Daniele Scalea
ATLANTISMO, EUROPEISMO ED EURASIATISMO S'AFFRONTANO IN UCRAINA IN UNA LOTTA SENZA ESCLUSIONE DI COLPI
Quando i cittadini ucraini si sono recati a votare per eleggere il nuovo presidente del loro paese, difficilmente si rendevano conto d'essere attori protagonisti di eventi che - senza esagerare - sono in grado d'influire pesantemente sulle sorti del mondo intero. In Ucraina non si stanno affrontando semplicemente i signori Viktor Yushchenko e Viktor Yanukovich. Si stanno affrontando, questo è esatto, il filo-Ue e filo-americano Yushchenko, e il filo-russo Yanukovich; ma ancora la definizione stenta a dare l'esatta portata dell'evento, se non si considera l'importanza dell'Ucraina nell'ottica geopolitica mondiale. La Russia, che solo recentemente ha cominciato a risorgere dalle macerie del crollo sovietico, fa affidamento per il proprio futuro sulla creazione d'uno spazio di libero commercio e cooperazione economica e strategica, a dimensione eurasiatica, che coinvolgerà, perlomeno nella sua fase iniziale, oltre alla stessa Federazione, anche Bielorussia, Kazakistan e Ucraina. Date le dimensioni (quantitative) piuttosto limitate di questo progetto (che, plausibilmente, costituirà il nucleo fondatore di una prossima ventura "Unione Eurasiatica"), è chiaro che il disimpegno della "quarta parte" ucraina lo minerebbe alle fondamenta, condannandolo forse già prima della nascita. A maggior ragione, considerando che l'Ucraina è molto più del "25% dei paesi membri": è la seconda nazione del blocco per popolazione (51 milioni, contro i 16 e mezzo del Kazakistan e i 10 abbondanti della Bielorussia), prodotto nazionale lordo (Ucraina 82.956.405.000$; Russia 330.413.440.000$, Kazakistan 22.347.900.000$, Bielorussia 21.445.200.000$) e volume delle esportazioni (Ucraina 11.566.000.000$; Russia 79.910.000.000$, Kazakistan 6.230.400.000$, Bielorussia 5.462.700.000$)[i]. L'importanza dell'Ucraina aumenta ulteriormente, se valutiamo la questione dall'ottica russa. I Russi hanno sempre considerato l'Ucraina come parte integrante della propria nazione, e non potrebbe essere altrimenti, se pensiamo che il Principato di Rus, con capitale Kiev, può essere considerato come il primo nucleo della futura Russia. Esso era già dal IX secolo il più potente e ricco dei tanti principati che intorno all'anno 1000 dominavano la regione, fu a Kiev che tra il 980 e il 996 fu costruita la prima cattedrale russa, ed era quello stesso Principato ad unificare il paese prima dell'arrivo dei Mongoli; a Kiev risiedeva il metropolita russo, e là fu stilato il primo corpus giuridico russo, la Rossiskaija Pravda. Quando la Russia si costituì finalmente, dal progressivo attenuarsi dall'autorità mongola, essa contava su tre parti fondamentali, Mosca, Novgorod e Kiev: non a caso, il Principe Ivan I di Mosca (1328-1340) comprò dal Khan il titolo di "Principe di tutte le Russie"[ii]. A quanto pare tale sentimento di fratellanza è vivo anche tra gli Ucraini nei confronti dei Russi (o, meglio, degli altri Russi): stando a un sondaggio condotto nel 1999, il 61% dei cittadini ucraini avrebbero una percezione positiva del vicino russo (nonostante la pressante campagna russofoba condotta dai nazionalisti e dai loro sostenitori atlantisti), la maggioranza vorrebbe abbattere le frontiere tra i due stati, e più di un terzo desidererebbe convivere in una sola entità politica con i fratelli d'oltreconfine[iii]. Inoltre, un sondaggio tenutosi nel Settembre 2003 attestava che ben il 70% degli Ucraini sarebbe favorevole alla nascita della suddetta zona di libero scambio eurasiatica[iv]. Inoltre, l'interesse russo per l'Ucraina deriva da inderogabili necessità geopolitiche, più ampie ancora della contingente creazione d'uno spazio di mercato comune eurasiatico. L'Ucraina non era solo il "granaio" di Mosca, ma pure la sede dei suoi unici porti su un mare caldo: Odessa, Mykolaïv, Mariupol', Sebastopoli, sbocchi necessari per i commerci con l'area mediterranea, e oltre. Non dimentichiamoci che il grande obiettivo della Russia zarista fu il Bosforo, e dunque la sicura apertura delle rotte marittime entro e fuori il Mar Nero. Alcuni autori hanno visto persino nella discesa in Afghanistan la volontà sovietica d'avvicinarsi ai mari caldi da cui dispiegare nella sua piena potenza la flotta imponente che l'URSS aveva creata[v]. Lo stesso geopolitico statunitense Zbigniew Brzezinski ha descritto l'importanza strategica dell'Ucraina per la Russia: "L’indipendenza dell’Ucraina ha privato inoltre la Russia della sua posizione dominante sul Mar Nero, dove Odessa costituiva un avamposto strategico per gli scambi con il Mediterraneo e il più vasto mondo. La perdita dell’Ucraina ha avuto anche enormi conseguenze geopolitiche, poiché ha drasticamente limitato le opzioni geostrategiche della Russia. Anche senza i Paesi Baltici e la Polonia, una Russia che avesse conservato il controllo sull’Ucraina poteva ancora cercare di fungere da guida di un impero eurasiatico risoluto, dove Mosca avrebbe dominato i non slavi del Sud e nel Sud-Est dell’Ex Unione Sovietica"[vi]. Ecco allora che Mosca ha sfruttato con Kiev il potere contrattuale derivantele dalla dipendenza energetica dell'Ucraina dalla Russia[vii] per indurla a un compromesso, stipulato nel 1997, in virtù del quale ottiene in affitto ventennale le strutture portuali ucraine, e conclude a proprio favore l'annosa disputa riguardante il possesso della flotta sovietica colta nella rada di Sebastopoli al momento in cui l'URSS si disintegrò[viii]. I legami economici tra i due paesi sono molto forti: secondo dati concernenti lo stesso anno 1997, dei 55,6 miliardi di rubli investiti dai paesi della CSI in Russia, il 47,1% di questi erano ucraini, cifra scesa nel 1999 ma ancora al considerevole livello del 40%, mentre la Russia assorbe buona parte della produzione ucraina[ix]. D'altro canto, gli Stati Uniti d'America hanno un forte interesse ad attrarre l'Ucraina nella propria sfera d'influenza; se non altro, proprio per contrastare il disegno geopolitico di Mosca. Infatti, la classe dirigente americana non ha certo abbandonata, dopo la disintegrazione sovietica, la dottrina del "contenimento russo", teorizzata dal diplomatico e politologo George Frost Kennan (ambasciatore a Mosca durante l'amministrazione Truman)[x]. Anzi, questa politica di "contenimento", assomiglia sempre più ad una vera e propria aggressione. Potremmo osservare a proposito della volontà geopolitica americana, i prodotti partoriti dal think-tank denominato "Project for a New American Century" ("Progetto per un Nuovo Secolo Americano", PNAC), molto influente già durante l'era di Clinton, ancora di più nel corso dell'attuale di George W. Bush II[xi]. Nella primavera del 1997 uno dei maggiori cervelli del PNAC, Zbigniew Brzezinski (il guru della geopolitica talassocratica), ha pubblicato sulla rivista Foreign Affairs un articolo dall'eloquente titolo di: "Per una geostrategia eurasiatica". In esso, riprendendo molte delle idee di Halford Mackinder[xii], fissa per gli USA l'obiettivo di stabilire la propria egemonia sull'Eurasia, poiché chi controlla tale regione controllerebbe il mondo intero. A tal fine, gli Stati Uniti debbono impegnarsi nel spingere in avanti le proprie pedine, NATO e UE, fino ai confini stessi della Federazione russa, e dunque finanche all'Ucraina; debbono mantenere disunita l'Unione Europea per impedirle di divenire una potenza autonoma dotata d'una sola volontà; debbono infine mantenere la Cina al ruolo di semplice potenza regionale. Tutto questo - secondo Brzezinski - permetterà all'Atlantismo di demolire definitivamente la Russia, e spezzarla in tre entità autonome di modo da precluderle in futuro qualsiasi velleità di potenza[xiii]. E' chiaro che inglobare l'Ucraina nella NATO spingerebbe l'egemonia imperialista americana fino ai confini occidentali della Russia, riducendo la Bielorussia ad un fragile saliente incuneato nell'area d'egemonia statunitense, e dunque presto destinato a piegarsi o spezzarsi di fronte alle pressioni diplomatiche, politiche, economiche ed eventualmente militari dell'Occidente. Inoltre, per quanto già detto, la zona di libero scambio eurasiatica nascerebbe pesantemente menomata, e così la Russia fallirebbe nel tentativo di creare attorno a sé un'alleanza da opporre all'espansionismo del Patto Atlantico. Spingendosi oltre, a scenari apocalittici oggi improbabili, ma che appaiono inevitabilmente destinati a sorgere in un futuro vicino o lontano, gli USA controllerebbero l'intera Europa orientale, e cioè quello stesso corridoio utilizzato in passato per invadere il territorio russo, prima da Napoleone Bonaparte, poi da Adolf Hitler. La Russia ha la necessità di creare attorno a sé un cuscinetto protettivo, così come a suo tempo fece l'Unione Sovietica: in caso contrario, si ritroverebbe la NATO (e dunque le armate statunitensi, che già stanno per essere ridislocate in Polonia e nel resto dell'Europa orientale) alle porte di Mosca, San Pietroburgo e Rostov. Se citassimo queste ultime due città con i loro nomi d'epoca sovietica (rispettivamente Leningrado e Stalingrado), otterremmo di rievocare momenti fondamentali della storia russa, occorsi poco più di mezzo secolo fa, assieme tragici e fausti. Dopo che Putin ha firmato gli accordi di Pratica di Mare il 28 Maggio 2002, accettando il fatto compiuto dell'allargamento della NATO ad est (e ottenendo in cambio alcuni riconoscimenti da parte della OMC), ha tenuto a precisare che la Russia non avrebbe permesso un'ulteriore espansione del Patto Atlantico ad oriente, cioè all'Ucraina e alla Bielorussia[xiv]. In mezzo alla contesa tra Russia e USA si è trovata l'Unione Europea. A ennesima dimostrazione di quanto svantaggioso sia affidare la direzione strategica ad una burocrazia economicista, anziché a statisti - come Putin - con alle spalle vigorose e collaudate scuole geopolitiche (come quelle russa e americana), l'Unione Europea non ha saputo sfruttare la propria posizione di possibile ago della bilancia, né seguire i propri reali interessi geopolitici. Essa ha finito per imboccare la via più semplice, ma purtroppo non la migliore: nell'Europa orientale ha cominciato a contendersi l'influenza con la Russia. Decisione sciagurata, per due motivi: in primis, perché per contrastare la Russia l'UE deve appoggiarsi alla NATO e agli USA e così, le sue sono vittorie di Pirro, poiché paesi come la Polonia entrano nell'Unione per garantirsi ingenti finanziamenti, ma poi seguono le direttive strategiche dettate da Washington, non certo da Bruxelles; in secondo luogo, perché l'Europa non può permettersi il lusso di porsi in concorrenza alla Russia e al progetto eurasiatico, semmai dovrebbe cercare d'armonizzarsi con esso. Non a caso, mentre agenti dell'Atlantismo quali Balkenende, Solana e Barroso hanno sfidato apertamente Putin, i capi di stato più lungimiranti (in particolare Chirac e Schroeder, ma persino Berlusconi) hanno preferito assumere posizioni di basso profilo, per non urtare ulteriormente la pazienza di Putin, messa già a dura prova dalle indelicate polemiche suscitate dopo la tragedia di Beslan. Ciò nonostante, non c'è dubbio che l'Unione Europea si sia appiattita sulle posizioni degli USA riguardo alla questione delle elezioni, appoggiando apertamente Yushchenko e non riconoscendo la vittoria di Yanukovich. L'errore - che sia deliberato o per idiozia geopolitica - è stato quello di non riconoscere come cumulabili l'adesione all'UE con quella allo spazio eurasiatico. Nell'incontro bilaterale del 7 Ottobre 2003 a Yalta tra rappresentanti dell'UE e del governo ucraino, i primi hanno negato la possibilità di un'entrata nell'Unione (secondo Romano Prodi e la sua limitata visione geopolitica, il cammino dell'UE si sarebbe già concluso[xv]), paventando per l'Ucraina una semplice adesione alla CEE, ma ponendo tra le condizioni la non partecipazione dell'Ucraina allo spazio di libero scambio eurasiatico[xvi]! E' questo il quadro in cui ha dovuto muoversi il Presidente uscente dell'Ucraina, Leonid Kuchma. Egli ha condotto una politica alquanto ambigua che, come vedremo, prosegue ancora oggi. Ad esempio, nel 1999 l'Ucraina fu la principale animatrice del cosiddetto GUUAM (Georgia-Ucraina-Uzbekistan-Azerbaidjan-Moldavia), un'alleanza contingente volta a fare da contrappeso geopolitico allo strapotere russo nella CSI. Ma poi lo stesso Kuchma rilanciò i rapporti con Mosca, firmando un accordo per la riunificazione della rete elettrica dei due paesi, vendendo quote della raffineria di Odessa alla russa Lukoil, infine sottoscrivendo alcuni accordi intergovernativi di varia natura[xvii]. D'altro canto, quello che i nostri mezzi d'informazione considerano "il filo-russo Kuchma", ha posto quale obiettivo primario della sua politica estera, oltre all'adesione all'UE, quella alla NATO. Il 9 Luglio 1997, con l'accordo di Madrid, l'Ucraina è entrata nella cosiddetta "Partnership for Peace" ("Società per la Pace"), una sorta d'anticamera all'adesione al Patto Atlantico, in virtù del quale furono stabilite aree di consultazione e collaborazione bilaterale, soprattutto nel campo della sicurezza e degli armamenti. In cambio, l'Ucraina ha ottenuto dalla NATO l'impegno a favore della sua integrità territoriale, particolarmente importante per contrastare le spinte separatiste molto vive in Crimea (dove la maggioranza della popolazione è russofona, e la tradizione autonomistica molto forte), e sovente strumentalizzate in sede contrattuale dalla Russia. Il timore di suscitare una dura reazione dal Cremlino, ha spinto Kuchma a firmare nel Gennaio 2002 una bozza di trattato in 52 punti che prevede rapporti più stretti con Mosca nella fabbricazione degli armamenti e nella costituzione di unità navali comuni. Nel frattempo, il Presidente ucraino ha subito una crisi di popolarità in USA ed Europa, a causa di un doppio scandalo: l'uccisione di un giornalista che viene a lui imputata, e i sospetti riguardo la presunta vendita all'Iraq di moderni sistemi antiaerei. Crisi di popolarità cui ha tentato di rimediare inviando soldati ucraini in Iraq, a partecipare all'occupazione statunitense[xviii]. In definitiva, Kuchma non ha fatto altro che mantenere, con una politica ambivalente, l'Ucraina in bilico tra la Russia e l'Occidente (l'alleanza ad hoc UE-NATO-USA). Il significato profondo delle consultazioni appena tenutesi era dunque questo: definire l'appartenenza dell'Ucraina ad una o all'altra sfera d'influenza. E tenendo conto di quanto finora scritto riguardo all'importanza geopolitica dell'Ucraina, possiamo ben capire tutti i problemi sorti, e il vero e proprio incidente internazionale che si va sviluppando contestualmente. Il candidato dell'opposizione è stato Viktor Yushchenko, capo carismatico del partito "La Nostra Ucraina", prima formazione politica del paese alle elezioni parlamentari del Marzo 2002, con il 23,6% delle preferenze. Ex primo ministro (con Kuchma), ex governatore della Banca centrale, già rappresentante ucraino al Fondo Monetario Internazionale, già vice rappresentante della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, ex co-direttore del Consiglio delle banche ucraino-tedesche, insignito nel 1997 del Global Finance Award per essere tra i 5 migliori presidenti di banche centrali del mondo, Yushchenko è stato il candidato favorito di Unione Europea e USA, nonché di quel 17% della popolazione favorevole all'ingresso immediato dell'Ucraina nella NATO (secondo un sondaggio, a vedere con favore tale eventualità sono principalmente le persone con bassa istruzione e la popolazione urbana; gli abitanti dell'Ucraina orientale - non solo quelli russofoni - e i cittadini con istruzione universitaria sono nettamente contrari)[xix]. Al suo fianco anche il blocco ultra-nazionalista, xenofobo e violentemente anti-russo, guidato da Yulia Timoshenko, e nelle cui file non mancano i gruppi di skinheads[xx]: proposito dichiarato di queste frange è quello di proibire la lingua russa nel paese, mentre Yanukovich vorrebbe elevarla al rango di lingua di stato, a fianco dell'ucraino. Checché ne dicano i media statunitensi ed europei, Yushchenko è stato cospicuamente sorretto tanto dalla grande finanza locale (che ha messo a sua disposizione una televisione e diversi giornali completamente votati alla causa della sua elezione), quanto dal denaro straniero proveniente da USA e UE: nel Dicembre 2003, infatti, il Parlamento ucraino ha varato una commissione d'inchiesta per far luce sui finanziamenti provenienti dall'estero, finiti nelle casse di diverse organizzazioni non governative sostenitrici di Yushchenko[xxi]. La campagna elettorale di Yushchenko è stata animata dalla bizzarra accusa, rivolta ai suoi rivali, d'aver tentato d'avvelenarlo: accusa prontamente smentita dai medici viennesi che l'hanno avuto in cura "per una indigestione", ma ciò nonostante solertemente ripresa in Italia dal settimanale Panorama. In prima linea a sostenere il candidato filo-occidentale si è posta la Polonia, come testimonia in questi giorni di tensione la presenza a Kiev, a fianco dei rivoltosi, di Lech Walesa (capo di Solidarnosc e simbolo della svolta anti-sovietica polacca), e l'incondizionato sostegno ch'essi hanno ottenuto dal presidente Aleksandr Kwasniewski. In Polonia si parla apertamente di queste giornate di Kiev come dell'equivalente della loro insurrezione anti-sovietica. Inoltre, negli USA, i più ferventi sostenitori di Yushchenko e nemici di Putin sono i membri della famiglia Brzezinski. Tutto questo ha fatto gridare il consigliere per gli affari internazionali della Presidenza russa, Sergej Markov, al complotto polacco. Anche Sergio Romano ha dedicato un articolo alla questione[xxii]. Egli ha debitamente riassunto gli annosi contrasti tra Polacchi e Russi, spesso riguardanti proprio il possesso dell'Ucraina, ma ha anche giustamente sottolineato come i sospetti di Markov siano eccessivi. La Polonia è sì storicamente rappresentante di quella parte dei popoli slavi che - a differenza dei Serbi, per esempio - si sono sempre opposti in tutti i modi all'egemonia russa su quell'area etnico-culturale. Ma questi sarebbero solo ricordi del passato, se la superpotenza americana non fosse interessata a rinfocolare antichi (ed obsoleti) contrasti, per avvantaggiarsene nei propri progetti egemonici. L'attuale ruolo della Polonia nella crisi ucraina è del massimo interesse perché un efficace esempio di come gli USA, per sottomettere l'Europa, abbiano finora potuto contare sui suoi contrasti intestini, rifacendosi alla vecchia ma sempre efficace politica del "dividi e impera". Romano non si preoccupa di sviluppare questo discorso, forse perché in contrasto con la linea editoriale filo-USA del quotidiano su cui scrive; noi purtroppo non ne abbiamo lo spazio, e perciò torniamo a concentrarci sul caso particolare in esame. Opposto a Yushchenko, dunque, trovavamo il candidato della coalizione di centro-sinistra ("Per una Ucraina Unita" e "Socialdemocratici Uniti"), il primo ministro Viktor Yanukovich. La sua designazione non è stata indolore né unitaria: non è lui il successore prescelto da Kuchma, ed anzi tra i due v'è stato un episodio conflittuale che potrebbe essere molto significativo. In particolare, quando Kuchma presentò in Parlamento una proposta di riforma - appoggiata da Socialisti e Comunisti - volta a diminuire i poteri presidenziali a vantaggio della camera rappresentativa eletta proporzionalmente, questa fu affossata proprio dalla corrente "Regioni dell'Ucraina" di Yanukovich, che le impedì di raggiungere i necessari due terzi dei voti. La riforma, che si diceva mirata a colpire Yushchenko, sembrava anche che volesse evitare a Kuchma la grana di designare un successore, semplicemente redistribuendo i poteri[xxiii]. I terzi incomodi di queste elezioni sono stati Piotr Symonenko, capo del Partito Comunista, e Oleksandr Moroz, guida della formazione socialista. Usciti dopo il primo turno, costoro si sono trovati a fare da ago della bilancia nei ballottaggi, giacché Yanukovich e Yushchenko partivano fortemente appaiati. Symonenko non ha avuto dubbi, ed ha appoggiato Yanukovich. Del resto, già nel primo turno la maggior parte degli elettori comunisti aveva optato per il voto utile a favore del candidato filo-russo, lasciando Symonenko - dall'abituale 20% e oltre raccolta dal Partito Comunista[xxiv] - a un deludente 5% circa. L'antiamericanismo è stato il legame trovato da centristi ed estrema sinistra. Tale sentimento si è molto sviluppato ultimamente nella società ucraina, principalmente per le continue ingerenze e provocazioni americane[xxv]. Nel 2000 Kuchma ha denunciato l'attività di spionaggio condotta su mandato di Washington dal suo addetto alla presidenza, Mykola Melnychenko, che poi, guarda caso, fuggì negli USA dove ottenne asilo politico. Voci insistenti vorrebbero Yushchenko e la moglie (di nazionalità americana) agenti della CIA. Differente invece la posizione assunta, un po' a sorpresa, da Moroz, che fino ad allora sembrava disposto a partecipare al blocco delle sinistre contro l'avanzata occidentalista. I Socialisti hanno invece scelto d'appoggiare al ballottaggio Yushchenko, forse fiutando il vento che cambia, ma dobbiamo credere che molti dei loro elettori non abbiano seguito affatto il consiglio. Infine, il piccolo (1,5% al primo turno) Partito Progressista Socialista di Ucraina, guidato da Natalja Vitrenko, si è a sua volta schierata con Yanukovich. In virtù di ciò era scontato che Yanukovich prevalesse nel ballottaggio. Ma la sua vittoria non è stata accolta con tanta naturalezza. Yushchenko ha prontamente denunciato brogli elettorali, e assunto un atteggiamento tanto arrogante e intransigente (si è autoproclamato presidente e addirittura giurato davanti ai suoi deputati al Parlamento) quanto rivelatore: qualcuno spalleggia Yushchenko e gli conferisce tanta sicurezza, e non è difficile indovinare chi. Gli osservatori dell'OSCE, della NATO e di molte ONG (organizzazioni non governative) ucraine hanno a loro volta denunciato brogli ai danni dell'opposizione. Quanto credito si può dare loro? In Ucraina si sono trovati ad essere presenti solo osservatori russi, europei e statunitensi, tutti in un modo o nell'altro palesemente schierati, e dunque non sereni nel loro giudizio. Le organizzazione non governative, l'abbiamo già visto, sono finanziate dagli stessi USA e UE, e sostengono apertamente Yushchenko. La NATO è un'alleanza militare, e quindi non si capisce come possa aver voce in capitolo. L'OSCE è una emanazione dell'Unione Europea, apertamente schierata in queste consultazioni, e che già in passato ha dato sfoggio della sua pretesa "imparzialità". L'OSCE ("Organizzazione sulla Sicurezza e la Cooperazione Europea" che, ironia della sorte, s'impegna tra l'altro a garantire la non ingerenza negli affari interni degli stati membri!) è la stessa che ha non ha trovato nulla da ridire nelle elezioni in Afghanistan dove, per non si sa quale motivo, la grande maggioranza della popolazione sosterrebbe il consulente d'una impresa petrolifera americana[xxvi]. Né ha aperto bocca in occasione delle ultime due elezioni presidenziali americane, quelle che hanno incoronato vincitore George W. Bush. Questo a dispetto di quanto accaduto in Florida nel 2000. Questo nonostante nelle ultime appena passate, il GAO (ente per il controllo amministrativo e contabile statunitense) abbia ricevuto 57.000 segnalazioni d'irregolarità. Il noto giornalista investigativo Tom Bosco[xxvii] riferisce che: "(...) in una circoscrizione dell’Ohio ci sono stati 4.258 voti per Bush a fronte di un numero di votanti registrati pari a 638! In Florida, nella contea di Baker, vi sono 12.887 votanti registrati, il 69,3% dei quali iscritti nelle liste democratiche e il 24,3% in quelle repubblicane. Il conteggio dei voti assegnava solo 2.180 preferenze a Kerry e ben 7.738 a Bush: in pratica, dovremmo credere che cinque iscritti democratici su sette avrebbero votato per quest’ultimo... Episodi di questo tenore sono stati segnalati in numerose contee della Florida e dell’Ohio, insieme a diffuse intimidazioni nei confronti degli elettori nelle aree a prevalenza democratica". Tutto questo per dare un'idea di quanto attendibile sia da considerarsi l'OSCE. E' chiaro che la denuncia dei presunti brogli è una questione puramente politica. Che questi ci siano stati o meno è un'altra cosa: di certo, l'osservatore OSCE vede ciò che i suoi mandanti gli chiedono di vedere, e ignora ciò che gli chiedono d'ignorare. Il giornalista de La Stampa ed eurodeputato Giulietto Chiesa ha affermato d'aver verificato con i propri occhi questo loro modo d'agire. Molto interessante anche il rapporto stilato dall'organizzazione indipendente "British Helsinky Human Rights Groups" che ha inviato propri osservatori in varie circoscrizioni del paese, senza riscontrare alcuna delle "gigantesche frodi" denunciata da Yushchenko e dai suoi sostenitori (interni ed esterni)[xxviii]. I mezzi d'informazione statunitensi ed europei, però, non hanno mostrato dubbi, e subito hanno avvalorato la tesi delle elezioni truccate. Il loro modo d'operare sfiora quasi il grottesco quando citano un exit poll favorevole a Yushchenko per screditare il risultato ufficiale delle elezioni. A parte che tali sondaggi si mostrano regolarmente poco affidabili (ad esempio, Kerry avrebbe dovuto battere Bush, affermavano), va notato che è molto più semplice falsificare un exit poll (basta inventarsi i risultati!) che un'elezione. Normalmente si penserebbe che i risultati ufficiali sbugiardino il sondaggio: evidentemente, questa non è una situazione normale. Qualcosa stona in quel che sta succedendo dopo le elezioni. Al di là della spudorata faziosità occidentale, è sorprendente come Yushchenko riesca immediatamente a portare centinaia di migliaia di sostenitori nelle piazze dell'Ucraina occidentale: più di 500.000 a Kiev, 120.000 a Leopoli, 80.000 a Kharcov[xxix]. Ancora più stupefacenti sono le risorse e l'organizzazione impeccabile sfoderata dai filo-occidentali, nel riuscire a vettovagliare e coordinare quest'immenso esercito. E' chiaro che tutto era già stato preparato e pianificato in precedenza, con l'apporto di denaro ed esperienza. La denuncia di brogli; la discesa in piazza dei militanti in forze, che circondano il Parlamento, il Palazzo presidenziale, la sede della commissione elettorale. Non è un deja-vu, semplicemente stiamo rivivendo una situazione analoga a quella occorsa prima in Jugoslavia, poi in Georgia, con l'opposizione filo-americana che riesce a scalzare con la forza il presidente legittimo. Ormai abbiamo collezionato sufficienti tasselli per definire il mosaico: gli USA, con l'appoggio dell'UE, hanno già da tempo organizzato un colpo di stato in Ucraina per ribaltare il verdetto scaturito dalle consultazioni elettorali. Questo prevede, come è successo in Jugoslavia e in Georgia, un appoggio massiccio dei media occidentali, che contribuiscono ad offuscare l'esatta percezione degli avvenimenti (ad esempio pubblicizzando all'inverosimile le adunate degli "arancioni" di Yushchenko, ma celando accuratamente le imponenti manifestazioni popolari pro-Yanukovich) permettendo agli esecutori in loco di portare a compimento il golpe architettato a Washington. Ma manca ancora un tassello, piccolo ma fondamentale, per completare l'inquietante mosaico che va componendosi sotto i nostri occhi; e lo scopriremo a breve. Viktor Yanukovich e i suoi sostenitori non sono comunque rimasti completamente inerti. La sua vittoria ha tosto ottenuto il riconoscimento di Russia, Bielorussia e Kazakistan, i paesi associati all'Ucraina nello spazio di libero scambio eurasiatico, e quello della Cina. Proprio di recente, infatti, Cina e Russia hanno stretto accordi di natura commerciale, economica ed energetica, che sta già mostrando le sue prime conseguenze geopolitiche[xxx]. Quest'importante accordo costituisce una colonna portante di un edificio eurasiatico che, timidamente ma risolutamente, Vladimir Putin sta costruendo mattone dopo mattone: da un lato l'asse con Parigi e Berlino, dall'altro la "Unione Eurasiatica", gli accordi con la Cina e le relazioni con l'Iran. Una costruzione imponente che sta facendo tremare i geopolitici americani, e ha fatto entrare il Presidente russo nel mirino occidentale. Tornando però all'Ucraina, bisogna notare come all'appoggio internazionale di questi paesi non abbia dato riscontro l'atteso appoggio interno all'elezione di Yanukovich. La Corte suprema, vicina a Kuchma, ha accettato di rivedere i risultati della consultazione, bloccandone così la proclamazione definitiva. L'iniziativa delle provincie orientali, a maggioranza russofona (secondo un censimento del 1989, i russi in Ucraina sono il 67,9% nella regione di Doneck, il 65,5% in quella di Lugan, il 50,1% in quella di Charkov, il 53,4% in quella di Zaporoz e il 67% tra gli abitanti della Crimea[xxxi]) volta a conquistare l'autonomia, e quindi l'indipendenza, nel caso Yushchenko riesca ad impadronirsi del potere, ha incontrato un'opposizione molto più forte di quella che gli "arancioni" stanno affrontando nel loro operare egualmente al di fuori della legge: Kuchma, che ha invitato al dialogo con Yushchenko, ha attaccato decisamente i delegati orientali; l'esercito, che ha subito asserito di non voler intervenire negli affari interni riguardo alla disputa sulle elezioni, ha però minacciato di "difendere in ogni modo l'integrità territoriale della nazione". Insomma, sembra quasi che si stiano rivelando fondati i sospetti diffusi in Ucraina (ed espressi, ad esempio, da Piotr Symonenko[xxxii]), secondo i quali Leonid Kuchma e la sua cricca starebbero in realtà lavorando nell'ombra per favorire Yushchenko (che, non dimentichiamolo, è stato suo primo ministro al pari di Yanukovich), ritenendo in questo modo di salvaguardare i propri interessi politici ed economici anche nel nuovo corso occidentalista. Era questo l'ultimo tassello del mosaico, che avevamo lasciato in sospeso. Ora il quadro è completo, resta solo da vedere come si evolverà. Le variabili da considerare nell'ipotizzare scenari futuri sono molteplici. La prima è Leonid Kuchma, il suo entourage e tutte le sfere di potere ucraine, in particolare le forze armate, che sembra ragionevole collegare al presidente uscente. Costui è di natura imprevedibile, ed anche se per il momento continua a sostenere - con moderazione - Yanukovich, abbiamo sottolineato alcuni indizi che potrebbero far pensare ad un suo passaggio armi e bagagli nel campo occidentalista. Più probabile, comunque, che Kuchma perseveri nella sua storica ambiguità fino all'ultimo, quando, a giochi fatti, tenterà di schierarsi col vincitore. Kuchma è solo un uomo che cerca di salvare i propri interessi e quelli delle potenti lobbies che lo sostengono; alfine, la sua posizione sarà veramente rilevante solo se riuscirà a condizionare quella dell'esercito. Infatti, nel caso Yushchenko abbia la meglio, le forze armate ucraine potrebbero cercare d'impedire con la forza la secessione delle regioni russofone. La posizione di Yushchenko è fin troppo delineata: egli s'oppone risolutamente ad ogni tentativo di dialogo avanzato dagli avversari; non accetterà niente meno dei massimi poteri, almeno che gli appoggi esterni non vengano improvvisamente a mancare, cosa molto poco probabile. Il suo modello di colpo di stato è quello yugoslavo e georgiano: le folle "arancioni", infatti, sono state perfettamente controllate e spinte fino al limite della violenza, di modo che la rasentassero ma mai vi sfociassero apertamente. Ora Yushchenko vuole semplicemente confidare nelle pressioni politiche esercitate congiuntamente all'interno e all'esterno dai suoi alleati, ovvero al limite provocare una reazione di Yanukovich, sfruttandola poi per invocare il soccorso straniero come una vittima: allora i "liberatori" americani entrerebbero in pompa magna a Kiev, senza che nessuno possa opporre loro una sola parola di biasimo. Ma il neo-presidente legittimamente eletto, Viktor Yanukovich, non sembra disposto a cadere in una simile trappola: egli ha finora mostrato un'estrema lucidità nel muoversi. Ha saggiamente evitato lo scontro frontale con l'oppositore, di modo da non avallare la propaganda bellicista occidentale. Il suo tono conciliante, e le sue proposte apparentemente allettanti, sono stati ottimi esempi di arguzia politica, come il paventare per Yushchenko una carica di primo ministro, che comunque lo manterrebbe fortemente subordinato a sé. Ha anche accettato d'indire nuove elezioni, ma solo a patto che né lui né Yushchenko si ricandidassero: questo perché difficilmente l'opposizione potrebbe affermarsi senza il suo capo carismatico. Nel frattempo, ha elargito promesse politiche a Comunisti e Socialisti, per saldarli a sé, ed agitato sapientemente lo spettro della secessione nelle regioni orientali; spettro che, se le cose dovessero mettersi male, cesserebbe d'essere tale e diventerebbe invece realtà. Sulla volontà degli USA non ci sono dubbi: essi vogliono impossessarsi dell'Ucraina, per tutte quelle ragioni che abbiamo accuratamente elencate in precedenza. Resta solo da vedere se s'accontenteranno d'una parte, permettendo alle regioni orientali di secedere, oppure se saranno disposti, pur di fare l'en plein, a rischiare la guerra con la Russia (foss'anche per interposte persone, lasciando combattere le rispettive fazioni ucraine tra loro, in vece propria). In linea di massima, le posizioni di tutti questi attori della crisi ucraina sono piuttosto definite; la vera e decisiva incognita si chiama Russia. Il futuro dell'Ucraina può cambiare radicalmente, a seconda che Putin si mostri arrendevole, ovvero fermamente risoluto. E' certo che la Russia non possa permettersi di perdere anche l'Ucraina: la resistenza che ha opposto e sta opponendo in Georgia, dovrà necessariamente mostrarsi molto amplificata in quest'altro contesto. Obiettivo minimo sarà quello di mantenere le regioni meridionali e orientali: esse sono anche le più importanti dal punto di vista geopolitico, perché comprendono tutte le coste e i porti ucraine, nonché tutte le risorse minerarie del paese. Però, attestandosi nell'Ucraina occidentale, gli USA acquisirebbero comunque determinanti posizioni strategiche alle porte della Russia, e in più potrebbero sottoporre la Bielorussia ad una pressione ancora maggiore e, probabilmente, insopportabile per la piccola Repubblica. L'Ucraina potrebbe generare una nuova situazione di "guerra fredda" su scala locale, come in Georgia, ma persino ridurre USA e Russia ai ferri corti, e accelerare enormemente tutte le previsioni geopolitiche statunitensi sullo scontro finale con il gigante eurasiatico. La posta in palio è altissima, il futuro incerto. In queste ore, in Ucraina potrebbero decidersi le sorti del mondo intero. Perché, in una maniera o nell'altra, in una misura o nell'altra, la scintilla scaturita dalla contesa elettorale ucraina è destinata ad infiammare il mondo intero.
Note
[i] Dati enucleati da Atlante Geografico De Agostini, Istituto Geografico De Agostini, Novara 2002.
[ii] Cfr. Gabriella Piccinni, Il Medioevo, Paravia Bruno Mondadori Editore, Milano 2004.
[iii] Dato contenuti in Vladimir A. Kolosov, La collocazione geopolitica della Russia, Torino 2001, cit. in Stefano Vernole, "Ucraina: tra Eurasia e Occidente" in http://www.eurasia-rivista.org/.
[iv] Francesco Manaresi, "Ucraina: al bivio tra Russia ed Unione Europea", 14 Novembre 2003 in http://www.equilibri.net/.
[v] Cfr. John Kleeves, Un paese pericoloso, Società Editrice Barbarossa, Milano 1998.
[vi] Cit. in S.Vernole, art.cit.
[vii] Cfr. Equilibri.net, "Ucraina: i rapporti con la NATO", 10 Giugno 2002 in http://www.equilibri.net/.
[viii] Aldo Ferrari in AA.VV., Il grande Medio Oriente, Milano 2002, cit. in S.Vernole, art.cit.
[ix] V.A.Kolosov, op.cit., cit. in S.Vernole, art.cit.
[x] Cfr. John Kleeves, op.cit., pag.314.
[xi] A proposito del PNAC e del suo ruolo nella "guerra al terrorismo", cfr. Daniele Scalea, "Le interpretazioni della guerra in Iraq" (prossima pubblicazione).
[xii] Figura simbolo della geopolitica inglese e teorizzatore del concetto di Heartland eurasiatico.
[xiii] Cfr. Viatcheslav Dachitchev, "Risposta alla "lettera aperta" degli intellettuali occidentali contro Putin", pubblicata su National-Zeitung, nr.42, 8 Ottobre 2004; una parziale traduzione italiana è disponibile su http://www.eurasia-rivista.org/.
[xiv] Equilibri.net, art.cit.
[xv] Francesco Defferrari, "Ucraina: fra Europa e il proprio passato", 18 Maggio 2004 in http://www.equilibri.net/.
[xvi] F. Manaresi, art.cit.
[xvii] S. Vernole, art.cit.
[xviii] Cfr. Equilibri.net, art.cit.
[xix] Ibidem.
[xx] John Laughland, "Who are the Fascists of Pora?", in The Spectator (rivista inglese conservatrice), 6 Novembre 2004.
[xxi] Simone Malfatti, "Ucraina: tra blocco politico e ripresa economica", 24 Febbraio 2004 in http://www.equilibri.net/.
[xxii] Sergio Romano, "La spina di Putin", nel "Corriere della Sera", 28 Novembre 2004.
[xxiii] Cfr. F. Dafferrari, art.cit.
[xxiv] In Crimea addirittura s'attesta sul 70%. Cfr. Mauro Gemma, "Il primo turno delle elezioni presidenziali in Ucraina", in Bollettino Aurora, numero 76 (Novembre 2004).
[xxv] Già il 15 Settembre la Camera dei Rappresentanti statunitensi ha approvato "Atto sulla democrazia ucraina" che minaccia sanzioni nel caso d'irregolarità nel voto.
[xxvi] Naturalmente, il consulente in questione è Hamid Karzai, e l'impresa la Unocal.
[xxvii] Tom Bosco, "Urla nel silenzio", in http://www.nexusitalia.com/.
[xxviii] Lettre d’information de l’Association de Solidarité transnationale "La Cause des Peuples", nr.9 (29 Novembre 2004).
[xxix] Paolo Emiliani, "Dietro il tentato putsch di Kiev si muove l'assedio atlantico alla Russia", in Rinascita, 25 Novembre 2004.
[xxx] Morgan Palmas, "Russia: nuovo asse con Pechino?", 3 Ottobre 2004 in http://www.equilibri.net/.
[xxxi] S. Vernole, art.cit.
[xxxii] "La partita in gioco nella valutazione dei comunisti ucraini", da Bollettino Aurora, nr.75 (Ottobre-Novembre 2004).
fonte: http://www.eurasia-rivista.org/cogit...putMundi.shtml