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    Predefinito Front National, tra involuzione ed evoluzione

    Cari camerati, per chi di voi volesse ampliare i propri orizzonti culturali, soprattuto in materia di "scienza della politica" riporto questo mio articolo appena pubblicato su Rinascita del 14 Novembre scorso.


    FRONT NATIONAL: TRA INVOLUZIONE ED EVOLUZIONE

    Il Front National rappresenta dal punto di vista ideologico/programmatico un caso a se stante nel panorama delle forze nazionali europee. Potrebbe essere definito come un partito di cultura postindustriale in grado di porsi nei confronti della modernità in maniera adeguata ai tempi, tramite programmi e proposte capaci di rivolgersi alla società contemporanea.
    Si tratta di una formazione partitica portatrice di un’interpretazione del “fare politica” che rifugge il concetto riduttivistico del semplice “atto di testimonianza”, rifiutando di considerare la propria lotta come l’eterna riproposizione nel presente di un esperienza politica passata. “Il guardare alle spalle” non è una componente dell’impostazione culturale del FN, che invece nel corso degli anni ha saputo rifuggire il nostalgismo e le conseguenti dinamiche di autoghettizzazione. Il FN ha evitato la marginalizzazione scegliendo la strada della politica fatta a viso aperto, calandosi nelle fratture della modernità, attualizzando il proprio linguaggio per dare risposta ai grandi problemi della Francia di oggi: immigrazione, corruzione, svuotamento della sovranità popolare, ruolo della Francia nel mondo, decadimento culturale, sovversione cosmopolita.
    “L’ aggressione costante del presente” è tuttora la caratteristica peculiare dell’impostazione culturale del Front, anzichè la classica fuga nell’ immaginaria quanto incapacitante “società del guerriero”, che invece resta l’opzione preferita da altri partiti europei dell’area. Evolianamente parlando il FN, ha invece cercato fin dall’inizio di arrivare allo scontro con la “società del mercante”, partecipando ai processi sociali in atto, tentando di cavalcarne i conflitti emergenti per poi incanalarli in un tentativo di rinnovamento nazionale.
    E tutto ciò è stato fatto mantenendo la radicalità delle proprie posizioni, rifuggendo tanto il moderatismo prosistemico quanto l’aristocraticismo immobile ed esangue.
    Le basi di questo ancoraggio alla modernità furono poste già al primo congresso del partito nel 1972 quando con forza Le Pen si oppose alla volontà dei delegati di Ordre Nouveau (che allora rappresentavano circa il 50% della platea congressuale) di incanalare il partito nelle secche della liturgia neofascista, rivendicando invece per il Front il ruolo di forza dirompente, capace di incrinare l’intera partitocrazia tramite la costruzione di una grande alternativa nazionale. Tale ambizione venne poi pubblicamente dichiarata al congresso di Nizza del 1990: arrivare allo conquista del potere e vincere.




    L’ATTUALE PIATTAFORMA IDEOLOGICA

    I cardini che costituiscono l’attuale universo valoriale del Front National rispecchiano in toto la volontà di dominare il presente e di costituire una solida alternativa alla partitocrazia parigina. Questi punti fermi spaziano dai principi della preferenza nazionale (concetto splendidamente enunciato da Yves Le Gallou nel suo libro “la prèfèrence nationale”), a quelli del diritto alla differenza e all’indipendenza culturale.
    Le tematiche programmatiche vanno dalla lotta all’immigrazione, alla difesa ad oltranza della Francofonia e della cultura francese contro ogni pericolo di americanizzazione. Le linee guida della piattaforma ideologica s’incentrano su una visione organica della nazione sempre più solidale e libera da qualsiasi elemento che ne possa generare la decomposizione: individualismo, relativismo etico, nichilismo. Il programma si caratterizza per la sua irriducibile ostilità al liberalismo culturale, considerato come elemento di divisione della comunità nazionale.
    Accanto a questi spunti innovativi il FN ha provveduto a riattualizzare due tematiche ereditate da precedenti esperienze partitiche: il marcato antiparlamentarismo e la forte retorica populista.
    In primis, il tema della dura polemica nei confronti del sistema dei partiti è stata rispolverato dalla grande tradizione antiparlamentare francese che ebbe la sua massima fioritura con le leghe degli anni trenta, tra cui vanno citate Solidaritè Francaise, il gruppo riunito intorno al giornale l’Ami du Peuple, nonché la tradizione operaia della destra francese di Doriot e di quella del Rassemblement National Populaire de Marcel Dèat. E’ bene notare che tale atteggiamento antiparlamentare intriso di disprezzo era ben radicato nel FN già dai primi anni settanta, quando l’allora ideologo del partito Francois Duprat decise di porre la questione morale al vertice delle priorità del FN, facendo si che il partito si ponesse come obiettivo prioritario la purificazione dell’intero sistema politico, considerato integralmente corrotto e colluso.
    La retorica populista invece è stata attinta a piene mani dalle quelle formazioni con mire plebiscitarie e cesariane che ebbero le loro massime espressioni nel movimento boulangista e in quello poujadista. Non è un caso visto che lo stesso le Pen prima di approdare alla presidenza della potente FEN (federazione degli studenti nazionali) iniziò la sua carriera di deputato nel 1956 sotto le insegne del movimento di Poujade. Inevitabile quindi che nelle apparizioni pubbliche dei dirigenti FN, così come negli slogan elettorali del partito venga incessantemente evocato il tema del contatto diretto tra il popolo e il FN (la Francia ai Francesi, Le Pen - il Popolo); tema che invece totalmente snobbato dalle altre forze dell’arco costituzionale.
    Ecco allora che questa miscela di tematiche innovative e riproposizoni antipartitocratiche da luogo a un corpo articolato di pensiero talmente efficace da consentire ai principali resti delle varie correnti culturali della destra francese di riunirsi sotto lo stesso simbolo. Infatti grazie al carisma di Le Pen e alll’incisività del programma sono riuscite a coesistere sotto la stessa sigla numerose scuole di pensiero: i nazional-rivoluzionari di Duprat, gli integralisti cattolici di Roman Marie, i liberal Nazionali di Le Gallou.




    L’APPORTO DEI MODERNIZZATORI

    Le premesse stabilite al congresso del 1972 con la chiara scelta di campo a favore dell’abbandono del nostalgismo non erano sufficienti per dare avvio alla costruzione di una vera e credibile alternativa nazionale. Non era sufficiente liberarsi dei fantasmi del passato per dotarsi di una cultura politica tale da garantire al partito una rapida espansione elettorale. Era invece necessario attrezzarsi ideologicamente, ridisegnare le coordinate del proprio pensiero, modernizzare immagine e linguaggio, mutare visione del proprio modo di fare politica.
    Agli inizi degli anni ottanta l’allora classe dirigente del FN divenne consapevole della necessità di compiere questo salto di qualità, e contemporaneamente dell’inadeguatezza culturale dei suoi vecchi quadri, (quelli che avevano animato la lunga traversata nel deserto nel decennio 1972-1982) i quali provenivano in gran parte dalle vecchie fila della destra reazionaria (collaborazionisti di Vichy) oppure da più recenti formazioni nazional-rivoluzionarie (Occident, Ordre Nouveau, FEN).
    Per questo motivo la dirigenza FN iniziò a esercitare pressioni su un gruppo di giovani intellettuali che aveva recentemente costituito una piccola formazione il C.A.R (comitato di azione repubblicana) collocatasi a destra della destra moderata, affinchè decidessero di confluire nel partito. Si trattava di uomini provenienti dal mondo accademico oppure di giovani promesse della destra parlamentare che avevano maturato un sempre maggiore distacco da quell’ambiente fino ad abbracciare l’idea di un nuovo soggetto politico che favorisse il ridisegno dell’intero assetto politico francese. Il gruppo riunitosi intorno a Mègret era composto in grandissima parte da ex-frequentatori della Nouvelle Droite di Alain De Benoist da cui nel corso degli anni si erano venuti a distaccare per dare corpo nel 1968 a un altro circolo culturale, questa volta saldamente ancorato a posizioni nazionali e liberali: il club dell’ horloge.
    Tutti questi membri vantavano il passaggio attraverso le migliori scuole del paese oppure precedenti esperienze politiche di rilievo. Ad esempio Mègret educato al politecnico e con master a Berkeley era stato membro del comitato centrale RPR dal 1979 al 1981, anno per il quale si era candidato nel collegio di Les Yvelines nelle file di quel partito.
    Ivan Blot si era laureato all’ENA ovvero la fucina della classe dirigente francese e come Mègret era stato membro del comitato centrale RPR, nonché collaboratore nel 1976 del ministro dell’interno Michel Poniatowski durante il governo Pasqua.
    Jean Yves Le Gallou laureatosi anch’egli all’ ENA, era stato fin da giovanissimo attivo nel partito repubblicano e poi nell’UDF, nonché autorevole collaboratore alle pagine culturali di “Le Figaro – Magazine” , divenendo a partire dal 1974 uno dei principali animatori del club dell’horloge.
    Jean Claude Bardet pur non vantando alcun passaggio attraverso le grandi scuole della nazione aveva cominciato la propria carriera nella destra parlamentare, entrando poi come gli altri nel GRECE di De Benoist e di Pierre Vial.
    Ora, a fronte della crescente trasmigrazione di quadri e voti verso il FN sull’onda delle vittorie prima alle cantonali e alle europee del 1985 e a fronte delle proprie prime esperienze fallimentari in termini elettorali (nessun candidato presentato alle elezioni del 1984 e del 1985), gli horlogiers decisero di confluire nel FN pur con qualche mugugno da parte di Jean Claude Bardet.
    Per il FN il salto di qualità a livello culturale e di linguaggio fu immediato. Nelle coordinate del pensiero FN venne così acquisito tutto il bagaglio di elaborazioni teoriche sviluppate dal gruppo nel corso degli anni passate alla storia sotto il nome di “Gramscismo di destra”. In tal senso il concetto di “egemonia” diveniva il punto fondante della piattaforma ideologica FN. Si trattava cioè di porre come priorità assoluta l’obiettivo della riconquista culturale della società post-sessantottina attraverso nuove intuizioni, nuove idee politiche e nuove forme di rappresentanza. Per gli horlogiers questa offensiva doveva spingersi oltre al semplice dato metapolitico proprio della Nouvelle Droite per far acquisire in toto al bagaglio culturale della destra il pensiero gramsciano: oltre alla lotta sul piano culturale era necessario una nuova strategia politica fondata su tre parole d’ordine: guerra di posizione, blocco storico, prefigurazione. La guerra di posizione consisteva in una lenta e precisa penetrazione nei gangli della società civile attraverso nuove forme organizzative e nuovi strumenti di rappresentanza. Il blocco storico consisteva in un lento processo di logoramento del sistema di potere, attraverso una continua erosione delle sue basi di consenso. La prefigurazione era invece la trasformazione delle amministrazioni comunali conquistate dal FN in vetrine e basi della conquista nazionale, presentandole all’opinione pubblica come esempi anticipatori del nuovo governo che il partito andava preparando. In tal senso fu esplicitamente stabilito che tutti i sindaci eletti nelle liste FN, con programma FN, si sarebbero dovuti sottoporre alla piena e assoluta autorità del partito.
    Inevitabile allora che nell’impostazione culturale del FN il culto dell’organizzazione venisse ad assumere un ruolo centrale. In tal senso sotto la direzione dei modernizzatori si assistette in pochi anni a un radicale miglioramento della struttura del partito con la creazione del Front National de la Jeunesse, del servizio d’ordine interno (il DPS –Dipartimento Protezione Sicurezza) e con l’articolazione in federazioni della struttura periferica al fine di diffondersi a macchia d’olio (in poco tempo vennero raggiunti i 50.000 tesserati, più di mille consiglieri comunali, e ovunque candidati FN in quasi tutte le elezioni). A livello di mezzi di informazione e propaganda venne estesa la tiratura del quotidiano di partito “Present,”, venne varato il settimanale “National Hebdo” e infine diffuso il quindicinale “Francais d’abord” presso tutti gli iscritti. In termini di visibilità nelle piazze vennero istituite le feste tricolori a settembre e la manifestazione nazionale in memoria di Giovanna D’arco il primo maggio a Parigi. Al fine di penetrare sempre più nella società civile vennero fondate strutture come il CEA, ovvero un centro studi finalizzato ad assicurarsi il consenso dei dirigenti d’industria, degli alti funzionari statali e dell’ambiente militare); il GAP (gruppo di azione parlamentare), formato esclusivamente da accademici con lo scopo di varare innovative proposte parlamentari; l’IFN (istituto di formazione nazionale) ovvero una scuola di preparazione dei giovani quadri del partito. Infine si procedette alla creazione di nuove strutture istituzionali finalizzate a fare breccia nelle associazioni dei lavoratori e nell’industria culturale, ovvero ambienti tradizionalmente monopolizzati dal pensiero di sinistra.




    LA CRISI D’IDENTITA’ NELLA SECONDA META’ DEGLI ANNI NOVANTA

    Se l’apporto culturale dei modernizzatori fu fondamentale per dare una svolta in termini d’incisività politica al FN, va detto che contestualmente determinò l’inizio di uno scivolamento del partito su posizioni prosistemiche e conservatrici. Non si trattò di una mutazione genetica in larga scala, bensì di uno slittamento circoscritto all’introduzione di alcune tematiche estranee alla cultura FN.
    Si osservò ad esempio in materia di politica economica l’abbandono dell’ armamentario pseudo-corporativo precedente a favore di posizioni nettamente liberiste; in materia di politica religiosa si amplificarono i riferimenti cattolico integralisti culminati con l’appoggio a Monsignor Lefebre; in materia di politica estera vennero progressivamente abbandonati gli accenti anti-americani a favore della rivalutazione “dell’identità occidentale” della Francia.
    In ogni caso il vero punto di rottura con tutta la storia FN riguardava la visione del partito in termini di collocazione e di strategia politica.
    Le Pen e la vecchia guardia erano convinti dell’idea che il fronte non potesse relazionarsi al sistema se non in maniera antitetica e conflittuale. Era la visione di chi sentiva di avere ancora un conto aperto con la società, di chi provava un sentimento di assoluta alterità nei confronti di un mondo di cui si rigettavano i presupposti di base.
    Mègret e i suoi invece non si sentivano culturalmente estranei al sistema che gli altri volevano abbattere. Per loro il FN doveva limitarsi a divenire il centro propulsore di una rifondazione dell’intero centro-destra francese tramite uno spostamento a destra del suo baricentro. In quest’ottica il partito avrebbe dovuto perseguire una strategia di lento inserimento costituzionale al fine di conquistare una sempre maggiore legittimità (in tal senso gli accordi con l’ RPR e l’ UDF non diventavano semplicemente auspicabili, bensì stadi necessari nello sviluppo di questa strategia).
    A fronte di due visioni così agli antipodi e man mano che il gruppo di Mègret andava estendendo il controllo su tutto l’apparato del partito divenne inevitabile una polarizzazione interna e il conseguente scontro. Infatti, già dal 1988 con la sua nomina a delegato generale e responsabile della campagna presidenziale Mègret aveva avviato un lento processo di occupazione di tutto l’apparato burocratico e organizzativo (con la sola esclusione del ramo finanziario).
    Quest’opera di radicamento interno raggiunse il suo culmine al congresso di Strasburgo del 1997 quando all’elezione del comitato centrale il bretone Bruno Gollnisch, professore universitario di diritto nipponico a Lione tre, nonché preside della facoltà di lingue e fedelissimo di Le Pen venne sonoramente sconfitto. Non solo, ma la platea congressuale sembrò acclamare Mègret con più enfasi rispetto allo stesso Le Pen, tributandogli un’ ovazione senza precedenti al grido di “Vitrolles, Vitrolles” per celebrare la straordinaria vittoria della moglie in quel piccolo comune della Provenza.
    Le Pen, sempre più visibilmente isolato nella sua ridotta del quartiere parigino di Saint Cloud decise di passare alle controffensiva nominando un governo ombra affidato al professore universitario di diritto fiscale Jean Claude Martinez con il compito di condurre la campagna elettorale per le vicine europee anche a costo di arrivare all’ esclusione dei modernizzatori.
    Tuttavia, il progetto di Mègret sembrava vincente su tutta la linea. Nel marzo del 1998 ben cinque presidenti di regione del UDF e del RPR furono eletti con l’appoggio esterno dei rappresentanti locali del FN scatenando un vero pandemonio nelle segreterie politiche parigine. Sebbene i presidenti in questione furono obbligati a dimettersi seduta stante, il FN raggiunse l’obiettivo di occupare per mesi il centro della scena politica. Come se non bastasse nel giugno dello stesso anno la Francia vinse i campionati del mondo di calcio con una squadra composta in gran parte da immigrati, osannati per giorni come i nuovi eroi nazionali. L’impatto iconico-simbolico di questa vittoria sembrava porre una pietra tombale sulle velleità antisistemiche di Le Pen, rilanciandone invece la strategia d’inserimento dei “modernes”.
    Il conflitto raggiunse l’apice il 5 dicembre del 1998 quando al consiglio nazionale (l’unico organismo che conta nel FN e che si riunisce tre volte all’anno) gli uomini di Mègret fecero ostruzionismo per ostacolare l’ordine dei lavori e ottenere la convocazione di un congresso straordinario. Quest’ultimo riunitosi a Marignane il 23 gennanio del 1999 vide inaspettatamente la sconfitta dei modernizzatori e la conseguente uscita di tutto il gruppo degli horlogiers con la fondazione del MNR, il movimento nazionale repubblicano.




    GLI ANNI 2000

    Dopo la scissione del 1999 si è assistito a un ennesimo mutamento dal punto di vista ideologico-programmatico che ha caratterizzato la restante vita del partito fino ai giorni nostri. Il Front è tornato così a occupare all’interno dello scenario politico il ruolo di forza antisistemica, riproponendo una strategia di scontro frontale con il governo parigino, e di durissima opposizione all’intero sistema di potere.
    Se è vero che questo ha in parte significato un ritorno alle origini, è anche vero che tutto l’importante lascito culturale dei modernizzatori non è stato affatto rimosso, anzi.
    L’attuale orizzonte valoriale del FN è stato ulteriormente arricchito grazie ai recenti innesti provenenti da sinistra riguardanti il dibattito anti-globalizzazione, ovviamente rivisitati e riadattati in un’ottica nazionale. Infatti, dopo l’undici settembre si è assistito a un poderoso riemergere d’attualità della questione nazionale, tale da mettere in discussione l’irreversibilità del processo globalizzatorio. Tramontato il conflitto di classe, l’unica dialettica oggi saliente è data dallo scontro tra il capitale transnazionale (fautore della creazione di entità sovrannazionali da esso guidate) e lo stato-nazione, che si viene a configurare come l’ultimo elemento di difesa della sovranità popolare.
    Di fronte alla crisi di rappresentanza e di legittimità dell’intero arco parlamentare seguita alla nascita del nuovo ordine globalizzato, il Front National si è trovato quasi involontariamente catapultato al centro del dibattito politico, divenendo il partito più attrezzato culturalmente per rispondere ai nuovi mutamenti sociali. E così come con la vittoria della Francia cosmpolita e multirazziale ai campionati del mondo si era percepito l’anacronismo del programma FN, così quattro anni dopo all’interno del medesimo stadio se ne percepiva la preponderante attualità, quando durante la partita Francia-Algeria migliaia di parigini di origine magrebina dopo aver fischiato la Marsigliese, invadevano il campo con le bandiere dell’Algeria.
    Di fronte al fallimento evidente del dogma multirazziale e davanti alla sconfitta della “mixitè sociale” il FN ha così trovato campo libero, focalizzando il proprio messaggio sui temi dell’invasione allogena e della decadenza della Francia, sulle questioni della sovversione cosmopolita e sulla presenza di un “anti-Francia” nelle più alte sfere del potere.
    Il FN ha saputo interpretare queste nuove domande di rappresentanza legate alle nuove emergenze sociali dando voce alla Francia profonda, trasformando in voto di protesta un’insoddisfazione crescente altrimenti destinata all’astensione. E proprio nelle periferie, divenute depositi d’immigrati e di giovani disoccupati condannati a vivere giorno per giorno, il FN ha mostrato i maggiori tassi di crescita, mettendo a nudo un sentimento d’ingiustizia diffuso sia tra le classi medie sia tra i ceti più emarginati, ovvero tra due settori entrambi sconfitti dalla globalizzazione.
    Non è un caso quindi che a questo mutamento di linguaggio si sia accompagnato un paritetico mutamento dell’elettorato di riferimento. Se infatti nel 1984 la grande vittoria alle europee era stata espressione della Francia profonda e bigotta delle province di Linguadoca e Provenza, il trionfo alle presidenziali del 2002 è stata espressione della Francia delle periferie industriali (sfondamento elettorale a est e nell’ovest con i maggiori margini di incremento a Lilla, nell’industriale Dunkerque, a Strasburgo, nei quartieri metropolitani di Marsiglia e di Parigi). Se nel 1985 l’elettore medio del FN era rappresentato dal piccolo borghese di provincia fedelissimo del basco blu, della baguette sotto il braccio e amante del gioco delle bocce, l’elettore medio del FN nel 2004 è invece il giovane delle periferie sempre più alienato in una spirale di precarietà e omologazione.

  2. #2
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    Vi riporto due interessanti riflessioni che mi ha postato il camerata Damiano a commento dell'articolo.
    Le riporto a integrazione di quanto scritto sopra.

    Damiano:

    Su France-Algérie : non migliaia di parigini... ma 60 000. Mandarono pure bottigliette in tribuna presidenziale, centrando in faccia Marie Georges Buffet, ministra communista dello sport (c'era Jospin con tutta la sua corte a questa sinagoga della mixité black-blanc-beur).
    Ci furono anche parecchi inni a Ben Laden in tribuna.
    Hai raggione di sottolineare il ruolo di electro-shock di massa di
    quest'evento. Fondamentale.

    Un punto che riguarda piu precisamente la tua riflessione :
    Parli di un partito che era quello del basco e della baguette, o della destra bigotta...
    Bisogna dire che i cattolici praticanti fino al 2002 erano un ceto di
    popolazione che non votava il FN. col 2002 a raggiunto le medie nazionali. Tra i tradizionalisti, pero', è sempre stato un voto di preferenza.Per il basco-baguette, diciamo che è una figura troppo vaga. Il basco baguette vendeva l'Umanità nelle strade nel dopo guerra, o votava fedelmente "Mon Général" e per i suoi successori del RPR. La Francia del dopo guerra ha dato un ricettacolo "parlamentare" perfetto che è durato fino
    ai tardi anni ottanta per il francese basco-baguette, quando il veleno socialista commincio' a far sentire veramente i suoi effetti alla luce del sole, col tramonto del communismo, e la presenza allogena a mostrar il suo vero peso, i suoi effetti, e la sua dimensione di fenomeno "tellurico".
    Fino ad allora, la società francese, il beretto basco e la baguette erano ancora quelli del dopo guerra, cio di una nazione che non era divisa (a modo italiano), o fingeva di credersi non divisa, di unirsi nella mitologia della "Résistance" (o Gauliste, o communista... non troppo amici, certo, ma resistenti entrambi). La Francia invece si scopri spaccata col dunque il 68, e il suo potentissimo figlio, il 81, ma non in termine di blocci opposti
    contemporraneamente, ma in termine di ricambio generazionale. La sinistra aveva sovvertito. Si era creato le sue generazioni, quei figli dei portatori di basco-baguette.

    In sostanza, il votatore FN è il "basco-baguette" solo nella retorica delle sinistre e SOPRATUTTO dei socialisti (col loro odio dei proletari, ma dei quali si ritengono proprietari del voto), in quanto per loro tutta questa Francia non cosmopolita, non socialista è nemica, e il FN era il massimo della demonizzazione.

    Sul FN "dell'era moderna", bisogna precisare che nel 2002 Le Pen venne votato con lo stesso score di Jospin tra i studenti universitari col 16% , lasciando Chirac a 10%. E importante dire che anche il primo partito degli operai (24% nel 2002) una volta erano communisti, e che si sono sentiti tradire dal PCF e dai sindacati, anni dopo anni (dal 1981 con l'era Mitterand, infatti). Si è permeato negli stati precari (sui 20% tra chi lavora da interinale, 30% dai i disoccupati), ma "non solo".

  3. #3
    avdacia imperat
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    penso che non potrò mai dimenticare i momenti di estrema goduria che provai quando vidi le immagini di quell'incontro e di come il figlio buono si ribellava col padre comprensivo...

 

 

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