Fine del gioco del gatto col topo
Il vero abusivismo
di Carlo Stagnaro
Il governo ha chiesto la fiducia sul disegno di legge sulla delega ambientale. Apriti cielo. Le opposizioni si sono scatenate. I più teneri accusano il premier di voler sanare la propria villa in Sardegna. Gli altri parlano di scempio, di aggressione al territorio. C’è da scommettere che qualche mal di pancia abbia colto pure la maggioranza: quando si parla di allentare il controllo dello Stato sulla vita dei sudditi, c’è sempre chi si sente violato nel suo “diritto” a disporre dei beni altrui.
Il provvedimento verte principalmente su due punti: il condono degli abusi delle costruzioni edificate prima del 30 settembre 2004 nelle aree di interesse ambientale, e una depenalizzazione degli abusi più lievi. Si tratta di una mera presa d’atto della realtà: in Italia molti hanno costruito, o migliorato, la casetta malgrado la legge. Del resto, spesso l’illegalità è l’unica soluzione disponibile: la regolamentazione edilizia è tanto intrusiva, minuziosa e impicciona che non conviene neppure provare a rispettarla. Specie se si hanno in mente piccole modifiche (aprire una finestra, spostare una porta, restaurare un locale...) i costi e la discrezionalità amministrativi sono semplicemente insostenibili. Si rischia di scontrarsi con un niet fondato su qualcosa di peggio delle regole pasticciate: l’ignavia statale, l’ostile indifferenza del burocrate.
C’è di più. Sovente i vincoli ambientali e paesaggistici non trovano ragione nel dato tecnico, nell’esigenza di mettere un freno all’edilizia selvaggia per arginare, diciamo, potenziali disastri ecologici. Essi riflettono, nella migliore delle ipotesi, i gusti o gli interessi di un assessore, di un sovrintendente, di un capataz locale o di un emissario del potere centrale. Più frequentemente, muovono dall’odioso bisogno che lo Stato ha di gestire l’esistenza dei cittadini. Il fine della regolamentazione è spesso la regolamentazione stessa: è il crudele gioco del gatto col topo, il frutto amaro dell’albero del dominio. Si regolamenta per mettere bene in chiaro chi comanda e chi ubbidisce.
Il condono edilizio e ancor più la depenalizzazione, che riguardino abusi grandi o piccoli, infrangono la cappa burocratica e lasciano filtrare un raggio di libertà. Al contrario di quanto affermano i campioni dell’urbanistica (autori, loro sì, di emerite schifezze: lo racconta bene Vittorio Messori ne Il mistero di Torino, esempi alla mano), l’ordine, anche edilizio, è figlio della libertà. Ciò non significa che si possa costruire quanto si vuole, alzare muri e grattacieli, forgiare nuove torri di Babele. I diritti di ciascuno (anche la vista, il paesaggio, la coerenza architettonica possono essere diritti) debbono essere tutelati. Ma non è seguendo gli apostoli della pianificazione che si ottiene tale fine. Dietro a loro, si va dritti dritti all’erosione del diritto di proprietà immobiliare e fondiaria.
La jihad contro l’abusivismo può essere in buona fede: si sa, però, dove finiscono le strade lastricate di buone intenzioni.