Calogero, teorico della "società giusta"
La nascita italiana della filosofia civile
di STEFANO PETRUCCIANI
Alla scoperta di un grande maestro dimenticato; in libreria gli atti di un convegno dell'Università di Pisa.
"Liberalsocialismo", "etica del discorso", ormai se ne parla da anni. Ma a scoprirli per primi fu Guido Calogero, un figlio della tradizione idealistica, nella cui riflessione affiorano con singolare nettezza i temi delle etiche filosofiche più in voga.
Tra gli intellettuali italiani del Novecento che meriterebbero di essere riletti con attenzione, se non addirittura riscoperti, una delle personalità più singolari è senza dubbio quella di Guido Calogero (1904-1986). Formatosi filosoficamente alla scuola di Giovanni Gentile, come buona parte della sua generazione, Calogero non fu solo una grande studioso del pensiero greco, dai presocratici ad Aristotele, e un importante pensatore originale (come testimoniano innanzitutto i tre volumi einaudiani delle sue Lezioni di filosofia). Fu anche un intellettuale impegnato nella lotta politica, nel dibattito delle idee, nel giornalismo un protagonista di quella cultura laica e democratica che, numericamente minoritaria nell'Italia del dopoguerra, si ritrovò in una esperienza politica (di breve vita) come il Partito d'azione e in un giornale come "Il Mondo".
In anticipo su tutti
Di quest'area Calogero è stato, insieme a Bobbio, col quale molto discusse e si confrontò, la mente più lucida. Ed è abbastanza strano che la cultura italiana degli ultimi tempi si sia piuttosto disinteressata di lui, perché Calogero fu uno di quelli che più decisamente prospettarono, già diversi decenni fa, idee che oggi tornano a interessare e a suscitare discussioni, come il tema del liberalsocialismo e quello dell'etica del dialogo.
Molto tempo primo di Apel e di Habermas, i filosofi di Francoforte che, a partire dai tardi anni settanta, hanno lanciato sulla scena della filosofia europea la proposta teorica dell'"etica del discorso", Guido Calogero elaborò (nel volume del 1950 Logo e dialogo, poi ripreso nella più ampia raccolta Filosofia del dialogo, Edizioni di Comunità, Milano 1962) la sua etica del dialogo. In essa all'elogio laico dello spirito critico e della libertà di coscienza (una battaglia, questa, molto caratterizzante per il Calogero pubblicista, sempre impegnato sul fronte della laicità della scuola e della Cultura) si accompagna un interessantissimo ripensamento della natura stessa dell'etica che approfondisce e trasforma l'approccio alla moralità che era stato caratteristico del pensiero calogeriano fino a quel momento.
Nei suoi testi degli anni Trenta e Quaranta, infatti, Calogero aveva caratterizzato la moralità soprattutto come scelta altruistica. Vi è una scelta assoluta, diceva, alla quale nessun individuo si può mai sottrarre, ed è per l'appunto quella tra egoismo e altruismo, tra l'ignorare gli altri, l'usarli solo come strumenti, o invece tener conto di essi, non prevaricarli, aprirsi alla comprensione delle loro esperienze e delle loro necessità.
Quest'ultima è appunto la scelta morale, che è totalmente rimessa all'individuo e alla sua autonomia. Con l'elaborazione della filosofia del dialogo, però, questa impostazione subisce un mutamento di grande rilievo: se si riformula il principio morale non più semplicemente come altruismo, ma più specificamente come dovere di comprendere gli altri e di ascoltare le loro ragioni, allora si scopre una situazione nuova e per certi aspetti sorprendente.
Ci si avvede, in sostanza, che, formulato come principio del dialogo, il principio morale, pur restando rimesso alla scelta autonoma dell'individuo, ha però una sua forza peculiare, che ci autorizza a considerarlo come l'unico principio indiscutibile del quale noi disponiamo, la sola "piattaforma stabile", così lo definisce Calogero, nel grande e in inquieto mare delle convinzioni discutibili, delle teorie scientifiche rivedibili, delle opinioni destinate a mutare con la trasformazione del paesaggio storico. Ma donde trae il principio morale questa forza e sembra sottrarlo a ogni oscillazione e assicurargli una validità di ombre e di incertezze?
La risposta di Calogero, argentata come poteva fare un discepolo della dialettica platonica e aristotelica, è un buon esempio di sottigliezza filosofica. Il dovere di ascoltare le ragioni degli altri e di comprenderli è indiscutibile, sostiene Calogero, perché chi volesse contestarlo o demolirne la validità dovrebbe a sua volta entrare in un confronto di discorsi e di argomenti, e quindi sarebbe costretto proprio ad accettare quel principio del dialogo o della discussione che invece pretendeva di criticare o di rifiutare. Inteso come dovere di intendere gli altri, dunque, il dovere morale è un dovere che io prescrivo a me stesso in piena autonomia, ma di cui nessuno riuscirà mai a smentire la validità, perché per farlo dovrebbe appunto impegnarsi in una discussione con altri, ma con ciò avrebbe già accettato quel principio morale che intendeva respingere.
La polemica con Bobbio
A questa acuta argomentazione di Calogero fu a suo tempo obiettato, proprio da parte di Bobbio, che il dovere di discutere, e di prestare ascolto alle ragioni degli altri, è un imperativo dell'onestà intellettuale, ovvero dello spirito critico e antidogmatico, ma non esaurisce l'ambito della moralità. L'etica insomma, sosteneva Bobbio, non si può ridurre a un'etica della discussione. È questa un'obiezione molto simile a quelle che più di recente sono state rivolte all'etica del discorso di Apel e di Habermas. Acuto e non privo di forza persuasiva era però il modo in cui Calogero rispondeva ad essa: comprendere gli altri, prestare ascolto alle loro ragioni, implica il riconoscere, senza riserva alcuna, il loro diritto di esprimersi, di prendere la parola; ma con ciò è già implicitamente riconosciuto il diritto dell'individuo ad essere preso in considerazione e rispettato in tutta l'ampiezza delle sue esigenze e dei suoi bisogni. La legge del dialogo, dunque, non vale solo per la società degli intelletti, ma anche per quella degli uomini e dei cittadini: se ognuno ha diritto di essere ascoltato nelle sue idee, ha anche il diritto di vedere soddisfatti i suoi bisogni e le sue aspirazioni, in misura pari a come vengono soddisfatti i bisogni di ogni altro membro della società.
L'etica del dialogo quindi, nella visione che ne elabora Guido Calogero, si salda perfettamente con una prospettiva politica liberalsocialista, quella che Calogero stesso aveva delineato, collaborando anche con Aldo Capitini, nel famoso manifesto del liberalsocialismo redatto nel 1940.
Il nerbo teorico del liberalsocialismo viene enunciato da Calogero in modo chiarissimo in questo e nei tanti scritti successivi: esso si può riassumere nella convinzione che libertà e giustizia sociale, diversamente da quanto crede un pigro senso comune, non sono tra loro né confliggenti né tantomeno incompatibili ma, al contrario, sono a ben guardare profondamente e radicalmente solidali, fino al punto da costituire in realtà un ideale unitario. Le questioni concernenti la giustizia economica non sono altra cosa rispetto alla problematica della libertà, ma la riguardano direttamente: non è libero chi non ha la possibilità di fruire dei benefici della cooperazione sociale, e di soddisfare attraverso di essa i propri bisogni e le proprie aspirazioni. E d'altra parte è del tutto illusorio, ammoniva Calogero rivolto ai suo amici di sinistra, pensare che possa darsi giustizia sociale là dove man chino le condizioni essenziali di libertà politica. Le istituzioni della libertà politica e quelle della giustizia economica si sostengono e si richiedono vicendevolmente; esse sono legate, scriveva Calogero, da un "nesso indissolubile di reciproca presupposizione". Nella loro nettezza e radicalità (che sembrerà a qualcuno un po' utopistica) le sue pagine meriterebbero ancor oggi di essere meditate. Se non altro come antidoto rispetto a quelle forme di liberalismo socialmente insensibile e ultraliberista che oggi tornano in auge e di cui non pochi subiscono il fascino un po' sinistro.