Già 50mila «iscritti» in città al partito degli immigrati
di Alberto Giannoni

Cinquantamila alle Politiche, 120mila circa alle Amministrative.
Hanno già la matita in mano. La gran parte di loro saprebbe usarla al massimo per scrivere il suo nome - è la realtà. Eppure se andassero a buon fine le proposte per ridurre i tempi di acquisizione della cittadinanza italiana, decine di migliaia di immigrati a Milano diventerebbero elettori. Alle Politiche. Oltre che alle Amministrative, per le quali oltretutto c’è chi autorevolmente propone di concedere il diritto di voto anche agli immigrati semplicemente residenti.
Intanto i leader islamici si dicono apertamente al lavoro con le comunità di stranieri per una «lista di immigrati» in grado di decidere le sorti delle Comunali. Fanno i conti con le stime degli immigrati: 200mila in città, tolti i minori 120mila. Anche se, lo abbiamo verificato direttamente, fra i seguaci delle moschee milanesi la percentuale di coloro che conoscono il nome del sindaco di quella che è - o dovrebbe essere - la loro città è tanto basso da essere desolante: una manciata di persone appena. Il resto si affida alle indicazioni dell’imam. E considerato che gli extracomunitari provengono da comunità nazionali in cui la democrazia non sempre è consolidata e acquisita, questo basta a far intravedere il pericolo di un vero e proprio clientelismo religioso. Con masse di elettori disposte a spostarsi in base a qualche «ordine di scuderia», o di moschea.
Quanto ai numeri, i dati del servizio Statistica del Comune sono chiari: sono 25mila gli stranieri residenti da almeno 5 anni a Milano, e il numero è destinato a salire in futuro, in coincidenza con il picco migratorio degli ultimi anni. Per essere precisi 25.068 provenienti da una miriade di Paesi diversi. Oltre 150 secondo le ultime statistiche. Si tratta di 25mila potenziali cittadini ed elettori, a cui si possono aggiungere gli immigrati che cittadini lo sono già, in base alle leggi esistenti. Sono 10mila solo negli ultimi 12 anni - dati del Comune - con un andamento crescente che passa dai 300 neo-cittadini del 2007 ai 1.956 del 2008. Una stima che arrivi fino ai primi anni di immigrazione a Milano può facilmente arrivare ad almeno 15mila cittadini italiani «acquisiti». E di certo sempre molto attaccati alle loro radici etniche. Basterà ricordare che il promotore della «lista degli immigrati», il direttore del centro islamico di viale Jenner, Abdel Hamid Shaari, vive in Italia da circa 40 anni, e ha la cittadinanza da sempre. In tutto 50mila, dunque.
Ma sulla questione c’è anche chi si batte per regole più severe. Per il vicesindaco Riccardo De Corato, che è primo firmatario di una proposta di legge per revocare la cittadinanza a chi commette reati «rimanda a quello della piena integrazione. Deve essere voluta dallo straniero, che viene a Milano per lavorare e non per delinquere». «Il tema della cittadinanza - spiega - viene spesso inquadrato nell’ottica dell’estensione dei diritti. Ma la stessa Costituzione mette a fondamento del patto di cittadinanza anche i doveri. Non potremmo mai tollerare tribunali islamici o impunità per chi lancia la sua fatwa». «Del resto - continua - la revoca della cittadinanza è applicata anche dalla civilissima Svizzera se la condotta del neo-cittadino è di grave pregiudizio agli interessi e alla reputazione dello Stato elvetico. Dunque, non vedo perché l’Italia non possa adottare la stessa cautela». Contrarissima a una cittadinanza veloce la Lega: «Non ha senso - per l’assessore regionale Davide Boni - e per noi la questione è importante quasi come il federalismo. Gli immigrati non hanno la preparazione necessaria. E sì, rischiamo il clientelismo religioso».