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  1. #1
    brescianofobo
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    Predefinito Caselli aveva ragione: Andreotti è stato mafioso.

    Amici garantisti, mettiamoci una pietra tombale sul discorso Andreotti: la Cassazione ha confermato una volta per tutte che è stato mafioso fino al 1980.

    Sarebbe ora di chiedere scusa a Caselli per le tonnellate di insulti riversati sui magistrati.


    LA STAMPA 18/10/2004
    il PROCURATORE COMMENTA LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE

    MA ANDREOTTI E' STATO MAFIOSO


    L A critica nei confronti dei provvedimenti giudiziari (dei pubblici ministeri e dei giudici) è, come per ogni atto di pubblici poteri, il sale della democrazia. Tutt'altra cosa sono le quantità industriali di fango e menzogne, le diffamazioni all'ingrosso che han dovuto subire - in tutti questi anni - i magistrati cui è capitata la «sfortuna» - adempiendo i loro obblighi istituzionali - di doversi occupare di imputati cosiddetti eccellenti, accusati di collusione con mafiosi. Eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge? Obbligatorietà dell'azione penale? Necessità assoluta di indagare (senza sconti!) non solo sul versante della mafia militare ma anche su quello dei rapporti mafia-politica? Tutte favole per gonzi. Per certuni il copione immutabile - scritto una volta per sempre - è stato un altro: presentare gli imputati come dei benemeriti ingiustamente perseguitati (un calvario...); azzannati alla gola da giustizialisti impenitenti, sempre pronti ad elaborare tesi assurde basate sul nulla, buone solo a soddisfare le loro smanie di toghe rosse, di magistrati «chiodati», politicizzati e asserviti.
    Di qui un catalogo infinito di insulti. Testualmente: assassini, terroristi, farabutti, brigatisti, faziosi, sadici, torturatori, perversi da manuale, venduti, menti distorte, falsificatori di carte, folli, predicatori di mostruosità, bugiardi, frodatori processuali, spregiatori di norme (costituzionali e ordinarie), criminali vestiti da giudici, dissennati, macigni sulla strada della democrazia, omuncoli bisognosi di una perizia psichiatrica, cupola mafiosa, corruttori della dignità dei siciliani, foraggiatori di pentita destinati ad alimentare i] pozzo nero dell'antimafia postfalconiana. Per arrivare agli epiteti più recenti (e più noti): tipo malati di mente e antropologicamente diversi dal resto della razza umana.
    Coloro che si sono esibiti in queste sceneggiate hanno ora un'importante occasione per affiancare - alle scelte fin qui praticate - una strada diversa. Le prime avvisaglie sono nel senso di un irriducibile rifiuto di cambiare registro. Ma perché disperare? L'occasione, infatti, non è di quelle che si possano decentemente respingere. Si tratta della sentenza della Corte di Cassazione che (decidendo il processo relativo al più eccellente fra gli imputati eccellenti in via definitiva, ciò che dà più spazio - a bocce ormai ferme - anche a questo mio intervento) ha confermato la sentenza della corte d'appello di Palermo, il cui dispositivo, alla lettera, recita: «la Corte... dichiara non doversi procedere nei confronti (dell' imputato) in ordine al reato di associazione per delinquere a lui ascritto al capo A della rubrica, commesso fino alla primavera del 1980, per essere lo stesso reato estinto per prescrizione; conferma, nel resto, la appellata sentenza».
    Dunque, la Cassazione (ribadendo l'assoluzione per i fatti successivi) ha confermato che fino alla primavera del 1980 l'imputato ha commésso il reato di associazione con i mafiosi dell'epoca, capeggiati da Stefano Bontade, autori di gravissimi delitti. Si potrebbe dare atto di questa verità processuale, magari riproducendo alcune delle pagine della sentenza d'appello (confermata ora dalla Cassazione) che dimostrano come e perché: «sia ravvisabile il reato di partecipazione alla associazione per delinquere nella condotta di un eminentissimo personaggio politico nazionale» che abbia contribuito al «rafforzamento della organizzazione criminale». Si potrebbe. Significherebbe semplicemente informare. Osservando l'elementare principio che le sentenze vanno rispettate. Soprattutto quelle definitive. Valutandole in base alla correttezza e al rigore, non alla stregua della loro utilità contingente. Invece molti non lo fanno. E continuano a cancellare tutto quello che non si adatta alla denigrazione apodittica delle ragioni dell'accusa. Continuano con l'insulto e con l'arte della confusione delle parole (per esempio quella che chiama assoluzione la prescrizione). Per poter continuare a parlare di teoremi e complotti anche quando la Cassazione ha definitivamente spazzato via persino la prospettabilità di ipotesi del genere.

    Giancarlo Caselli
    Procuratore generale di Torino

  2. #2
    Ospite

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    Al pezzo di m**** Caselli voglio ricordare se Andreotti fosse stato mafioso e quindi colpevole di gravissimi reati vista la sua persona non sarebbe stato un semplice picciotto ma il capo indiscusso di cosa nostra e quindi avrebbe subito la condanna dei tribunali e non assolto in via definitiva perchè gli omicidi e certi reati non cadono in prescrizione. bye bye...

  3. #3
    brescianofobo
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    In origine postato da Manuel
    Al pezzo di m**** Caselli voglio ricordare se Andreotti fosse stato mafioso e quindi colpevole di gravissimi reati vista la sua persona non sarebbe stato un semplice picciotto ma il capo indiscusso di cosa nostra e quindi avrebbe subito la condanna dei tribunali e non assolto in via definitiva perchè gli omicidi e certi reati non cadono in prescrizione. bye bye...
    Guarda "il pezzo di m****" Caselli (uno che ha combattuto in prima linea contro le BR e la mafia, il "pezzo di merda") non ha mai detto che Andreotti fosse il capomafia, ma che fosse amico dei mafiosi, e la sentenza ora definitiva ha confermato la sua tesi.

    Andreotti se l'è cavata solo perchè nel frattempo è sopraggiunta la prescrizione. Forse il pezzo di merda era proprio Andreotti che sapeva che Bontade voleva uccidere Piersanti Mattarella ma non ha mosso un dito.

    Ecco cosa dice la sentenza:

    Giulio Andreotti ha "commesso" il "reato di partecipazione all'associazione per delinquere" (Cosa Nostra), "concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980", che però è "estinto per prescrizione".

    Nel 1979 Andreotti scende a Catania per incontrare il boss Stefano Bontade che minaccia la vita di Piersanti Mattarella: "Frena l'impeto dei mafiosi, prende tempo, li rassicura additando una soluzione "politica'". Poi torna a Roma e non fa assolutamente nulla. Non avverte nemmeno Mattarella della minaccia incombente. Bontate fa trucidare Mattarella nel gennaio '80.

    Nella primavera '80 Andreotti torna in Sicilia (stavolta a Palermo) da Bontade, dopo il delitto Mattarella per "chiedere chiarimenti". Bontade risponde "con arroganza". Andreotti capisce che "era stato un grave errore immaginare di poter agevolmente disporre dei mafiosi e di guidarne le scelte imponendo, con la propria autorevolezza e il proprio prestigio, soluzioni incruente e "politiche" ai problemi insorti, era stato un abbaglio assegnare alla mafia il riduttivo ruolo di strumento di ordine e di controllo della criminalità... era stato, in definitiva, un grave errore intrattenere buone relazioni con i mafiosi, chiedere loro qualche favore, indurre in essi il convincimento di poter contare sulla sua amicizia".

    Andreotti, per anni, "ha indotto i mafiosi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l'assassinio di Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati, ha omesso di denunciare le loro responsabilità, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza".

    Andreotti aveva una "propensione a intrattenere personali, amichevoli relazioni con esponenti di vertice di Cosa Nostra", per garantirsi "la possibilità di utilizzare la struttura mafiosa per interventi extra ordinem... forme di intervento para-legale che conferisce, a chi sia in possesso dei canali che gli consentano di sperimentarle, un surplus di potere rispetto a chi si attenga ai mezzi legali".

  4. #4
    Ospite

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    I crimini e i delitti non si prescrivono ergo Andreotti non è mafioso visto che è stato assolto in cassazione, non sono riusciti a dimostrare uno straccio d'accusa, Violante e Caselli hanno fatto delle accuse contro Andreotti una causa primaria della loro attività politico-giudiziaria e la storia ha dato loro torto, questa è la pura e semplice verità che emerge alla fine dei processi.
    Andreotti è un leader un numero uno in tutti i sensi e lo sarebbe stato anche da mafioso

  5. #5
    brescianofobo
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    In origine postato da Manuel
    I crimini e i delitti non si prescrivono ergo Andreotti non è mafioso visto che è stato assolto in cassazione, non sono riusciti a dimostrare uno straccio d'accusa, Violante e Caselli hanno fatto delle accuse contro Andreotti una causa primaria della loro attività politico-giudiziaria e la storia ha dato loro torto, questa è la pura e semplice verità che emerge alla fine dei processi.
    Andreotti è un leader un numero uno in tutti i sensi e lo sarebbe stato anche da mafioso
    Beh, se non sai leggere la sentenza non è mica colpa mia.

    Andreotti era intimo del boss Bontade, gli assicurava l'impunità, il Bontade poteva dirgli che voleva ammazzare il Mattarella sicuro che non sarebbe stato denunciato.

    Andreotti era amico della mafia fino al 1980, questo è stato assodatom dalla cassazione, Caselli e Violante avevano ragione.

    Prescrizione non significa non aver commesso reati, significa non essere punibili perchè ormai sono passati 20 anni. Ma la responsabilità morale e politica rimane. E anche la sentenza lo dice chiaro e tondo:

    Giulio Andreotti ha "commesso" il "reato di partecipazione all'associazione per delinquere" (Cosa Nostra), "concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980", che però è "estinto per prescrizione".


    Ora ci aspettiamo da parte dei pollisti parole di scusa nei riguardi di Caselli per le tonnellate di cacca che gli hanno rovesciato sopra in questi anni.

  6. #6
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    In origine postato da Manuel
    ...e lo sarebbe stato anche da mafioso
    Amico dei mafiosi, per la precisione.
    Conosci il significato della parola "prescrizione"?

  7. #7
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    In origine postato da antonio
    se e' vero quel che tu affermi, manuel, mi sai spiegare perche' la difesa di Andreotti ha fatto ricorso in Cassazione ?
    Perchè l'accusa è stata immobile?

  8. #8
    brescianofobo
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    Amici, questa è la parte conclusiva della sentenza di 1500 pagine che dice che Andreotti è stato mafioso fino al 1980.

    In pratica si dice che nel 1979, mentre era Presidente del consiglio in carica, incontrava abitualmente il boss Bontate che riferiva al premier, senza timore di essere denunciato di avere intenzione di uccidere Mattarella. Andreotti si mostrava contrario, ma non faceva niente per salvare il compagno di partito.

    Poi nell'80 Mattarella veniva ucciso lo stesso, e Andreotti, invece di denunciare il colpevole che conosceva, tornava a palermo a protestare col boss.

    Tutti i dettagli e i riscontri delle deposizioni dei pentiti sugli incontri di Andreotti con i boss (orari degli aerei, agenda di Andreotti, ecc) sono analizzati nella sentenza di 1500 pagine.

    Questa è la conclusione:

    CAPITOLO IV : CONCLUSIONI.

    Quanto fin qui si è venuto illustrando indica con chiarezza che la Corte ritiene che una autentica, stabile ed amichevole disponibilità dell’imputato verso i mafiosi non si sia protratta oltre la primavera del 1980.

    Deve, dunque, escludersi che sia rimasto dimostrato che il sen. Andreotti abbia, nel periodo successivo alla primavera del 1980, coltivato amichevoli relazioni con gli esponenti di Cosa Nostra, abbia palesato una sincera disponibilità nei confronti dei medesimi, abbia concretamente agito per agevolare il sodalizio criminale, abbia arrecato un contributo al rafforzamento dello stesso.
    Ne deriva che, in relazione al periodo in questione, la impugnata statuizione assolutoria, che ha negato la sussistenza della contestata condotta associativa, deve essere senz’altro confermata.
    Per contro, in punto di fatto i convincimenti cui sono pervenuti i primi giudici in relazione al periodo precedente sono stati, come si è visto, ampiamente rettificati dalla Corte, che ha ritenuto la sussistenza:
    - di amichevoli ed anche dirette relazioni del sen. Andreotti con gli esponenti di spicco della c.d. ala moderata di Cosa Nostra, Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, propiziate dal legame del predetto con l’on. Salvo Lima ma anche con i cugini Antonino ed Ignazio Salvo, essi pure, peraltro, organicamente inseriti in Cosa Nostra;
    - di rapporti di scambio che dette amichevoli relazioni hanno determinato: il generico appoggio elettorale alla corrente andreottiana, peraltro non esclusivo e non esattamente riconducibile ad una esplicitata negoziazione e, comunque, non riferibile precisamente alla persona dell’imputato; il solerte attivarsi dei mafiosi per soddisfare, ricorrendo ai loro metodi, talora anche cruenti, possibili esigenze – di per sé, non sempre di contenuto illecito - dell’imputato o di amici del medesimo; la palesata disponibilità ed il manifestato buon apprezzamento del ruolo dei mafiosi da parte dell’imputato, frutto non solo di un autentico interesse personale a mantenere buone relazioni con essi, ma anche di una effettiva sottovalutazione del fenomeno mafioso, dipendente da una inadeguata comprensione - solo tardivamente intervenuta - della pericolosità di esso per le stesse istituzioni pubbliche ed i loro rappresentanti;
    - della travagliata, ma non per questo meno sintomatica ai fini che qui interessano, interazione dell’imputato con i mafiosi nella vicenda Mattarella, risoltasi, peraltro, nel drammatico fallimento del disegno del predetto di mettere sotto il suo autorevole controllo la azione dei suoi interlocutori ovvero, dopo la scelta sanguinaria di costoro, di tentare di recuperarne il controllo, promuovendo un definitivo, duro chiarimento, rimasto infruttuoso per l’atteggiamento arrogante assunto dal Bontate.
    Si tratta, dunque, sciogliendo la riserva formulata al termine del capitolo II della III parte del presente elaborato, di valutare giuridicamente i ritenuti comportamenti dell’imputato al fine di verificare se gli stessi integrino o meno la contestata partecipazione alla associazione criminale.
    La Corte ritiene che prima ancora di affrontare tale ultimo e decisivo tema deve considerarsi che il delitto di associazione per delinquere (capo A della rubrica) è ormai estinto per prescrizione, essendo decorso, dalla primavera del 1980, un termine ampiamente superiore ai necessari ventidue anni e sei mesi.

    Ed i fatti che la Corte ha ritenuto provati dicono, comunque, al di là della opinione che si voglia coltivare sulla configurabilità nella fattispecie del reato di associazione per delinquere, che il sen. Andreotti ha avuto piena consapevolezza che suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha, quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi; ha loro indicato il comportamento da tenere in relazione alla delicatissima questione Mattarella, sia pure senza riuscire, in definitiva, ad ottenere che le stesse indicazioni venissero seguite; ha indotto i medesimi a fidarsi di lui ed a parlargli anche di fatti gravissimi (come l’assassinio del Presidente Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati; ha omesso di denunciare le loro responsabilità, in particolare in relazione all’omicidio del Presidente Mattarella, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza.

    Riallacciandosi ai criteri precisati nelle premesse introduttive, si deve, infatti, ritenere, in primo luogo, che la manifestazione di amichevole disponibilità verso i mafiosi sia stata consapevole ed autentica e non meramente fittizia.
    Non è possibile, invero, pensare che essa sia stata semplicemente simulata per il raggiungimento di finalità contrarie agli interessi del sodalizio mafioso, così come, se si volesse, in punto di fatto, seguire la disattesa tesi della Accusa, sarebbe stato l’atteggiamento di fittizia disponibilità assunto, in ipotesi, in circostanze storiche del tutto diverse, nei confronti del Riina in occasione del presunto incontro in casa di Ignazio Salvo e della vicenda del maxiprocesso.
    A quest’ultimo riguardo, riagganciandosi anche a quanto già in diversa sede evidenziato, si deve, infatti, considerare:
    - che l’imputato già all’epoca della tragica vicenda Mattarella aveva dimostrato di non accettare il metodo di violenta eliminazione degli avversari politici ed istituzionali intrapreso dai mafiosi nella seconda parte del 1979 e proseguito con ancora più spregiudicata ed efferata intensità specie dopo l’avvento dei “corleonesi” – basti ricordare i numerosi assassini di importanti rappresentanti delle pubbliche istituzioni (possono citarsi il proc. Costa, l’on. La Torre, il prefetto Dalla Chiesa, il sost. proc. Ciaccio Montalto, l’ag. Zucchetto, il comm. Montana, il comm. Cassarà, il cap. D’Aleo, il prof. Giaccone) -;
    - che ciò, come meglio illustrato in altra parte della sentenza, aveva, innanzitutto, ideologicamente allontanato il medesimo imputato dai mafiosi, di cui aveva drammaticamente scoperto la pericolosità per le pubbliche istituzioni in precedenza sottovalutata rispetto al ritenuto (ed apprezzato) ruolo di controllo della criminalità, in qualche modo collaterale alla azione repressiva statuale, nonché rispetto all’utile appoggio elettorale, a quell’epoca probabilmente sopravvalutato;
    - che, interrotte le pregresse relazioni amichevoli con i mafiosi, Andreotti aveva avuto, per di più, modo di verificare sul campo, all’esito delle elezioni politiche del 1987, la trascurabile forza elettorale della mafia, cosicché, a tutto volere concedere, egli non aveva più nulla da guadagnare a coltivare un effettivo ed autentico rapporto con i mafiosi;
    - che, pertanto, sempre a tutto volere concedere, un suo eventuale intervento presso gli stessi non poteva essere dettato dal fine di interagire fruttuosamente con essi, ma dall’esclusivo scopo di attenuarne la pericolosità e di salvaguardare la incolumità dei suoi sodali;
    - che, del resto, la attività politica dell’imputato e, in particolare, la produzione legislativa promossa dagli ultimi Governi da lui guidati dimostrano come nel periodo immediatamente successivo o concomitante con le richiamate vicende, Andreotti non stava certo dalla parte dei mafiosi.
    Per contro, nel periodo qui in considerazione (fino alla primavera del 1980):
    - era ancora agli albori l’attacco violento ai rappresentanti delle istituzioni ed il ricorso ai metodi sanguinari che allontanò l’imputato dai mafiosi con i quali aveva fino ad allora coltivato amichevoli relazioni, non ostacolate da tale insuperabile pregiudiziale ideologica;
    - non era, inoltre, ancora emersa in termini chiari la fallacità del comune convincimento circa la determinante forza elettorale di Cosa Nostra, che aveva indotto il Bontate ad ammonire il suo illustre interlocutore circa la necessità di conservare il favore della mafia e che poteva astrattamente indurre a coltivare buone relazioni con i mafiosi;
    - non vi è traccia nella attività politico-istituzionale di Andreotti di un impegno antimafia che possa giustificare il convincimento che la amicizia palesata ai mafiosi fosse soltanto simulata.
    Del resto, ad ultimativo conforto dell’assunto, basta considerare proprio la, assolutamente indicativa, vicenda che ruota attorno all’assassinio dell’on. Pier Santi Mattarella.
    Anche ammettendo la prospettata possibilità che l’imputato sia personalmente intervenuto allo scopo di evitare una soluzione cruenta della questione Mattarella, alla quale era certamente e nettamente contrario, appare alla Corte evidente che egli nell’occasione non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la minaccia alla incolumità del Presidente della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi a ciò preposti e, per altro verso, allontanandosi definitivamente dai mafiosi, anche denunciando a chi di dovere le loro identità ed i loro disegni: il predetto, invece, ha, sì, agito per assumere il controllo della situazione critica e preservare la incolumità dell’on. Mattarella, che non era certo un suo sodale, ma lo ha fatto dialogando con i mafiosi e palesando, pertanto, la volontà di conservare le amichevoli, pregresse e fruttuose relazioni con costoro, che, in quel contesto, non possono interpretarsi come meramente fittizie e strumentali.


    In definitiva, la Corte ritiene che sia ravvisabile il reato di partecipazione alla associazione per delinquere nella condotta di un eminentissimo personaggio politico nazionale, di spiccatissima influenza nella politica generale del Paese ed estraneo all’ambiente siciliano, il quale, nell’arco di un congruo lasso di tempo, anche al di fuori di una esplicitata negoziazione di appoggi elettorali in cambio di propri interventi in favore di una organizzazione mafiosa di rilevantissimo radicamento territoriale nell’Isola:
    a) chieda ed ottenga, per conto di suoi sodali, ad esponenti di spicco della associazione interventi para-legali, ancorché per finalità non riprovevoli;
    b) incontri ripetutamente esponenti di vertice della stessa associazione;
    c) intrattenga con gli stessi relazioni amichevoli, rafforzandone la influenza anche rispetto ad altre componenti dello stesso sodalizio tagliate fuori da tali rapporti;
    d) appalesi autentico interessamento in relazione a vicende particolarmente delicate per la vita del sodalizio mafioso;
    e) indichi ai mafiosi, in relazione a tali vicende, le strade da seguire e discuta con i medesimi anche di fatti criminali gravissimi da loro perpetrati in connessione con le medesime vicende, senza destare in essi la preoccupazione di venire denunciati;
    f) ometta di denunciare elementi utili a far luce su fatti di particolarissima gravità, di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza di diretti contatti con i mafiosi;
    g) dia, in buona sostanza, a detti esponenti mafiosi segni autentici – e non meramente fittizi – di amichevole disponibilità, idonei, anche al di fuori della messa in atto di specifici ed effettivi interventi agevolativi, a contribuire al rafforzamento della organizzazione criminale, inducendo negli affiliati, anche per la sua autorevolezza politica, il sentimento di essere protetti al più alto livello del potere legale.
    Alla stregua dell’esposto convincimento, si deve concludere che ricorrono le condizioni per ribaltare, sia pure nei limiti del periodo in considerazione, il giudizio negativo espresso dal Tribunale in ordine alla sussistenza del reato e che, conseguentemente, siano nel merito fondate le censure dei PM appellanti.
    Non resta, allora, che confermare, anche sotto il profilo considerato, il già precisato orientamento ed emettere, pertanto, la statuizione di non luogo a procedere per essere il reato concretamente ravvisabile a carico del sen. Andreotti estinto per prescrizione.

    <<<<<<<<<<<<<<<<<<>>>>>>>>>>>>>>>>>>




    PER QUESTI MOTIVI

    La Corte, visti gli artt. 416, 416bis, 157 e ss., c.p.; 531 e 605 c.p.p.; in parziale riforma della sentenza resa il 23 ottobre 1999 dal Tribunale di Palermo nei confronti di Andreotti Giulio ed appellata dal Procuratore della Repubblica e dal Procuratore Generale, dichiara non doversi procedere nei confronti dello stesso Andreotti in ordine al reato di associazione per delinquere a lui ascritto al capo A) della rubrica, commesso fino alla primavera deI 1980, per essere Io stesso reato estinto per prescrizione; conferma, nel resto, la appellata sentenza.
    Visto l’art. 544, comma 3, c.p.p.; indica in giorni novanta il termine entro il quale verranno depositate le motivazioni della sentenza.
    Palermo, lì 2 maggio 2003.
    IL CONSIGLIERE est. IL PRESIDENTE
    (Dr. Mario Fontana) (Dr. Salvatore Scaduti)


    le 1523 pagine di sentenza con l'analisi di tutte le frequentazioni di Andreotti con i mafiosi si possono scaricare qua:

    http://www.radioradicale.it/andreott...te_appello.doc

  9. #9
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    Predefinito Andreotti, un colluso....

    ....di rango

    Giulio Andreotti fu indagato e poi incriminato nel 1993, per mafia e per aver fatto uccidere Mino Pecorelli.
    Nel 2003 è stato assolto dall’accusa di omicidio definitivamente, nel 2004 è stato assolto definitivamente dall’accusa di essere
    un mafioso.
    Se il dottor Gian Carlo Caselli fosse fino in fondo un magistrato, e
    non anche e soprattutto un giornalista o uno storico amatoriale, il suo dovere sarebbe semplice da assolvere: tacere.
    Invece il dottore parla, s’inquieta, si fa vittima di tremende e losche congiure, piagnucola e cerca di trovare nel dispositivo
    della sentenza sui termini di prescrizione dei delitti oggetto del
    processo, e nelle sue motivazioni, elementi per una clamorosa e sgradevole, ma rivelatrice, excusatio non petita.
    L’Italia contemporanea è fatta così: i magistrati militanti chiacchierano, noi abbiamo pagato in quattrini e in desolazione politica la loro supplenza faziosa e il loro accanimento senza senso, gli imputati distrutti e poi assolti ricevono ormai da tutto il mondo politico blande consolazioni e attestati di stima, grotteschi fra tutti quelli dei partiti e degli uomini, Luciano Violante in testa, che sono stati politicamente strumentali alla loro gogna pubblica per un decennio.
    Quel che non può fare Caselli, quel che non dovrebbe fare sul piano etico se fosse quel che dovrebbe essere, cioè un tutore della legge capace di impostare nel modo giusto le ragioni dell’accusa penale al di fuori del pregiudizio storico-politico, possiamo farlo noi che non indossiamo la toga, che non abbiamo l’immenso e spesso abusato potere di mettere la gente alla sbarra o in galera, noi che leggiamo le carte dei processi e abbiamo al massimo il potere di far circolare le idee, di aprire uno spazio alla critica e porre al pubblico questioni sulle quali sarà poi esso a decidere.
    Ora che Giulio Andreotti ha avuto restituito l’onore giudiziario è finalmente possibile, senza mescolarsi con le impurità della malagiustizia che abbiamo sempre censurato e per tutti, da Sofri a Andreotti, da Tortora a Carnevale, discutere delle sue qualità politiche.

    La nostra convinzione
    Crediamo che Andreotti sia stato, come dice la sentenza appena ratificata e passata in giudicato, un politico democristiano amico dei mafiosi siciliani, un colluso di altissimo livello.
    La sentenza del dottor Antonino Scaduti, che gli affibbia questo titolo nelle sue motivazioni, è a nostro avviso legale ma antigiuridica.
    Se come lui stesso stabilisce sono intervenuti i termini di prescrizione del reato, perché la collaborazione di Andreotti con la mafia si fermerebbe agli anni Ottanta, vuol dire che l’imputato è ingiudicabile.
    Se è ingiudicabile, un giudice non deve surrettiziamente giudicarlo, e condannarlo nelle motivazioni mentre lo assolve nel dispositivo della sentenza.
    Ma noi non siamo giudici, quindi parliamo.
    Parliamo con rispetto per la persona, perché oltre a non essere giudici, non siamo nemmeno stolidi moralisti o mozzorecchi da girotondo.
    Andreotti e la parte rilevante dei suoi uomini in Sicilia erano perfettamente inseriti nel compromesso politico e nello scambio di potere con le famiglie mafiose che facevano il bello e il cattivo tempo prima della industrializzazione e militarizzazione politica della mafia da parte dei corleonesi di Totò Riina.
    Ci vorrebbe troppo spazio per raccontare e argomentare, ma paradossalmente possiamo rinviarvi alle pagine del processo, anche quelle scritte dall’accusa, dai Caselli e dai Lo Forte e dagli Scarpinato che pure sbagliarono gravemente nel fare di Andreotti, ciò che è respinto anche in sentenza, un impiegato della mafia corleonese.
    Lì, in quelle carte, tra non poche imprecisioni e moltissimi errori di fatto e di giudizio, in mezzo a insostenibili teoremi, si trovano elementi che non hanno alcun valore giudiziario ma ne hanno, eccome, in termini di libera ricostruzione giornalistica e storica dei fatti.
    Il rapporto di Andreotti e degli andreottiani con la mafia era essenzialmente di tipo politico, e salvo accuse specifiche per fatti specifici, non mostrava un lato direttamente criminale, cioè un profilo di tipo penale chiaramente e indiscutibilmente rilevante sul piano delle responsabilità personali.
    Ma c’era, quel rapporto.
    Era parte della storia della Sicilia e dell’Italia a partire dallo sbarco alleato in Sicilia, passando per le numerose e tortuose compromissioni della Chiesa cattolica con il familismo mafioso, ed era inserito in una rete storica di rapporti tra criminalità e potere in Sicilia e nel Sud al cui centro, anche e in certi periodi soprattutto, stavano altre componenti della Democrazia cristiana e spezzoni significativi di altri partiti con un’identità popolare e un vasto radicamento territoriale ed elettorale, come il Pci (in misura minore) e il Psi (un posticino se lo riservarono anche i moralisti repubblicani-lamalfiani del nord, che però disconoscevano ogniqualvolta gli era necessario –ma sempre fino a un certo punto – i loro referenti politici isolani).
    Per dire queste cose, finalmente liberi dalla loro corruzione in senso giustizialista e liberi di spiegare che la mafia era una potenza sociale con cui i partiti facevano i conti e che la politica è un’arte cinica in tutto il mondo, se è vero che come tutti sanno un John Kennedy fu eletto presidente degli Stati Uniti con i metodi mafiosi del sindaco di Chicago, Daley, non ci vuole un gran coraggio né un’inimicizia personale verso Andreotti e la Dc, che non c’è perché si tratta di avversione sul piano storico e politico: ci vuole un po’ di libertà intellettuale, che ci siamo conquistata anche difendendo Andreotti dall’ingiusto processo che gli ha rovinato la vita e che ha inquinato la storia italiana dell’ultimo decennio.

    Giuliano Ferrara su Il Foglio del 20 ottobre

    saluti

  10. #10
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    Predefinito

    In origine postato da antonio
    rapporti "politici"..con la mafia..
    ma guarda un po'...
    ------------------
    Come tutti, bamboccetto....a partire dai comunisti (quelli veri, quelli che hanno "vinto" la guerra al nazismo e al fascismo) e quelli "di lotta e di governo", per finire ai democristiani, liberali, socialdemocratici, socialisti, monarchici e pure missini.
    Ma guarda un po'!!

 

 
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