esempio quello di Francesco Olivieri, ambasciatore a Parigi. In questi casi l'importante è presentarsi con un nome imbattibile. È circolato quello di Giandomenico Picco. Ha ottime entrature dirette in Medio Oriente, un rapporto forte con l'amministrazione Bush ed altrettanto forte con Kofi Annan. La sua expertise, nel momento in cui il disarmo iraniano, la ricostruzione in Irak e il processo di pace in MedioOriente sono centrali al ruolo dell'Onu, lo rende competitivo contro qualunque altro candidato internazionale. Anche come inviato per il Medio Oriente invece di Pendergast. Ma Picco abita in America. È lontano dai nostri giochi di potere. E il nostro governo per ora non si impegna più di tanto.
    Fonti anticipano che forse ci interessa di più la carica per l'alto commissario per i rifugiati, per cui si sono fatti i nomi di Emma Bonino e Guido Bertolaso responsabile della protezione civile. Il risultato alla fine è che all'Onu non c'è un italiano a parte il nostro ambasciatore Marcello Spatafora. Si cerca di investire sui ranghi giovani, di farli crescere. Ma intanto i treni passano.
    MARIO PLATERO

  3. #73
    brescianofobo
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    Competitività/ Il 13 gennaio Silvio Berlusconi annunciava: "Provvedimento in 15 giorni e iter accellerato". Le ultime parole famose...
    Affari Italiani Lunedí 07.02.2005 173

    "Il tandem Marzano-Siniscalco metterà a punto il provvedimento sulla competitività che sarà pronto in quindici giorni. E accederà in Parlamento con un iter accellerato". Con queste parole Silvio Berlusconi il 13 gennaio aveva annunciato finalmente alle parti sociali il decollo delle misure che dovrebbero risollevare l'economia made in Italy. E sembrava aver ricomposto la frattura fra il ministro del Tesoro e quello delle Attività Produttive. Quest'ultimo, l'economista Antonio Marzano, aveva rivendicato, come indica la legge, la paternità del provvedimento affidata invece, in primis, dal presidente del Consiglio a Domenico Siniscalco.

    Le ultime parole famose verrebbe da dire. D'accordo che nell'ultima settimana di febbraio Siniscalco, come hanno riferito i portavoce del Ministero di via XX Settembre, è stato costretto a letto per l'influenza. Ma siamo al 7 febbraio e della competitività circolano solo bozze di discussione. Da una parte, all'interno del Governo, Marzano batte ancora i piedi per gestire la stesura del provvedimento, perché altrimenti si sente "inutile". E dall'altra le delegazioni dei Ministeri continuano ancora ad incontrarsi per sviluppare gli argomenti da inserire nel 'pacchetto' sulla competitività. Perché approfittano della nuova misura per 'buttarci dentro' tutto quello che non sono riusciti a far passare nella Finanziaria.

    Intanto tutto il Paese attende il dl con ansia. Sembra ripetersi il balletto dello scorso autunno, quando la testa politica del Governo (Berlusconi) era impegnata in altre faccende mentre quella operativa dell'Esecutivo è andata in tilt, paralizzando l'attività.

    Se in situazioni come queste sono le opposizioni a rumoreggiare è normale. Ma se a lanciare l'allarme sono gli stessi partiti di Governo, allora c'è da preoccuparsi. E così centra decisamente il bersaglio Renato Brunetta, consigliere economico di Palazzo Chigi e uomo molto vicino a Berlusconi, quando dice che "il dibattito all'interno del Governo è bloccato e davvero inadeguato. Per colpa del prevalere dei tecnocrati e delle oligarchie sulla politica". Peccato, però, che l'economista veneziano non sia uno che passa da lì per caso, ma sia un'autorevole dirigente del piu' grande partito italiani, uno che ha il filo diretto con il Premier. E allora,vien fatto di chiedersi: caro Brunetta, perchè non intervieni?

  4. #74
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    Predefinito Musi della Uil

    e credo di sapere anche dell'MRE, ha detto, almeno così è riportato nel Sole 24 ore di oggi, che la proposta di Baldassarri su un utilizzo del TFR accantonato nei fondi pensione per un rilancio economico senza aggravio per le imprese (che dovranno pagarlo comunque solamente al momento della cessazione dei diversi rapporti di lavoro) merita un approfondimento.
    E' l'unico (fra i sindacalisti e gli uomini del centro sinistra che si sono pronunciati) che si è espresso in questo senso e denota chiaramente un approccio positivo per la soluzione dei problemi.
    Bravo Musi.

    Tex Willer

  5. #75
    Garibaldi
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    e infatti corre voce che sia rientrato nel Pri

  6. #76
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    Predefinito Quel che posso dirvi,

    è che Musi ha aderito al comitato promosso dal PRI per il bicentenario della nascita di Mazzini.
    omar proietti

  7. #77
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    anche Mammì, Ayala, Elia, Lauria...

  8. #78
    laico progressista
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    Musi sta con noi. E' inutile dare credito alle panzane.

  9. #79
    Garibaldi
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    Citazione da Intervento Principale di by Alberich
    anche Mammì, Ayala, Elia, Lauria...
    tutta gente che sta cercando di trovare la strada per rientrare nel Pri perche' ha capito la parabola dell'analfabetismo politico di qualcuno !!

  10. #80
    Garibaldi
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    Citazione da Intervento Principale di by Paolo Arsena
    Musi sta con noi. E' inutile dare credito alle panzane.
    Musi sta con i lavoratori repubblicani e ha capito che nel Pri ce ne stanno molti di piu' !!!

 

 
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