La crociata di Buttiglione. Ora ce l'ha con madri, padri e bambini
Rocco Buttiglione si sposta a Saint Vincent e fa sapere di «sentirsi in pace con la sua coscienza». E torna, con un pronunciamento che riaprirà la polemica, sul tema della famiglia e sui «bambini che devono nascere nelle famiglie». Dichiara: «Per fare bambini ci vogliono un padre e una madre. I bambini che hanno solo una madre e non hanno padre sono figli di una madre non molto buona. I bambini che hanno solo un padre non sono bambini perché un uomo da solo può fare robot ma non può fare bambini». Tutto questo mentre il presidente Josè Barroso, dopo le bacchettate dei giorni scorsi, prova a smorzare i toni con il Parlamento: «Il presidente - dice la portavoce - non farà alcun commento sul risultato delle audizioni prima del 21 ottobre e dell'incontro previsto con i parlamentari. Il presidente ritiene decisivo il ruolo del Parlamento per garantire il successo della sua Commissione e tiene in grande considerazione l'opinione del Parlamento».
E Buttiglione? Sembra cercare l’incidente. Confessa di essere «ansioso di dimettersi» da ministro. Ma si è dimesso o no? Forse ha paura di farlo. La lettera dice d'averla spedita e attende disposizioni. Si sente «in transito»: dalle sue parole non si capisce, però, se è ancora ministro. Da Roma è Berlusconi che chiarisce e rivela: Buttiglione è ancora ministro. Altro che già dimesso. Il presidente del Consiglio annuncia: «Abbiamo una scadenza operativa, che è quella del primo novembre, quando Buttiglione lascerà per andare a Bruxelles». Conclusione: Buttiglione dice le bugie. Non è bello per uno che insiste a voler fare il commissario europeo. E, per giunta, che continua imperterrito a entrare, a gamba tesa, nelle questioni europee ma con l'insegna di «commissario designato» e le stelline di ministro.
Incurante del parapiglia che ha provocato con le sue dichiarazioni in materia di diritti delle minoranze, Buttiglione non perde l'occasione di spendere anche giudizi a difesa della legge sul falso in bilancio messa fortemente in dubbio dall'avvocato generale Juliane Kokott, presso la Corte di Giustizia Ue del Lussemburgo. Per uno che dovrebbe occuparsi anche di giustizia, salvo decisioni diverse che prenderà il presidente Barroso, è come minimo inopportuno e non elegante gettarsi nelle polemiche. «E in straordinaria sintonia con il ministro Castelli», come peraltro fa notare l'on. Zingaretti (Ds-Pse).
Con disinvoltura, Buttiglione sostiene che quella dell'avvocato generale della Corte Ue, che ha definito «non applicabile» la legge italiana sul falso in bilancio, «non è la posizione della Commissione». Si dà il caso, invece, che proprio l'altro ieri, a commento del parere della signora Kokott, il portavoce della Commissione abbia confermato, senza possibilità di equivoco, che il parere dell'avvocato generale è «identico a quello della Commissione».
Purtroppo c'è di più, nelle dichiarazioni rilasciate ieri da Buttiglione. Il ministro-commissario definisce l'avvocato generale come «procuratore» quando non v'è traccia di questa figura nella Corte di Giustizia; sostiene, inoltre, che questo «procuratore rappresenta l'accusa». Altro errore grossolano per un aspirante commissario che dovrà giurare proprio davanti alla Corte di Giustizia: non esiste l'«accusa» davanti alla Corte Ue. Il ruolo dell'avvocato generale è quello di offrire un parere verso le parti in causa. E ancora: Buttiglione si richiama alla Corte di Giustizia indicandola come «Alta Corte». Non esiste nell'Unione europea un'«Alta Corte». Infine, dopo aver annunciato che si batterà per l'anticipo del capitolo sulla Giustizia contenuto nel nuovo Trattato costituzionale, fa sapere: «Ho già chiesto che si decida nel Consiglio europeo del 5 novembre». A che titolo lo ha chiesto? Ammesso che ne faccia parte, la Commissione entrerà in carica solo il 1 novembre. Buttiglione, il 15 ottobre, lo ha chiede da privato cittadino, da ministro, e a chi?
Nella sequela di errori e imprecisioni davvero inquietanti per un esperto del ramo, Buttiglione è sicuramente in buona compagnia. Quella del leghista Castelli, ministro della Giustizia, uno che avrebbe dovuto studiare l'impianto istituzionale dell'Unione, almeno per le parti che lo riguardano. «Come si permette la signora Kokott?», protesta il Guardasigilli, scendendo in campo a difesa della legge pro Berlusconi. «È grave - afferma - che un organo non eletto da nessuno inviti a non seguire le leggi di uno Stato». Castelli, come Buttiglione e come anche l'on. Gaetano Pecorella, avvocato del presidente del Consiglio, pensano di confondere le acque e non dicono che, quando occorra, il diritto comunitario è assolutamente prevalente sul diritto nazionale. Come da Trattato. Come da Costituzione italiana (art. 10). Chissà cosa ne pensa il giudice della Corte di Giustizia, l'italiano Antonio La Pergola, nominato a quel posto per la prima volta dal governo Berlusconi, nel 1994.