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    Predefinito Usa 2004: i luoghi comuni spazzati via dal voto

    Usa 2004: i luoghi comuni spazzati via dal voto

    di Stefano Magni

    1) I ricchi votano Bush, i poveri votano Kerry

    E’ il classico schema marxista, secondo cui il voto dipende dagli interessi di classe. Nelle elezioni che hanno portato alla vittoria di Bush è stato nuovamente smentito.I ricchissimi hanno votato per Kerry: nei quartieri ricchi, nel cuore della finanza americana di Manhattan, l’80 percento dell’elettorato ha optato per il candidato di sinistra.

    Prima delle elezioni, la rivista Slate aveva riportato un sondaggio sul voto delle persone più ricche d’America: I risultati parlavano chiaro: Bush è preferito dalla media borghesia e dai milionari minori (quelli con un patrimonio che arriva fino a 10 milioni di dollari), mentre Kerry risulta il preferito in assoluto fra i multi-milionari (quelli con un patrimonio superiore a 10 milioni di dollari). Quasi il 60 percento dell’alta e altissima borghesia americana ha espresso la sua preferenza per il candidato democratico. George Soros, Warren Buffet, Peter Lewis e 200 altri manager e businessman delle grandi compagnie americane hanno dato il loro “endorsment” a Kerry.

    C’è una logica dietro questa preferenza: i ricchi veramente ricchi non si preoccupano di pagare più tasse, cosa che, invece, preoccupa moltissimo gli elettori meno abbienti. Essere ricchissimi, in America, spinge spesso al mecenatismo e alla filantropia, aiuta a sviluppare una mentalità più propensa al sociale e quindi non ci si deve stupire che molti ricchissimi d’America siano più portati ad appoggiare politiche sociali piuttosto che “egoistiche” politiche liberiste come quelle proposte da Bush.


    C’è però anche un’altra spiegazione, che è quella che fa luce sul perché le teorie marxiste del voto sono sempre fallite: gli uomini votano in base alle proprie idee e non in base alla loro classe sociale.

    2) I giovani si mobiliteranno in massa per votare Kerry

    I sondaggisti prevedevano, e gli osservatori erano pronti a registrare, un voto massiccio di giovani a favore del candidato democratico. Kerry aveva corteggiato in tutti i modi i cittadini americani minori di 24 anni, quelli che votavano per la prima o la seconda volta in vita loro. Aveva mobilitato le figlie, sua sorella Diana e molti attori di Hollywood. “Siamo l’arma segreta degli Stati Uniti e possiamo determinare un cambiamento. Muovetevi e votate, perché sono le nostre vite ad essere in gioco.

    Ora come ora il nostro Paese è confuso e John Kerry e John Edwards, come mi suggerisce il mio istinto femminile, ci possono guidare là dove abbiamo bisogno di andare” aveva dichiarato, alla chiusura della campagna elettorale la giovane attrice/militante democratica Kirsten Dunst di fronte ad una platea di donne e giovani.

    Per impressionare maggiormente l’elettorato giovane, i Democratici avevano fatto credere che, in caso di vittoria di Bush, sarebbe stato reintrodotto il servizio militare obbligatorio.


    Nessun repubblicano ha mai detto nulla di simile: Rumsfeld stesso ha sempre escluso questa possibilità. Nonostante minacce e blandizie, però, la mobilitazione dei giovani non c’è stata. Peggio ancora, per Kerry: c’è stata parzialmente, ma i giovani non si sono affatto rivelati quell’“arma segreta” in cui i democratici riponevano così tanta fiducia. La percentuale di elettori giovani si è aggirata sul 10 percento, quindi non superiore rispetto a quella del voto giovanile alle elezioni del 2000.

    Il grosso dei giovani che non sono andati a votare, non lo ha fatto per apatia, ma per scelta: perché insoddisfatti da entrambi i candidati. I giovani più impegnati e attenti ai valori morali sono andati a votare per Bush: merito della mobilitazione effettuata dalle chiese protestanti e cattolica. Molti altri hanno votato per Bush semplicemente perché condividevano gran parte del suo programma: come qualsiasi elettore, d’altronde.


    3) L’alta affluenza alle urne favorirà i Democratici

    La seconda “arma segreta” democratica doveva essere la mobilitazione massiccia del popolo americano. Un luogo comune molto diffuso in Europa (e a quanto pare anche in America) vuole che le elezioni americane siano decise da pochi uomini potenti e dalle loro lobbies ed è questo che favorisce Bush e i suoi petrolieri. Il voto di una gran massa di elettori del popolo, secondo molti, avrebbe permesso la riaffermazione del partito più progressista. L’affluenza alle urne è stata da record: 120 milioni di Americani, un po’ più del 60 percento dell’elettorato.

    Era dal 1968 che non si registrava un’affluenza così alta. Però non ha vinto Kerry: gli elettori hanno votato in massa per Bush, che è nettamente in testa nel voto popolare, oltre che in quello degli Stati, con tre milioni e mezzo di voti di vantaggio. Gli Stati in cui si è registrato l’aumento più vertiginoso di elettori (Tennessee, Virginia, South Carolina e Florida) hanno votato per Bush. Dunque l’immagine di un partito repubblicano appoggiato da ristrette élite e favorito dall’apatia degli elettori democratici, è stata completamente rovesciata dall’evidenza delle urne.

    4) Gli ebrei votano Bush

    nche questo è un luogo comune molto diffuso in Europa, ma dimostratosi completamente falso nelle ultime elezioni. Prima di tutto è falsa l’immagine di una unica e compatta lobby ebraica che sostiene Israele e i presidenti filo-israeliani: le lobbies ebraiche sono due e quella democratica è tradizionalmente più forte di quella repubblicana. Steven Spielberg, Barbara Streisand, il già citato George Soros e Noam Chomsky, giusto per citare i più famosi, sono Ebrei che non fanno mistero di votare a sinistra. Con loro si schiera il 78 percento della comunità ebraica americana, che, a quanto risulta dai sondaggi più attendibili, ha optato per Kerry.

    Solo 22 percento degli Ebrei americani ha votato per Bush, cioè il 3 percento in più rispetto agli elettori ebrei che nel 2000 avevano votato a destra. Si tende a pensare che gli Ebrei votino per Bush, perché, nella mente di un Europeo, domina l’equazione Ebreo=capitalista=filo-israeliano=repubblicano. Niente di più lontano dalla realtà, dunque. E’ in Israele, semmai, che Bush risulta più popolare di Kerry. Israele: la patria degli Ebrei meno ricchi, dove la popolazione che vive al di sotto della soglia di sussistenza inizia a giungere al 30 percento. In quel Paese, la maggioranza assoluta avrebbe votato repubblicano, se avesse potuto.

    Il dato della bassissima percentuale di voti ebraici a Bush smentisce altri due pregiudizi molto diffusi in Europa: che è la lobby ebraica a dettare la politica estera di Bush e che la comunità ebraica è la più potente negli Stati Uniti, tanto da essere in grado di determinare la vittoria dell’uno o dell’altro candidato. L’espansione della democrazia è un’utopia ed è impopolare

    E’ l’idea che ci si fa guardando “Fahrenheit 9-11”: gli Americani sarebbero una popolazione esasperata da una “guerra inutile” che drena risorse e miete vittime innocenti fra i giovani americani. Sarebbero una popolazione inorridita da Abu Ghraib dalle condizioni in cui i miliziani talebani e iracheni prigionieri sono tenuti nelle carceri di Guantanamo. Tuttavia, come rivela lo stesso sondaggista più a sinistra degli Stati Uniti, Zogby, proprio su questi temi gli Americani sono con Bush.

    La maggioranza assoluta si è schierata con il presidente repubblicano per l’Iraq, ritiene irrilevante la questione dei prigionieri (anzi: più del 60% era d’accordo con la loro detenzione e non si interessa più di tanto agli scandali di Abu Ghraib) ed accetta l’idea di rimanere in Iraq finché la situazione non sarà stabilizzata. Il voto massiccio espresso dal popolo americano a favore di Bush, il presidente che più di tutti gli altri parla di espandere la democrazia lì dove non c’è ancora, dimostra che questa idea, in fondo, piace agli Americani, tanto da far sopportare loro anche gravi sacrifici.

    La conferma migliore della giustezza di questa idea, comunque, era arrivata, lo stesso giorno della vittoria di Bush, dalla lontana Asia meridionale: il 3 novembre Kharzai è stato confermato presidente dell’Afghanistan, eletto dalla maggioranza assoluta del 70 percento degli aventi diritto al voto, donne e uomini maggiorenni. E tutto questo in un Paese che, prima dell’intervento militare di Bush, non aveva mai conosciuto né presidenti, né libere elezioni, ma solo dittature e totalitarismo, negazione dei diritti più elementari e segregazioni delle donne

    5) Legame euroatlantico

    Il voto negli Stati Uniti è letteralmente un pugno nello stomaco per gli osservatori europei: dimostra che l’immagine che ci siamo fatti degli Stati Uniti, qui in Europa, è completamente falsa.

    Dimostra anche che l’idea di America che domina fra gli intellettuali e le celebrità americane più vicini alla mentalità europea, è condivisa solo da una élite di Americani e non dalla massa.

    Ma soprattutto mette in luce qualcosa di ancora più inquietante: che in Europa ci si è fatti un’idea dell’America fondata su pregiudizi antidemocratici.

    Tutti i luoghi comuni che circolavano prima delle elezioni, infatti, se sviscerati attentamente, sono istintivamente, profondamente, anti-democratici.

    Credere che poche lobbies possano determinare la vittoria di un presidente e che un voto più popolare possa cambiare completamente lo scenario politico è illogico.

    Significa che non si vuole riconoscere l’evidenza di un presidente eletto dalla fiducia, attiva o passiva, di milioni di individui diversi, mossi da ragioni razionali o istintive.

    Una democrazia in cui votano 120 milioni di persone non può essere controllata da poche grandi lobbies, da pochi grandi ricchi.

    Soprattutto si è dimostrata irrazionale e frutto di pregiudizi l’idea che una minoranza di 6 milioni di Ebrei, di tutte le tendenze, possa determinare l’esito elettorale americano.

    Queste elezioni dimostrano che certe categorizzazioni tipiche di una mentalità marxista (“donne”, “giovani”, “ricchi”, “poveri”) non hanno senso in termini elettorali.

    Gli Americani hanno votato in modo trasversale spezzando ognuna di queste categorie, dimostrando che si vota in base alle proprie idee, indipendentemente dalla razza, dalla classe, dall’età e persino dalla religione, dato che, sia i cattolici che i protestanti hanno votato per Bush a larga maggioranza.

    Si sono dimostrati solo pregiudizi anti-democratici anche quelli riguardanti la politica estera di Bush.

    Credere che l’esportazione della democrazia non sia voluto dagli Americani è falso e l’elettorato ha optato in modo chiaro per un presidente che fonda su questo il suo programma di politica estera.

    La missione salvifica dell’America nel mondo non è solo una “folle” idea di un presidente “fanatico”, ma, evidentemente, è l’idea dominante nel popolo americano.


    Stefano Magni


  2. #2
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    Il fattore "c" della sinistra

    di Ferruccio Formentini

    La vittoria dei democratici avrebbe fatto presto calare un grande freddo sugli entusiasmi per Kerry degli ex ulivisti, oggi gadiani. Il neo presidente statunitense per tenere fede alle promesse elettorali sulla guerra irachena doveva procurare una grossa delusione a tutto il centro sinistra nostrano.

    Come schiettamente preannunciato in campagna elettorale, agli italiani toccava l’obbligo di fornire un numero ben più elevato di soldati freschi per permettere il rientro in patria a un po’ di giovani yankee ormai super affaticati.

    Gradito anche un bel mucchio di quattrini scuciti dagli alleati, ovvero noialtri, per raffreddare i troppi costi della pacificazione irachena che pesano in gran parte sulle spalle dei contribuenti americani.



    Berlusconi, per accontentare queste richieste, in parlamento doveva chiedere l’assenso dell’opposizione precipitandola nel più profondo scoramento, stretta tra l’amore per Kerry e un pacifismo senza se, senza ma e fresco di una recente mozione, voluta dal leader maximo Prodi, per il rientro immediato delle truppe italiane.

    Il prodiano fattore “c” anche questa volta li ha salvati da un quasi disastro: ha vinto Bush.

    Ferruccio Formentini


  3. #3
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    Abbattere la Fabbrica Delle BALLE che il CentroSinistra spaccia quotidianamente...

  4. #4
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    In origine postato da peppe


    Abbattere la Fabbrica Delle BALLE che il CentroSinistra spaccia quotidianamente...
    =====
    per un meraviglioso futuro della nostra classe lavoratrice dovete invece bervi e digerire solo le balle della destra
    su questo forum è meglio non rispondere ai fessi!
    voi nazifascisti di oggi e i vostri servi siete solo gli ayatollah E I TALEBANI dell'occidente..

  5. #5
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    Ora che il mito della gioventù di sinistra è definitivamente naufragato anche nel Paese dove è sorto la vedo dura per i sinistri nostrani...

  6. #6
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    Predefinito Re: Usa 2004: i luoghi comuni spazzati via dal voto

    In origine postato da peppe
    Usa 2004: i luoghi comuni spazzati via dal voto

    di Stefano Magni

    1) I ricchi votano Bush, i poveri votano Kerry

    E’ il classico schema marxista, secondo cui il voto dipende dagli interessi di classe. Nelle elezioni che hanno portato alla vittoria di Bush è stato nuovamente smentito.I ricchissimi hanno votato per Kerry: nei quartieri ricchi, nel cuore della finanza americana di Manhattan, l’80 percento dell’elettorato ha optato per il candidato di sinistra.

    Prima delle elezioni, la rivista Slate aveva riportato un sondaggio sul voto delle persone più ricche d’America: I risultati parlavano chiaro: Bush è preferito dalla media borghesia e dai milionari minori (quelli con un patrimonio che arriva fino a 10 milioni di dollari), mentre Kerry risulta il preferito in assoluto fra i multi-milionari (quelli con un patrimonio superiore a 10 milioni di dollari). Quasi il 60 percento dell’alta e altissima borghesia americana ha espresso la sua preferenza per il candidato democratico. George Soros, Warren Buffet, Peter Lewis e 200 altri manager e businessman delle grandi compagnie americane hanno dato il loro “endorsment” a Kerry.

    C’è una logica dietro questa preferenza: i ricchi veramente ricchi non si preoccupano di pagare più tasse, cosa che, invece, preoccupa moltissimo gli elettori meno abbienti. Essere ricchissimi, in America, spinge spesso al mecenatismo e alla filantropia, aiuta a sviluppare una mentalità più propensa al sociale e quindi non ci si deve stupire che molti ricchissimi d’America siano più portati ad appoggiare politiche sociali piuttosto che “egoistiche” politiche liberiste come quelle proposte da Bush.


    C’è però anche un’altra spiegazione, che è quella che fa luce sul perché le teorie marxiste del voto sono sempre fallite: gli uomini votano in base alle proprie idee e non in base alla loro classe sociale.

    2) I giovani si mobiliteranno in massa per votare Kerry

    I sondaggisti prevedevano, e gli osservatori erano pronti a registrare, un voto massiccio di giovani a favore del candidato democratico. Kerry aveva corteggiato in tutti i modi i cittadini americani minori di 24 anni, quelli che votavano per la prima o la seconda volta in vita loro. Aveva mobilitato le figlie, sua sorella Diana e molti attori di Hollywood. “Siamo l’arma segreta degli Stati Uniti e possiamo determinare un cambiamento. Muovetevi e votate, perché sono le nostre vite ad essere in gioco.

    Ora come ora il nostro Paese è confuso e John Kerry e John Edwards, come mi suggerisce il mio istinto femminile, ci possono guidare là dove abbiamo bisogno di andare” aveva dichiarato, alla chiusura della campagna elettorale la giovane attrice/militante democratica Kirsten Dunst di fronte ad una platea di donne e giovani.

    Per impressionare maggiormente l’elettorato giovane, i Democratici avevano fatto credere che, in caso di vittoria di Bush, sarebbe stato reintrodotto il servizio militare obbligatorio.


    Nessun repubblicano ha mai detto nulla di simile: Rumsfeld stesso ha sempre escluso questa possibilità. Nonostante minacce e blandizie, però, la mobilitazione dei giovani non c’è stata. Peggio ancora, per Kerry: c’è stata parzialmente, ma i giovani non si sono affatto rivelati quell’“arma segreta” in cui i democratici riponevano così tanta fiducia. La percentuale di elettori giovani si è aggirata sul 10 percento, quindi non superiore rispetto a quella del voto giovanile alle elezioni del 2000.

    Il grosso dei giovani che non sono andati a votare, non lo ha fatto per apatia, ma per scelta: perché insoddisfatti da entrambi i candidati. I giovani più impegnati e attenti ai valori morali sono andati a votare per Bush: merito della mobilitazione effettuata dalle chiese protestanti e cattolica. Molti altri hanno votato per Bush semplicemente perché condividevano gran parte del suo programma: come qualsiasi elettore, d’altronde.


    3) L’alta affluenza alle urne favorirà i Democratici

    La seconda “arma segreta” democratica doveva essere la mobilitazione massiccia del popolo americano. Un luogo comune molto diffuso in Europa (e a quanto pare anche in America) vuole che le elezioni americane siano decise da pochi uomini potenti e dalle loro lobbies ed è questo che favorisce Bush e i suoi petrolieri. Il voto di una gran massa di elettori del popolo, secondo molti, avrebbe permesso la riaffermazione del partito più progressista. L’affluenza alle urne è stata da record: 120 milioni di Americani, un po’ più del 60 percento dell’elettorato.

    Era dal 1968 che non si registrava un’affluenza così alta. Però non ha vinto Kerry: gli elettori hanno votato in massa per Bush, che è nettamente in testa nel voto popolare, oltre che in quello degli Stati, con tre milioni e mezzo di voti di vantaggio. Gli Stati in cui si è registrato l’aumento più vertiginoso di elettori (Tennessee, Virginia, South Carolina e Florida) hanno votato per Bush. Dunque l’immagine di un partito repubblicano appoggiato da ristrette élite e favorito dall’apatia degli elettori democratici, è stata completamente rovesciata dall’evidenza delle urne.

    4) Gli ebrei votano Bush

    nche questo è un luogo comune molto diffuso in Europa, ma dimostratosi completamente falso nelle ultime elezioni. Prima di tutto è falsa l’immagine di una unica e compatta lobby ebraica che sostiene Israele e i presidenti filo-israeliani: le lobbies ebraiche sono due e quella democratica è tradizionalmente più forte di quella repubblicana. Steven Spielberg, Barbara Streisand, il già citato George Soros e Noam Chomsky, giusto per citare i più famosi, sono Ebrei che non fanno mistero di votare a sinistra. Con loro si schiera il 78 percento della comunità ebraica americana, che, a quanto risulta dai sondaggi più attendibili, ha optato per Kerry.

    Solo 22 percento degli Ebrei americani ha votato per Bush, cioè il 3 percento in più rispetto agli elettori ebrei che nel 2000 avevano votato a destra. Si tende a pensare che gli Ebrei votino per Bush, perché, nella mente di un Europeo, domina l’equazione Ebreo=capitalista=filo-israeliano=repubblicano. Niente di più lontano dalla realtà, dunque. E’ in Israele, semmai, che Bush risulta più popolare di Kerry. Israele: la patria degli Ebrei meno ricchi, dove la popolazione che vive al di sotto della soglia di sussistenza inizia a giungere al 30 percento. In quel Paese, la maggioranza assoluta avrebbe votato repubblicano, se avesse potuto.

    Il dato della bassissima percentuale di voti ebraici a Bush smentisce altri due pregiudizi molto diffusi in Europa: che è la lobby ebraica a dettare la politica estera di Bush e che la comunità ebraica è la più potente negli Stati Uniti, tanto da essere in grado di determinare la vittoria dell’uno o dell’altro candidato. L’espansione della democrazia è un’utopia ed è impopolare

    E’ l’idea che ci si fa guardando “Fahrenheit 9-11”: gli Americani sarebbero una popolazione esasperata da una “guerra inutile” che drena risorse e miete vittime innocenti fra i giovani americani. Sarebbero una popolazione inorridita da Abu Ghraib dalle condizioni in cui i miliziani talebani e iracheni prigionieri sono tenuti nelle carceri di Guantanamo. Tuttavia, come rivela lo stesso sondaggista più a sinistra degli Stati Uniti, Zogby, proprio su questi temi gli Americani sono con Bush.

    La maggioranza assoluta si è schierata con il presidente repubblicano per l’Iraq, ritiene irrilevante la questione dei prigionieri (anzi: più del 60% era d’accordo con la loro detenzione e non si interessa più di tanto agli scandali di Abu Ghraib) ed accetta l’idea di rimanere in Iraq finché la situazione non sarà stabilizzata. Il voto massiccio espresso dal popolo americano a favore di Bush, il presidente che più di tutti gli altri parla di espandere la democrazia lì dove non c’è ancora, dimostra che questa idea, in fondo, piace agli Americani, tanto da far sopportare loro anche gravi sacrifici.

    La conferma migliore della giustezza di questa idea, comunque, era arrivata, lo stesso giorno della vittoria di Bush, dalla lontana Asia meridionale: il 3 novembre Kharzai è stato confermato presidente dell’Afghanistan, eletto dalla maggioranza assoluta del 70 percento degli aventi diritto al voto, donne e uomini maggiorenni. E tutto questo in un Paese che, prima dell’intervento militare di Bush, non aveva mai conosciuto né presidenti, né libere elezioni, ma solo dittature e totalitarismo, negazione dei diritti più elementari e segregazioni delle donne

    5) Legame euroatlantico

    Il voto negli Stati Uniti è letteralmente un pugno nello stomaco per gli osservatori europei: dimostra che l’immagine che ci siamo fatti degli Stati Uniti, qui in Europa, è completamente falsa.

    Dimostra anche che l’idea di America che domina fra gli intellettuali e le celebrità americane più vicini alla mentalità europea, è condivisa solo da una élite di Americani e non dalla massa.

    Ma soprattutto mette in luce qualcosa di ancora più inquietante: che in Europa ci si è fatti un’idea dell’America fondata su pregiudizi antidemocratici.

    Tutti i luoghi comuni che circolavano prima delle elezioni, infatti, se sviscerati attentamente, sono istintivamente, profondamente, anti-democratici.

    Credere che poche lobbies possano determinare la vittoria di un presidente e che un voto più popolare possa cambiare completamente lo scenario politico è illogico.

    Significa che non si vuole riconoscere l’evidenza di un presidente eletto dalla fiducia, attiva o passiva, di milioni di individui diversi, mossi da ragioni razionali o istintive.

    Una democrazia in cui votano 120 milioni di persone non può essere controllata da poche grandi lobbies, da pochi grandi ricchi.

    Soprattutto si è dimostrata irrazionale e frutto di pregiudizi l’idea che una minoranza di 6 milioni di Ebrei, di tutte le tendenze, possa determinare l’esito elettorale americano.

    Queste elezioni dimostrano che certe categorizzazioni tipiche di una mentalità marxista (“donne”, “giovani”, “ricchi”, “poveri”) non hanno senso in termini elettorali.

    Gli Americani hanno votato in modo trasversale spezzando ognuna di queste categorie, dimostrando che si vota in base alle proprie idee, indipendentemente dalla razza, dalla classe, dall’età e persino dalla religione, dato che, sia i cattolici che i protestanti hanno votato per Bush a larga maggioranza.

    Si sono dimostrati solo pregiudizi anti-democratici anche quelli riguardanti la politica estera di Bush.

    Credere che l’esportazione della democrazia non sia voluto dagli Americani è falso e l’elettorato ha optato in modo chiaro per un presidente che fonda su questo il suo programma di politica estera.

    La missione salvifica dell’America nel mondo non è solo una “folle” idea di un presidente “fanatico”, ma, evidentemente, è l’idea dominante nel popolo americano.


    Stefano Magni

    Si'. E ne vorrei aggiungere uno: Il mito della "serieta" e completezza di certe fonti informative,come l'ANSA ,la stampa ,americana o italiana e tanti canali televisivi,americani ed italiani. Il mito della "serieta' " e credibilita' di questo pietoso ,limitatissimo,ignorantissimo,giornalismo mondiale.

  7. #7
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    dal quotidiano LIBERO di oggi

    " L’America è il paradiso di credenti ed elettricisti

    di ALESSANDRO GNOCCHI MILANO

    Stupore, sconcerto, delusione. I giornali italiani, e i loro autorevoli corrispondenti dagli Usa, non si capacitano. Il giorno prima della vittoria di Bush, l’America è un Paese meraviglioso. Il trionfo di Kerry è imminente. Il giorno dopo la vittoria di Bush, l’America è bigotta, moralista e reazionaria. Furio Colombo [ ] approfondisce l’analisi: negli Usa ci sono « decine di milioni di osservanti che credono letteralmente nella Bibbia... che ripudiano quasi tutti gli aspetti delle scienze e della cultura » . Il problema è l’ignoranza, insomma. Com’è possibile che i corrispondenti si siano sbagliati così clamorosamente? E che America ci hanno raccontato in questi anni? All’indomani delle elezioni, “ Libero” ha proposto di riportarli in Italia e di ingaggiare qualcuno che conosca davvero l’America: il giornalista e scrittore Tom Wolfe. Detto, fatto. Noi stessi abbiamo ingaggiato TomWolfe. E abbiamo speso solo 17 euro, il prezzo di “ Hooking Up” raccolta di articoli pubblicata negli Usa nel 2000 (“ La bestia umana”, Mondadori). La borghesia e il voto Che la realtà e le aspirazioni delle classi medio basse siano cambiate radicalmente non è proprio una novità dell’ultima ora. Che forse non volessero votare Kerry non era imprevedibile. Scrive Wolfe nella “ Bestia umana”, immaginando di guardare a posteriori l’America del 2000: « Nel 2000, il termine “ classe operaia” era ormai superato negli Stati Uniti, e “ proletariato” era così obsoleto da risultare familiare soltanto a un esiguo numero di vecchi e avviliti accademici marxisti con i peli sulle orecchie. L’elettricista medio, il tecnico dell’aria condizionata, o quello che ripara i sistemi d’allarme, viveva una vita che avrebbe lasciato senza fiato il Re Sole. Passava le vacanze a Puerto Vallarta, alle Barbados o a St Kitts. Prima di cena si sedeva sulla terrazza di un hotel panoramico insieme alla terza moglie, indossando una camicia alla Ricky Martin aperta fino allo sterno, in modo da consentire alle sue catene d’oro di sfavillare tra i peli del torace » . Secondo il nostro corrispondente, il tecnico dell’aria condizionata « realizzava il sogno di Saint- Simon e degli altri socialisti dell’Ottocento, è cioè che un giorno un qualsiasi lavoratore avesse la libertà politica e personale, il tempo libero e la possibilità di esprimersi in qualunque modo ritenesse opportuno » . In quanto alle minoranze etniche, arruolate frettolosamente dai giornali italiani tra i democratici, Wolfe fa notare che negli Usa « una persona di qualunque razza o etnia... poteva ottenere il governo di una città americana » . Non è poco per minoranze che si vogliono sempre e comunque o p p re s s e . Dio gode di ottima salute Per i corrispondenti italiani, la notizia che l’America è un Paese di credenti è stato un fulmine a ciel sereno. Eppure, pochi mesi fa, Samuel Huntington ( lo studioso di geopolitica autore de “ Lo scontro delle civiltà”) pubblicò un articolo sul Wall Street Journal dal quale risultava che gli Usa sono lo stato più religioso del mondo. La perdita dei valori cristiani, secondo Huntington, è un fenomeno che riguarda « segmenti delle élite intellettuali, accademiche e dei mass media, ma non la massa del popolo americano » . Il nostro corrispondente, TomWolfe, ne era già al corrente nel 2000. E tentava di spiegare la rinascita del sentimento religioso con un’inchiesta a tutto campo sulla neuroscienza. I successi nello studio del cervello umano diffondono l’idea che nell’uomo tutto sia rigidamente preordinato: comportamenti, attitudini, gusti. La conseguenza? L’uomo si sente annegare nel nulla. E mentre annaspa « si accorge che sotto di lui nuota qualcosa di enorme e liscio che lo solleva... Non vede cos’è, ma resta profondamente colpito. Lo chiama Dio » . L’ i n t e l l e t t u a l e Il nostro corrispondente non ha dubbi: l’intellettuale tipo non ha i mezzi per capire la realtà. Non è disposto a « farsi carico del pesante compito di documentarsi... Indigna - zione nei confronti di chi detiene il potere e degli stupidi borghesi che eseguono i loro ordini, è tutto lì quello di cui ha bisogno » . Tramontato il marxismo, scomparso il proletariato, l’intellettuale diventa il benefattore ideologico delle minoranze. Senza conoscerle e senza che queste si curino minimamente di lui. L’intellettuale vuole educare le masse smascherando « le cosiddette verità dei tirapiedi, quelle che gli “ scemi” coltiv ano nella loro ignoranza » . Ma che cosa vuole veramente l’intellettuale tipo? Un cambiamento? Aiutare i paraproletari di cui si autoproclama benefattore? « In fondo al cuore qualunque intellettuale... non chiede altro che di restare lassù, distaccato, come ha detto Revel, dalla folla, i filistei, la classe media » . Insomma, non chiede altro che di restare lontano dagli ignoranti che votano Bush .
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    Saluti liberali

  8. #8
    Democrazia Diretta!
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    quei luoghi comuni ovviamente non valgono
    la giusta equazione è questa:
    gli ignoranti(quelli che pensano al bene contro il male, all'11/9 come un attacco, all'iraq connesso al terrorismo)
    votano bush
    mentre gli acculturati e informati (11/9 organizzato da usa-israele ;guerra per il petrolio, imperialismo usa, bugie di bush ecc )
    votano kerry

    ovviamente non tutti , qui si parla di linea di massima

    io preferivo nader , ma...... aimè.....

  9. #9
    anroma
    Ospite

    Predefinito

    NELLA VOSTRA LISTA NE MANCA UNO FONDAMENTALE.

    MA NON DOVEVANO CATTURARE BIN LADEN PRIMA DELLE ELEZIONI???
    IL BELLO è CHE NESSUNO CHIEDE SCUSA DI NIENTE...

    COMUNISTI DI TUTTO IL MONDO, VERGOGNATEVI!!!!


 

 

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