Puntuale come le luminarie in corso Buenos Aires a Milano - le prime per tradizione ad essere appese - s’accendono i riflettori sul Pallone d’oro, un’invenzione francese a cui solo noi italiani abbiamo abboccato fino al mulinello. Non se ne trova traccia in Europa, almeno nell’Europa del calcio che conta. Non in Spagna, non in Inghilterra, non in Germania, non in Svizzera, malgrado la loro tradizionale neutralità che accoglie generosamente tutti, purché paghino e non si fermino a lungo. E neanche in Francia, anche se nessuno lo dice, tra le pubblicazioni che non siano quelle di France Football, l’organizzatore, o dell Équipe (che appartiene allo stesso gruppo editoriale) il Pallone d’oro viene liquidato in spazi brevi e limitati.

Più audience nei Paesi dell’Est, oltre all’eccitazione che assale l’Italia dove i dibattiti cominciano anche prima della pubblicazione dei 50 «nominati», - in senso buono -, e questo è veramente un record mondiale. Basta vedere le dichiarazioni di Nedved e di Capello in favore di Buffon. Non ce ne libereremo mai, ma è una faccenda di cuore: noi siamo innamorati della douce France e accettiamo tutto senza fiatare, dal formaggio Pont l’Eveque, allo champagne Philipponnat (bisogna dire che in questo caso è un bel prendere) al trofeo inventato a Parigi. E allora, siccome non se ne può fare a meno, eccoci alle nominations, ai 50 nomi usciti dalle preselezioni. Cinquanta candidati da Adriano, passando per Shevchenko (che per loro è Chevtchenko) a Zinedine Zidane, che non manca mai, fino a quando farà i suoi ghirigori su un campo di calcio.

A proposito, con David Beckham (nominato numero 7, sempre in ordine alfabetico) e con Raul che non trova spazio tra Pirlo e Reyes, cioè l’hanno fatto fuori (una prece), Zinedine farà l’attore in una produzione hollywoodiana: la storia di un bambino ispanico, da un barrio di Los Angeles fino alla alla gloria della Premiership.
Non girano film, ma in Portogallo, all’Europeo, hanno fatto girare a vuoto molte squadre, così nella lista tirano i greci (cinque). Altrimenti non se li sarebbero filati. C’è pieno di cechi, da Nedved a Rosicky, ci sono molti portoghesi, da Deco a Figo e cinque italiani. Tre del Milan (Nesta, Maldini e Pirlo), uno della Roma (Totti) e uno della Juve (Buffon).

Alessandro Del Piero, invece, scompare dalla lista dei 50. Non solo, non è neanche tra quelli «citati» dove figura perfino mister «quaranta» Amedeo Carboni, l’unico italiano (a parte ora un po’ Di Vaio) ad avere conquistato i tifosi del Valencia. Non c’è Alex, proprio alla vigilia del suo trentesimo compleanno (oggi, auguri), proprio nella stagione che è cominciata tra le critiche, ma ha avuto l’impennata di gol importanti in campionato e in Champions League. Un anno fa, a Roma e dintorni, si scatenò la campagna «il vero pallone d’oro ce l’abbiamo noi» in favore di Francesco Totti. Non portò benissimo al ragazzo che, caricato di eccessive responsabilità, fallì, come sappiamo, l’Europeo, smarrendo la via appena la selva divenne un po’ più oscura. Ora i tifosi della Juve faranno lo stesso per Alex? Difficile, sono per tradizione più freddini anche se Del Piero è uno dei pochi juventini delle ultime generazioni ad essere diventato un’icona.

Bisogna prendere la bocciatura con filosofia: c’è di peggio. Del resto anche Jorge Luis Borges non ha mai vinto il Nobel. Sul suo sito, il ragazzino per cui il padre ricavò un campetto nel giardino di casa, ha commentato così la prima sconfitta stagionale della Juve a Reggio Calabria: «Accettiamo una partita storta con intatta la consapevolezza della nostra forza; il campionato ci offre già mercoledì contro la Fiorentina l’occasione per girare pagina, così come del resto facciamo dopo ogni partita».
Discorso - stile Ciampi - che si può applicare anche al suo mancato ingresso nella lista dei 50.

Speranze di vittoria degli italiani? Poche, considerando anche la necessità di intrecciare il talento individuale a una visibilità internazionale della propria squadra. E siamo alle solite. Si va così, a spanne, nelle decisioni di questo premio che ha mollato il pallone a Matthias Sammer e non a Franco Baresi e non ha mai elevato Paolo Maldini. Insieme (e separati) in due hanno vinto tutto e di più. Insomma il Pallone d’oro è come un formaggio o un vino francese. Noi ne abbiamo di migliori, però loro sono più bravi a venderli. Facciamocene una ragione.

Roberto Perrone

Per votere vai al sito.....cliccando qui