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  1. #1
    Enclave MUSSOLINISTA
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    Sono un uomo che ama il suo Popolo. "Chi fa del male al mio Popolo e' un mio nemico" "Regnum Italicum".
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    Question Verso la socializzazione delle Imprese ? ... (sulla Cooperazione)



    A tutti i lavoratori

    In questo difficile momento della vita politica italiana dove le lobbies del potere economico-finanziario si apprestano a dare il colpo di grazia alle conquiste dello stato sociale con la complicità di tutte le forze politiche, noi abbiamo ritenuto di costituire un sindacato libero: la “Confederazione Unica del Lavoro, della Scienza e delle Arti” che già operò in Italia quale supporto a quella che è stata la più audace, la più originale e la più mediterranea delle idee: LA LEGGE SULLA SOCIALIZAZZIONE DELLE IMPRESE voluta dalla Repubblica Sociale Italiana.

    Ci furono delle parti interessate a sabotare questo illuminato progetto con critiche nei confronti dei promotori come se fosse stato un ulteriore inganno verso i lavoratori. MAI MENZOGNA FU PIU` GRANDE.

    Gli stessi padri dell’attuale Costituzione italiana hanno dovuto riconoscere l’alto valore etico e sociale del principio della socializzazione tanto da inserire nella magna charta l’art. 46 che fissa il principio del diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione diretta delle imprese. Ma sinistra e destra politica, come pure i sindacati istituzionali, nei quasi sessant’anni trascorsi dall’emanazione della carta costituzionale, hanno evitato scrupolosamente, in stretta obbedienza alla casta padronale, di sensibilizzare i lavoratori italiani affinché richiedessero a gran voce alle istituzioni di emanare le norme di legge per l’attuazione del principio della cogestione delle imprese.

    Orbene, quella della socializzazione delle imprese non è una legge transeunte perché contiene i principi che sanciscono la fine della lotta di classe, ossia l’antico conflitto tra capitale e lavoro.

    Attualmente, se è vero che il risveglio delle più mature categorie professionali e sociali fa bene sperare per il rilancio di un vasto programma partecipativo, pur adattandolo al crescente sviluppo tecnologico, è altrettanto vero che da parte dei detentori del capitale, riproponendo il liberalismo e l’attuazione delle privatizzazioni, si è determinato un forte arroccamento su posizioni contrarie ad ogni forma di autentica partecipazione. La socializzazione peraltro ci consentirebbe di non dover più pavidamente scrutare in certe capitali straniere per intravedere il nostro destino ma di costruirlo con le nostre mani.

    Lavoratori!

    Noi siamo fieri di aver raccolto la testimonianza di quella grande idea che è stata ed è la SOCIALIZZAZIONE, di questa grande e unica costruzione politico-sociale del XX secolo che nel mondo moderno solo la Germania ha saputo raccogliere attraverso la “MITBESTIMMUNG”, la versione tedesca della socializzazione che ha assicurato alla Germania quella pace sociale e quel benessere che ne ha fatto la nazione più sviluppata e più forte d’Europa.

    Siate fieri anche voi della vostra storia e della vostra Patria! Abbandonate i sindacati e le organizzazioni politiche delle sedicenti destra e sinistra, ovvero due facce della stessa patacca!

    Solo la socializzazione delle imprese può rompere le catene che legano i lavoratori, catene volute allo stesso modo dal capitalismo liberista e dal marxismo social-comunista, finti avversari che in realtà sfruttano i lavoratori per i loro sporchi interessi finanziari e politici! Basta con i sindacalisti che fingono conflitti con il padronato al solo scopo di crearsi una carriera politica nei partiti di sinistra......


    ADERITE IN MASSA ALLA C.U.L.T.A
    CONFEDERAZIONE UNICA DEL LAVORO, DELLA TECNICA E DELLE ARTI
    CULTA2004@YAHOO.IT – Tel. 349/5878759

    Segretario Generale: Angelo Faccia – C.P. 37 succ. 6 – 06127 Perugia

    Chiedo ai moderatori, se possibile, di mettere in rilievo l'appello lanciato dal C.U.L.T.A. e a tutti i lavoratori di aderire in massa.

  2. #2
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    Predefinito Capitale e Lavoro nelle stesse Mani

    I Repubblicani storici di scuola mazziniana sono per un'economia organizzata sotto il principio del "Capitale e Lavoro" nelle stesse mani cosa che, apparentemente, sembrerebbe simile a quanto proposto da questo articolo sulla "socializzazione".
    In realta' la "socializzazione" proposta non e' altro che un modo/termine diverso di presentare il socialismo in cui ha sguazzato il duce del Fascismo sino alla conquista del potere.
    La creazione delle corporazioni delle arti e dei mestieri e' stata la dimostrazione di come sia stato esplicitato questo concetto di socializzazione ... cioe' la creazione di "gruppi di potere" in ambito lavorativo ... che ancor oggi, piu' organizzati e potenti, quasi delle lobbyes, la fanno da padrone nel mondo del lavoro scioperando o non scioperando a seconda del governo in carica e ... imbonendo ... le masse lavorative al raggiungimento dei propri diritti senza menzione alcuna dei propri doveri.
    Socializzazione, secondo questo concetto, significa solo partecipazione alla gestione delle imprese ... ma non significa assunzione di responsabilita' nella proprieta' dell'impresa stessa ... cosa che solamente si puo' acquisire con la presa di coscenza che il lavoro ed il capitale devono congiungersi ... fondersi in uno stesso soggetto.
    Certo, la socializzazione sembrerebbe apparentemente gia' un passo avanti ... ma in realta' sarebbe solo una strutturazione impositiva della gestione delle imprese ... rispetto alla possibilita' che il "mercato" gia' offre, anche ai lavoratori, di entrare nella proprieta' azionaria delle imprese ... il problema semmai e' quello di ampliare il "mercato" e la quantita' e la composizione delle imprese di tipo collettivo ... e non restringerlo, ad esempio, a quello rappresentato dalla "borsa" italiana ... dove pochi gruppi fanno il bello ed il cattivo tempo.
    Certo e' che non tutto quanto fatto dal fascismo debba essere condannato in toto ... sono state fatte anche cose buone e valide ancora oggi ... ed e' difficile riuscire a capire quanto di voluto o di contingente sia stato realizzato ... se era nella politica economica del fascismo o se era nelle necessita' economiche incombenti e che parimenti sarebbero state risolte in quel modo da qualsiasi altro governo ....
    Ricordiamo come cose positive la Cassa rurale ed artigiana, gli assegni familiari, la creazione dell'Inps, l'assicurazione contro la tbc che in quegli anni era falcidiante e terribile come oggi l'aids, la creazione dell'opera maternita' e infanzia ...e tante altre cose ... che, ripeto, e' difficile capire quanto fossero collegate alla politica fascista e quanto invece alla normale crescita di un paese che usciva dall'ottocento e dall'eta' del progresso e dell'emancipazione sociale ed era all'inizio dell'era delle innovazioni tecnologiche .... che gia' di per se e' un rullo compressore e avanza ad una velocita' (ancora oggi) superiore alla velocita' stagnante della politica.
    Il fascismo quindi ha taroccato ... quanto ha sbandierato come socializzazione ... con il "corporativismo" ... Mussolini stesso ha ingannato i suoi seguaci facendosi passare per un "socialista" verace e, nella pratica, ha messo in piedi metodi di socializzazione piu' vicini alle impostazioni dei soviet russi che non a quelle di una moderna economia condivisa.
    Non vedo infatti molta differenza tra collettivismo e socializzazione ... sono entrambi concetti teorici massimalisti e totalitaristi ... tra l'altro entrambi sconfitti dalla storia .... l'unica differenza e' che in uno si era abolito la propieta' privata e nell'altro la si manteneva coartandola pero' e sodomizzandola ai propri interessi corporativi ...
    Certo sono convinto che non sia facile in poche righe affrontare il problema ...ed io poi non sono un Solone in grado di evidenziarne tutti gli aspetti ... ma, andando a sensazione ed a pelle, credo di aver messo in risalto i concetti basilari che spero, con un sano confronto, ed in assenza di preclusioni ideologiche, si possa affontare ed analizzare ...
    Noi Repubblicani non siamo per il concetto che lo Stato debba essere il risultato di una lotta di classe .. e tantomeno che ci sia la predominanza di una classe sulle altre .... siamo per l'integrazione e la collaborazione tra le classi onde favorirne la vicinanza e la diminuzione delle distanze ... ma non siamo nemmeno per uno Stato dove il Capitale sia considerato uno strumento plutocratico e dove si voglia costruire un "ordine sociale" impositivo che non nasca dalla libera espressione di ogni individualita' ... nell'esercizio cioe', da parte dei singoli, della piu' ampia liberta in ogni campo, compreso quello economico e sociale, purche' esperito e condotto in simbiosi con il Bene Comune .... che e' poi alla base del concetto di "Patria" ....

    http://www.nuvolarossa.org/
    [mid]http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/VECCHIOFRACK.mid[/mid]

  3. #3
    Enclave MUSSOLINISTA
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    Predefinito

    Cmq caro nuvola rossa un pochetto di confusione eh? Non dimenticare che l'Italia, grazie al Fascismo, fu il primo paese ad adottare le 40 ore settimanali di lavoro, mentre gli altri paesi ne avevano 48. E i seguenti testi sono più chiari ed esplicativi delle tue e delle mie parole.
    Il Fascismo in quanto a lavoro e benessere per il popolo, non fu secondo a nessuno.

    DECRETO LEGISLATIVO DEL 12 FEBBRAIO 1944, N.375,
    SULLA SOCIALIZZAZIONE DELLE IMPRESE.
    (dalla G.U d’Italia, 30 Giugno 1944, n. 151):


    DECRETO LEGISLATIVO DEL DUCE 12 Febbraio 1944 - XXII, n. 375.

    Socializzazione delle imprese

    IL DUCE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
    Vista la Carta del Lavoro;
    Vista la “Premessa fondamentale per la creazione della nuova struttura dell’economia italiana approvata dal Consiglio dei Ministri del 13 Gennaio 1944;
    Sentito il Consiglio dei Ministri;
    Su proposta del Ministro per l’Economia Corporativa di concerto con il Ministro per le finanze e con il Ministro per la Giustizia
    Decreta:


    Titolo 1. – DELLA SOCIALIZZAZIONE DELLA IMPRESA
    Art. 1. (Imprese socializzate) - Le imprese di proprietà privata che dalla data del 1° gennaio 1944 abbiano almeno un milione di capitale o impieghino almeno cento lavoratori, sono socializzate.
    Sono altresì socializzate tutte le imprese di proprietà dello Stato, delle Province e dei Comuni nonché ogni altra impresa a carattere pubblico.
    Alla gestione della impresa socializzata prende parte diretta il lavoro.
    L’ordinamento dell’impresa socializzata è disciplinato dal presente decreto e relative norme di attuazione, dallo statuto di ciascuna impresa, dalle norme del Codice Civile e dalle leggi speciali in quanto non contrastino con il presente decreto.

    Art. 2. (Organi delle imprese socializzate) - Gli organi delle imprese socializzate sono:
    a) per le società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata: il capo dell’impresa; l’assemblea; il consiglio di gestione; il collegio dei sindaci:
    b) per le altre società e per le imprese individuali: il capo dell’impresa e il consiglio di gestione:
    c) per le imprese di proprietà dello Stato e per le imprese a carattere pubblico che non abbiano forma di società: il capo dell’impresa; il consiglio di gestione; il collegio dei revisori.


    Sezione 1. - Amministrazione delle Imprese socializzate.
    Capo I (Organi delle imprese socializzate) - Amministrazione delle imprese di proprietà privata aventi forma di società.
    Art. 3. (Organi collegiali delle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata) - Nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, fanno parte degli organi collegiali, membri eletti dai lavoratori dell’impresa: operai, impiegati tecnici, impiegati amministrativi.

    Art. 4. (Assemblea, consiglio di gestione, collegio sindacale) - All’assemblea partecipano i rappresentanti dei lavoratori, operai, impiegati tecnici, impiegati amministrativi, con un numero di voti pari a quello dei rappresentanti del capitale intervenuto.
    Il consiglio di gestione, nominato dall’assemblea, è formato per metà di membri scelti fra i lavoratori, operai, impiegati tecnici, impiegati amministrativi.
    Il collegio sindacale, pure nominato dall’assemblea, è formato per metà di membri designati dai lavoratori e per metà di membri designati dai soci. Il presidente del Collegio sindacale è scelto fra gli iscritti all’albo dei revisori dei conti.

    Art. 5. (Consiglio di gestione delle società che non sono per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata) - Nelle società non contemplate nel precedente articolo £ il consiglio di gestione è formato da un numero di soci che verrà stabilito dallo statuto della società, e di un egual numero di membri eletti fra i lavoratori dell’impresa, operai, impiegati tecnici, impiegati amministrativi.

    Art. 6. (Poteri del consiglio di gestione) - Il consiglio di gestione delle imprese private aventi forma di società, sulla base di un periodico e sistematico esame degli elementi tecnici, economici e finanziari della gestione:
    a) delibera su tutte le questioni relative alla vita dell’impresa, all’indirizzo ed allo svolgimento della produzione nel quadro del piano nazionale stabilito dai competenti organi di Stato;
    b) esprime il proprio parere su ogni questione inerente alla disciplina ed alla tutela del lavoro nella impresa;
    c) esercita in genere nell’impresa tutti i poteri attribuitigli dallo statuto e quelli previsti dalle leggi vigenti per gli amministratori, ove non siano in contrasto con le disposizioni del presente provvedimento;
    d) redige il bilancio dell’impresa e propone la ripartizione degli utili ai sensi delle disposizioni del presente decreto e del Codice Civile.

    Art. 7 (Votazioni) - Nelle votazioni tanto dell’assemblea quanto del consiglio di gestione, prevale, in caso di parità di voti, il voto del capo dell’impresa che di diritto presiede i predetti organi sociali.

    Art. 8 (Cauzione dei membri del consiglio di gestione) - I membri dei consigli di gestione eletti dai lavoratori sono dispensati dall’obbligo di prestare cauzione.

    Art. 9 (Capo dell’impresa) - Nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata il capo dell’impresa è eletto dall’assemblea fra persone di provata capacità tecnica o amministrativa nell’impresa o fuori.
    Nelle altre imprese aventi forma di società il capo dell’impresa è nominato fra soci con le modalità previste dagli atti costitutivi, dagli statuti e dai regolamenti delle società stesse.

    Art. 10. (Poteri del capo dell’impresa) - Il capo dell’impresa dirige e rappresenta a tutti gli effetti l’impresa stessa; convoca e presiede l’assemblea, nelle imprese in cui esiste; convoca e presiede altresì il consiglio di gestione.
    Egli ha la responsabilità ed i doveri di cui ai successivi articoli 22 e seguenti e tutti i poteri riconosciutigli dallo statuto, nonché quelli previsti dalle leggi vigenti, ove non contrastino con le disposizioni del presente decreto.


    Capo II - Amministrazione delle imprese di proprietà privata individuale.
    Art. 11. (Consiglio di gestione) - Nelle imprese individuali viene costituito un consiglio di gestione composto di almeno tre membri eletti, secondo il regolamento dell’impresa, dai lavoratori: operai, impiegati amministrativi, impiegati tecnici.

    Art. 12. (Capo dell’impresa - Poteri del consiglio di gestione) - Nelle imprese individuali l’imprenditore, il quale assume la figura giuridica di capo dell’impresa con la responsabilità e i doveri di cui ai successivi articoli 22 e seguenti, è coadiuvato nella gestione della impresa stessa dal consiglio di gestione.
    L’imprenditore, capo dell’impresa, deve riunire periodicamente e almeno una volta al mese il consiglio, per sottoporgli le questioni relative alla vita produttiva dell’impresa, ed ogni anno alla chiusura della gestione per l’approvazione del bilancio e il riparto degli utili.


    Capo III - Amministrazione delle imprese di proprietà dello Stato.
    Art. 13. (Capo dell’impresa) - Il capo dell’impresa di proprietà dello Stato è nominato con decreto del Ministro per l’Economia Corporativa di concerto con il Ministro delle Finanze su designazione dell’Istituto di Gestione e Finanziamento, tra i membri del consiglio di gestione dell’impresa o fra altri elementi dell’impresa stessa o di imprese del medesimo settore produttivo, che diano speciali garanzie di comprovata capacità tecnica o amministrativa.
    Il capo dell’impresa ha la responsabilità ed i doveri di cui ai successivi art. 22 e seguenti ed i poteri che saranno determinati dallo statuto di ogni impresa.

    Art. 14. (Consiglio di gestione) - Il consiglio di gestione è presieduto dal capo dell’impresa ed è composto di rappresentanti eletti dalle varie categorie dei lavoratori dell’impresa: operai, impiegati tecnici, impiegati amministrativi, nonché di almeno un rappresentante proposto dall’Istituto di Gestione e Finanziamento e nominato dal Ministro per l’Economia Corporativa di concerto con il Ministro per le Finanze.
    Le modalità di elezione ed il numero dei membri del consiglio saranno determinati dallo statuto dell’impresa.
    Nessuno speciale compenso, salvo il rimborso delle spese, è dovuto ai membri del consiglio di gestione per tale loro attività.

    Art. 15. (Poteri del consiglio di gestione) - Per i poteri del consiglio di gestione delle imprese di proprietà dello Stato, valgono le norme contenute nel precedente articolo 7.

    Art. 16. (Costituzione del collegio dei revisori) - Il collegio dei revisori delle imprese di proprietà dello Stato è costituito con decreto del Ministro per l’Economia Corporativa di concerto con il Ministro per le Finanze, su designazione dell’Istituto di Gestione e Finanziamento.
    Il compenso dei revisori è determinato dall’Istituto di Gestione e Finanziamento

    Art. 17. (Approvazione del bilancio e riparto degli utili; deliberazioni eccedenti l’ordinaria amministrazione) - Nelle imprese di proprietà dello Stato il bilancio e il progetto di riparto degli utili sono proposti dal consiglio di gestione ed approvati dall’istituto di Gestione e Finanziamento.
    Gli aumenti, le riduzioni di capitale, le fusioni, le concentrazioni, nonché lo scioglimento e le liquidazioni delle imprese di proprietà dello Stato sono proposte dall’Istituto di Gestione e Finanziamento, sentito il consiglio di gestione delle imprese interessate e approvati dal Ministro dell’Economia Corporativa di concerto con il Ministro delle Finanze e con gli altri Ministri interessati.


    Capo IV - Amministrazione delle imprese a carattere pubblico
    Art. 18. (Amministrazione delle imprese a carattere pubblico) - L’Amministrazione delle imprese a carattere pubblico sarà regolata dalle norme di cui al capo I di questa sezione, quando le imprese stesse siano costituite in forma di società. In tutti gli altri casi si applicheranno le norme di cui al capo terzo.


    Capo V - Disposizioni comuni ai capi precedenti.
    Art. 19. (Statuti e regolamenti delle imprese di proprietà privata) - Tutte le imprese private aventi forma di società dovranno provvedere ad adeguare gli statuti alle norme contenute nel presente decreto; le imprese private individuali dovranno anch’esse redigere uno statuto.
    Gli statuti saranno sottoposti all’approvazione del Ministero dell’Economia Corporativa il quale li trasmetterà al Tribunale competente per territorio per la trascrizione nel registro delle imprese previsto dal codice civile.
    Il Ministro per L’economia Corporativa stabilirà con propri decreti il termine entro il quale le diverse categorie di imprese dovranno presentare i nuovi statuti all’approvazione.

    Art. 20. (Atti costitutivi e statuti delle imprese di proprietà dello Stato e delle imprese a carattere pubblico) - Gli ordinamenti, gli atti costitutivi e gli statuti delle imprese di proprietà dello Stato e delle imprese a carattere pubblico, come pure ogni loro modificazione, sono approvati con decreto del Ministero per l’Economia Corporativa di concerto con il Ministro per le Finanze e con gli altri Ministri interessati.

    Art. 21. (Modalità di elezione dei rappresentanti dei lavoratori) - I rappresentanti dei lavoratori chiamati a far parte degli organi delle imprese socializzate, sono eletti con votazione segreta da tutti i lavoratori dell’impresa, operai, impiegati amministrativi, impiegati tecnici, fra i lavoratori delle singole categorie che abbiano almeno 25 anni di età ed almeno 5 anni di appartenenza all’impresa e che abbiano inoltre dimostrato fedeltà al lavoro e provata capacità tecnica e amministrativa.




    La carta del lavoro



    I.
    La Nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata a quelli degli individui divisi o raggruppati che la
    compongono. È una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato fascista.

    II.
    Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo,
    è tutelato dallo Stato.
    Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale; i suoi obiettivi sono unitari e si riassumono nel benessere dei singoli e nello
    sviluppo della potenza nazionale.

    III.
    L’organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato, legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato, ha il diritto di
    rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori, per cui è costituito; di tutelarne, di fronte alle Stato e alle altre associazioni
    professionali, gli interessi; di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria, di imporre loro contributo e di
    esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico.

    IV.
    Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà tra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli
    opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione.

    V.
    La magistratura del lavoro è l’organo con cui lo Stato interviene a regolare le controversie del lavoro, sia che vertano sull’osservanza dei patti e delle
    altre norme esistenti, sia che vertano sulla determinazione di nuove condizioni del lavoro.

    VI.
    Le associazioni professionali legalmente riconosciute assicurano l’uguaglianza giuridica tra i datori di lavoro e i lavoratori, mantengono la disciplina
    della produzione e del lavoro e ne promuovono il perfezionamento.
    Le Corporazioni costituiscono l’organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi.
    In virtú di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi della produzione interessi nazionali, le Corporazioni sono dalla legge riconosciute come
    organi di Stato.
    Quali rappresentanti degli interessi unitari della produzione, le Corporazioni possono dettar norme obbligatorie sulla disciplina dei rapporti di lavoro e
    anche sul coordinamento della produzione tutte le volte che ne abbiano avuto i necessari poteri dalle associazioni collegate.

    VII.
    Lo Stato corporativo considera l’iniziativa nel campo della produzione come lo strumento piú efficace e piú utile nell’interesse della Nazione.
    L’organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale, l’organizzatore dell’impresa è responsabile dell’indirizzo della
    produzione di fronte allo Stato. Dalla collaborazione delle forze produttive deriva fra esse reciprocità di diritti e di doveri. Il prestatore d’opera, tecnico,
    impiegato od operaio, è un collaboratore attivo dell’impresa economica, la direzione della quale spetta al datore di lavoro che ne ha la responsabilità.

    VIII.
    Le associazioni di datori di lavoro hanno l’obbligo di promuovere in tutti i modi l’aumento, il perfezionamento della produzione e la riduzione dei
    costi. Le rappresentanze di coloro che esercitano una libera professione o un’arte e le associazioni di pubblici dipendenti concorrono alla tutela degli
    interessi dell’arte, della scienza e delle lettere, al perfezionamento della produzione e al conseguimento dei fini morali dell’ordinamento corporativo.

    IX.
    L’intervento dello Stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l’iniziativa privata o quando siano in giuoco
    interessi politici dello Stato. Tale intervento può assumere la forma del controllo, dell’incoraggiamento e della gestione diretta.

    X.
    Nelle controversie collettive del lavoro l’azione giudiziaria non può essere intentata se l’organo corporativo non ha prima esperito il tentativo di
    conciliazione.
    Nelle controversie individuali concernenti l’interpretazione e l’applicazione dei contratti collettivi di lavoro, le associazioni professionali hanno facoltà
    di interporre i loro uffici per la conciliazione.
    La competenza per tali controversie è devoluta alla magistratura ordinaria, con l’aggiunta di assessori designati dalle associazioni professionali
    interessate.

    XI.
    Le associazioni hanno l’obbligo di regolare, mediante contratti collettivi, i rapporti di lavoro per le categorie di datori di lavoro e di lavoratori, che
    rappresentano.
    Il contratto collettivo di lavoro si stipula fra associazioni di primo grado, sotto la guida e il controllo delle organizzazioni centrali, salva la facoltà di
    sostituzione da parte dell’associazione di grado superiore, nei casi previsti dalla legge o dagli statuti.
    Ogni contratto collettivo di lavoro, sotto pena di multa, deve contenere norme precise sui rapporti disciplinari, sul periodo di prova, sulla misura e sul
    pagamento della retribuzione, sull’orario di lavoro.

    XII.
    L’azione del sindacato, l’opera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della magistratura del lavoro garantiscono la corrispondenza del
    salario alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento del lavoro. La determinazione del salario è sottratta a qualsiasi
    norma generale e affidata all’accordo delle parti nei contratti collettivi.

    XIII.
    Le conseguenze delle crisi di produzione e dei fenomeni monetari devono equamente ripartirsi fra tutti i fattori della produzione.
    I dati rilevati dalle pubbliche amministrazioni, dall’istituto centrale di statistica e dalle associazioni professionali legalmente riconosciute, circa le
    condizioni della produzione e del lavoro e la situazione del mercato monetario, e le variazioni del tenore di vita dei prestatori d’opera, coordinati ed
    elaborati dal Ministero delle Corporazioni, daranno il criterio per contemperare gli interessi delle varie categorie e delle classi fra di loro e di queste
    coll’interesse superiore della produzione.

    XIV.
    La retribuzione deve essere corrisposta nella forma piú consentanea alle esigenze del lavoro e dell’impresa.
    Quando la retribuzione sia stabilita a cottimo, e la liquidazione dei cottimi sia fatta a periodi superiori alla quindicina, sono dovuti adeguati acconti
    quindicinali o settimanali.
    Il lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici, viene retribuito con una percentuale in piú, rispetto al lavoro diurno.
    Quando il lavoro sia retribuito a cottimo, le tariffe di cottimo debbono essere determinate in modo che all’operaio laborioso, di normale capacità
    lavorativa, sia consentito di conseguire un guadagno minimo oltre la paga base.

    XV.
    Il prestatore di lavoro ha diritto al riposo settimanale in coincidenza con le domeniche. I contratti collettivi applicheranno il principio tenendo conto
    delle norme esistenti, delle esigenze tecniche delle imprese, e nei limiti di tali esigenze procureranno altresí che siano rispettate le festività civili e
    religiose secondo le tradizioni locali. L’orario di lavoro dovrà essere scrupolosamente e intensamente osservato dal prestatore d’opera.

    XVI.
    Dopo un anno di ininterrotto servizio il prestatore d’opera, nelle imprese a lavoro continuo, ha diritto ad un periodo annuo di riposo feriale retribuito.

    XVII.
    Nelle imprese a lavoro continuo il lavoratore ha diritto, in caso di cessazione dei rapporti di lavoro per licenziamento senza sua colpa, ad una
    indennità proporzionata agli anni di servizio. Tale indennità è dovuta anche in caso di morte del lavoratore.

    XVIII.
    Nelle imprese a lavoro continuo, il trapasso dell’azienda non risolve il contratto di lavoro, e il personale ad essa addetto conserva i suoi diritti nei
    confronti del nuovo titolare. Egualmente la malattia del lavoratore, che non ecceda una determinata durata, non risolve il contratto di lavoro. Il richiamo
    alle armi o in servizio della MVSN non è causa di licenziamento.

    XIX.
    Le infrazioni alla disciplina e gli atti che perturbino il normale andamento dell’azienda, commessi dai prenditori di lavoro, sono puniti, secondo la
    gravità della mancanza, con la multa, con la sospensione dal lavoro e, per i casi piú gravi, col licenziamento immediato senza indennità.
    Saranno specificati i casi in cui l’imprenditore può infliggere: la multa o la sospensione o il licenziamento immediato senza indennità.

    XX.
    Il prestatore di opera di nuova assunzione è soggetto ad un periodo di prova, durante il quale è reciproco il diritto alla risoluzione del contratto, col
    solo pagamento della retribuzione per il tempo in cui il lavoro è stato effettivamente prestato.

    XXI.
    Il contratto collettivo di lavoro estende i suoi benefici e la sua disciplina anche ai lavoratori a domicilio. Speciali norme saranno dettate dallo Stato
    per assicurare la polizia e l’igiene del lavoro a domicilio.

    XXII.
    Lo Stato accerta e controlla il fenomeno della occupazione e della disoccupazione dei lavoratori, indice complessivo delle condizioni della
    produzione e del lavoro.

    XXIII.
    Gli uffici di collocamento sono costituiti a base paritetica sotto il controllo degli organi corporativi dello Stato. I datori di lavoro hanno l’obbligo di
    assumere i prestatori d’opera pel tramite di detti uffici. Ad essi è data facoltà di scelta nell’ambito degli iscritti negli elenchi con preferenza a coloro che
    appartengono al Partito e ai Sindacati fascisti, secondo la anzianità di iscrizione.

    XXIV.
    Le associazioni professionali di lavoratori hanno l’obbligo di esercitare un’azione selettiva fra i lavoratori, diretta ad elevarne sempre di piú la
    capacità tecnica e il valore morale.

    XXV.
    Gli organi corporativi sorvegliano perché siano osservate le leggi sulla prevenzione degli infortuni e sulla polizia del lavoro da parte dei singoli
    soggetti alle associazioni collegate.

    XXVI.
    La previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore di lavoro e il prestatore d’opera devono concorrere
    proporzionalmente agli oneri di essa. Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare,
    quanto piú è possibile, il sistema e gli istituti della previdenza.

    XXVII.
    Lo Stato fascista si propone:
    1) il perfezionamento dell’assicurazione infortuni;
    2) il miglioramento e l’estensione dell’assicurazione maternità;
    3) l’assicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi come avviamento all’assicurazione generale contro tutte le malattie;
    4) il perfezionamento dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria;
    5) l’adozione di forme speciali assicurative dotalizie pei giovani lavoratori.

    XXXVIII.
    È compito delle associazioni di lavoratori la tutela dei loro rappresentanti nelle pratiche amministrative e giudiziarie, relative all’assicurazione
    infortuni e alle assicurazioni sociali.
    Nei contratti collettivi di lavoro sarà stabilita, quando sia tecnicamente possibile, la costituzione di casse mutue per malattia col contributo dei datori
    di lavoro e dei prestatori di opera, da amministrarsi da rappresentanti degli uni e degli altri, sotto la vigilanza degli organi corporativi.

    XXIX.
    L’assistenza ai propri rappresentanti, soci e non soci, è un diritto e un dovere delle associazioni professionali. Queste debbono esercitare
    direttamente le loro funzioni di assistenza, né possono delegarle ad altri enti od istituti, se non per obiettivi d’indole generale, eccedenti gli interessi delle
    singole categorie.

    XXX.
    L’educazione e l’istruzione, specie la istruzione professionale, dei loro rappresentanti, soci e non soci, è uno dei principali doveri delle associazioni
    professionali. Esse devono affiancare l’azione delle Opere nazionali relative al Dopolavoro e alle altre iniziative di educazione


  4. #4
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    Predefinito

    .... per rispondere a quanto da te postato dovrei ripetere in buona parte quanto scritto piu' sopra .... (clicca)... dove ti rimando per una rilettura ... in tranquillita' d'animo !

    http://www.nuvolarossa.org/

  5. #5
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    L'ESSENZA DI UN'IDEA

    CORPORATIVISMO, SOCIALIZZAZIONE O SOCIALISMO?

    "… La Socializzazione altro non è se non la realizzazione italiana, umana, nostra, effettuabile del Socialismo; dico "nostra" in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell'economia, ma respinge le meccaniche livellazioni di tutto e di tutti,inesistenti nella natura e impossibili nella storia. Con questo noi intendiamo evocare sulla scena politica gli elementi migliori del popolo lavoratore."

    MUSSOLINI, Discorso di Gargnano, 14 Ottobre 1944


    Il Corporativismo è tutto il Fascismo? Questa fu una questione fra le più dibattute durante il ventennio, variamente risolta, più volte archiviata come inutile bizantinismo e pure continuamente risorgente, poiché, in ultima analisi, sintetizzava il problema della definizione del contenuto e del programma sociale della nostra rivoluzione. Ora la stessa esigenza di chiarire questo contenuto e questo programma ci pone un problema sostanzialmente simile, ovvero: la socializzazione è socialismo? Già a questa nuova domanda qualcuno risponde che si tratta di parole e che non giova soffermarsi su certe ricerche formali. Ma la domanda si presenta, ancora, con insistenza e con urgenza, perché non pone una questione di parole o di semplice forma, bensì un'istanza sostanziale, che bisogna soddisfare con tutto il rigore possibile. Il che necessariamente significa chiamare le cose con il loro nome e inserire i programmi al loro giusto posto nell'evoluzione delle idee e delle dottrine politiche. Noi , in quanto portatori del programma di socializzazione, siamo, dunque, socialisti? Premettiamo che non ci lasceremo impressionare dalle parole, né trascinare da pregiudiziali: non abbiamo nulla in contrario, cioè, a riconoscerci socialisti se il confronto del contenuto della nostra idea con quello delle idee socialiste ci convincerà che si tratta di contenuti identici, o simili, o in rapporto generico l'uno con l'altro. Appunto perché non facciamo questioni di parole, esse non ci preoccupano e non ci interessano, e vogliamo dalla sostanza delle idee la soluzione del nostro problema. E veniamo, dunque, al concreto: veniamo, cioè, a definire uno dei termini che vanno posti a confronto: il contenuto della nostra socializzazione. Questo contenuto non è difficilmente individuabile essendo riducibile tutto a due principi fondamentali:

    Riconoscimento del valore dell'iniziativa individuale; da cui deriva come corollario che normalmente l'attività produttiva continua ad essere svolta dai singoli e non viene assunta dallo Stato se non quando si ritenga che l'iniziativa individuale non sia sufficiente o che motivi di ordine politico lo consiglino (statalizzazione delle industrie appartenenti a settori - chiave), e che, sempre normalmente, la proprietà dei mezzi di produzione resta al singolo;


    ma l'iniziativa non è più solo iniziativa del capitale e la proprietà dei mezzi di produzione non è più decisiva nella determinazione del processo produttivo: in questo ha parte fondamentale il lavoro, in tutte le sue forme, da quelle organizzative e direttive a quelle esecutive; ed al lavoro in quanto tale deve essere affidata la gestione dell'impresa e la disciplina della produzione; da cui poi deriva la conseguenza che il lavoro debba anche partecipare agli utili che dalla gestione dell'impresa, ed in genere della produzione, derivano.

    Per chi ben guardi, in questi due principi, di così semplice enunciazione, è contenuto in luce tutto un programma di politica economica e sociale. Ed infatti in essi vi è il riconoscimento dell'iniziativa individuale, ma vi è anche l'affermazione della necessità di un programma produttivo, di un piano, poiché la produzione non è e non può essere condotta più in base all'esclusivo arbitrio individuale ed in vista del solo utile individuale, che sono poi l'arbitrio e l'utile del capitalista; ma deve rispondere alla volontà ed all'interesse di tutti i fattori che intervengono nel processo produttivo, cioè della collettività produttrice. Per cui la partecipazione del lavoro parte dall'impresa, ma non si ferma ad essa, bensì diviene partecipazione a tutta la disciplina del processo produttivo attraverso la partecipazione attiva agli organi dello Stato a ciò destinati.

    E la distribuzione degli utili d'impresa non è, a sua volta, fine a se stessa, ma si dilata in un più vasto principio che si pone a base della distribuzione di tutto il complesso del reddito nazionale, con obiettivo l'accorciamento delle distanze fra redditi massimi e minimi ed il miglioramento delle condizioni di vita delle categorie più basse. Ora questo programma economico - sociale su quali principi filosofico - politici trova la sua base? Questo quesito va risolto, se non si vuole che ci si limiti ad una mera soluzione pratica ed empirica di problemi economico - sociali; il che non possiamo, per un assunto spiritualistico del nostro pensiero, al quale i problemi si presentano, prima che in veste economica, in veste morale e politica. Per cui il riconoscimento dell'iniziativa individuale, prima che sul piano economico, ha un significato, per noi, sul piano etico, come riconoscimento del valore della personalità e della libertà; l'affermazione che la proprietà degli strumenti di produzione non è, da sola, decisiva del processo produttivo, ma deve essere integrata dal principio della partecipazione di tutti i fattori di questo, implica e presuppone un principio di etica non materialistica che postuli l'esistenza di un valore universale della personalità e della libertà, indipendente dalla manifestazione materiale della proprietà, e per cui nessun individuo può essere considerato come mezzo, ma ognuno è esso stesso un fine, e vale non in quanto ha, ma in quanto si attua compiutamente, realizzando, con la sua azione, un suo fine superiore e collettivo; e finalmente l'ammissione di un limite all'assoluto ed egoistico prevalere dell'iniziativa individuale, implica il riconoscimento del valore della società come concreta realtà trascendente l'individuo e pure espressa da questo, e ad esso immanente, realtà autonoma non intesa come somma atomistica e materialistica di individui, ma come sintesi ideale del momento individuale in una superiore individualità avente propri fini e volontà.



    Dunque, un punto ci sembra chiaro: che non si possa parlare, per noi, di marxismo, né nella teoria né nella prassi. Se è vero, come abbiamo chiarito, che la nostra posizione teoretica è rigidamente spiritualistica, risulta chiaramente che non ci è possibile accettare nessuno dei fondamenti filosofici del marxismo ovvero il materialismo storico, il determinismo e la teoria della lotta di classe. Ma se la nostra socializzazione non è sul piano del marxismo (poiché cardine dell'esperimento bolscevico è l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione) essa non è neppure per dottrina e per metodo su quello delle sue filiazioni, più o meno revisionistiche, in quanto espressione non materialistica. Lo Stato del lavoro è nel nostro pensiero lo Stato di tutti i lavoratori, del braccio e della mente, senza distinzione, fra questi, di classe e senza alcun attributo classistico, è, insomma, lo Stato Corporativo. Tali concezioni politiche possono a buon diritto essere definite "Socialismo", ma, parafrasando Mussolini, "Socialismo Nostro"; nel senso che, dietro la nostra dottrina sta oltre un secolo di elaborazioni ideologiche e di esperienza Socialista, con la sua radicale critica del mondo capitalistico e con la sua ricerca di un ordine nuovo,con il suo bagaglio di errori e con la sua visione unilaterale dei problemi e delle possibili soluzioni, ma anche con la sua fondamentale esigenza di giustizia e con la rivendicazione, a volte drammatica, dei diritti del lavoro. Noi non possiamo, certamente, ignorare il valore di questa lunga lotta; ma appunto per questo, la nostra dottrina e la nostra azione non possono non superare quegli elementi del socialismo che alla nostra più matura esperienza ed alla nostra più acuta indagine appaiono insufficienti e insoddisfacenti. Nello stesso modo superiamo le nostre esperienze inadeguate di ieri, appunto, con la socializzazione che deve dare al corporativismo quella forza realizzatrice che ad esso è mancata nella sua prima attuazione. Per questo dobbiamo e possiamo dire che la nostra socializzazione, costituisce la ripresa, il perfezionamento ed il compimento del pensiero e della prassi corporativa.

    ESTRATTO PARZIALE DA: "REPUBBLICA SOCIALE", RASSEGNA MENSILE DI PROBLEMI POLITICO SOCIALI ECONOMICI E GIURIDICI N° 3-4, 1944

    "… in questa economia, i lavoratori diventano, con pari diritti e pari doveri, collaboratori nell'impresa allo stesso titolo dei fornitori di capitali o dei dirigenti tecnici. Nel tempo fascista il lavoro, nelle sue infinite manifestazioni,diventa il metro unico col quale si misura l'utilità sociale e nazionale degli individui e dei gruppi."

    MUSSOLINI, Discorso all'assemblea delle corporazioni, Roma 23 Marzo 1936


  6. #6
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    Predefinito IL DECALOGO DEI FASCI ITALIANI DEL LAVORO

    Il fascismo, nella versione da noi elaborata attualmente, simile eppur dissimile rispetto al precedente storico, come è giusto che sia ogni evoluzione, risponde, diceva Mussolini, "in maniera positiva e propositiva all'istinto delle grandi masse popolari. Esso non è borghese né proletario, è al di sopra del proletariato e della borghesia. Riconosce i valori attuali e potenziali dell'uno e dell'altra e vuole armonizzarli ed equilibrarli in una sintesi superiore": lo Stato Nazionale del Lavoro, dal quale necessariamente scaturisce una civiltà nuova e migliore. Nell'ambito di tale nuova prospettiva si iscrive l'esigenza di codificare una serie di norme etiche fondamentali atte a suscitare e mantenere un clima spirituale di vivo entusiasmo e cosciente partecipazione civica, un DECALOGO per l'appunto, specchio fedele di una nuova (almeno per i tempi attuali) sensibilità politica e sociale.

    Il fascista concepisce la vita come sforzo perenne e continuo di elevazione e conquista per sé e la collettività, sprezzando i pericoli e accettandone le responsabilità.


    Non vi sono privilegi se non quello di compiere con onestà il proprio dovere di cittadino - lavoratore - militante.


    Il fascista è sempre deciso consapevole e intransigente nell'adempiere i propri doveri, di qualunque natura essi siano.


    Abbiamo tutti un testimone di cui niente e nessuno potrà mai liberarci: la nostra coscienza; che deve essere il più severo, il più inesorabile dei giudici.


    Il fascista ha fede nell'universalità dell'Idea Fascista, crede nella virtù del dovere compiuto, rifiuta lo scetticismo e opera il bene in silenzio vivendo una vita alta e piena, vissuta per sé ma soprattutto per gli altri, presenti e futuri.


    Il fascista non dimentica mai che la ricchezza è soltanto un mezzo, necessario si, ma non sufficiente a creare una vera civiltà, qualora non si affermino quegli ideali universali di verità e giustizia che sono essenza e ragione profonda della vita umana e per i quali si ha il dovere di lottare quotidianamente.


    Il fascista non indulge al malcostume ne alle avide lotte per arrivare, si considera invece come un semplice militante sempre pronto al servizio della collettività e dell'ideale.


    Il fascista si accosta agli umili, senza alcuna distinzione di razza o credo, con intelletto d'amore, prodigandosi incessantemente per elevarli ad una visione dell'uomo e della vita sempre più alta, fornendo costantemente il suo personale e concreto esempio.


    Il fascista, con onestà e coerenza, agisce su sé stesso e sul suo animo prima di predicare agli altri, poiché sa che le opere e i fatti sono più eloquenti di qualsiasi discorso.


    Il fascista considera e rispetta la vita come il più sacro dei doni, ma è pronto a qualunque rinuncia per il suo ideale, senza scendere mai a compromessi.
    … importa che le idee, tradotte in materia viva di esistenza siano, per un radicato costume, l'impegno più sacro degli uomini e la loro legge quotidiana.

    DA "LA DOTTRINA FASCISTA" 1942


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    Predefinito .. contano i fatti e non le supercazzole verbali ....

    ... tra il dire ed il fare ... c'e di mezzo il mare ...

    quello che e' stato il Fascismo ... con la negazione della liberta' democratica e lo scempio della societa' italiana ... e le leggi razziali ... ormai e' storia di questo paese .... cosi' come e' storia patria quella di coloro che l'hanno combattuto con spirito di Giustizia e Liberta' ...

    .................................................. ........
    riportiamo alcuni brani tratti dalla Storia del Partito Repubblicano Italiano
    http://www.pri.it/html/storia.html

    Il Pri contro il fascismo

    Dopo la marcia su Roma i repubblicani cercarono di favorire la formazione di movimenti che in qualche modo potessero rimediare alla rigidità e alla pesantezza degli schemi secondo i quali nel dopoguerra si erano mossi quasi tutti i partiti politici. Così, mentre Oliviero Zuccarini tentava di fare della sua rivista, La Critica Politica, il punto di aggregazione di tutte le forze autonomistiche, Randolfo Pacciardi fondava la associazione combattentistica Italia Libera, alla quale aderì la parte migliore e più decisa dell'antifascismo militante, da Carlo Rosselli a Ernesto Rossi, e che sarà una delle prime organizzazioni antifasciste a subire i rigori della linea dura lanciata da Mussolini con il discorso dei 3 gennaio 1925. In questi anni l'obiettivo dei Pri fu quello di unire attorno al tema delle libertà del Paese forze e settori che si richiamavano ai princìpi dei liberalismo. Ai repubblicani non sfuggiva, infatti, che la battaglia contro il fascismo poteva essere vinta solo se i partiti della democrazia fossero riusciti a ricuperare terreno presso quei settori della società - i combattenti e il ceto medio - che si erano lasciati attrarre dal fascismo anche a causa dell'ostinazione con cui i massimalisti avevano rifiutato la riconciliazione tra neutralisti e interventisti. Ma anche in questo caso lo sforzo dei repubblicani era uno sforzo disperato, che doveva fare i conti con un liberalismo nettamente conservatore, che aveva sì esaltato i valori della libertà ma, sottovalutando il dato istituzionale, si era chiuso nell'astrattezza, non aveva saputo allargare i propri orizzonti ad una concezione attiva e dinamica delle libertà, né era stato in grado di riconoscere il vincolo solidale che tutte le unisce, sia quelle economiche, sia quelle politiche. Questo spiega come mai solo alcuni settori, per altro marginali, dei liberalismo, trovarono la forza e la capacità di opporsi al fascismo, mentre altri, ben più consistenti, non solo votarono la fiducia al primo governo Mussolini, ma aderirono addirittura al listone fascista, in occasione delle elezioni dei 1924: quelle stesse elezioni che si svolsero in un clima di violenza tale da indurre il Pri a sospendere ogni attività di propaganda e che Giacomo Matteotti denuncerà nel suo ultimo discorso parlamentare, poco prima di essere ucciso proprio a causa di questa sua coraggiosa denuncia.

    La lotta alla dittatura

    Fallito anche l'ultimo tentativo fatto dai repubblicani nella seconda metà dei 1925, dopo l'inevitabile sfaldamento dell'Aventino, allo scopo di promuovere la formazione di una Concentrazione repubblicano - socialista, per la cui realizzazione si batté anche Carlo Rosselli, il 30 ottobre 1926 il fascismo assestava alle forze di opposizione il colpo decisivo. Tutti i partiti e tutti i giornali dell'opposizione furono soppressi. Per sfuggire all'arresto numerosi militanti e dirigenti dei Pri furono costretti a prendere la via dell'esilio, mentre non pochi erano i repubblicani inviati al confino o arrestati per la loro attività antifascista. Nella lotta contro il regime il Pri non si chiuse in se stesso, ma cercò di stabilire le più larghe alleanze tra tutte le forze democratiche, mostrandosi disponibile a rinunziare alla propria autonomia. I repubblicani sentirono che la lotta per la riconquista della libertà non poteva essere subordinata a interessi di parte. Sicché, proprio mentre altri partiti si chiudevano nel settarismo più cieco che screditava tutto l'antifascismo e rafforzava il regime, il Pri invitava i suoi iscritti rimasti in Italia ad aderire al movimento di Giustizia e Libertà, che nasce e si sviluppa come movimento di lotta grazie al contributo dei militanti repubblicani, la cui presenza in numerose zone è senz'altro prevalente. Nella primavera dei 1927 i repubblicani aderirono alla Concentrazione Antifascista, anche se avvertivano i limiti di una organizzazione che sembrava intenzionata a muoversi secondo gli schemi dell'Aventino. Di qui la lotta costante perché la Concentrazione abbandonasse l'illusione legalitaria, la speranza, cioè, che l'Italia potesse riconquistare la propria libertà, non con le forze dei suo popolo, ma in virtù dell'intervento della dinastia. Grazie a quell'idealismo pratico che li ha sempre contraddistinti, i repubblicani, prima e meglio di ogni altra forza politica, compresero che la lotta contro il fascismo era una lotta che non sarebbe stata né breve né facile e andava condotta anche a prezzo di sacrifici che potevano sembrare sproporzionati rispetto agli obiettivi immediatamente raggiungibili. Tra il 1927 e il 1932 tutte, o quasi tutte, le azioni di lotta contro il fascismo furono azioni portate a termine col contributo determinante dei repubblicani. Ma i repubblicani compresero anche che la lotta per la riconquista della libertà era subordinata al consolidamento delle democrazie europee, quasi dovunque minacciate da ricorrenti tentativi autoritari. Per sconfiggere il nazionalismo, diventato il punto di coagulo di tutti gli autoritarismi, bisognava intensificare l'impegno europeista; ed è così che il patto unitario stretto con i repubblicani spagnoli nell'ottobre dei 1928 si conclude con l'impegno di lavorare per la formazione degli Stati Uniti d'Europa, premessa indispensabile di ogni più vasto ordinamento della vita internazionale dei popoli. Gli anni dei fascismo non segnarono un arresto dei dibattito interno e il Pri non mancò di interrogarsi sui problemi posti dalla nascita della società industriale. La testimonianza di questo dibattito ci viene da un documento approvato dalla sezione di Parigi nel 1931, dove si legge: "Lo Stato moderno, con gli sviluppi formidabili della tecnica produttiva, coi ritmo più celere della distribuzione dei consumi. coi moltiplicarsi indefinito delle forme di attività dei singoli e dei gruppi, non può restare assente dal gioco degli interessi contrastanti. Quando si manifesta, come nei tempi moderni, con frequenza preoccupante, il fenomeno dei gruppi economici che assumono proporzioni gigantesche e minacciano di imporre la loro potenza plutocratica all'autorità stessa degli Stati e che diventano pericoli per gli istituti della democrazia e per la pace fra le nazioni, è chiaro che lo Stato deve essere munito di ampi poteri di controllo, per impedire le possibili sopraffazioni di queste forze particolari sui diritti e le libertà collettive".

  8. #8
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    Predefinito

    Giusto, dici bene nuvolarossa, contano i fatti. Questi di seguito sono fatti, la democrazia repubblicana cosa avrebbe fatto ????????????????
    E' come ho già detto, Antifascismo peggiore forma di razzismo.

    ALCUNE LEGGI SOCIALI EMANATE DAL GOVERNO FASCISTA

    Tutela lavoro donne e fanciulli - (Regio Decreto n° 653 26/04/1923)

    Assistenza ospedaliera per i poveri - (Regio Decreto n° 2841 30/12/1923)

    Assicurazione contro la disoccupazione - (Regio Decreto n° 3158 30/12/1923)

    Assicurazione invalidità e vecchiaia - (Regio Decreto n°3184 30/12/1923)

    Maternità e infanzia - (Regio Decreto n° 2277 10/12/1923)

    Assistenza illegittimi e abbandonati - (Regio Decreto n° 798 08/05/1927)

    Assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi - (Regio Decreto n° 2055 27/10/1927).

    Esenzioni tributarie famiglie numerose - (Regio Decreto n° 1312 14/06/1928)

    Assicurazione obbligatoria contro malattie professionali - (Regio Decreto n° 928 13/05/1929)

    Opera nazionale orfani di guerra - (Regio Decreto n° 1397 26/07/1929)

    Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro I.N.A.I.L. - (Regio Decreto n° 264 23/03/1933)

    Istituzione libretto di lavoro - (Regio Decreto n°112 10/01/1935)

    Istituto nazionale per la previdenza sociale I.N.P.S. - (Regio Decreto n°1827 04/10/1935)

    Riduzione settimana lavorativa a 40 ore - (Regio Decreto n° 1768 29/05/1937)

    Ente comunale di assistenza E.C.A. - (Regio Decreto n° 847 03/06/1937)

    Assegni familiari - (Regio Decreto n° 1048 17/06/1937)

    Casse rurali ed artigiane - (Regio Decreto n° 1706 26/08/1937)

    Tessera sanitaria per addetti servizi domestici - (Regio Decreto n° 1239 23/06/1939)

    Istituto nazionale per le assicurazioni contro le malattie I.N.A.M. - (Regio Decreto n° 318 11/01/1943)




    Alcune delle più importanti opere volute dal Duce

    ACQUA: per tutta la vita cercò acqua potabile e creò acquedotti, i piu' famosi Pugliese e Peschiera
    AGRICOLTURA: la sua prima occupazione che continuò per tutta la vita fu l'agricltura
    AEREONAUTICA: la trovò quasi inesistente e la portò tra le migliori d'Europa
    ALBERI: istituì la Forestale
    AMMINISTRAZIONE: non sapeva amministrare i suoi soldi ma per quelli dello Stato fu modello
    ANALFABETISMO: eravamo i primi in Europa,siamo diventati ultimi nell'Analfabetismo
    ARCHIVI: dal 1923 istitui' gli Archivi Statali
    ARTIGIANATO: dopo la cura dell'agricoltura ci fu per il Duce quella dell'artigianato
    ASFALTO: centuplicò le strade, fu il primo ad utilizzare l'asfalto
    ASSEMBLEA: amava le assemblee con gli stranieri, fondò la FAO
    ASSISTENZA: creò l'opera per la Maternità e per l'infanzia per l'assistenza di tutti : piccoli e grandi.
    ATLETICA: ci volle tutti atleti, iniziò con la ginnastica dall'asilo fino alla maturità
    AUTARCHIA: siamo vissuti alcuni mesi in perfetta autarchia.I primi nel mondo
    AUTOMOBILE: la volle per tutti. vedi : Balilla, Topolino
    BIBLIOTECA: volle in tutti i paesi d' Italia la biblioteca a disposizione di tutti.
    BONIFICHE: bonficò milioni di ettari di terreno, rendendoli da incolti ,fertilissimi
    BRIGANTAGGIO: la Mafia e la Camorra furono completamente eliminate in Europa
    CALCIO: fece del gioco del Calcio il gioco nazionale, l'Italia vinse due titoli mondiali.
    CARBONE: fece scavare carbone in tutte le regioni d'Italia, Carbonia ne è la prova.
    CASA: forse la preoccupazione piu' grande del Duce fu la casa per tutti, costrui' le Case popolari.
    CHIESE: costrui' migliaia di chiese, solo nelle paludi Pontine ne costrui' 126 (es. Aprilia )
    CINEMA: amo' il cinema, fece costruire CINECITTA'
    CIRCEO: un borgo antico abbandonato fatto rinascere come Parco Nazionale.
    COLONIALISMO: definito il piu' grande colonizzatore, perchè fece come Roma, volle le colonie.
    CONSORZI: il Duce fondò i consorzi agrari al servizio degli agricoltori
    CONTADINI: tra tutti i lavoratori amava i contadini, i piu' utili d'Italia.
    COSTRUZIONI: per tutta la vita fece costruire case, palazzi, ministeri
    DEMOCRAZIA: se tra tutti i politici c'è un Democratico è il Duce, seguiva il popolo.
    DITTATURA: quella del Duce non fu dittatura ma democrazia popolare
    DISCIPLINA: è vero, però, che il Duce voleva completa disciplina e guai se....
    DIGHE: ne fece costruire molte per raccogliere le acque
    DOPOSCUOLA: fondò i Doposcuola per completare la preparazione degli alunni
    DESERTO: fece del deserto libico zona di altissima produzione agricola
    DISOCCUPAZIONE: la maggior preoccupazione per il Duce fu' sempre la disoccupazione
    FINANZE: altro Corpo istituito dal Duce, prima non era militarizzato
    ILLUMINAZIONE: al Duce piaceva la luce, illuminazione in città e paesi
    INTERNAZIONALISMO: volle avere contatti con tutti gli Stati della Terra
    LAGO DI NEMI: il Duce nel 1930-31 prosciugò il lago per ripostare alla luce le navi romane
    LIBERTA: parola fatidica per il Duce: libertà completa , controllata e civile.
    LIRA: aumentò il valore della Lira
    MONZA: questo circuito venne ideato da Mussolini
    OSSERVATORI: i suoi capolavori : Trieste, Genova, Merate, Brera, Campo Imperatore
    ENCICLOPEDIA: il Duce è l'autore della piu' grande e completa Enciclopedia del mondo.
    ESPORTAZIONE: un altro punto fisso del Duce: esportare i nostri prodotti agro-industriali
    ETIOPIA: è questo l'Impero coloniale sospirato dal Duce per il popolo
    FERROVIE: moltiplicate dal Duce
    FORO: il foro era per il Duce il centro dell' Impero
    GELA: cambio' il nome ( era Terranuova ) e ne fece una moderna citta' italiana
    GIORNALE: creò 7 giornali
    GOVERNO: il vero governo fu' il suo, rimasto al potere 20 anni.
    GUARDIE: fondò la Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, la Guardia di tutti
    PREVIDENZAA SOCIALE: in ogni città vi è il palazzo della Previdenza Sociale
    PINO, PIOPPO, ABETE: piante predilette dal Duce che distribuiva in tutta Italia
    RADIO: Mussolini amava la radio e il suo inventore aiutato da lui
    REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA : fu un bene operato dal Duce per la salvezza della Patria
    RISPARMIO: era scrupolosamente risparmiatore nelle spese dello Stato
    RIVOLUZIONE: se rivoluzione vuol dire trassformazione, il Duce ha vinto
    PANE: per avere il pane per tutti vinse la battaglia "del grano"
    RICERCHE: fondò l'istituto delle Ricerche
    RIFORMA: ha riformato tutto, scuola, politica, Parlamento, vita stessa
    RIMBOSCHIMENTO: uno dei motivi della Forestale rimboscare tutto: monti, piani.
    RINASCIMENTO: il fascismo vero moderno Rinascimento di tutto e di tutti.
    TEMPO LIBERO: voleva che i giovani utilizzassero il tempo libero nella ginnastica.
    TERME: il Duce amante dei romani li imitò in tutto e quindi anche nelle Terme
    TREBBIATRICI: ne comprò molte ai contadini..
    TRIBUNALE DEL POPOLO: volle istituire il Tribunale del popolo per la difesa di questo.
    TUBERCOLOSI: era come la sifilide, inguaribile. Costrui' il Forlanini per la sua cura
    UNIVERSITA': ha costruito innumerevoli università, anche la Città Universitaria a Roma
    URBANISTICA: la scienza che ha maggiormente eseguita, infatti, ecco le città
    VACCINAZIONE: ordinò la vaccinazione di tutti i bambini anche i piu' piccoli
    VELA: divenne sport al tempo del Duce come altri sport non esistenti allora
    VIGILI DEL FUOCO: istituiti dal Duce


    Le provincie che furono volute dal Duce

    PROVINCIE

    Furono 72, ne fondò altre sedici: Agrigento, Enna, Latina, Frosinone, Massa, Matera, Pistoia, Ragusa, Rieti, Terni, Savona, Varese, La Spezia ecc..

    CITTADINE E COMUNI COSTRUITI DAL DUCE IN 10 ANNI

    Latina, Aprilia, Sabaudia, Pomezia, Guidonia, Ardea, Ostia Lido, Fregene, Palo, Ladispoli, Maccarese, S.Michele, Carbonia, mille e piu' borghi e sobborghi sparsi in tutta Italia, migliaia di case colonihe.

    BORGHI OGGI VERE CITTADINE DELL'AGRO ROMANO

    Faro di Torre, Cervia, S.Donato, Grappa, Torre di Fagnana, Lido di Latino, Isonzo, Foce Verde, Sabotino,Sirene, Marechiaro, Cincinnato, Gigli, Campoverde.




    LUI,
    inagurava le fabbriche,
    VOI,
    le chiudete !!!


    .:CREDERE - OBBEDIRE - COMBATTERE:.



    L'ITALIA DI IERI
    "23 Luglio 1930 in Irpinia e nel Vulture, interessando le province di Avellino,Benevento, Foggia, Potenza, Salerno ed in parte Napoli e Bari, un violento terremoto causò 4.000 morti e 50.000 senza tetto.
    Furono inviati fin dalle prime ore un treno speciale attrezzato di viveri e mezzi di scavo, indumenti e tende, coprendo tutti i sessantatre centri colpiti dal sisma.Con il "piano d'emergenza", dopo 4 giorni dal terremoto vi erano già 50.000 attendati.
    Già dal giorno dopo il sisma si avviarono su tutto il territorio colpito operazioni di scavo, rimozione delle macerie o abbattimento dei muri pericolanti e il regime fascista s'impegno subito per costruire case in muratura vere e proprie abitazioni perchè le baracche avrebbero male alloggiato i senzatetto, sarebbero costate una cifra comunque considerevole rimandando ad un avvenire imprecisato l'edificazione di vere e proprie case . Il 28 ottobre 1930, tre mesi dopo il terremoto, nell'anniversario della marcia su Roma, il Ministero delle opere pubbliche, presentò un inconfutabile resoconto: erano stati consegnati 3.476 alloggi in muratura, erano state riparate 7.000 case lesionate, le tende erano scomparse, 2.500 fabbricati demoliti e 4.818 puntellati; Lacedonia e Aquilonia completamente distrutte furono rifatte. Per l'inverno tutti ebbero una casa. E senza requisizioni. Era il 1930, anno di grave crisi economica, e non c'erano ancora i mezzi aerei e tecnici di oggi".

    Comunità e Centro Culturale "Ardisco non ordisco il Fascismo"
    http://groups.msn.com/ardiscononordiscoilfascismo

  9. #9
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    Predefinito questo gia' l'avevo scritto ... ed interpretato ...

    Originally posted by nuvolarossa
    ... Certo e' che non tutto quanto fatto dal fascismo debba essere condannato in toto ... sono state fatte anche cose buone e valide ancora oggi ... ed e' difficile riuscire a capire quanto di voluto o di contingente sia stato realizzato ... se era nella politica economica del fascismo o se era nelle necessita' economiche incombenti e che parimenti sarebbero state risolte in quel modo da qualsiasi altro governo ....
    Ricordiamo come cose positive la Cassa rurale ed artigiana, gli assegni familiari, la creazione dell'Inps, l'assicurazione contro la tbc che in quegli anni era falcidiante e terribile come oggi l'aids, la creazione dell'opera maternita' e infanzia ...e tante altre cose ... che, ripeto, e' difficile capire quanto fossero collegate alla politica fascista e quanto invece alla normale crescita di un paese che usciva dall'ottocento e dall'eta' del progresso e dell'emancipazione sociale ed era all'inizio dell'era delle innovazioni tecnologiche .... che gia' di per se e' un rullo compressore e avanza ad una velocita' (ancora oggi) superiore alla velocita' stagnante della politica.

    http://www.nuvolarossa.org/
    ... insomma, certe cose sarebbero state fatte ugualmente anche se, al posto della destra conservatrice e reazionaria, ci fosse stata la sinistra arruffona e pasticciona ... anche nel medioevo, uno dei momenti piu' bui della storia italiana, non tutto e' stato negativo ... e si sono fatte anche grandi cose ... una minestra non la si nega a nessuno ma importante avere la liberta' di poter dire quando fa schifo e manca di sale !
    Ecco ... durante il ventennio mancavano le liberta' piu' elementari, compreso quella di poter dire che la minestra fascista mancava di sale .... e' questo che deve essere condannato ... perche' in assenza delle liberta' .. tutto il resto non conta nulla !

  10. #10
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    Predefinito tratto da http://www.pri.it

    Congresso delle cooperative/Gli storici rapporti del Pri col mondo dell'associazionismo

    Riprendere il dialogo con una realtà a noi vicina

    Intervento al ventesimo Congresso nazionale Agci, "Mutualità e coesione sociale", Roma, 20 - 21 giugno 2005.

    di Francesco Nucara

    Nella "Intervista sul non - governo" di Alberto Ronchey a Ugo La Malfa vi è una domanda a pagina 47 che rappresenta la sintesi del rapporto tra mondo cooperativo e politica. Infatti Ronchey chiede: "La riforma agraria non fu illusoria? Che poteva risolvere la proprietà contadina di poche tomolate, dinanzi a popolazioni che esercitavano una ressa su terre povere?". E Ugo La Malfa risponde: "Lì noi avevamo la resistenza della Dc contro il sistema cooperativo, che avrebbe potuto risolvere alcuni problemi tecnici ed economici. La Dc temeva che il sistema cooperativo cadesse in mano alle forze di sinistra, quindi non volle introdurre nella legge il congegno che avrebbe conciliato diversi interessi. E poi, oltre alle difficoltà di ordine politico, la Democrazia cristiana era legata a quella sua concezione della proprietà contadina". Questa intervista è datata 1977. Tuttavia in alcune forze politiche eredi, a destra come a sinistra, di quella Dc che avversava il mondo cooperativo permane tuttora questa concezione anti – associazionistica. E oltre ai motivi politici citati da Ugo La Malfa c'erano anche problemi culturali. I democristiani facevano il loro apprendistato nelle parrocchie, i repubblicani si cimentavano nelle sezioni e nelle cooperative che sotto diverse forme erano nate già a metà dell'800.

    Ma il mondo della cooperazione, tutto il mondo della cooperazione, non è tenuto in grande considerazione dal mondo politico. Tra poco inizierà la discussione sul Documento di Programmazione Economica e Finanziaria; saranno convocate tutte le parti sociali ma, come spesso accade, i cooperatori non avranno lo spazio necessario per delle indicazioni di messa in opera di una maggiore efficienza del sistema produttivo, o del sistema commerciale o del sistema dei servizi. A cosa è dovuta questa scarsa considerazione del Governo?

    Probabilmente alla presenza di un mondo che porta con sé diverse matrici ideologiche, una base frammentata e talvolta litigiosa, un certo burocraticismo che allontana criteri di efficienza. Ci troviamo di fronte ad un mondo sostanzialmente sano, ricco di potenzialità e vivacità imprenditoriali che tuttavia viene frenato nel suo dispiegarsi. Accanto ad un mondo politico oggettivamente disinteressato al problema, il mondo della cooperazione si è trovato privo di riferimenti nei partiti e nel Governo. Assistiamo quasi increduli a cooperatori che cercano riferimenti in uomini appartenenti a schieramenti politici che fino a qualche anno fa avrebbero destato orrore.

    E vorrei ricordare che il mondo della cooperazione repubblicana è il mondo della cooperazione. A Bologna, venerdì scorso, parlando insieme a Giorgio Brunelli e ad altri dell'associazionismo mazziniano abbiamo tracciato la storia dell'Agci dai prodromi delle società operaie fino agli anni ‘50 quando l'Agci prese corpo. L'Agci nacque nello stesso periodo della Uil e dell'Endas. Le vicende politiche di questi ultimi tempi hanno portato ad una frattura nel rapporto partito repubblicano - Agci, la stessa frattura è avvenuta con la Uil e un po' meno con l'Endas. Messo ordine nel partito dopo le scosse telluriche del 2001, è mio desiderio affrontare questo problema: riannodare i fili (con i cooperatori repubblicani) e renderli più forti.

    Ognuno con la propria indiscussa autonomia ma ben sapendo che, pur con i distinguo, un filo comune c'è: l'interesse del Paese. Mi domando e vi domando: molti di voi sono iscritti al Pri, abbiamo radici comuni, è possibile allora su alcuni temi che riguardano il futuro del nostro Paese, dei nostri figli, dei diseredati, delle classi povere, del Mezzogiorno d'Italia, trovare insieme una base di discussione, una piattaforma programmatica e fare di essa una battaglia che coinvolga tutto il mondo del repubblicanesimo? Io credo di si e mi batterò per realizzare questa unione prima ideale, poi politica, programmatica e progettuale. Abbiamo una storia comune: facciamo in modo che lo sia anche l'avvenire.

 

 
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