Originariamente Scritto da
Jack's Return Home
Alla chiusura del congresso del Pdl Bossi era incupito e aveva le sue buone ragioni. Pur infiocchettandolo di affettuosità e di lisciate di pelo Berlusconi gli ha prospettato una sorta di benservito. Di persona ha detto che, puntando al 51%, il nuovo partito conta di non avere più bisogno di compagni di strada, manutengoli e alleanze. Ha specificato con estrema chiarezza cosa sia il suo federalismo: solidale verso il Sud, “che non frammenta le competenze, che non si occupa dei poteri”, ma che – in nome della governabilità e con una ardita evoluzione scientifica – è il paravento per il “rafforzamento dei poteri del governo centrale”. Che il federalismo non sia proprio una priorità salta fuori anche dal fatto che il termine sia stato pronunciato dal premier solo domenica e all’interno dello stesso passaggio; peggio è andato alle parole Nord e Settentrione, impiegate come connotazione identitaria solo rispettivamente due e una volta. Per contro nei due discorsi l’Italia è stata complessivamente nominata 58 volte, gli italiani 46, il Paese 28, la Patria solo 3 (un messaggio ai nuovi soci?), lo Stato 38 volte, la Nazione 7. Non una parola sull’immigrazione.
Nel discorso di venerdì, Berlusconi è stato anche estremamente chiaro sul suo rapporto con il Carroccio rivendicando con orgoglio che la funzione prima della Casa delle libertà nel 1994 fosse quella di evitare “ogni tentazione separatista”. É un passaggio che a Bossi ha sicuramente ricordato tutte le volte che – prima del 2000 - era lui a sostenerlo con toni assai più colorati e che oggi ha assunto il senso di piatto freddo di una vendetta a lungo assaporata per lo sgarro del ribaltone. Berlusconi è un uomo intelligente e determinato.
Ad altri è stato riservato il ruolo di agitare il bastone dell’inderogabilità della scelta fra il ruolo “di lotta e di governo” (Formigoni ha ribadito una cosa che la base leghista chiede da tempo) e la carota agrodolce dell’adesione della Lega al nuovo partito.
Tutti assieme hanno detto che la Lega è servita per arrivare fino a qui ma adesso, se vuole continuare a godere delle dolcezze del potere, si deve dimenticare l’autonomismo padano e tutto il resto.
Non è affatto certo che il Pdl arrivi al 51%, è anzi probabile che all’inizio perda qualcosa a vantaggio della Lega, ma è un progetto per tempi lunghi cui arrivare magari imbarcando altri soci, grazie alla legge elettorale e al referendum. La maggioranza assoluta è al momento un bel sogno ma ce n’è abbastanza per incupire uno come Bossi, che pure è abituato al gioco duro.
La Lega deve decidere cosa fare.
Può aderire tout-court al Pdl e diventarne la corrente blandamente federalista. Molti ras sarebbero già pronti: si comportano, si vestono e hanno il fenotipo da pidiellini. Fuori resterebbe qualche Storace leghista a combattere con il quorum.
Può continuare a fare il socio di minoranza sperando che il Pdl non abbia mai i numeri per fare da solo e che qualche riforma di facciata le conservi cadreghe e un minimo di consenso, in attesa che succeda qualcosa. Dovrebbe continuare a starsene buona per anni nella promessa di un federalismo fiscale sempre più virtuale e annacquato, con la spada di Damocle del referendum e il terrore di finire sotto la soglia del 4%. Una lenta agonia.
La Lega può però dissociarsi, passare all’appoggio esterno o addirittura all’abbandono della coalizione, riprendendo con vigore la bandiera dell’autonomismo separatista. Farebbe fatica: in questi anni si è liberata di tutto l’armamentario indipendentista, ha rinunciato a costruire consenso attorno ai temi della padanità, ha un quotidiano senza lettori, una televisione senza ascolti e una casa editrice che non stampa un libro da dieci anni. Difficilmente con l’attuale classe dirigente potrebbe recuperare l’astensionismo autonomista: servirebbe il radicale cambiamento di una leadership in carenza di credibilità. Nel 1969 per salvare la sua creatura politica De Gaulle si era coraggiosamente e dignitosamente fatto da parte. Bossi i suoi Pompidou, Malraux e Debré li ha però stroncati, ridotti a docili gregari o esiliati a governare qualche provincia. Per contro la Lega padanista, identitaria e liberale dalla sua ha ancora una carica ideologica e ideale straordinariamente forte che la situazione generale non potrà che rafforzare. Dopo un po’ di scossoni si rimetterebbe in movimento ma non può perdere altro tempo.
Gilberto Oneto
Libero 01/04/09
>>>LINK<<>