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    Predefinito Cinquant’anni fa Trieste tornava italiana...

    [mid]http://digilander.libero.it/luposabatini/Leggenda%20del%20Piave[1].wpl[/mid]



    Il 26 ottobre 1954 Trieste, dopo una lontananza durata nove anni, si ricongiungeva all’Italia. Quel giorno, un ufficiale italiano, il gen. Edmondo De Renzi, sostituiva, per conto dello stato italiano, il governo militare alleato che aveva gestito la città dal 12 giugno 1945, giorno nel quale la tragedia dell’occupazione jugoslava aveva finalmente termine. Si trattò dei nove anni più duri e tristi della città giuliana, segnati da lutti e da sofferenze. Oggi Trieste ricorda questo evento non solo per ricordare la propria italianità che mai un solo momento ha smesso di riaffermare, pagando anche un pesante tributo di sangue, ma anche perché è legittimo e doveroso ripercorrere le tappe della propria storia recente, affinché anche i più giovani, che quel periodo non hanno vissuto, siano consapevoli della memoria del passato, senza la quale anche il futuro sarebbe incerto. Le immagini di quel giorno di cinquant’anni or sono non bastano a rendere i sentimenti dei centocinquantamila triestini che gremivano Piazza Unità e le Rive. Trieste è una città che per tutti quei nove anni volle essere italiana. Negatole il diritto di riunirsi alla Patria, Trieste ebbe la costanza e il coraggio di resistere e di alimentare continuamente questa passione, fino a che questa venne premiata con il memorandum d’intesa firmato a Londra il 5 ottobre 1954 riunita all’Italia. Per altre città e per altre terre, quello stesso memorandum sancì però la fine delle speranze e significò il definitivo passaggio della ‘zona B’ alla Jugoslavia, passaggio poi sancito dal Trattato di Osimo del 1975.Le vicende che portarono al ricongiungimento di Trieste all’Italia danno la misura di questa volontà. Terminata la seconda guerra mondiale, il 30 aprile 1945 la città fu occupata dalle truppe del IX Corpus jugoslavo. Tito chiedeva, alla fine della guerra, il confine con l’Italia all’Isonzo e per due città, Gorizia e Trieste, iniziò una pesante altalena di opzioni. Nei quarantacinque giorni di occupazione jugoslava, Trieste ebbe a subire violenze e deportazioni che si indirizzarono verso la popolazione italiana al di là di ogni connotazione ‘politica’. La violenza colpì anche molti antifascisti che si battevano per la soluzione di Trieste all’interno dello stato italiano. La prospettiva del totalitarismo comunista, cui si ispirava la Jugoslavia di Tito, mirava non solo alla snazionalizzazione di quelle terre, ma anche alla fine della cultura e civiltà che da decenni che aveva fatto di Trieste la più bella città italiana. Per quarantacinque interminabili giorni Trieste visse il dramma delle foibe e della deportazione nei campi di concentramento jugoslavi di popolazioni inermi. In Istria, a Fiume e in Dalmazia invece questo inferno durò per mesi, costringendo più di 300 mila persone ad abbandonare quelle terre per potere mantenere la propria identità nazionale. Il 12 giugno 1945, gli Alleati costrinsero Tito a lasciare la città, che venne amministrata dal Governo Militare Alleato. La zona giuliana fu suddivisa in due zone, la Zona A sotto il diretto controllo angloamericano e la Zona B sotto quello jugoslavo. Il trattato di pace, firmato a Parigi dal governo italiano il 10 febbraio 1947, sanciva ufficialmente la suddivisione delle due zone all’interno del Territorio Libero di Trieste, una realtà politico-amministrativa che si estendeva da Duino a Cittanova d’Istria e che comprendeva 360 mila abitanti.La vita politica negli anni del G.M.A. si svolse in termini pacifici nella zona A, mentre la zona B risentì subito dell’azione jugoslava di coercizione violenta contro le comunità italiane, numerose e maggioritarie soprattutto nella costa istriana. A Trieste le elezioni amministrative del 1949 e del 1952 diedero risultati inequivocabili in merito alla volontà dei triestini di essere italiani. Il 1953 fu un anno denso di eventi, anche tragici. Dopo la Nota Bipartita dell’8 ottobre 1953, emanata dagli stati Uniti e dalla Gran Bretagna, che prevedeva il ritiro delle truppe alleate dalla zona A e la loro sostituzione con le truppe italiane, Belgrado ritenne che la sorte di Trieste fosse definitivamente compromessa e Tito decise di opporsi con durissime prese di posizione alla decisioni alleate. A queste dichiarazioni replicò il governo italiano, allora guidato da Pella, che reagì duramente alle proteste jugoslave. Si giunse così alle giornate del 3-4 novembre. Trieste era già stata segnata in marzo da violenti scontri che avevano provocato decine di feriti. Il 4 novembre, di fronte al rifiuto del comandante alleato di consentire l’esposizione della bandiera italiana al municipio della città, richiesta fatta dal sindaco Gianni Bartoli, la città insorse e negli scontri che seguirono, dal 4 al 6 novembre, si contarono sei morti tra i manifestanti, colpiti dalla polizia che reagì in maniera sproporzionata a disordini che vedevano in primo piano una folla disarmata. Già a dicembre, si avviarono trattative segrete tra gli Alleati e il governo jugoslavo per la definizione della situazione, trattative che porteranno al già ricordato Memorandum d’intesa, che definì il passaggio di Trieste all’Italia e della zona B alla Jugoslavia.Si chiudeva così la complessa vicenda del confine orientale, lasciando comunque ferite aperte, con un costo umano, le foibe e l’esodo, che non si cancellerà facilmente. La stessa situazione degli italiani rimasti oltre il confine fu oggetto di polemica, a causa delle difficoltà che le comunità italiane ebbero, per molto tempo, nel manifestare liberamente la propria identità culturale. Oggi celebrare il cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia non significa certo prevaricazione nazionalistica, ma semplicemente rispetto per la storia, la cultura, i sentimenti di un popolo. La prospettiva europea potrà ricomporre le antiche ferite, in un’ottica più vasta che tuttavia mantenga il senso dell’appartenenza culturale e delle rispettive identità nazionali e che trasformi quelle diversità che hanno determinato lutti e tragedie in reciproci arricchimenti. Non è una prospettiva semplice, ma la scommessa europea, se non si limiterà a una banale diversa gestione delle frontiere, potrà rappresentare per queste terre una importante risorsa di collaborazione e di pace.







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    Nobis ardua

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  2. #2
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    Predefinito Sei medaglie d'oro per i martiri di Trieste...



    ‘Avevo 18 anni e durante i drammatici giorni del novembre 1953 ero in piazza come tutti gli studenti triestini. Avevamo un solo slogan: Italia, Italia Italia!… A un certo punto di fronte alla chiesa di Sant’Antonio hanno cominciato a spararci. Prima ho pensato che erano colpi di avvertimento, ma poi ho visto cadere Pierino Addobbati. Aveva solo quindici anni. La polizia caricava e mi sono nascosto in chiesa dentro un confessionale…’. Così racconta la sua storia Anita Derin, che ieri ha pianto alla cerimonia del cinquantenario del ritorno della città giuliana all’Italia. Il 5 e 6 novembre 1953 furono in sei a cadere sotto i colpi dei ‘celerini’, la polizia civile ingaggiata dagli angloamericani, o dei cecchini inglesi. Da allora Anita ha mantenuto gli occhi vispi e, anche se stinto ormai dal tempo, il tricolore che ha voluto portare ieri alla cerimonia della consegna delle medaglie d’oro alla memoria dei caduti perché Trieste fosse italiana. ‘Proprio a due passi da qui – ricorda sempre Anita – passavo le pietre a Francesco Paglia e lui le lanciava contro i celerini. Il giorno dopo durante gli scontri in Piazza Unità gli hanno sparato nel petto…’.
    Davanti a migliaia di triestini e ai reparti in armi ieri il ministri Maurizio Gasparri e Mirko Tremaglia [le ‘massime cariche’ dello Stato non hanno pensato fosse il caso di scomodarsi per così poco…] hanno consegnato le medaglie d’oro ai famigliari delle vittime di allora. C’era anche Aduina Montano, figlia di Saverio che portava al collo una bandiera italiana che è divenuta poi un cimelio. Due proiettili l’hanno perforata e macchiata di sangue. La figlia diciassettenne quello stesso 6 novembre1953 scriveva al fidanzato: ‘Oggi in Piazza Unità hanno ammazzato mio papà. E’ morto da italiano…’. La salma di Addobbati sarà raccolta dal padre, medico al pronto soccorso. Leonardo Manzi, un altro caduto, aveva solo 16 anni e Antonio Zavadil è stato ucciso mentre teneva in mano la nipotina, anche lei presente ieri a Trieste. Alba Nistri ricorda infine con gioia e commozione quel 26 ottobre di cinquant’anni fa. Aveva 14 anni quando quando ha indossato gonna verde, camicetta bianca e scialle rosso per andare incontro ai bersaglieri. ‘Era quello il mio tricolore…’.
    Quando il sindaco Di Piazza pronuncia i nomi dei caduti scoppia uno scrosciante applauso che dura quasi dieci minuti. Fra i tricolori sventolavano anche le bandiere abbrunate degli esuli, fuggiti dall’Istria e dalla Dalmazia per sfuggire alla ferocia bestiale dei partigiani comunisti jugoslavi. Per loro il ritorno di Trieste all’Italia ha significato il lutto della perdita definitiva della loro terre, passate alla Jugoslavia…




    … tremila bambini di Trieste formano un gigantesco tricolore…


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  3. #3
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    Trieste è e rimarrà per sempre Italiana.

    Se penso all'Istria, mi viene da sputare fuoco contro i rossi , 'sti stronzetti hanno venduto volentieri un pezzo dell'Italia per qualche rublo in più da Mosca e qualche attenzione in più da Tito. Se fosse stato per loro, oggi il Trentino-Alto Adige sarebbe austriaco e Veneto e Friuli in mano agli slavi.

  4. #4
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    Ok lo ammetto: un pò irredentista lo sono anche io

    Orgogliosi di essere Italiani.

  5. #5
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    Predefinito

    In origine postato da Giò91
    Trieste è e rimarrà per sempre Italiana.

    Se penso all'Istria, mi viene da sputare fuoco contro i rossi , 'sti stronzetti hanno venduto volentieri un pezzo dell'Italia per qualche rublo in più da Mosca e qualche attenzione in più da Tito. Se fosse stato per loro, oggi il Trentino-Alto Adige sarebbe austriaco e Veneto e Friuli in mano agli slavi.
    Se l'Italia non avesse fatto la guerra di aggressione alla Jugoslavia la frontiera sarebbe rimasta dove fu fino al '41. Per quanto riguarda la sistemazione post-bellica dovresti pensare al fatto che gli alleati (e furono loro a decidere, mica i rossi...) optarono per il confine attuale per evitare troppe grane con i russi e gli slavi. Inoltre De Gasperi non fu esente da critiche anche da parte degli stessi esuli istriani perchè, a loro avviso, doveva insistere di più sul criterio etnico (applicabile solo alla parte occidentale dell'Istria). Ma lo statista trentino si guardò bene dal farlo perchè altrimenti lo stesso si poteva fare con l'l'Alto Adige-Sud Tirol, il quale sarebbe passato immediatamente all'Austria.
    Infine al tavolo della pace l'Italia potè avere il trattamento che ebbe grazie al ruolo di tutti coloro che resisterono al nazifascismo, perchè se fossero stati tutti come voi, la frontiera sarebbe veramente passata alle porte di Udine.

  6. #6
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    Predefinito Non più caduti di serie A e B...



    ... la guerra si è abbattuta su Trieste...

    Domani avrà luogo a Trieste il 'percorso della memoria'. Delegazioni del Comune di Trieste visiteranno i luoghi simbolo della memoria storica della città, dove un monumento commemora i caduti e le vittime che Trieste ha avuto in tragiche circostanze del secolo trascorso. Le celebrazioni cominceranno con due diversi ‘itinerari’. Il primo toccherà principalmente i comuni minori della provincia e le località del Carso triestino, partirà alle ore 9 dalla piazza di Aurisina Cave [monumenti a tutti i Caduti] per toccare quindi Aurisina Paese [monumento ai Caduti], Sgonico [monumento davanti al Municipio], Monrupino [località Zolla - monumento alle vittime del fascismo], Foiba n. 149, Poligono di Opicina, Foiba di Basovizza, Osservatorio di Basovizza [monumento ai fucilati del 1930], Cimitero di Servola [stele alle vittime del bombardamento del 1916], Risiera di San Sabba, Dolina [Parco della Memoria] e Muggia [Municipio]. Il secondo itinerario partirà dalla targa che in Piazza Unità d'Italia che ricorda i caduti del '53, proseguendo con l' omaggio ai principali luoghi del ricordo nell' ambito cittadino, tra i quali via Imbriani [caduti del 5 maggio 1945 per mano delle truppe titine], viale d' Annunzio [targa Beltramini], via Massimo d' Azeglio [caduti antinazisti del 1944], via Ghega [palazzo Rittmeyer - martiri dell' aprile '44], il cimitero austro-ungarico di Prosecco, il cimitero di Sant' Anna [con la corona grande per tutti i defunti e mazzi di fiori alle tombe degli ex sindaci Michele Miani, Gianni Bartoli, Mario Franzil, Marcello Spaccini e Deo Rossi], il Parco della Rimembranza di San Giusto, con omaggi al cippo ai Caduti della Resistenza e alla lapide ai caduti triestini della Grande Guerra combattenti nell' esercito austro-ungarico...


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    Nobis ardua

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  7. #7
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    Predefinito Maria Pasquinelli, italiana d'Italia...



    Non mi è riuscito di trovare alcuna fotografia di Maria Pasquinelli… la foto sopra però valga per rendere omaggio a questa italiana d’Italia… Dopo l’uscita dal carcere dove è rimasta per ben diciassette anni [destino non toccato, per esempio, ad alcun brigatista rosso molti dei quali sono a tutt’oggi tranquillamente in libertà….], di Maria Pasquinelli si sono perse quasi del tutto le tracce. Si dice sia entrata in convento e ne sia uscita soltanto qualche volta per partecipare in incognito ad alcuni raduni di esuli istriani…


    Il 10 febbraio 1947, a Pola, mentre il brigadiere generale Robert De Winton, comandante la 13° brigata di fanteria, ispezionava le sue truppe, una giovane donna riuscì ad avvicinarlo e a sparargli al cuore con una rivoltella. Il generale rimase ucciso all'istante. La donna non fece nessun tentativo di fuga. Maria Pasquinelli attese, sgomenta, il suo destino. Scrisse Michael Goldsmith della Associated Press che nei giorni dell'esodo un'atmosfera tesa e dolente arroventava a Pola cuori e cervelli…

    … effettivamente molti sono i colpevoli del dramma istriano. La popolazione non trova nessuno che la comprenda nei suoi sentimenti. Tra gli slavi apertamente nemici in attesa di entrare in città e gli alleati freddi ed estremamente guardinghi, gli uomini, le donne, i vecchi e i giovani di Pola sentono ogni aspirazione, ogni loro impulso, anche il più nobile e più puro, costretti entro una ferrea ed implacabile morsa. L'impopolarità degli alleati si è affiancata alla ostilità verso gli slavi. Ad essi e specie agli inglesi, gli abitanti di Pola imputano di non aver mantenuto le promesse fatte durante la guerra, sopratutto quella che all'Italia sarebbe stata accordata una pace onorevole…

    In questo clima di angoscia esplose la ribellione di Maria Pasquinelli. Indosso le fu rinvenuta una lettera, esasperata protesta per richiamare l'attenzione del mondo sul problema e sulla tragedia dell'Istria. Voleva, credendo di poter rimanere morta sul colpo, che gli italiani sapessero i motivi che l'avevano spinta a quel gesto. Maria Pasquinelli a Spalato dopo la tremenda persecuzione dei partigiani comunisti del settembre 1943 aveva esumato i cadaveri degli italiani e dato loro sepoltura. Per intere giornate, senza riposo, assistette alla lugubre e raccapricciante opera di dissotterramento per identificare le vittime e portare ai loro cari almeno la prova della loro morte. Durante la breve dominazione partigiana di Spalato fu arrestata. In prigione donne croate l'aiutarono a sfamarsi, ammirate dalla sua bontà. Lasciata Spalato, minacciata di morte, apprese a Trieste del massacro di altri 500 italiani compiuto dai partigiani di Tito nell'Istria e nella riviera del Carnaro e si incupì ancora di più. Vide lo stesso tragico destino della Dalmazia pesare sulla Venezia Giulia. Non si diede più pace.Tentò di unire fascisti e partigiani in un solo blocco. Inviò al governo di Bonomi rapporti sull'Istria. Denunciò gli errori del movimento partigiano. Invocò uno sbarco degli alleati nella penisola istriana che prevenisse un'invasione delle armate di Tito, avendo chiara la visione che il pericolo per la Venezia Giulia non fosse la Germania destinata alla sconfitta ed al crollo ma l'avanzata degli slavi. Ritornò a Trieste dopo l'occupazione di Tito con lo scopo di diffondere la conoscenza del problema giuliano nel resto d'Italia. Confidò nella giustizia dei Quattro Grandi. Ma quando ogni speranza venne meno con la firma del trattato e vide Trieste sacrificata e tanta parte dell'Istria condannata alle foibe e alla deportazione e lo scempio di Pola, il suo animo non resse più. Sparò, uccise, gridò al mondo la sua protesta contro l'ingiustizia che si commetteva nei confronti dell'Italia.
    Imputata di omicidio premeditato, fu trasportata a Trieste per essere giudicata dall'Alta corte militare alleata. Si è saputo poi che a Trieste era stato preparato un piano per liberarla, ma che Maria Pasquinelli ricusò. Considerava spregevole la condotta di chi, dopo aver compiuto un atto terroristico, cerchi di sottrarsi con la fuga al suo destino. Affrontò serenamente il giudizio. Si riconobbe colpevole. Il presidente della corte, nonostante l'ammissione dell'imputata, volle che il dibattimento si svolgesse ugualmente. Maria Pasquinelli non rinnegò il suo gesto. ‘Colpendo il comandante della piazza di Pola non ho inteso colpire l'uomo e nemmeno la divisa. La divisa inglese, come tutte le divise, rappresenta una patria e perciò mi è sacra. Solo perchè rappresentava i Quattro Grandi, in segno di protesta per il tratttato di pace, io l'ho colpito…’.
    Quando il suo difensore le chiese come avesse potuto superare i suoi scrupoli religiosi nel determinarsi a uccidere il generale Winton, Maria Pasquinelli rispose che molto meditò per cercare di risolvere il problema religioso, ma che, incapace, si raccomandò all'infinita misericordia di Dio. ‘Forse, disse, ho amato l'Italia anche più della mia anima’.
    Il giorno della sentenza una grande folla stipava, ansiosa, l'aula del tribunale. La corte, dopo breve permanenza in camera di consiglio, concludeva con l'affermazione che l'accusata aveva ucciso senza giustificazione o scusante logica. Nel silenzio, pieno d'angoscia, Maria Pasquinelli, ha atteso calma la sua sentenza di morte. Grande è stata la commozione nell'aula. Donne piangevano e chiamavano per nome la condannata. Vivissima impressione in città. Il cuore di Trieste si è sentito vicino a Maria Pasquinelli. A pochi passi da quel tribunale era stata eretta, nel 1882, la forca per Guglielmo Oberdan. Questo è scritto nella lettera che Maria portava indosso il 10 febbraio 1947, allorché fu arrestata, subito dopo che ebbe sparato al generale De Wilton uccidendolo all’istante…


    … seguendo l'esempio dei 600.000 Caduti nella guerra di redenzione 1915-18, sensibile come Sauro all'appello di Oberdan, cui si aggiungono le invocazioni strazianti di migliaia di giuliani infoibati dagli jugoslavi, dal settembre 1943 a tutt'oggi, solo perché rei di italianità, a Pola irrorata dal sangue di Sauro, capitale dell'Istria martire, riconfermo l'indissolubilità del vincolo che lega la madre Patria alle italianissime terre di Zara, di Fiume, della Venezia Giulia, eroici nostri baluardi contro il panslavismo minacciante tutta la civiltà occidentale...

    Mi ribello, con il proposito fermo, di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi, i quali, alla conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d'Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o, con la più fredda consapevolezza che è correità, al giogo jugoslavo, oggi sinonimo per le nostre genti, indomabilmente italiane, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio…



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    Nobis ardua

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  8. #8
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    In origine postato da fischiailvento
    Se l'Italia non avesse fatto la guerra di aggressione alla Jugoslavia la frontiera sarebbe rimasta dove fu fino al '41. Per quanto riguarda la sistemazione post-bellica dovresti pensare al fatto che gli alleati (e furono loro a decidere, mica i rossi...) optarono per il confine attuale per evitare troppe grane con i russi e gli slavi. Inoltre De Gasperi non fu esente da critiche anche da parte degli stessi esuli istriani perchè, a loro avviso, doveva insistere di più sul criterio etnico (applicabile solo alla parte occidentale dell'Istria). Ma lo statista trentino si guardò bene dal farlo perchè altrimenti lo stesso si poteva fare con l'l'Alto Adige, il quale sarebbe passato immediatamente all'Austria.
    Infine al tavolo della pace l'Italia potè avere il trattamento che ebbe grazie al ruolo di tutti coloro che resisterono al nazifascismo, perchè se fossero stati tutti come voi, la frontiera sarebbe veramente passata alle porte di Udine.
    sì, grosso modo è la verità.

    per quanto precisiamo che fu indegno il comportamento di quei camalli italiani comunisti che sputavano addosso ai profughi istriani che attraccavano in Italia perchè erano fuggiti dal"paradiso socialista" jugoslavo.

  9. #9
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    In origine postato da fischiailvento
    Se l'Italia non avesse fatto la guerra di aggressione alla Jugoslavia la frontiera sarebbe rimasta dove fu fino al '41. Per quanto riguarda la sistemazione post-bellica dovresti pensare al fatto che gli alleati (e furono loro a decidere, mica i rossi...) optarono per il confine attuale per evitare troppe grane con i russi e gli slavi. Inoltre De Gasperi non fu esente da critiche anche da parte degli stessi esuli istriani perchè, a loro avviso, doveva insistere di più sul criterio etnico (applicabile solo alla parte occidentale dell'Istria). Ma lo statista trentino si guardò bene dal farlo perchè altrimenti lo stesso si poteva fare con l'l'Alto Adige-Sud Tirol, il quale sarebbe passato immediatamente all'Austria.
    Infine al tavolo della pace l'Italia potè avere il trattamento che ebbe grazie al ruolo di tutti coloro che resisterono al nazifascismo, perchè se fossero stati tutti come voi, la frontiera sarebbe veramente passata alle porte di Udine.
    Già, se il "duce" non avesse fatto la fesseria di entrare in guerra a fianco della Germania "per portare qualche migliaia di morti al tavolo della pace" pensando che la guerra fosse già vinta (IDENTICO errore fatto dal Banana quando ha deciso di inviare le nostre truooe in Iraq...) a quest'ora i confini dell'Italia sarebbero un po' più in là. Ma questo "dettaglio" i destri si dimenticano sempre di ricordarlo...

  10. #10
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    In origine postato da beppe2
    Già, se il "duce" non avesse fatto la fesseria di entrare in guerra a fianco della Germania "per portare qualche migliaia di morti al tavolo della pace" pensando che la guerra fosse già vinta (IDENTICO errore fatto dal Banana quando ha deciso di inviare le nostre truooe in Iraq...) a quest'ora i confini dell'Italia sarebbero un po' più in là. Ma questo "dettaglio" i destri si dimenticano sempre di ricordarlo...
    Perché dici? Secondo me è vero. Anche se poi, nel dopoguerra (sempre ammesso che la nostra neutralità resistesse fino al '45) avremmo comunque dovuto fare i conti con i Rossi, nostrani e Titini.
    E non mi dite che sarebbero stati meno feroci, perché i metodi di Tito li conosciamo bene.

 

 
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