Manifesto per uno sviluppo dell'ambiente economicamente sostenibile
Decalogo per un ambiente a misura d’uomo


1 L’AMBIENTE È LA CASA DELL’UOMO
L’uomo non abita sulla Terra come un passante in un albergo, bensì abita la Terra come suo proprietario e inquilino. È dunque titolare del diritto e della responsabilità di farne il proprio ambiente ideale.

2 L’UOMO È AL CENTRO DELLA NATURA
La storia e le scienze dimostrano in maniera incontrovertibile che la specie umana è sostanzialmente diversa rispetto a qualsiasi altra presente sul pianeta. La sua eccelsa perfezione ne fa il centro e il vertice della natura.

3 L’UOMO È RESPONSABILE DELLA NATURA
Immerso nell’ambiente come un elemento fra gli altri, ma consapevole di essere l’unico vivente capace di modificare e di migliorare il proprio contesto, l’uomo è tenuto a impegnarsi affinché la natura raggiunga, mantenga e migliori gli equilibri più benefici. Il rispetto per lo straordinario valore anche del più infimo essere vivente deve associarsi alla lungimiranza con cui si stabilisce e si conserva la corretta gerarchia fra tutti i valori naturali.

4 L’UOMO MODIFICA L’AMBIENTE E NE INCREMENTA LA BELLEZZA
“Ambiente” non è casuale compresenza di elementi e tantomeno cieca evoluzione delle specie. Esempi innumerevoli dimostrano che la bellezza della natura coincide con l’arte dell’uomo che se n’è fatto ordinatore. Il paesaggio è componente tanto naturale quanto culturale del contesto ambientale.

5 L’AMBIENTE È UNA RISORSA
In un mondo degno dell’uomo, l’ambiente non è un dato esteriore, un mero elemento di partenza. È una risorsa, cioè un patrimonio che deve moltiplicarsi e fruttare al meglio, affinché l’umanità e ogni singolo essere umano ne traggano il vantaggio più concreto.

6 LA TECNOLOGIA RAPPRESENTA UNA RISORSA PER L’AMBIENTE
La scienza aiuta l’uomo a conoscere il mondo e le sue leggi. La tecnica è versante applicativo di questa conoscenza, che dalla comprensione dei segreti naturali trae spunto per esaltarne le qualità a beneficio di tutti. Se e finché questo rapporto fra l’uomo e la natura si mantiene equilibrato e corretto (a misura d’uomo), l’ambiente non potrà che trarre vantaggio dal contributo della tecnologia.

7 L’ECOLOGIA È LA SCIENZA CHE STUDIA IL GIUSTO RAPPORTO TRA L’UOMO E LA NATURA, NON IL SUO PERVERSO DISSIDIO
Il rapporto conveniente fra uomo e natura è affidato all’“ecologia”, scienza tesa a evitare che interessi particolari di qualsiasi tipo trasformino la natura in strumento usato contro l’uomo, a suo danno.

8 LO STATO NON BASTA A PROGRAMMARE L’EQUILIBRIO ECOLOGICO
È necessaria una prevenzione attenta per evitare l’alterazione degli equilibri naturali. Ciò si ottiene tramite l’esercizio legislativo e quello politico, che vegliano sul bene comune. Ma sebbene essenziale, questa dimensione non è l’unica né quella prioritaria, specie nella gestione delle emergenze, pena il prevalere di uno statalismo catastrofista.

9 IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ VA APPLICATO ANCHE ALLE POLITICHE AMBIENTALI
L’ambiente, infatti, è anzitutto l’ambiente di ogni uomo. La politica ambientale più corretta è dunque quella che tende a preservare l’iniziativa e la responsabilità dei singoli e delle società intermedie, in modo che le intenzioni e gli interessi di tutti risultino da un’effettiva mediazione a partire dai contesti concreti, non da pianificazioni teoriche e generaliste.

10 NULLA È ECOLOGICAMENTE COMPATIBILE SE NON È ECONOMICAMENTE SOSTENIBILE
L’impegnativo dibattito su fonti e risorse per l’oggi e per il domani – da quelle energetiche a quelle
alimentari – deve basarsi su una congrua e attendibile politica economica. Ciò implica che progetti e interventi si sottopongano a un severo conteggio dei costi e dei benefici, abbandonando sia gli assistenzialismi a fondo perduto sia le utopie “pulite” ma non redditizie e inutilmente costose.

L’Occidente è stanco, esausto, al limite del suicidio. Ha abdicato alla propria funzione civilizzatrice.
Termine né insensato né eccessivo: la storia dell’Occidente è infatti la storia del prevalere della democrazia sulla barbarie, della libertà sulla schiavitù. È la storia del riconoscimento della persona umana. Ed è anche la storia del rapporto tra l’uomo e la natura, messo a tema nell’arte e nel pensiero scientifico.
Eppure sembra che tutto ciò – tradizioni, radici! – sia stato dimenticato in favore di un’indistinta melassa di sentimentalismo e ignavia. Accade un fenomeno singolare, inquietante: termini e concetti una volta enunciati per praticarli vengono oggi respinti nell’empireo delle belle intenzioni, quelle che si citano senza applicarle e si venerano da lontano, senza sporcarsene le mani. Pare avviata a questo triste destino la democrazia; senz’altro al devastante attacco di un totalitarismo terrorista sappiamo contrapporre parole nobili e vuote come dialogo, pace, solidarietà.

Similmente, non siamo più in grado di concepire un giusto rapporto tra l’uomo e la natura. Orfani di Dio, insoddisfatti dell’uomo, abbiamo espugnato anche la natura, elevandola nel contempo a ultimo sacrario da preservare. Se da un lato, infatti, l’esaltazione della scienza come ultima frontiera dell’umano (vedi la clonazione) e dall’altra il timore nei confronti della tecnologia e del suo utilizzo contro natura generano una schizofrenica visione del mondo, è altrettanto vero che queste due concezioni, paradossalmente, sono frutto della stessa mancanza di valori, della stessa idea riduzionista.
Così, stranamente, chi vuole che la scienza s’adoperi per l’ultima e faustiana creazione (l’uomo stesso), al contempo teme che essa distrugga la natura e propugna un insensato ritorno alla selvaggezza.

Non è dunque errato vedere in tutte le forme radicali dell’ecologismo moderno una profonda sfiducia nell’uomo come essere razionale e nelle sue capacità rigeneratrici; una desacralizzazione della sua vita. L’uomo può essere manipolato perché è solo e soltanto materia, e per l’identica ragione la natura dovrebbe preservarsi come dispensatrice dell’unica vita, indistinta e comune a tutti gli esseri viventi: uomini, animali, piante.
Questa posizione culturale, che appare a tanti l’emblema della comprensione e dell’apertura di spirito, è invece – né più né meno – l’abdicazione ai valori che abbiamo perseguito per duemilacinquecento anni. E, in quanto tale, costituisce una concreta ipoteca sulla sopravvivenza, sulla non estinzione, del genere umano.

La litania catastrofista e statalista
Dal punto di vista politico le due tentazioni ecologiste più ricorrenti al giorno d’oggi sono quella catastrofista e quella statalista. La prima prolifera nella facile letteratura e cinematografia hollywoodiana, riecheggiata poi volentieri sulle colonne delle gazzette popolari e nei chiacchiericci dei salotti televisivi: secondo incalzanti previsioni (incuranti della realtà) il mondo starebbe andando verso la fine, la natura sarebbe sul punto di soccombere all'insensato sviluppo dell’uomo. Bjorn Lomborg, l’ambientalista scettico, l’ha definita coma la “litania” sul deterioramento ambientale: la Terra sta morendo, le risorse sono in via d’esaurimento, la popolazione in aumento provoca una riduzione ancora più celere delle risorse alimentari a disposizione, l’aria e l’acqua sono sempre più inquinate, il numero di specie viventi che si sta estinguendo è enorme, le foreste vengono abbattute, e così via.

La seconda tentazione, molto più prosaica, sostiene che la natura può essere preservata esclusivamente mediante l’intervento statale. Il mercato è invece il moloch da abbattere, la proprietà privata un residuo da estirpare, la libertà d’intrapresa un concetto da cancellare. Andrebbe dunque sostenuto e auspicato un dirigismo statalista per cui ogni tutela ambientale deve essere decisa e diretta dagli organi statali, attraverso la burocrazia, meglio se in un regime di monopolio dello Stato.

A poco serve constatare, nel primo caso, che le più infauste previsioni non si sono avverate: a partire dalla profezia neomalthusiana di una crescita esponenziale della popolazione, con una conseguente carestia globale. Com’è stato dimostrato anche su il Domenicale (anno 2, numero 34, 23 agosto 2003) i paesi più poveri hanno una densità di abitanti molto bassa. A poco serve constatare che spesso ci sono inversioni di tendenza, per esempio, nella deforestazione globale, o nel tasso di inquinamento atmosferico. A poco serve dimostrare che le risorse non stanno finendo, come nel caso del petrolio.

Per quanto riguarda la seconda tentazione ecologista, quella che abbiamo definito “statalista”, purtroppo serve a poco ricordare che i più gravi problemi ambientali si sono avuti nei paesi socialisti e statalisti (per esempio nell’Unione Sovietica, dove la terra poiché non era di nessuno da nessuno veniva preservata); che la proprietà privata, invece, spesso genera comportamenti virtuosi nella tutela del territorio; che la possibilità di investire e creare ricchezza con l’ambiente incentiva la tutela; che la tecnologia può essere un terrificante mezzo di inquinamento, ma anche un fantastico mezzo di disinquinamento.
Posto che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, tema dell’ecologia si fa ogni giorno più assordante.

Una nuova (vecchia) prospettiva
Un’inversione di tendenza è necessaria e urgente, tanto più che entrambe le prospettive sopra descritte hanno denunciato in questi anni la loro evidente fallacia a fronte del credito scriteriato che è stato loro concesso. Due i pilastri su cui costruire: l’uomo riportato al centro della natura, l’ambiente pensato come la casa dell’uomo. La tecnologia, poi, dev’essere valutata come una risorsa per l’ambiente, e il libero mercato come l’unico sistema economico in grado di compenetrare gli interessi del singolo e della comunità.
È più che mai necessario abbandonare ogni cultura dirigista e statalista: il diuturno fallimento delle politiche ambientali nel nostro paese deriva dall’errata convinzione che la protezione dell’ambiente debba essere monopolio dello Stato e perciò della burocrazia. Anche nel campo ambientale va applicato, senza mezzi termini e senza esitazioni, il principio di sussidiarietà per cui lo Stato deve intervenire solo dove non arriva la società e favorire al massimo grado lo sviluppo dei privati.

È necessario educare l’uomo a costruire la propria casa: il rispetto dell’ambiente non può che maturare attraverso una costante educazione che – fin dall’infanzia e attraverso un giusto approccio al sapere scientifico – conservi lo stupore di fronte alla realtà nella quale la vita prende forma e significato. Un’educazione che ci faccia amare la natura incontaminata, ma anche il paesaggio frutto del lavoro dell’uomo, delle infinite trasformazioni e sedimentazioni culturali che ne hanno determinato il carattere quasi sacro, la peculiarità e la bellezza da tutelare.

Tre patti per l’ecologia
I settori nei quali è possibile intervenire sono tre: 1) uomo e sviluppo; 2) sviluppo e ambiente; 3) ambiente e mercato.
Primo: a partire dal Novecento, la scienza e le applicazioni tecnologiche che ne sono derivate hanno influito in modo fondamentale nella trasformazione del nostro pianeta. A maggior ragione nei prossimi anni la scienza deciderà i processi di modificazione, nel bene e nel male, dell’ambiente. Ovvio che saranno necessari forti investimenti nei settori più avanzati e l’elaborazione di un progetto nazionale di sviluppo e pianificazione tecnologica. Solo attraverso un interscambio costante di notizie e dati tra gli istituti di ricerca e l’aggiornamento del mondo scolastico sarà però possibile restare competitivi con gli altri paesi. Una parte fondamentale sarà quella interpretata dagli stessi scienziati, chiamati a un sempre maggior esercizio di responsabilità etica.

Secondo: lo sviluppo non dev’essere nemico dell’ambiente. Mentre l’ecologismo nostrano ancora si fonda sul pregiudizio che non può esserci compatibilità tra sviluppo e ambiente, i paesi europei più sviluppati hanno archiviato questo preconcetto fra i tanti che hanno troppo a lungo frenato l’evoluzione dell’economia e della stessa tutela ambientale. L’Unione Europea ha raccomandato che le politiche ambientali non siano basate solo su vincoli e controlli, ma utilizzino le dinamiche del mercato e la libera iniziativa per conseguire obiettivi di prevenzione dell’inquinamento, minor uso delle risorse, chiusura dei cicli produttivi.

Terzo: è necessario integrare le politiche ambientali con quelle economiche per conciliare le esigenze di tutela della natura con lo sviluppo e la competitività delle imprese. L’ambiente è una risorsa, come tale va trattato e può essere valorizzato solo dal mercato: la sensibilità ecologica non può essere imposta ma deve crescere e svilupparsi attraverso il libero gioco delle preferenze individuali.

Responsabilità e etica
Fra le nostre radici oggi più misconosciute ci sono quelle cristiane, vale a dire l’apertura al trascendente che fonda, fra l’altro, le nozioni di “creato” per il mondo e di “creatura” per l’uomo. Stanno, quelle radici, a fondamento anche della più compiuta visione “laica” del mondo, imperniata sul giusto e sul bello, dove nessuno – e tantomeno l’uomo – ha il diritto di ergersi ad arbitro e tiranno del bene e del male, del necessario e del contingente. Comunque la si sia pensata per venti secoli sul Dio cristiano, in quella visione è sempre restato fermo che né l’uomo né la natura sono dio.
Sull’uomo, unica creatura dotata di libero arbitrio, pesa la responsabilità etica nei confronti del mondo: della sua tutela e valorizzazione, di un’equa fruizione e distribuzione delle risorse, di una progettazione che assicuri la futura esistenza e salubrità dell'ambiente per le generazioni che verranno.




Il decalogo per un ambiente a misura d’uomo

1 L’AMBIENTE È LA CASA DELL’UOMO
L’uomo non abita sulla Terra come un passante in un albergo, bensì abita la Terra come suo proprietario e inquilino. È dunque titolare del diritto e della responsabilità di farne il proprio ambiente ideale.

2 L’UOMO È AL CENTRO DELLA NATURA
La storia e le scienze dimostrano in maniera incontrovertibile che la specie umana è sostanzialmente diversa rispetto a qualsiasi altra presente sul pianeta. La sua eccelsa perfezione ne fa il centro e il vertice della natura.

3 L’UOMO È RESPONSABILE DELLA NATURA
Immerso nell’ambiente come un elemento fra gli altri, ma consapevole di essere l’unico vivente capace di modificare e di migliorare il proprio contesto, l’uomo è tenuto a impegnarsi affinché la natura raggiunga, mantenga e migliori gli equilibri più benefici. Il rispetto per lo straordinario valore anche del più infimo essere vivente deve associarsi alla lungimiranza con cui si stabilisce e si conserva la corretta gerarchia fra tutti i valori naturali.

4 L’UOMO MODIFICA L’AMBIENTE E NE INCREMENTA LA BELLEZZA
“Ambiente” non è casuale compresenza di elementi e tantomeno cieca evoluzione delle specie. Esempi innumerevoli dimostrano che la bellezza della natura coincide con l’arte dell’uomo che se n’è fatto ordinatore. Il paesaggio è componente tanto naturale quanto culturale del contesto ambientale.

5 L’AMBIENTE È UNA RISORSA
In un mondo degno dell’uomo, l’ambiente non è un dato esteriore, un mero elemento di partenza. È una risorsa, cioè un patrimonio che deve moltiplicarsi e fruttare al meglio, affinché l’umanità e ogni singolo essere umano ne traggano il vantaggio più concreto.

6 LA TECNOLOGIA RAPPRESENTA UNA RISORSA PER L’AMBIENTE
La scienza aiuta l’uomo a conoscere il mondo e le sue leggi. La tecnica è versante applicativo di questa conoscenza, che dalla comprensione dei segreti naturali trae spunto per esaltarne le qualità a beneficio di tutti. Se e finché questo rapporto fra l’uomo e la natura si mantiene equilibrato e corretto (a misura d’uomo), l’ambiente non potrà che trarre vantaggio dal contributo della tecnologia.

7 L’ECOLOGIA È LA SCIENZA CHE STUDIA IL GIUSTO RAPPORTO TRA L’UOMO E LA NATURA, NON IL SUO PERVERSO DISSIDIO
Il rapporto conveniente fra uomo e natura è affidato all’“ecologia”, scienza tesa a evitare che interessi particolari di qualsiasi tipo trasformino la natura in strumento usato contro l’uomo, a suo danno.

8 LO STATO NON BASTA A PROGRAMMARE L’EQUILIBRIO ECOLOGICO
È necessaria una prevenzione attenta per evitare l’alterazione degli equilibri naturali. Ciò si ottiene tramite l’esercizio legislativo e quello politico, che vegliano sul bene comune. Ma sebbene essenziale, questa dimensione non è l’unica né quella prioritaria, specie nella gestione delle emergenze, pena il prevalere di uno statalismo catastrofista.

9 IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ VA APPLICATO ANCHE ALLE POLITICHE AMBIENTALI
L’ambiente, infatti, è anzitutto l’ambiente di ogni uomo. La politica ambientale più corretta è dunque quella che tende a preservare l’iniziativa e la responsabilità dei singoli e delle società intermedie, in modo che le intenzioni e gli interessi di tutti risultino da un’effettiva mediazione a partire dai contesti concreti, non da pianificazioni teoriche e generaliste.

10 NULLA È ECOLOGICAMENTE COMPATIBILE SE NON È ECONOMICAMENTE SOSTENIBILE
L’impegnativo dibattito su fonti e risorse per l’oggi e per il domani – da quelle energetiche a quelle
alimentari – deve basarsi su una congrua e attendibile politica economica. Ciò implica che progetti e interventi si sottopongano a un severo conteggio dei costi e dei benefici, abbandonando sia gli assistenzialismi a fondo perduto sia le utopie “pulite” ma non redditizie e inutilmente costose.


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