Antisemiti all’ateneo di Pisa
Solo scuse (e in ritardo) al diplomatico israeliano Ma quando può parlare?
Un gruppo di studenti ha cacciato Cohen dandogli di fascista. Molto rammarico a parole, nessun nuovo incontro fissato
Roma. L’università di Pisa è in ritardo. Ormai sono passati sei giorni da quando il consigliere dell’ambasciata d’Israele, Shai Cohen, è stato cacciato dall’aula magna della facoltà di Scienze politiche, in seguito a un’azione squadrista di un gruppo di studenti “pacifisti” che ha lanciato un messaggio violento, per lo meno a parole: “Fuori da quest’aula, altrimenti la nostra violenza si trasformerà da verbale a fisica”.
Questo silenzio imbarazzante danneggia l’immagine di uno tra i più antichi atenei d’Italia, nato nel 1343. Giovedì il professor Maurizio Vernassa ha invitato gli studenti di Storia e istituzioni dei paesi afro-asiatici ad ascoltare il diplomatico israeliano per una lezione intitolata: “Israele, l’unica democrazia in medio oriente”. Cohen non è arrivato di nascosto, è stato invitato a entrare nell’università dalla porta principale, dove si trovava un gruppo di manifestanti con kefiah al collo. “Sharon assassino, Israele boia, il sionismo è un crimine contro l’umanità”, erano alcuni degli slogan dei manifestanti, ricorda Cohen al Foglio. I cori da fuori sono entrati nell’aula magna. “Uno squadrone di oltre venti ragazzi ha cominciato a urlare verso di me: fascista, assassino, e altri insulti personali che non vorrei ripetere”. La situazione ha rischiato di diventare pericolosa, c’è mancato poco che l’attacco verbale si trasformasse in una rissa totale, che avrebbe potuto mettere in pericolo l’incolumità del diplomatico e di decine di studenti. I tentativi di altri ragazzi, pronti ad ascoltare l’ospite, di calmare i manifestanti, sono falliti. Il messaggio di terrore diretto alla direzione della facoltà è stato chiaro: “O lo cacciate oppure rimaniamo qui. Questo israeliano non apre bocca”. “Non siamo antisemiti, ma antisionisti (ndk ) – hanno precisato i manifestanti – Israele non ha diritto d’esistere”.
Il preside della facoltà di Scienze politiche, Alberto Massera, ha preso il microfono e ha annunciato: tutti a casa, incluso l’ospite. Niente polizia, niente lezioni d’ordine pubblico, niente educazione di tolleranza verso l’altro. Massera ha spiegato la sua decisione al Foglio: “In 14 anni a Pisa, soltanto una volta sono stato costretto a chiamare la polizia, quando un ragazzo si era rifugiato nel mio ufficio, perseguitato da un gruppo di studenti che lo minacciavano per le sue opinioni politiche. Questa volta il clima era molto acceso. Se avessi deciso di chiamare la polizia, in quei cinque minuti poteva accadere un disastro”.
Potrebbe ricapitare ad altri
Se è successo oggi a un ebreo israeliano, domani potrebbe accadere a qualcun’altro che non è visto bene da alcuni studenti. E’ una minaccia reale. Fonti all’interno dell’Università di Pisa confermano: “Si tratta di un gruppo radicale che i professori non vogliono affrontare perché hanno paura di finire sulla lista nera. Sanno che potrebbero essere minacciati a loro volta”. Eppure lo “squadrone” dei ragazzi della sinistra della facoltà di Scienze politiche conosce la parola democrazia. Due di loro fanno persino parte del consiglio di Facoltà.
Il giorno dopo i fatti non si è sentita alcuna voce ufficiale. Il professor Massera precisa che si è scusato con il diplomatico israeliano che è stato costretto a tornare a casa, ma non è stato presentato alcun progetto che miri a ripulire l’immagine della facoltà e dell’università. 48 ore dopo la vicenda, secondo un giornale locale (a livello nazionale soltanto il Giornale ha raccontato i fatti di Pisa), il presidente della regione Toscana, Claudio Martini, ha preso carta e penna e ha scritto al consigliere Cohen il suo rammarico. Passano altre 48 ore e anche il rettore dell’Università presenta le sue scuse, e così anche il professor Massera ieri ha scritto all’ambasciata d’Israele. Ma manca un aspetto essenziale in tutte queste lettere, che servono a poco: una proposta che dimostri che a Pisa un ebreo e un israeliano hanno il diritto di esprimersi, una data in cui si reinvita Shai Cohen e lo si fa parlare nell’università che lo ha cacciato. E poi, forse, servirà anche una giornata di studio in cui intellettuali della sinistra italiana ed europea si chiedano, insieme agli studenti, come sia stato possibile arrivare a questo punto. Se la conclusione fosse la stessa, con ragazzi che accusano altri ragazzi di essere fascisti, e loro stessi si comportano come tali, affermando che Israele non ha diritto d’esistenza e di parola, allora non ci sarà differenza tra pacifismo finto e odio radicale e vero verso gli ebrei e gli israeliani.
(Il Foglio, 20/10/2004)