Non c’è Follini senza Baccini e non c’è Baccini senza Casini
Roma. Marco Follini ha resistito finché possibile.
Il segretario dell’Udc, da ieri vicepremier suo malgrado, voleva proteggere la propria indipendenza dal berlusconismo riformatore, conservarsi distinto e gelido, coltivare al contempo l’egemonia del suo gruppo, il Ccd, all’interno del partito che comanda apparentemente senza rivali (a non voler considerare il tutorato di Pier Ferdinando Casini).
Un partito che, a norma di statuto, non potrebbe più comandare dacché ha assunto incarichi di governo.
Lo statuto verrà riscritto facilmente, quanto alla redistribuzione degli equilibri non è dato sperare in manovre rapide e indolori.
Di certo c’è che Follini ha dovuto subire la nomina ma, grazie alla contestuale promozione di Mario Baccini a ministro della Funzione pubblica, forse eviterà di dover consegnare al poco amato collega la vicesegretria dell’Udc. Forse.
Baccini invece non vedeva l’ora di dire io c’entro. Quell’appuntamento con l’ingresso nell’esecutivo per lui sembrava sempre sul punto di arrivare, poi non arrivava mai o addirittura pareva non dover giungere più.
Da ieri il sottosegretario agli Esteri in quota Udc potrà finalmente indossare quella grisaglia da ministro che da mesi guardava appesa nel ripostiglio. Quel completo blu pronto all’uso su cui molto si è ironizzato, così come al termine di recenti e meno recenti vertici di maggioranza si scherzava sul non essere “uomo da tutte le stagioni” che l’immusonito Baccini accampava, frustrazione dopo frustrazione.
Ce l’ha fatta, Baccini, ma la sua vittoria è anzitutto la vittoria del grande sponsor Casini che non ha mai voluto stralciare le ambizioni del suo protetto dal gioco a incastri del rimpasto di governo.
Perché Baccini non è solo un perito commerciale al suo terzo mandato da parlamentare.
E’ soprattutto l’uomo forte dell’Udc romana, il potentissimo raccoglitore di consensi nel mondo del pubblico impiego e della sanità.
Il politico centrista che, con le regionali alle porte, può scongiurare l’incubo agitato nelle riunioni dell’esecutivo nazionale dal presidente della Camera e azionista nobile del partito: la piazza centrista capitolina delusa e vendicativa che apre la cassaforte dei voti moderati e ne provoca la sbandata verso la lista dello scaltro governatore del Lazio Francesco Storace, oppure in direzione dei sostenitori ex dc del rivale Piero Marrazzo.
Pericolo fugato?
Per un pericolo fugato adesso nell’Udc potrebbe aprirsi la
“guerriglia nazionale” di cui vanno parlando alcuni dirigenti centristi.
Su Baccini non gravavano infatti solo le titubanze di Follini. Gronda anche l’ira dei buttiglioniani in cerca di riscatto e dei casiniani e folliniani della prima ora oggi un po’ in disarmo.
Come i senatori Francesco D’Onofrio (eletto a Roma) e Maurizio Ronconi, e il deputato Gianfranco Rotondi (Cdu) che viene dato un giorno sì e l’altro no in uscita dal partito con scudocrociato al seguito.
Discorso a parte, poi, per il gruppo siciliano capitanato da Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, rispettivamente governatore regionale e coordinatore dell’Udc in Sicilia.
Sono note le loro geremiadi per ottenere adeguata rapprentanza a Roma.
Più che nota la loro opinione di Baccini (meno di un mese fa il neo ministro ha presieduto una riunione di consiglieri ribelli dell’Udc che hanno messo sotto accusa Cuffaro creando un gruppo autonomo all’Ars). Sulla cui promozione, tuttavia, hanno scelto di non porre a Follini alcun veto.
Ieri si sono limitati a commentare così: “Auguri e figli maschi”.
saluti