da "Da Augusto a Stalin. I momenti salienti del processo d'integrazione europeo"
di Claudio Mutti
Eurasia. Rivista di studi geopolitici 1/2007
Claudio Mutti
Il blocco eurosovietico
Possiamo prevedere che l’alta velocità dei sistemi di trasporto porterà inevitabilmente all’unificazione dell’Europa. Se Hitler ha fallito, Stalin può riuscirci; se neanche Stalin ci riesce, allora ci riuscirà qualcun altro nel giro di uno o due secoli.
Arthur Koestler
Al termine del secondo conflitto mondiale, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche – potenza eurasiatica dalle dimensioni mai viste nella storia, che dal Baltico e dal Mar Nero si estende fino allo stretto di Bering, e dal Mar Glaciale Artico all’Asia centrale - prende il posto del Terzo Reich come principale potenza europea. “Potenze”, infatti, non lo saranno più né l’Inghilterra, né la Francia, né tanto meno altri paesi europei: le dimensioni dei vecchi Stati nazionali sono inferiori a quelle che nella nuova epoca storica sono necessarie perché uno Stato sia soggetto politico, anziché oggetto della volontà altrui. D’altronde gli Stati dell’Europa occidentale sono praticamente diventati paesi satelliti di Washington.
In Europa, la zona d’influenza dell’URSS comprende i paesi occupati dall’Armata Rossa, nei quali la sovranità nazionale viene ridotta ai minimi termini: Polonia, Germania Orientale (poi Repubblica Democratica Tedesca), Ungheria, Romania, Bulgaria, Jugoslavia (che rompe con Mosca nel 1947-1948), Albania (che all’epoca del dissidio cino-sovietico si accosterà alla Cina popolare). L’URSS si trova quindi ad essere protetta ad ovest da quegli stessi territori che dopo la prima guerra mondiale avrebbero dovuto costituire un cordone sanitario antibolscevico. Su scala eurasiatica, l’egemonia sovietica si estende dall’Adriatico al Mar del Giappone, quindi alla Cina, al Golfo del Tonchino e all’Indocina; le propaggini di tale egemonia arriveranno nel Mar dei Caraibi, nel mondo arabo e in Africa. Dopo il 1945, dunque, Stalin aggiungeva all’eredità zarista una molteplice eredità territoriale, in quanto poteva controllare
un’area che un tempo sottostava in Europa allo zar, al re di Prussia, all’imperatore d’Austria e al sultano, vale a dire alle potenze della Santa Alleanza con l’aggiunta della Sublime Porta. Il controllo sovietico, inoltre, si estese in Asia, tra il 1945 e il 1975, lungo un’area che un tempo sottostava all’impero del Sol Levante, all’impero manciù e all’impero coloniale francese (…) i sovietici, in condizioni mutatissime, erano gli eredi di Carlo V, dell’impero, forse di Federico II e di Caterina la Grande, certo della Russia che si contrappose a Napoleone. Infine, soprattutto dopo il tracollo zarista, essi furono gli eredi degli imperi centrali, ma anche, in qualche modo della concordia discors e della coincidentia oppositorum realizzatesi nell’Europa nazi-sovietica del 1939-1941. (56)
Il 14 maggio 1955, per iniziativa sovietica, otto paesi dell’Europa orientale (Polonia, Cecoslovacchia, Repubblica Democratica Tedesca, Ungheria, Romania, Bulgaria e Albania, oltre ovviamente all’URSS) firmavano nella capitale polacca un trattato ventennale di “amicizia, cooperazione e mutua assistenza” sul modello del Patto Atlantico, impegnandosi ad accordarsi, in caso di necessità, un “reciproco aiuto fraterno”. Il trattato prevedeva l’istituzione di un comando unificato, di un comitato politico consultivo e di altri organismi, con sede a Mosca. Il comandante in capo sarebbe stato un sovietico (il primo fu il maresciallo Konev), mentre lo stato maggiore sarebbe stato costituito dai rappresentanti degli stati maggiori generali dei paesi membri e dai loro ministri della difesa. Il Patto siglato a Varsavia intendeva dare una risposta alla creazione dell’Unione Europea Occidentale (UEO), che, ufficialmente costituita una settimana prima, aveva aggregato anche la Repubblica Federale Tedesca e l’Italia ai cinque paesi dell’Unione Occidentale (Gran Bretagna, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo). Dal punto di vista giuridico, il Patto di Varsavia formalizzava la situazione esistente, legalizzando il controllo sovietico sui territori dell’Europa centro-orientale e autorizzando la permanenza di truppe sovietiche in Ungheria e in Romania anche nel periodo successivo alla firma, ormai imminente, del trattato di pace con l’Austria (un paese che sarebbe sì rimasto neutrale sotto il profilo diplomatico e militare, ma sarebbe diventato “occidentale” nel senso politico ed economico). Un terzo obiettivo del Patto consisteva nel predisporre una contropartita alla proposta sovietica di smobilitare la NATO e di creare un sistema generale europeo di sicurezza collettiva: il Patto di Varsavia sarebbe decaduto il giorno stesso in cui tale sistema fosse entrato in funzione.
Come il Patto di Varsavia fu concepito come una risposta alla NATO, così il COMECON fu una replica al Piano Marshall e all’OECE. Il COMECON, che aveva ufficialmente il compito di organizzare la cooperazione economica, tecnica e scientifica dei paesi del campo socialista, in realtà favorì soprattutto l’URSS, la quale poteva vendere le materie prime a prezzi superiori a quelli del mercato mondiale, mentre acquistava i prodotti industriali a prezzi vantaggiosissimi. In ogni caso, il COMECON fu fondamentale per l’integrazione economica dell’area socialista, in quanto organizzò la produzione industriale, sviluppò i rapporti commerciali, incrementò la cooperazione scientifica e tecnica e favorì la realizzazione di grandi opere, come l’Oleodotto dell’Amicizia e il collegamento delle reti elettriche.
Per quanto avesse integrato militarmente ed economicamente l’Europa centrale entro la propria sfera d’influenza, l’Europa socialista rimaneva geopoliticamente incompleta.
La Russia prenderà il largo solo il giorno in cui avrà la totalità della Germania. (…) Ora, la soluzione del 1945 (divisione della Germania) blocca tutto simultaneamente, negando a ciascuno ciò che gli spetta: alla Germania di costituire finalmente un possibile ponte, all’Europa la libertà necessaria, alla Russia l’accesso all’Atlantico. La Germania è confinata in un recinto che non è fatto per lei, l’Europa occidentale è solo una testa di ponte americana e la Russia è sempre lontana dal suo traguardo. (57)
Infatti l’Armata Rossa era arrivata a Berlino, ma la principale potenza continentale era ben lontana dalle proprie frontiere geopolitiche occidentali, che si trovavano a Lisbona, a Dublino, a Reykjavik, né mostrò mai l’intenzione di raggiungerle. Non è perciò del tutto fuori luogo il parallelismo storico abbozzato da Jean Thiriart fra la mezza Europa napoleonica e la mezza Europa del campo socialista: “L’URSS si trova nella classica posizione della maggior potenza europea alla quale viene impedito di completarsi. Quel conflitto che per quindici anni, dal 1800 al 1815, contrappose Londra e Parigi, è diventato il conflitto tra Washington e Mosca. Bonaparte non riuscì mai a completare il suo Impero europeo” (58). Né ci riuscirono i signori del Cremlino, che in Europa rimasero ben lontani dal dinamismo napoleonico, accontentandosi tutt’al più di intensificare il controllo politico, militare ed economico dell’URSS sui paesi dell’Europa centrale.
La conseguenza di tale staticità e del mancato raggiungimento delle frontiere geopolitiche occidentali fu, tra il 1989 e il 1991, il crollo dell’intero blocco socialista, con l’immediato avanzamento della superpotenza americana fino ai confini della Russia.
56. Bruno Bongiovanni, Storia della guerra fredda, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 41-43.
57. Jordis von Lohausen, Les empires et la puissance. La géopolitique aujourd’hui, Le Labyrinthe, Arpajon 1996, p. 233.
58. Jean Thiriart, Les 106 réponses à Mugarza (pré-édition non-corrigée), a cura dell’Autore, Bruxelles 1982, Question 103.