IL MONDO antico era assai colorato: dipinte le pareti delle case (si veda a Pompei, o quella “di Livia” a Roma) e delle tombe (si veda Tarquinia), dipinti le antefisse dei templi e i vasi di ceramica; e perché le sculture no? Finora, solo le statue erano (o almeno, così le conosciamo) in bianco e nero; al massimo, colorate dall’uso di marmi diversi e di differente tinta: bellissima una mostra, su questo, a Roma, pochi anni fa. Invece no: in anni di studio, tre importanti musei, i Vaticani e le Gliptoteche di Monaco di Baviera e Copenhagen, non solo hanno dimostrato che anche le sculture erano (eccome) colorate, anzi coloratissime; ma ne hanno perfino prodotto degli esempi, spesso accostando i calchi dipinti agli originali senza più colore. Da qui, una mostra assai interessante e parimenti intrigante, che s’apre oggi ai Musei Vaticani, si potrà visitare fino al 31 gennaio, in orari che sono i medesimi dei musei ed allo stesso prezzo; chi poi volesse accedere soltanto all’esposizione, e non anche alle sale che culminano nella Cappella Sistina, lo potrà fare addirittura gratis: la sala dove sono queste statue greche e romane, e i loro “cloni” assolutamente sgargianti, è infatti indipendente dal percorso dei musei e anche (il che non guasta) dei gruppi organizzati.
Ecco, quindi, il famoso Augusto di Prima Porta , trovato a Roma, nella Villa di Livia, con una toga scarlatta, una tunica rosso-blu, una corazza con colorati personaggi, gli occhi, le labbra ed i capelli anch’essi dipinti; l’ Atena del frontone del tempio di Aphaia, che sembra un’opera del periodo di Otto Wagner; un Arciere del medesimo santuario, che pare un pull-over di Missoni. Una Kore dell’Acropoli di Atene, si scopre che in realtà non portava un peplo, ma una lussuosa tunica, decorata con colorati fregi a motivi di animali; e tale da qualificarla non più una Kore , bensì una divinità. Dall’Aula del Colosso, nel Foro romano d’Augusto, proviene una parete che era tutta un fitto panneggio blu, con festoni rossi. Non solo colori: perfino oro; una Testa giovanile con benda da vincitore del 20 avanti Cristo, che si conserva a Monaco, la possiamo ammirare anche dorata; e il frontone di un sarcofago con scene pastorali, databile verso il 300 della nostra era ed esposto ai Vaticani, dopo la pulitura ed il restauro mostra che, un tempo, era tutto luccicante di giallo: il vecchio colore è risbucato fuori.
E non è un divertissement , non è una finzione: «Grazie alle più moderne tecnologie, dalle foto a luce ultravioletta, alla luce radente, agli esami microscopici e alle analisi cliniche», spiega Paolo Liverani, dei Musei Vaticani, «si sono potute rinvenire, sugli originali di queste sculture, abbondanti tracce di colore: siamo partiti da lì, e non dal nulla». Ed il direttore dei Musei Vaticani, l’archeologo Francesco Buranelli, aggiunge: «Cessa un grande equivoco della moderna storia dell’arte antica, e non è un gioco di parole; nel Settecento, Johann Joachim Winckelmann teorizza il bello ideale, e “statuisce” il bianco e nero». Scriveva infatti: «Un bel corpo sarà tanto più bello quanto più è bianco, e quando è nudo sembrerà più grande di quanto sia effettivamente; il colore dovrebbe avere una parte minore nella considerazione della bellezza, perché non è questo, ma la struttura, che ne costituisce l’essenza». Tutto ciò, con la complicità del tempo che dalle antiche statue aveva fatto sparire le tinte, ci ha abituato a vederle come una volta si vedevano gli antichi film, dopo quelli muti.
Ma non era così: lo stesso Winckelmann possedeva sculture antiche colorate, e un paio sono anzi pervenute proprio nelle raccolte Vaticane; già nel 1814, Antoine Chrisostome Quatremère de Quincy, famoso per la difesa del patrimonio con le sue Lettres à Miranda (che non era la sua fidanzata, bensì un celebre generale francese), aveva corretto quanto affermava lo storico dell’arte tedesco; ai primi del ’900, alcune ricostruzioni di templi erano già a colori, come la decorazione della stessa Gliptoteca di Monaco, finché la guerra l’ha spazzata via. Poi, però, più nulla: l’equivoco è continuato. La revisione inizia solo una ventina d’anni fa; e il suo esito più eclatante sono questi studi e queste simulazioni. «Non è certo una provocazione, ma nemmeno una verità rivelata e infallibile; la mostra è un esperimento: intende impostare il problema, non impone nulla a nessuno», precisa Buranelli. Bello che proprio ai Musei Vaticani, usi a lavorare lontano dalla luce dei riflettori, si debba una tanto ardita operazione: la documenta un catalogo (editore De Luca), cui si accompagna un libro di saggi, primo di una nuova collana vaticana d’approfondimenti scientifici.
L’effetto della mostra è spiazzante, choccante ; ma spesso, anche splendido: vediamo sculture perfino famosissime, come non le avremmo immaginate mai; ma, probabilmente, più “come erano”, rispetto al modo con cui le abbiamo studiate, o finora ammirate. Statue in technicolor , che s’inseriscono più coerentemente nel mondo antico, molto dipinto; sculture che, anche attraverso la progressiva introduzione dell’oro, mostrano quanto, nel tempo, il fasto s’accresca; fino alla bizantina Testa dell’imperatrice Ariadne , del VI secolo, già nella Basilica Lateranense (la si credeva Elena), che ha sul capo una cuffia, «della quale restano le tracce del colore rosso», e un diadema di perle con ancora molti segni dell’originale doratura. A tanti, lo sforzo parrà sovrumano (o sovraculturale); ma perché mai accontentarsi d’un mondo in bianco e nero, quello delle sculture greche e romane, quando invece il colore imperava e, se non proprio leggere, almeno lo possiamo, in qualche sua parte, ricostruire?