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Discussione: Kiev Caput Mundi

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    Predefinito Kiev Caput Mundi

    Daniele Scalea





    ATLANTISMO, EUROPEISMO ED EURASIATISMO S'AFFRONTANO IN UCRAINA IN UNA LOTTA SENZA ESCLUSIONE DI COLPI

    Quando i cittadini ucraini si sono recati a votare per eleggere il nuovo presidente del loro paese, difficilmente si rendevano conto d'essere attori protagonisti di eventi che - senza esagerare - sono in grado d'influire pesantemente sulle sorti del mondo intero. In Ucraina non si stanno affrontando semplicemente i signori Viktor Yushchenko e Viktor Yanukovich. Si stanno affrontando, questo è esatto, il filo-Ue e filo-americano Yushchenko, e il filo-russo Yanukovich; ma ancora la definizione stenta a dare l'esatta portata dell'evento, se non si considera l'importanza dell'Ucraina nell'ottica geopolitica mondiale. La Russia, che solo recentemente ha cominciato a risorgere dalle macerie del crollo sovietico, fa affidamento per il proprio futuro sulla creazione d'uno spazio di libero commercio e cooperazione economica e strategica, a dimensione eurasiatica, che coinvolgerà, perlomeno nella sua fase iniziale, oltre alla stessa Federazione, anche Bielorussia, Kazakistan e Ucraina. Date le dimensioni (quantitative) piuttosto limitate di questo progetto (che, plausibilmente, costituirà il nucleo fondatore di una prossima ventura "Unione Eurasiatica"), è chiaro che il disimpegno della "quarta parte" ucraina lo minerebbe alle fondamenta, condannandolo forse già prima della nascita. A maggior ragione, considerando che l'Ucraina è molto più del "25% dei paesi membri": è la seconda nazione del blocco per popolazione (51 milioni, contro i 16 e mezzo del Kazakistan e i 10 abbondanti della Bielorussia), prodotto nazionale lordo (Ucraina 82.956.405.000$; Russia 330.413.440.000$, Kazakistan 22.347.900.000$, Bielorussia 21.445.200.000$) e volume delle esportazioni (Ucraina 11.566.000.000$; Russia 79.910.000.000$, Kazakistan 6.230.400.000$, Bielorussia 5.462.700.000$)[i]. L'importanza dell'Ucraina aumenta ulteriormente, se valutiamo la questione dall'ottica russa. I Russi hanno sempre considerato l'Ucraina come parte integrante della propria nazione, e non potrebbe essere altrimenti, se pensiamo che il Principato di Rus, con capitale Kiev, può essere considerato come il primo nucleo della futura Russia. Esso era già dal IX secolo il più potente e ricco dei tanti principati che intorno all'anno 1000 dominavano la regione, fu a Kiev che tra il 980 e il 996 fu costruita la prima cattedrale russa, ed era quello stesso Principato ad unificare il paese prima dell'arrivo dei Mongoli; a Kiev risiedeva il metropolita russo, e là fu stilato il primo corpus giuridico russo, la Rossiskaija Pravda. Quando la Russia si costituì finalmente, dal progressivo attenuarsi dall'autorità mongola, essa contava su tre parti fondamentali, Mosca, Novgorod e Kiev: non a caso, il Principe Ivan I di Mosca (1328-1340) comprò dal Khan il titolo di "Principe di tutte le Russie"[ii]. A quanto pare tale sentimento di fratellanza è vivo anche tra gli Ucraini nei confronti dei Russi (o, meglio, degli altri Russi): stando a un sondaggio condotto nel 1999, il 61% dei cittadini ucraini avrebbero una percezione positiva del vicino russo (nonostante la pressante campagna russofoba condotta dai nazionalisti e dai loro sostenitori atlantisti), la maggioranza vorrebbe abbattere le frontiere tra i due stati, e più di un terzo desidererebbe convivere in una sola entità politica con i fratelli d'oltreconfine[iii]. Inoltre, un sondaggio tenutosi nel Settembre 2003 attestava che ben il 70% degli Ucraini sarebbe favorevole alla nascita della suddetta zona di libero scambio eurasiatica[iv]. Inoltre, l'interesse russo per l'Ucraina deriva da inderogabili necessità geopolitiche, più ampie ancora della contingente creazione d'uno spazio di mercato comune eurasiatico. L'Ucraina non era solo il "granaio" di Mosca, ma pure la sede dei suoi unici porti su un mare caldo: Odessa, Mykolaïv, Mariupol', Sebastopoli, sbocchi necessari per i commerci con l'area mediterranea, e oltre. Non dimentichiamoci che il grande obiettivo della Russia zarista fu il Bosforo, e dunque la sicura apertura delle rotte marittime entro e fuori il Mar Nero. Alcuni autori hanno visto persino nella discesa in Afghanistan la volontà sovietica d'avvicinarsi ai mari caldi da cui dispiegare nella sua piena potenza la flotta imponente che l'URSS aveva creata[v]. Lo stesso geopolitico statunitense Zbigniew Brzezinski ha descritto l'importanza strategica dell'Ucraina per la Russia: "L’indipendenza dell’Ucraina ha privato inoltre la Russia della sua posizione dominante sul Mar Nero, dove Odessa costituiva un avamposto strategico per gli scambi con il Mediterraneo e il più vasto mondo. La perdita dell’Ucraina ha avuto anche enormi conseguenze geopolitiche, poiché ha drasticamente limitato le opzioni geostrategiche della Russia. Anche senza i Paesi Baltici e la Polonia, una Russia che avesse conservato il controllo sull’Ucraina poteva ancora cercare di fungere da guida di un impero eurasiatico risoluto, dove Mosca avrebbe dominato i non slavi del Sud e nel Sud-Est dell’Ex Unione Sovietica"[vi]. Ecco allora che Mosca ha sfruttato con Kiev il potere contrattuale derivantele dalla dipendenza energetica dell'Ucraina dalla Russia[vii] per indurla a un compromesso, stipulato nel 1997, in virtù del quale ottiene in affitto ventennale le strutture portuali ucraine, e conclude a proprio favore l'annosa disputa riguardante il possesso della flotta sovietica colta nella rada di Sebastopoli al momento in cui l'URSS si disintegrò[viii]. I legami economici tra i due paesi sono molto forti: secondo dati concernenti lo stesso anno 1997, dei 55,6 miliardi di rubli investiti dai paesi della CSI in Russia, il 47,1% di questi erano ucraini, cifra scesa nel 1999 ma ancora al considerevole livello del 40%, mentre la Russia assorbe buona parte della produzione ucraina[ix]. D'altro canto, gli Stati Uniti d'America hanno un forte interesse ad attrarre l'Ucraina nella propria sfera d'influenza; se non altro, proprio per contrastare il disegno geopolitico di Mosca. Infatti, la classe dirigente americana non ha certo abbandonata, dopo la disintegrazione sovietica, la dottrina del "contenimento russo", teorizzata dal diplomatico e politologo George Frost Kennan (ambasciatore a Mosca durante l'amministrazione Truman)[x]. Anzi, questa politica di "contenimento", assomiglia sempre più ad una vera e propria aggressione. Potremmo osservare a proposito della volontà geopolitica americana, i prodotti partoriti dal think-tank denominato "Project for a New American Century" ("Progetto per un Nuovo Secolo Americano", PNAC), molto influente già durante l'era di Clinton, ancora di più nel corso dell'attuale di George W. Bush II[xi]. Nella primavera del 1997 uno dei maggiori cervelli del PNAC, Zbigniew Brzezinski (il guru della geopolitica talassocratica), ha pubblicato sulla rivista Foreign Affairs un articolo dall'eloquente titolo di: "Per una geostrategia eurasiatica". In esso, riprendendo molte delle idee di Halford Mackinder[xii], fissa per gli USA l'obiettivo di stabilire la propria egemonia sull'Eurasia, poiché chi controlla tale regione controllerebbe il mondo intero. A tal fine, gli Stati Uniti debbono impegnarsi nel spingere in avanti le proprie pedine, NATO e UE, fino ai confini stessi della Federazione russa, e dunque finanche all'Ucraina; debbono mantenere disunita l'Unione Europea per impedirle di divenire una potenza autonoma dotata d'una sola volontà; debbono infine mantenere la Cina al ruolo di semplice potenza regionale. Tutto questo - secondo Brzezinski - permetterà all'Atlantismo di demolire definitivamente la Russia, e spezzarla in tre entità autonome di modo da precluderle in futuro qualsiasi velleità di potenza[xiii]. E' chiaro che inglobare l'Ucraina nella NATO spingerebbe l'egemonia imperialista americana fino ai confini occidentali della Russia, riducendo la Bielorussia ad un fragile saliente incuneato nell'area d'egemonia statunitense, e dunque presto destinato a piegarsi o spezzarsi di fronte alle pressioni diplomatiche, politiche, economiche ed eventualmente militari dell'Occidente. Inoltre, per quanto già detto, la zona di libero scambio eurasiatica nascerebbe pesantemente menomata, e così la Russia fallirebbe nel tentativo di creare attorno a sé un'alleanza da opporre all'espansionismo del Patto Atlantico. Spingendosi oltre, a scenari apocalittici oggi improbabili, ma che appaiono inevitabilmente destinati a sorgere in un futuro vicino o lontano, gli USA controllerebbero l'intera Europa orientale, e cioè quello stesso corridoio utilizzato in passato per invadere il territorio russo, prima da Napoleone Bonaparte, poi da Adolf Hitler. La Russia ha la necessità di creare attorno a sé un cuscinetto protettivo, così come a suo tempo fece l'Unione Sovietica: in caso contrario, si ritroverebbe la NATO (e dunque le armate statunitensi, che già stanno per essere ridislocate in Polonia e nel resto dell'Europa orientale) alle porte di Mosca, San Pietroburgo e Rostov. Se citassimo queste ultime due città con i loro nomi d'epoca sovietica (rispettivamente Leningrado e Stalingrado), otterremmo di rievocare momenti fondamentali della storia russa, occorsi poco più di mezzo secolo fa, assieme tragici e fausti. Dopo che Putin ha firmato gli accordi di Pratica di Mare il 28 Maggio 2002, accettando il fatto compiuto dell'allargamento della NATO ad est (e ottenendo in cambio alcuni riconoscimenti da parte della OMC), ha tenuto a precisare che la Russia non avrebbe permesso un'ulteriore espansione del Patto Atlantico ad oriente, cioè all'Ucraina e alla Bielorussia[xiv]. In mezzo alla contesa tra Russia e USA si è trovata l'Unione Europea. A ennesima dimostrazione di quanto svantaggioso sia affidare la direzione strategica ad una burocrazia economicista, anziché a statisti - come Putin - con alle spalle vigorose e collaudate scuole geopolitiche (come quelle russa e americana), l'Unione Europea non ha saputo sfruttare la propria posizione di possibile ago della bilancia, né seguire i propri reali interessi geopolitici. Essa ha finito per imboccare la via più semplice, ma purtroppo non la migliore: nell'Europa orientale ha cominciato a contendersi l'influenza con la Russia. Decisione sciagurata, per due motivi: in primis, perché per contrastare la Russia l'UE deve appoggiarsi alla NATO e agli USA e così, le sue sono vittorie di Pirro, poiché paesi come la Polonia entrano nell'Unione per garantirsi ingenti finanziamenti, ma poi seguono le direttive strategiche dettate da Washington, non certo da Bruxelles; in secondo luogo, perché l'Europa non può permettersi il lusso di porsi in concorrenza alla Russia e al progetto eurasiatico, semmai dovrebbe cercare d'armonizzarsi con esso. Non a caso, mentre agenti dell'Atlantismo quali Balkenende, Solana e Barroso hanno sfidato apertamente Putin, i capi di stato più lungimiranti (in particolare Chirac e Schroeder, ma persino Berlusconi) hanno preferito assumere posizioni di basso profilo, per non urtare ulteriormente la pazienza di Putin, messa già a dura prova dalle indelicate polemiche suscitate dopo la tragedia di Beslan. Ciò nonostante, non c'è dubbio che l'Unione Europea si sia appiattita sulle posizioni degli USA riguardo alla questione delle elezioni, appoggiando apertamente Yushchenko e non riconoscendo la vittoria di Yanukovich. L'errore - che sia deliberato o per idiozia geopolitica - è stato quello di non riconoscere come cumulabili l'adesione all'UE con quella allo spazio eurasiatico. Nell'incontro bilaterale del 7 Ottobre 2003 a Yalta tra rappresentanti dell'UE e del governo ucraino, i primi hanno negato la possibilità di un'entrata nell'Unione (secondo Romano Prodi e la sua limitata visione geopolitica, il cammino dell'UE si sarebbe già concluso[xv]), paventando per l'Ucraina una semplice adesione alla CEE, ma ponendo tra le condizioni la non partecipazione dell'Ucraina allo spazio di libero scambio eurasiatico[xvi]! E' questo il quadro in cui ha dovuto muoversi il Presidente uscente dell'Ucraina, Leonid Kuchma. Egli ha condotto una politica alquanto ambigua che, come vedremo, prosegue ancora oggi. Ad esempio, nel 1999 l'Ucraina fu la principale animatrice del cosiddetto GUUAM (Georgia-Ucraina-Uzbekistan-Azerbaidjan-Moldavia), un'alleanza contingente volta a fare da contrappeso geopolitico allo strapotere russo nella CSI. Ma poi lo stesso Kuchma rilanciò i rapporti con Mosca, firmando un accordo per la riunificazione della rete elettrica dei due paesi, vendendo quote della raffineria di Odessa alla russa Lukoil, infine sottoscrivendo alcuni accordi intergovernativi di varia natura[xvii]. D'altro canto, quello che i nostri mezzi d'informazione considerano "il filo-russo Kuchma", ha posto quale obiettivo primario della sua politica estera, oltre all'adesione all'UE, quella alla NATO. Il 9 Luglio 1997, con l'accordo di Madrid, l'Ucraina è entrata nella cosiddetta "Partnership for Peace" ("Società per la Pace"), una sorta d'anticamera all'adesione al Patto Atlantico, in virtù del quale furono stabilite aree di consultazione e collaborazione bilaterale, soprattutto nel campo della sicurezza e degli armamenti. In cambio, l'Ucraina ha ottenuto dalla NATO l'impegno a favore della sua integrità territoriale, particolarmente importante per contrastare le spinte separatiste molto vive in Crimea (dove la maggioranza della popolazione è russofona, e la tradizione autonomistica molto forte), e sovente strumentalizzate in sede contrattuale dalla Russia. Il timore di suscitare una dura reazione dal Cremlino, ha spinto Kuchma a firmare nel Gennaio 2002 una bozza di trattato in 52 punti che prevede rapporti più stretti con Mosca nella fabbricazione degli armamenti e nella costituzione di unità navali comuni. Nel frattempo, il Presidente ucraino ha subito una crisi di popolarità in USA ed Europa, a causa di un doppio scandalo: l'uccisione di un giornalista che viene a lui imputata, e i sospetti riguardo la presunta vendita all'Iraq di moderni sistemi antiaerei. Crisi di popolarità cui ha tentato di rimediare inviando soldati ucraini in Iraq, a partecipare all'occupazione statunitense[xviii]. In definitiva, Kuchma non ha fatto altro che mantenere, con una politica ambivalente, l'Ucraina in bilico tra la Russia e l'Occidente (l'alleanza ad hoc UE-NATO-USA). Il significato profondo delle consultazioni appena tenutesi era dunque questo: definire l'appartenenza dell'Ucraina ad una o all'altra sfera d'influenza. E tenendo conto di quanto finora scritto riguardo all'importanza geopolitica dell'Ucraina, possiamo ben capire tutti i problemi sorti, e il vero e proprio incidente internazionale che si va sviluppando contestualmente. Il candidato dell'opposizione è stato Viktor Yushchenko, capo carismatico del partito "La Nostra Ucraina", prima formazione politica del paese alle elezioni parlamentari del Marzo 2002, con il 23,6% delle preferenze. Ex primo ministro (con Kuchma), ex governatore della Banca centrale, già rappresentante ucraino al Fondo Monetario Internazionale, già vice rappresentante della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, ex co-direttore del Consiglio delle banche ucraino-tedesche, insignito nel 1997 del Global Finance Award per essere tra i 5 migliori presidenti di banche centrali del mondo, Yushchenko è stato il candidato favorito di Unione Europea e USA, nonché di quel 17% della popolazione favorevole all'ingresso immediato dell'Ucraina nella NATO (secondo un sondaggio, a vedere con favore tale eventualità sono principalmente le persone con bassa istruzione e la popolazione urbana; gli abitanti dell'Ucraina orientale - non solo quelli russofoni - e i cittadini con istruzione universitaria sono nettamente contrari)[xix]. Al suo fianco anche il blocco ultra-nazionalista, xenofobo e violentemente anti-russo, guidato da Yulia Timoshenko, e nelle cui file non mancano i gruppi di skinheads[xx]: proposito dichiarato di queste frange è quello di proibire la lingua russa nel paese, mentre Yanukovich vorrebbe elevarla al rango di lingua di stato, a fianco dell'ucraino. Checché ne dicano i media statunitensi ed europei, Yushchenko è stato cospicuamente sorretto tanto dalla grande finanza locale (che ha messo a sua disposizione una televisione e diversi giornali completamente votati alla causa della sua elezione), quanto dal denaro straniero proveniente da USA e UE: nel Dicembre 2003, infatti, il Parlamento ucraino ha varato una commissione d'inchiesta per far luce sui finanziamenti provenienti dall'estero, finiti nelle casse di diverse organizzazioni non governative sostenitrici di Yushchenko[xxi]. La campagna elettorale di Yushchenko è stata animata dalla bizzarra accusa, rivolta ai suoi rivali, d'aver tentato d'avvelenarlo: accusa prontamente smentita dai medici viennesi che l'hanno avuto in cura "per una indigestione", ma ciò nonostante solertemente ripresa in Italia dal settimanale Panorama. In prima linea a sostenere il candidato filo-occidentale si è posta la Polonia, come testimonia in questi giorni di tensione la presenza a Kiev, a fianco dei rivoltosi, di Lech Walesa (capo di Solidarnosc e simbolo della svolta anti-sovietica polacca), e l'incondizionato sostegno ch'essi hanno ottenuto dal presidente Aleksandr Kwasniewski. In Polonia si parla apertamente di queste giornate di Kiev come dell'equivalente della loro insurrezione anti-sovietica. Inoltre, negli USA, i più ferventi sostenitori di Yushchenko e nemici di Putin sono i membri della famiglia Brzezinski. Tutto questo ha fatto gridare il consigliere per gli affari internazionali della Presidenza russa, Sergej Markov, al complotto polacco. Anche Sergio Romano ha dedicato un articolo alla questione[xxii]. Egli ha debitamente riassunto gli annosi contrasti tra Polacchi e Russi, spesso riguardanti proprio il possesso dell'Ucraina, ma ha anche giustamente sottolineato come i sospetti di Markov siano eccessivi. La Polonia è sì storicamente rappresentante di quella parte dei popoli slavi che - a differenza dei Serbi, per esempio - si sono sempre opposti in tutti i modi all'egemonia russa su quell'area etnico-culturale. Ma questi sarebbero solo ricordi del passato, se la superpotenza americana non fosse interessata a rinfocolare antichi (ed obsoleti) contrasti, per avvantaggiarsene nei propri progetti egemonici. L'attuale ruolo della Polonia nella crisi ucraina è del massimo interesse perché un efficace esempio di come gli USA, per sottomettere l'Europa, abbiano finora potuto contare sui suoi contrasti intestini, rifacendosi alla vecchia ma sempre efficace politica del "dividi e impera". Romano non si preoccupa di sviluppare questo discorso, forse perché in contrasto con la linea editoriale filo-USA del quotidiano su cui scrive; noi purtroppo non ne abbiamo lo spazio, e perciò torniamo a concentrarci sul caso particolare in esame. Opposto a Yushchenko, dunque, trovavamo il candidato della coalizione di centro-sinistra ("Per una Ucraina Unita" e "Socialdemocratici Uniti"), il primo ministro Viktor Yanukovich. La sua designazione non è stata indolore né unitaria: non è lui il successore prescelto da Kuchma, ed anzi tra i due v'è stato un episodio conflittuale che potrebbe essere molto significativo. In particolare, quando Kuchma presentò in Parlamento una proposta di riforma - appoggiata da Socialisti e Comunisti - volta a diminuire i poteri presidenziali a vantaggio della camera rappresentativa eletta proporzionalmente, questa fu affossata proprio dalla corrente "Regioni dell'Ucraina" di Yanukovich, che le impedì di raggiungere i necessari due terzi dei voti. La riforma, che si diceva mirata a colpire Yushchenko, sembrava anche che volesse evitare a Kuchma la grana di designare un successore, semplicemente redistribuendo i poteri[xxiii]. I terzi incomodi di queste elezioni sono stati Piotr Symonenko, capo del Partito Comunista, e Oleksandr Moroz, guida della formazione socialista. Usciti dopo il primo turno, costoro si sono trovati a fare da ago della bilancia nei ballottaggi, giacché Yanukovich e Yushchenko partivano fortemente appaiati. Symonenko non ha avuto dubbi, ed ha appoggiato Yanukovich. Del resto, già nel primo turno la maggior parte degli elettori comunisti aveva optato per il voto utile a favore del candidato filo-russo, lasciando Symonenko - dall'abituale 20% e oltre raccolta dal Partito Comunista[xxiv] - a un deludente 5% circa. L'antiamericanismo è stato il legame trovato da centristi ed estrema sinistra. Tale sentimento si è molto sviluppato ultimamente nella società ucraina, principalmente per le continue ingerenze e provocazioni americane[xxv]. Nel 2000 Kuchma ha denunciato l'attività di spionaggio condotta su mandato di Washington dal suo addetto alla presidenza, Mykola Melnychenko, che poi, guarda caso, fuggì negli USA dove ottenne asilo politico. Voci insistenti vorrebbero Yushchenko e la moglie (di nazionalità americana) agenti della CIA. Differente invece la posizione assunta, un po' a sorpresa, da Moroz, che fino ad allora sembrava disposto a partecipare al blocco delle sinistre contro l'avanzata occidentalista. I Socialisti hanno invece scelto d'appoggiare al ballottaggio Yushchenko, forse fiutando il vento che cambia, ma dobbiamo credere che molti dei loro elettori non abbiano seguito affatto il consiglio. Infine, il piccolo (1,5% al primo turno) Partito Progressista Socialista di Ucraina, guidato da Natalja Vitrenko, si è a sua volta schierata con Yanukovich. In virtù di ciò era scontato che Yanukovich prevalesse nel ballottaggio. Ma la sua vittoria non è stata accolta con tanta naturalezza. Yushchenko ha prontamente denunciato brogli elettorali, e assunto un atteggiamento tanto arrogante e intransigente (si è autoproclamato presidente e addirittura giurato davanti ai suoi deputati al Parlamento) quanto rivelatore: qualcuno spalleggia Yushchenko e gli conferisce tanta sicurezza, e non è difficile indovinare chi. Gli osservatori dell'OSCE, della NATO e di molte ONG (organizzazioni non governative) ucraine hanno a loro volta denunciato brogli ai danni dell'opposizione. Quanto credito si può dare loro? In Ucraina si sono trovati ad essere presenti solo osservatori russi, europei e statunitensi, tutti in un modo o nell'altro palesemente schierati, e dunque non sereni nel loro giudizio. Le organizzazione non governative, l'abbiamo già visto, sono finanziate dagli stessi USA e UE, e sostengono apertamente Yushchenko. La NATO è un'alleanza militare, e quindi non si capisce come possa aver voce in capitolo. L'OSCE è una emanazione dell'Unione Europea, apertamente schierata in queste consultazioni, e che già in passato ha dato sfoggio della sua pretesa "imparzialità". L'OSCE ("Organizzazione sulla Sicurezza e la Cooperazione Europea" che, ironia della sorte, s'impegna tra l'altro a garantire la non ingerenza negli affari interni degli stati membri!) è la stessa che ha non ha trovato nulla da ridire nelle elezioni in Afghanistan dove, per non si sa quale motivo, la grande maggioranza della popolazione sosterrebbe il consulente d'una impresa petrolifera americana[xxvi]. Né ha aperto bocca in occasione delle ultime due elezioni presidenziali americane, quelle che hanno incoronato vincitore George W. Bush. Questo a dispetto di quanto accaduto in Florida nel 2000. Questo nonostante nelle ultime appena passate, il GAO (ente per il controllo amministrativo e contabile statunitense) abbia ricevuto 57.000 segnalazioni d'irregolarità. Il noto giornalista investigativo Tom Bosco[xxvii] riferisce che: "(...) in una circoscrizione dell’Ohio ci sono stati 4.258 voti per Bush a fronte di un numero di votanti registrati pari a 638! In Florida, nella contea di Baker, vi sono 12.887 votanti registrati, il 69,3% dei quali iscritti nelle liste democratiche e il 24,3% in quelle repubblicane. Il conteggio dei voti assegnava solo 2.180 preferenze a Kerry e ben 7.738 a Bush: in pratica, dovremmo credere che cinque iscritti democratici su sette avrebbero votato per quest’ultimo... Episodi di questo tenore sono stati segnalati in numerose contee della Florida e dell’Ohio, insieme a diffuse intimidazioni nei confronti degli elettori nelle aree a prevalenza democratica". Tutto questo per dare un'idea di quanto attendibile sia da considerarsi l'OSCE. E' chiaro che la denuncia dei presunti brogli è una questione puramente politica. Che questi ci siano stati o meno è un'altra cosa: di certo, l'osservatore OSCE vede ciò che i suoi mandanti gli chiedono di vedere, e ignora ciò che gli chiedono d'ignorare. Il giornalista de La Stampa ed eurodeputato Giulietto Chiesa ha affermato d'aver verificato con i propri occhi questo loro modo d'agire. Molto interessante anche il rapporto stilato dall'organizzazione indipendente "British Helsinky Human Rights Groups" che ha inviato propri osservatori in varie circoscrizioni del paese, senza riscontrare alcuna delle "gigantesche frodi" denunciata da Yushchenko e dai suoi sostenitori (interni ed esterni)[xxviii]. I mezzi d'informazione statunitensi ed europei, però, non hanno mostrato dubbi, e subito hanno avvalorato la tesi delle elezioni truccate. Il loro modo d'operare sfiora quasi il grottesco quando citano un exit poll favorevole a Yushchenko per screditare il risultato ufficiale delle elezioni. A parte che tali sondaggi si mostrano regolarmente poco affidabili (ad esempio, Kerry avrebbe dovuto battere Bush, affermavano), va notato che è molto più semplice falsificare un exit poll (basta inventarsi i risultati!) che un'elezione. Normalmente si penserebbe che i risultati ufficiali sbugiardino il sondaggio: evidentemente, questa non è una situazione normale. Qualcosa stona in quel che sta succedendo dopo le elezioni. Al di là della spudorata faziosità occidentale, è sorprendente come Yushchenko riesca immediatamente a portare centinaia di migliaia di sostenitori nelle piazze dell'Ucraina occidentale: più di 500.000 a Kiev, 120.000 a Leopoli, 80.000 a Kharcov[xxix]. Ancora più stupefacenti sono le risorse e l'organizzazione impeccabile sfoderata dai filo-occidentali, nel riuscire a vettovagliare e coordinare quest'immenso esercito. E' chiaro che tutto era già stato preparato e pianificato in precedenza, con l'apporto di denaro ed esperienza. La denuncia di brogli; la discesa in piazza dei militanti in forze, che circondano il Parlamento, il Palazzo presidenziale, la sede della commissione elettorale. Non è un deja-vu, semplicemente stiamo rivivendo una situazione analoga a quella occorsa prima in Jugoslavia, poi in Georgia, con l'opposizione filo-americana che riesce a scalzare con la forza il presidente legittimo. Ormai abbiamo collezionato sufficienti tasselli per definire il mosaico: gli USA, con l'appoggio dell'UE, hanno già da tempo organizzato un colpo di stato in Ucraina per ribaltare il verdetto scaturito dalle consultazioni elettorali. Questo prevede, come è successo in Jugoslavia e in Georgia, un appoggio massiccio dei media occidentali, che contribuiscono ad offuscare l'esatta percezione degli avvenimenti (ad esempio pubblicizzando all'inverosimile le adunate degli "arancioni" di Yushchenko, ma celando accuratamente le imponenti manifestazioni popolari pro-Yanukovich) permettendo agli esecutori in loco di portare a compimento il golpe architettato a Washington. Ma manca ancora un tassello, piccolo ma fondamentale, per completare l'inquietante mosaico che va componendosi sotto i nostri occhi; e lo scopriremo a breve. Viktor Yanukovich e i suoi sostenitori non sono comunque rimasti completamente inerti. La sua vittoria ha tosto ottenuto il riconoscimento di Russia, Bielorussia e Kazakistan, i paesi associati all'Ucraina nello spazio di libero scambio eurasiatico, e quello della Cina. Proprio di recente, infatti, Cina e Russia hanno stretto accordi di natura commerciale, economica ed energetica, che sta già mostrando le sue prime conseguenze geopolitiche[xxx]. Quest'importante accordo costituisce una colonna portante di un edificio eurasiatico che, timidamente ma risolutamente, Vladimir Putin sta costruendo mattone dopo mattone: da un lato l'asse con Parigi e Berlino, dall'altro la "Unione Eurasiatica", gli accordi con la Cina e le relazioni con l'Iran. Una costruzione imponente che sta facendo tremare i geopolitici americani, e ha fatto entrare il Presidente russo nel mirino occidentale. Tornando però all'Ucraina, bisogna notare come all'appoggio internazionale di questi paesi non abbia dato riscontro l'atteso appoggio interno all'elezione di Yanukovich. La Corte suprema, vicina a Kuchma, ha accettato di rivedere i risultati della consultazione, bloccandone così la proclamazione definitiva. L'iniziativa delle provincie orientali, a maggioranza russofona (secondo un censimento del 1989, i russi in Ucraina sono il 67,9% nella regione di Doneck, il 65,5% in quella di Lugan, il 50,1% in quella di Charkov, il 53,4% in quella di Zaporoz e il 67% tra gli abitanti della Crimea[xxxi]) volta a conquistare l'autonomia, e quindi l'indipendenza, nel caso Yushchenko riesca ad impadronirsi del potere, ha incontrato un'opposizione molto più forte di quella che gli "arancioni" stanno affrontando nel loro operare egualmente al di fuori della legge: Kuchma, che ha invitato al dialogo con Yushchenko, ha attaccato decisamente i delegati orientali; l'esercito, che ha subito asserito di non voler intervenire negli affari interni riguardo alla disputa sulle elezioni, ha però minacciato di "difendere in ogni modo l'integrità territoriale della nazione". Insomma, sembra quasi che si stiano rivelando fondati i sospetti diffusi in Ucraina (ed espressi, ad esempio, da Piotr Symonenko[xxxii]), secondo i quali Leonid Kuchma e la sua cricca starebbero in realtà lavorando nell'ombra per favorire Yushchenko (che, non dimentichiamolo, è stato suo primo ministro al pari di Yanukovich), ritenendo in questo modo di salvaguardare i propri interessi politici ed economici anche nel nuovo corso occidentalista. Era questo l'ultimo tassello del mosaico, che avevamo lasciato in sospeso. Ora il quadro è completo, resta solo da vedere come si evolverà. Le variabili da considerare nell'ipotizzare scenari futuri sono molteplici. La prima è Leonid Kuchma, il suo entourage e tutte le sfere di potere ucraine, in particolare le forze armate, che sembra ragionevole collegare al presidente uscente. Costui è di natura imprevedibile, ed anche se per il momento continua a sostenere - con moderazione - Yanukovich, abbiamo sottolineato alcuni indizi che potrebbero far pensare ad un suo passaggio armi e bagagli nel campo occidentalista. Più probabile, comunque, che Kuchma perseveri nella sua storica ambiguità fino all'ultimo, quando, a giochi fatti, tenterà di schierarsi col vincitore. Kuchma è solo un uomo che cerca di salvare i propri interessi e quelli delle potenti lobbies che lo sostengono; alfine, la sua posizione sarà veramente rilevante solo se riuscirà a condizionare quella dell'esercito. Infatti, nel caso Yushchenko abbia la meglio, le forze armate ucraine potrebbero cercare d'impedire con la forza la secessione delle regioni russofone. La posizione di Yushchenko è fin troppo delineata: egli s'oppone risolutamente ad ogni tentativo di dialogo avanzato dagli avversari; non accetterà niente meno dei massimi poteri, almeno che gli appoggi esterni non vengano improvvisamente a mancare, cosa molto poco probabile. Il suo modello di colpo di stato è quello yugoslavo e georgiano: le folle "arancioni", infatti, sono state perfettamente controllate e spinte fino al limite della violenza, di modo che la rasentassero ma mai vi sfociassero apertamente. Ora Yushchenko vuole semplicemente confidare nelle pressioni politiche esercitate congiuntamente all'interno e all'esterno dai suoi alleati, ovvero al limite provocare una reazione di Yanukovich, sfruttandola poi per invocare il soccorso straniero come una vittima: allora i "liberatori" americani entrerebbero in pompa magna a Kiev, senza che nessuno possa opporre loro una sola parola di biasimo. Ma il neo-presidente legittimamente eletto, Viktor Yanukovich, non sembra disposto a cadere in una simile trappola: egli ha finora mostrato un'estrema lucidità nel muoversi. Ha saggiamente evitato lo scontro frontale con l'oppositore, di modo da non avallare la propaganda bellicista occidentale. Il suo tono conciliante, e le sue proposte apparentemente allettanti, sono stati ottimi esempi di arguzia politica, come il paventare per Yushchenko una carica di primo ministro, che comunque lo manterrebbe fortemente subordinato a sé. Ha anche accettato d'indire nuove elezioni, ma solo a patto che né lui né Yushchenko si ricandidassero: questo perché difficilmente l'opposizione potrebbe affermarsi senza il suo capo carismatico. Nel frattempo, ha elargito promesse politiche a Comunisti e Socialisti, per saldarli a sé, ed agitato sapientemente lo spettro della secessione nelle regioni orientali; spettro che, se le cose dovessero mettersi male, cesserebbe d'essere tale e diventerebbe invece realtà. Sulla volontà degli USA non ci sono dubbi: essi vogliono impossessarsi dell'Ucraina, per tutte quelle ragioni che abbiamo accuratamente elencate in precedenza. Resta solo da vedere se s'accontenteranno d'una parte, permettendo alle regioni orientali di secedere, oppure se saranno disposti, pur di fare l'en plein, a rischiare la guerra con la Russia (foss'anche per interposte persone, lasciando combattere le rispettive fazioni ucraine tra loro, in vece propria). In linea di massima, le posizioni di tutti questi attori della crisi ucraina sono piuttosto definite; la vera e decisiva incognita si chiama Russia. Il futuro dell'Ucraina può cambiare radicalmente, a seconda che Putin si mostri arrendevole, ovvero fermamente risoluto. E' certo che la Russia non possa permettersi di perdere anche l'Ucraina: la resistenza che ha opposto e sta opponendo in Georgia, dovrà necessariamente mostrarsi molto amplificata in quest'altro contesto. Obiettivo minimo sarà quello di mantenere le regioni meridionali e orientali: esse sono anche le più importanti dal punto di vista geopolitico, perché comprendono tutte le coste e i porti ucraine, nonché tutte le risorse minerarie del paese. Però, attestandosi nell'Ucraina occidentale, gli USA acquisirebbero comunque determinanti posizioni strategiche alle porte della Russia, e in più potrebbero sottoporre la Bielorussia ad una pressione ancora maggiore e, probabilmente, insopportabile per la piccola Repubblica. L'Ucraina potrebbe generare una nuova situazione di "guerra fredda" su scala locale, come in Georgia, ma persino ridurre USA e Russia ai ferri corti, e accelerare enormemente tutte le previsioni geopolitiche statunitensi sullo scontro finale con il gigante eurasiatico. La posta in palio è altissima, il futuro incerto. In queste ore, in Ucraina potrebbero decidersi le sorti del mondo intero. Perché, in una maniera o nell'altra, in una misura o nell'altra, la scintilla scaturita dalla contesa elettorale ucraina è destinata ad infiammare il mondo intero.

    Note

    [i] Dati enucleati da Atlante Geografico De Agostini, Istituto Geografico De Agostini, Novara 2002.
    [ii] Cfr. Gabriella Piccinni, Il Medioevo, Paravia Bruno Mondadori Editore, Milano 2004.
    [iii] Dato contenuti in Vladimir A. Kolosov, La collocazione geopolitica della Russia, Torino 2001, cit. in Stefano Vernole, "Ucraina: tra Eurasia e Occidente" in http://www.eurasia-rivista.org/.
    [iv] Francesco Manaresi, "Ucraina: al bivio tra Russia ed Unione Europea", 14 Novembre 2003 in http://www.equilibri.net/.
    [v] Cfr. John Kleeves, Un paese pericoloso, Società Editrice Barbarossa, Milano 1998.
    [vi] Cit. in S.Vernole, art.cit.
    [vii] Cfr. Equilibri.net, "Ucraina: i rapporti con la NATO", 10 Giugno 2002 in http://www.equilibri.net/.
    [viii] Aldo Ferrari in AA.VV., Il grande Medio Oriente, Milano 2002, cit. in S.Vernole, art.cit.
    [ix] V.A.Kolosov, op.cit., cit. in S.Vernole, art.cit.
    [x] Cfr. John Kleeves, op.cit., pag.314.
    [xi] A proposito del PNAC e del suo ruolo nella "guerra al terrorismo", cfr. Daniele Scalea, "Le interpretazioni della guerra in Iraq" (prossima pubblicazione).
    [xii] Figura simbolo della geopolitica inglese e teorizzatore del concetto di Heartland eurasiatico.
    [xiii] Cfr. Viatcheslav Dachitchev, "Risposta alla "lettera aperta" degli intellettuali occidentali contro Putin", pubblicata su National-Zeitung, nr.42, 8 Ottobre 2004; una parziale traduzione italiana è disponibile su http://www.eurasia-rivista.org/.
    [xiv] Equilibri.net, art.cit.
    [xv] Francesco Defferrari, "Ucraina: fra Europa e il proprio passato", 18 Maggio 2004 in http://www.equilibri.net/.
    [xvi] F. Manaresi, art.cit.
    [xvii] S. Vernole, art.cit.
    [xviii] Cfr. Equilibri.net, art.cit.
    [xix] Ibidem.
    [xx] John Laughland, "Who are the Fascists of Pora?", in The Spectator (rivista inglese conservatrice), 6 Novembre 2004.
    [xxi] Simone Malfatti, "Ucraina: tra blocco politico e ripresa economica", 24 Febbraio 2004 in http://www.equilibri.net/.
    [xxii] Sergio Romano, "La spina di Putin", nel "Corriere della Sera", 28 Novembre 2004.
    [xxiii] Cfr. F. Dafferrari, art.cit.
    [xxiv] In Crimea addirittura s'attesta sul 70%. Cfr. Mauro Gemma, "Il primo turno delle elezioni presidenziali in Ucraina", in Bollettino Aurora, numero 76 (Novembre 2004).
    [xxv] Già il 15 Settembre la Camera dei Rappresentanti statunitensi ha approvato "Atto sulla democrazia ucraina" che minaccia sanzioni nel caso d'irregolarità nel voto.
    [xxvi] Naturalmente, il consulente in questione è Hamid Karzai, e l'impresa la Unocal.
    [xxvii] Tom Bosco, "Urla nel silenzio", in http://www.nexusitalia.com/.
    [xxviii] Lettre d’information de l’Association de Solidarité transnationale "La Cause des Peuples", nr.9 (29 Novembre 2004).
    [xxix] Paolo Emiliani, "Dietro il tentato putsch di Kiev si muove l'assedio atlantico alla Russia", in Rinascita, 25 Novembre 2004.
    [xxx] Morgan Palmas, "Russia: nuovo asse con Pechino?", 3 Ottobre 2004 in http://www.equilibri.net/.
    [xxxi] S. Vernole, art.cit.
    [xxxii] "La partita in gioco nella valutazione dei comunisti ucraini", da Bollettino Aurora, nr.75 (Ottobre-Novembre 2004).

    fonte: http://www.eurasia-rivista.org/cogit...putMundi.shtml
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    ATTACCO ALLA SOVRANITA' UCRAINA



    UCRAINA: TRA EURASIA E OCCIDENTE

    "Sarà molto più difficile che [la Russia] accetti l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, in quanto ciò equivarrebbe a riconoscere che il suo destino non è più organicamente legato a Mosca (...) E se la Russia sarà disposta ad accettare questo nuovo stato di cose, ciò significherà che anch’essa sarà davvero propensa a divenire parte integrante dell’Europa, anziché scegliere una solitaria vocazione eurasiatica" (Zbigniew Brzezinski, "La grande scacchiera", Milano, 1998, p. 165)

    "La sovranità dell’Ucraina rappresenta per la geopolitica russa un fenomeno a tal punto pernicioso che, in linea di principio, può facilmente innescare un conflitto armato. L’Ucraina, come Stato autonomo e non privo di qualche ambizione territoriale, costituisce un enorme pericolo per tutta l’Eurasia. Sotto il profilo strategico l’Ucraina non deve essere che una proiezione di Mosca verso Sud e verso Occidente" (Aleksandr Dugin, citato in Vladimir A. Kolosov, "La collocazione geopolitica della Russia", Torino, 2001, p. 17)

    "I risultati delle elezioni non possono essere accettati come legittimi" ( Dichiarazione di Colin Powell, Segretario di Stato USA, riportate dall’ANSA il 24/11/2004)

    "Il presidente russo Vladimir Putin si congratula con il vincitore delle elezioni Victor Yanukovic" ( Notizia riportata dall’ANSA il 25/11/2004)

    Se qualcuno non capisse le reali motivazioni del tam tam mediatico di questi giorni sulle elezioni ucraine, dovrebbe forse correre a leggere il noto saggio di Zbigniew Brzezinski, "La grande scacchiera", dove l’ex consigliere per la sicurezza nazionale statunitense avverte dell’importanza della posta in gioco. Queste le sue considerazioni più interessanti: "L’Ucraina assumeva un’importanza decisiva. La crescente propensione degli Stati Uniti ad assegnare un’alta priorità ai rapporti con questo Paese e ad aiutarlo a difendere la sua nuova indipendenza veniva visto da molti a Mosca – filo-occidentali compresi – come una politica contraria all’interesse vitale della Russia a reintegrare col tempo l’Ucraina nel suo campo: un obiettivo che rimane ancora un articolo di fede per molti esponenti dell’élite politica russa (...) Tra il 2005 e il 2010, l’Ucraina, specie se avrà fatto progressi significativi sulla via delle riforme, assumendo sempre un carattere di Stato centroeuropeo, dovrebbe essere pronta ad avviare seri negoziati sia con l’U.E. sia con la NATO (...) L’indipendenza dell’Ucraina ha privato inoltre la Russia della sua posizione dominante sul Mar Nero, dove Odessa costituiva un avamposto strategico per gli scambi con il Mediterraneo e il più vasto mondo. La perdita dell’Ucraina ha avuto anche enormi conseguenze geopolitiche, poiché ha drasticamente limitato le opzioni geostrategiche della Russia. Anche senza i Paesi Baltici e la Polonia, una Russia che avesse conservato il controllo sull’Ucraina poteva ancora cercare di fungere da guida di un impero eurasiatico risoluto, dove Mosca avrebbe dominato i non slavi del Sud e nel Sud-Est dell’Ex Unione Sovietica" (Brzezinski, op. cit., pp. 117-127-141-142). Ubi maior minor cessat, si sarebbe detto in altri tempi, senonchè riteniamo doveroso svolgere alcune considerazioni su quello che sta succedendo in Ucraina, dove le elezioni presidenziali hanno visto la vittoria del candidato filo-russo Victor Yanukovic sul candidato filo-occidentale Victor Yushenko, affermazione subito contestata dall’opposizione spalleggiata da OCSE, NATO, Casa Bianca e mass media atlantisti. I sondaggi che subito dopo il voto attribuivano il successo a Yushenko e la repentina calata in piazza dei suoi sostenitori, fanno innanzitutto pensare a un complotto ben organizzato dagli apparati spionistici mondialisti, alfine di mettere in difficoltà il neoeletto Yanukovic e il suo padrino di Mosca, Vladimir Putin, vero obiettivo della manovra destabilizzante. Chiunque abbia la pazienza di ascoltare e leggere i commenti delle tv e della stampa occidentale sulla situazione ucraina non può che giungere a due conclusioni: 1) la vittoria è stata scippata a Yushenko grazie a brogli clamorosi e la stragrande maggioranza della popolazione lo appoggia nelle sue rivendicazioni; 2) l’obiettivo di Putin è quello di annettere antidemocraticamente l’Ucraina alla Russia al fine di ricreare una sorta di Impero zarista o Unione Sovietica. Se sul secondo punto le citazioni sopra riportate sono sufficientemente esplicative, sul primo è invece doverosa un’analisi di controinformazione, visto che le numerose manifestazioni di sostegno a Yanukovic sembrano essere state "oscurate" dai mass media nostrani. Appare prematuro ora fare previsioni sulla possibile evoluzione della crisi, fermo restando che l’eventuale degenerazione della disputa elettorale (soluzione militare, spaccatura del paese...) ricade tutta sulle spalle dell’Occidente, pronto ad appoggiare o a contestare i risultati delle urne esclusivamente in funzione del proprio interesse contingente (Algeria docet). Subito dopo l’indipendenza concessa da Mosca nei primi anni Novanta, la classe dirigente ucraina fece tutto il possibile per lasciarsi alle spalle gli stretti legami culturali, economici e religiosi che la legavano alla Russia, ma per vari motivi ottenne scarsi risultati. Iniziamo col ricordare che almeno ¼ della popolazione dell’Ucraina è russa o russofona, specie nelle regioni orientali di Doneck e Dnepetrovsk, che sono anche le più ricche e industrializzate, così come nei territori costieri sul Mar Nero (conquistati dall’Impero zarista nel XVIII secolo) vi è una predominanza linguistica russa. Secondo un censimento del 1989, i russi in Ucraina sono il 67,9% nella regione di Doneck, il 65,5% in quella di Lugan, il 50,1% in quella di Charkov, il 53,4% in quella di Zaporoz e il 67% tra gli abitanti della Crimea. Risultano perciò vani i tentativi governativi d’ imporre l’ucraino come lingua di Stato, di considerare nell’ambito della scuola media la letteratura russa come straniera e di sottolineare grazie all’uso dei mass media le peculiarità della cultura ucraina. I russi che abitano in Ucraina non si sentono una minoranza etnica e tantomeno sono percepiti come tali dagli stessi ucraini, se si fa eccezione per le regioni occidentali del paese. Sondaggi condotti nel 1999, dimostrano che il 61% degli abitanti dell’Ucraina hanno una percezione positiva della Russia, più di 1/3 di essi desidererebbe vivere con i russi in unico Stato e la maggioranza assoluta si dice favorevole a frontiere con Mosca del tutto trasparenti, vale a dire senza controlli doganali o richieste di visto ( Kolosov, op. cit., p. 324). La situazione più complicata è sicuramente quella dei russi di Crimea, che rifiutano ogni forma di ucrainizzazione e tendono piuttosto alla creazione di una loro forma di autonomia, sia per la passata politica di Kiev sia per le pretese avanzate dai tatari che rivendicano le loro terre di origine e vorrebbero trasformare la regione in un’entità statale poggiante sulla propria eredità culturale. Qui i russi hanno creato non solo propri organi di stampa quotidiani e periodici, ma anche partiti politici, perciò un’eventuale inasprimento della contrapposizione potrebbe creare conseguenze pericolose. Anche sotto il profilo religioso i risultati ottenuti dagli indipendentisti non sono così lusinghieri, malgrado lo sforzo congiunto della dirigenza ucraina e dell’uniatismo cattolico ( Per comprendere il ruolo dell’Uniatismo in Ucraina, bisogna ricordare che nel XVI secolo, nel quadro della Controriforma, la Chiesa cattolica – appoggiata dalle potenze dell’epoca come Austria e Polonia – tentò di sottrarre intere regioni all Ortodossia. Il meccanismo era molto semplice: in cambio di vantaggi materiali concessi dagli Stati cattolici, i fedeli dovevano riconoscere l’autorità di Roma, pur conservando la totalità delle loro tradizioni, dei loro costumi, riti e rituali, cfr. Francois Thual, "Geopolitica dell’Ortodossia", Milano, 1995, p. 95. Significativo in questo momento della crisi ucraina, l’arrivo a Kiev di Lech Walesa...). Già dal 1990, il Patriarcato di Mosca ha concesso alle proprie diocesi e parrocchie sul territorio ucraino lo status di chiesa autonoma, il che presuppone la piena sovranità nelle questioni riguardanti la vita interna e l’ambito amministrativo e finanziario. Tuttavia, dal momento stesso in cui l’Ucraina ha avuto la propria indipendenza statuale, una parte dei vescovi della Chiesa ortodossa ucraina – sostenuta dai politici locali – ha sollevato più volte il problema dell’autocefalia, cioè della piena autonomia canonica dal Patriarcato russo. Sono così sorte nel 1993 tre chiese ortodosse reciprocamente ostili: la Chiesa ortodossa ucraina (UPC-MP) sotto la giurisdizione di Mosca, che resta ancora alla fine degli anni novanta nettamente la maggiore organizzazione religiosa del paese con 7.986 parrocchie; la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Kiev (UPC-KP), alla quale appartengono 2.187 parrocchie e la Chiesa ortodossa ucraina autocefala (UAPC) che di parrocchie ne conta 1.026 ( Kolosov, op. cit., p. 201). Per ritornare invece a un quadro più strettamente geopolitico, occorre ricordare che se per la Russia la perdita dell’Ucraina era stata assai grave per ragioni strettamente economiche, Kiev dipendeva completamente da Mosca per le sue forniture di petrolio e gas naturale. Senza l’Ucraina, la Russia non solo perde le sue terre più fertili, ma anche i tradizionali sbocchi portuali di Odessa, Mariupol e Ilicevsk, nonché quelli della Crimea. Inizialmente il governo moscovita aveva perciò deciso di sviluppare un asse alternativo, Pietroburgo-Mosca-Voronez-Rostov-Novorrosijsk che, contribuendo al declino dei porti ucraini, aveva aumentato l’attrazione delle regione orientali e russofone dell’Ucraina verso di esso. Il compromesso, firmato nel 1997, prevedeva che la Russia affittasse per 20 anni le infrastrutture portuali all’Ucraina, in parziale pagamento dell’immenso debito energetico che Kiev stava accumulando verso Mosca, mentre la quasi totalità delle unità della flotta rimanevano in mano russa ( Aldo Ferrari in Autori Vari, "Il grande Medio Oriente", Milano, 2002, p. 74) : ricordiamo che nella rada di Sebastopoli la flotta sovietica aveva le sue basi migliori. Gradatamente i legami economici tra le due nazioni hanno ripreso a tornare forti. Dalle statistiche emerge che nel 1997 i paesi aderenti alla CSI hanno investito nell’economia russa 55,6 miliardi di rubli, di essi 26,2 sono dell’Ucraina (47,1% del volume complessivo) e malgrado una lieve discesa nel 1998 (6,2 miliardi pari al 23,4% degli investimenti totali operati dai paesi della CSI), ancora nel 1999 l’Ucraina riceve dalla Russia il 40% delle sue importazioni, mentre quest’ultima continua a sua volta ad essere il principale importatore della produzione di Kiev ( Kolosov, op. cit., p. 324). L’ultimo sgarbo arriva perciò nel 1999, quando l’Ucraina si segnala come il membro più attivo del GUUAM (Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Azerbajdzan e Moldavia), un blocco che intende fare da contrappeso geopolitico all’influenza della Russia nello spazio postsovietico. Ad esso segue la virata operata dallo stesso presidente ucraino Leonid Kuchma, che rilancia la cooperazione con Mosca in vari settori. Prima con la firma di un accordo per la riunificazione delle reti elettriche dei due paesi, poi garantendo l’acquisto da parte della Lukoil (la maggiore compagnia petrolifera russa) di quote della raffineria di Odessa (la Lukoil sta peraltro valutando anche la possibilità di acquistare la raffineria di Cherson, in Crimea, cfr. Aldo Ferrari, ibidem), infine con la sottoscrizione di un rilevante pacchetto di accordi intergovernativi fra i quali spicca un’intesa per il transito del gas per un periodo di 15 anni ( Fabrizio Vielmini, ibidem, p. 235). Si deve perciò concludere che gran parte delle suggestioni instillate dall’opinione pubblica mondialista in questi giorni non sono veritiere e a riprova segnaliamo l’atteggiamento prudente mantenuto dai vari capi di governo europei (Chirac e Schroeder in testa) sull’esito delle elezioni, a dispetto dell’arrogante aggressione condotta dagli sgherri atlantisti Barroso e Solana. La decisa opzione strategico-militare adottata proprio recentemente da Vladimir Putin (cfr. Giulietto Chiesa, "Torna la superpotenza russa e non è un bluff", www.lastampa.it, 24/11/2004. Il nuovo missile antiportaerei costruito dai russi, sarebbe stato venduto oltre che all’Iran anche alla Cina, cfr. Maurizio Blondet, su www.effedieffe.com) lascia ben sperare sulla possibile evoluzione della crisi ucraina, malgrado le forti pressioni diplomatiche statunitensi e la cecità dei burocrati di Bruxelles, autori di una politica europea evidentemente suicida nel suo supino adeguarsi alle logiche di Washington. Per Mosca, d’altronde, potrebbe essere l’ultimo treno utile, prima di essere definitivamente inghiottita dall’espansione occidentalista. (Stefano Vernole, www.eurasia-rivista.org)

    DIETRO IL TENTATO PUTSCH DI KIEV SI MUOVE L'ASSEDIO ATLANTICO ALLA RUSSIA

    Viktor Yanukovic è il nuovo legittimo presidente eletto dell’Ucraina. La Commissione elettorale centrale di Kiev ha formalizzato ieri la sua vittoria elettorale. Viktor Yushenko, il candidato presidenziale gradito a Washington dichiarato sconfitto al ballottaggio, però non si arrende. Forte dei suoi inquietanti appoggi atlantici, si è detto pronto a un nuovo voto se verrà rinnovata la commissione elettorale centrale che, secondo lui, avrebbe avallato i presunti brogli. Yushenko ha accusato apertamente il suo sfidante e il presidente uscente Kuchma di aver tentato un golpe e ha invitato la folla a manifestare pacificamente. L’organizzazione di Yushenko è certamente poderosa, forte del sostegno economico che gli proviene dalla grande finanza internazionale che vorrebbe mettere gli artigli sull’Ucraina. Da parte sua, il presidente uscente Leonid Kuchma ha escluso categoricamente che si farà ricorso alla forza per stroncare le manifestazioni che nel nome della "libertà" sono in realtà manovrate dall’Occidente. Questo atteggiamento è assai responsabile, perché Yushenko (e i suoi amici di oltre oceano) non aspettano altro per invocare qualche intervento internazionale. La vicenda, infatti, ricorda in modo preoccupante quanto avvenne solo poco tempo fa in Jugoslavia. Anche là ci fu un presidente democraticamente eletto, Slobodan Milosevic, anche là ci fu un’opposizione appoggiata dagli atlantici, anche là ci furono accuse di brogli elettorali e sappiamo tutti come la storia è terminata, aggressione Nato compresa. Certo l’Ucraina è molto più vicina alla Russia di quanto non lo fosse la Jugoslavia e, soprattutto, la Russia di oggi è quella di Vladimir Putin e per fortuna non più quella di Michail Gorbaciov o di Boris Yeltsin. Non crediamo che Mosca possa oggi accettare una colonia atlantica davanti all’uscio di casa. In ogni caso con il denaro oggi si compra ogni cosa, anche una folla di manifestanti. Così nelle strade e nelle piazze di Kiev ci sono stati più di 500.000 manifestanti filo-Yushenko e imponenti manifestazioni si registrano anche in altre città dell'Ucraina, tra cui Leopoli (120.000 partecipanti) e nella centro-orientale Kharcov (80.000). Martedì sera era stato circondato l'edificio che ospita gli uffici dell'amministrazione presidenziale, ieri la situazione è tornata meno tesa ma decine di migliaia di persone si sono radunate nei pressi della sede della commissione elettorale centrale, da dove dovrebbero essere resi noti i risultati ufficiali delle elezioni con la formalizzazione della vittoria del candidato nazionalista Viktor Yanukovic. In pratica Yushenko cerca di utilizzare la piazza per impedire che venga formalizzato il risultato delle urne: il vero golpista è lui. Il popolo ucraino, certamente preso alla sprovvista da questa organizzazione, certo preparata da tempo (e sappiamo dove) comincia però a reagire per scongiurare queste manovre antinazionali. I sostenitori di Yanukovic hanno messo in piedi un presidio nella capitale, non lontano dallo stadio, ed è anche imminente l’arrivo di migliaia di lavoratori e cittadini che si aggiungeranno ai minatori giunti da Donetsk. Yushenko, intanto, cercando di forzare la mano con un bluff, ha prestato illegittimamente giuramento come "nuovo presidente". L'autoproclamazione è avvenuta nella sede del Parlamento a Kiev. L’esponente filo atlantico può contare sull’appoggio dell’Organizzazione per la Coooperazione e la Sicurezza in Europa (Osce), che ha parlato di voto non conforme alla prassi democratica, e su quello dell'inviato del presidente americano George Bush, il senatore Richard Lugar, il quale ha addirittura esortato gli ucraini a prendere provvedimenti perché le autorità di Kiev pubblicassero i veri risultati delle presidenziali: arbitri non certamente neutrali. Il popolo ha però deciso e gli europei devono battersi affinché la sua scelta venga rispettata, impedendo che ancora una volta gli interessi Usa prevalgano fin dentro il cuore dell’Europa. Oggi è una giornata decisiva. La nuova Commissione Ue - che, assieme alla Nato ha già ricevuto ieri dall’ambasciatore ucraino il "niet" di Kiev ad interferenze illegittime, presieduta da Barroso si incontra con Vladimir Putin e la delegazione russa, per un vertice predisposto da tempo. E Mosca metterà in chiaro la sua indisponibilità ad avallare il tentato putsch di Yushenko. Il nuovo fronte dell’assedio atlantico alla Russia non è gradito dal Cremlino. (Paolo Emiliani, Rinascita, 25-11-2004)

    COSA SUCCEDE IN UCRAINA

    Per capire cosa succede in Ucraina, è necessario – e sufficiente – riaprire il saggio che Zbigniew Brzezinski (Zbigniew Brzezinski, già consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, membro influente del Council on Foreign Relations (CFR) e della Commissione Trilaterale, è il grande suggeritore strategico del neo-imperialismo Usa. Gli si devono operazioni come la consegna dell’Iran all’ayatollah Komeini e le mire americane sull’Afghanistan. Il titolo originale del saggio che citiamo qui è: "The Gran Chessboard") ha pubblicato nel 1997, con il titolo "Il grande scacchiere" e con un sottotitolo ancora più rivelatore: "L’egemonia americana e i suoi imperativi geostrategici". Eccone i passi rilevanti: "L'Ucraina, nuovo e importante spazio nello scacchiere eurasiatico, è un pilastro geopolitico perché la sua stessa esistenza come paese indipendente consente di trasformare la Russia. Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico. La Russia senza l’Ucraina può ancora battersi per la sua situazione imperiale, ma diverrà un impero sostanzialmente asiatico, probabilmente trascinato in conflitti usuranti con le nazioni dell’Asia centrale, che sarebbero sostenute dagli stati islamici loro amici nel sud. Ma se Mosca riconquista il controllo dell’Ucraina, coi suoi 52 milioni di abitanti e grandi risorse naturali, oltreché l’accesso al Mar Nero, la Russia automaticamente riconquisterà le condizioni che ne fanno un potente stato imperiale esteso fra Asia ed Europa. La Russia [...] si allontanerà sempre più dall’Europa. Gli Stati che meritano il più forte sostegno geopolitco americano sono l’Azerbaijan, l’Uzbekistan e (al di fuori di quest’area) l’Ucraina, in quanto tutti e tre sono pilastri geopolitici. Anzi è l’Ucraina lo stato essenziale, in quanto influirà sull’evoluzione futura della Russia". Più avanti, Brzezinski illustra in cosa consista l'"essenzialità" dell'Ucraina. Si tratta dell'accesso ai giacimenti petroliferi dell'Asia centrale. "Per l’Ucraina le questioni essenziali sono il futuro carattere del CIS (Comunità degli Stati Indipendenti, la federazione centrata sulla Russia) e il libero accesso alle fonti energetiche che ridurrebbero la sua dipendenza da Mosca. Di conseguenza, l’Ucraina ha sostenuto lo sforzo della Georgia per divenire la via dell’esportazione del greggio azero verso Occidente. L’Ucraina ha anche collaborato con la Turchia per indebolire l’influenza russa nel Mar Nero ed ha sostenuto il disegno turco di dirigere i flussi petroliferi dell’Asia centrale verso i terminali turchi. Né l’Occidente né la Russia possono permettersi di perdere l’Ucraina o il suo passaggio dalla parte dell’avversario geo-economico". Dunque l’Ucraina è il centro delle reti petrolifere che corrono nel corridoio eurasiatico: quella stessa area dove gli Usa hanno, con la scusa della "guerra al terrorismo", impiantato basi militari permanenti. Esiste persino una legge americana, varata nel 1999 e chiamata "Silk Road Strategy Act" (Legge strategica sulla via della seta) che invita esplicitamente le "nazioni del Caucaso meridionale e dell’Asia centrale" a "stabilire fra loro forti legami politici, economici e militari". E’ inteso che la Casa Bianca "sostiene" gli sforzi in questa direzione. Georgia, Uzbechistan, Azerbaijan, Moldavia e Ucraina hanno già costituito un’alleanza militare sotto l’ombrello della Nato, e finanziata militarmente dall’Occidente. Naturalmente, lo scopo dichiarato è di "estendere la democrazia" anche lì, identificata con l'"economia di mercato". Con adeguate "riforme" dettate dal Fondo Monetario, dal WTO e dalla Banca Mondiale. Questi Paesi, poverissimi ed esausti, sperano molto dalla loro cooptazione nel mercato occidentale. Ma ciò che conta per Washington al di là della retorica, è che quell’alleanza da loro voluta sta allo sbocco strategico del greggio e del gas del Caspio, e che l’Ucraina e la Moldavia sono percorse dagli oleodotti diretti ad Ovest. E’ evidente che lo scopo finale è tagliar fuori la Russia dai giacimenti del Caspio e di isolarla politicamente per sempre. La "profezia" di Brzezinski si rivela così, piuttosto, un piano che gli Usa perseguono con tutti i mezzi, anche i più discutibili. Nel 2003, una "insorgenza democratica" organizzata "spontaneamente" con i finanziamenti della George Soros Foundation (del finanziere ebreo Soros) ha strappato il potere in Georgia a Shevarnadze per consegnarlo ai "liberali" filo-americani. Altre fondazioni "private" americane, come il National Endowment for Democracy, l’International Republican Institute, e purtroppo i think tank tedeschi Konrad Adenauer Foundation (cristiano-democratico) e la Friedrich Ebert Foundation (socialista) stanno da mesi organizzando la minoranza cattolica ucraina, nazionalista e antirussa, facendo attiva propaganda fra la gioventù e mobilitando fondi al candidato filo-occidentale ucraino. Ovviamente anche la Open Society, una fondazione "culturale" di Soros, è della partita. Il fatto paradossale è che sia il "filo-russo" Yanukovich, sia il "filo-occidentale" Yuscenko sono burattini del presidente-dittatore ucraino Leonid Kuchma, vecchia volpe dei tempi sovietici (era un gestore del settore missilistico). In realtà, Kuchma ha fatto di tutto per farsi riconoscere da Washington come un docile subalterno. Ha nominato primi ministri approvati dalla Casa Bianca ed ha avviato le "privatizzazioni" richieste dal Fondo Monetario, che hanno provocato il crollo dei redditi medi ucraini a livelli africani. Ma quando a Mosca è andato al potere Putin e la Russia ha cominciato la sua ripresa, divenendo evidente il disastro economico ucraino, Kuchma ha licenziato il premier autore delle privatizzazioni, Victor Yushenko, mettendo al suo posto Victor Yanukovich. Costui, che proviene dall’area industriale dell’Ucraina orientale (dove si parla russo e dove la religione è quella ortodossa) non ha fatto che prendere atto della realtà: che le industrie ucraine sono ancora integrate nel vecchio sistema sovietico e perciò dipendono fortemente dalla Russia come sbocco e come fornitore energetico. Trattate le forniture di greggio russo a prezzi di favore e con nuovi investimenti russi, l’economia ucraina ha conosciuto una ripresa, con il primo aumento di salari e pensioni dopo il crollo dell’Urss. Ora, le elezioni. Brogli? Certamente, ma da entrambe le parti, con voti multipli di elettori che hanno usato falsi documenti d’identità, e pesanti interferenze straniere a favore dell'"americano" Yuscenko (Yuscenko è sposato con Kateryna Chumachenko, nata a Chicago nel 1945 e membro influente dell’Ukrainan Congress Commitee of America (la lobby ucraina a Washington) ed è stata funzionario del governo di Bush padre. Kateryna ha collaborato attivamente con Brzezinski). Il cosiddetto Occidente s’è dimostrato di più facile contentatura per le "libere elezioni" in Afghanistan (anche lì voti multipli) e per quelle, radicalmente falsificate dallo stato d’occupazione, che stanno per celebrarsi in Irak. Il gracidio mediatico a favore della "libertà" ucraina serve solo a far dimenticare il fattore essenziale, rivelato da Brzezinski: è in gioco la sottrazione alla Russia della sua area d’interesse tradizionale. Converrà sottolineare che in questa partita Mosca non gioca la parte dell’aggressore, ma dell’aggredito. E’ la Casa Bianca che aggredisce, con una fuga in avanti avventurista e, probabilmente, errata. Brzezinski suppone che nell’area si sia creato un vuoto di potere, che l’America può riempire con la sua presunta forza. Se questa valutazione è sbagliata, il rischio è spaventoso: sia Mosca, sia l’Ucraina sono ancora potenze nucleari. (Maurizio Blondet - www.effedieffe.it - 2.12.04)

    L'UCRAINA SULLA GRANDE SCACCHIERA

    Colpo di forza americano-occidentale a Kiev. Si attende il contrattacco dell’Eurasia. Per coloro che hanno vissuto in questi ultimi anni lo svolgersi degli avvenimenti in Serbia, l’attuale agitazione in Ucraina ha come un’aria di déjà vu. Come ieri a Belgrado, un’opposizione preparata e stimolata dall’Occidente denuncia un’ipotetica frode elettorale e moltiplica le manifestazioni nella capitale per fare pressione sulle istituzioni e tentare di vincere per mezzo della piazza quello che ha perso alle urne. Come non molto tempo fa in Serbia dopo le elezioni contestate, l’affare di Kiev sembra ben pilotato e premeditato per gettare in piazza le comparse e gli attori di una serie televisiva la cui sceneggiatura è stata scritta altrove. Con suoni, colori e telecamere ben piazzate, non è stato difficile radunare dei sostenitori, dare un’impressione di massa e focalizzare l’attenzione del mondo esterno. Quando la stampa anglosassone da il la, ecco immediatamente l’inizio di un’intensa campagna che denuncia i "brogli" e che presenta le stime degli istituti di sondaggio made in USA, i famosi "exit polls", come i veri risultati, e le cifre ufficiali come delle miserabili menzogne. Si nega subito ogni valore ai risultati definitivi della commissione elettorale. Il sotterfugio è stato utilizzato a Tbilisi un anno fa e a Belgrado a più riprese (tra cui nell'Ottobre 2000). Appena avviato il processo, ecco lo scatenamento, lo stupro delle masse eseguito per mezzo della propaganda mediatica, l’annuncio della "vittoria" del "candidato filo-occidentale" prima ancora della chiusura dei seggi elettorali. Il metodo è ovunque il medesimo, cambia solo il contesto. Tre settimane fa, si è tenuto nell’ex repubblica jugoslava di Macedonia (FYROM) un referendum legale voluto dall’opposizione su un elemento degli accordi di Ohrid, una riforma territoriale che favorisce gli Albanesi. Qui non si può nemmeno parlare di brogli, ma di un sabotaggio totale organizzato dal potere in carica su richiesta della "comunità internazionale". Il giorno del voto, il 20% dei seggi era chiuso, la parte albanese (come d’abitudine, quando il rapporto di forza le è sfavorevole) boicottava lo scrutinio, i media stavano muti e i cittadini erano anche stati minacciati che avrebbero perso il lavoro se vi avessero partecipato. Risultato: il 26% dei votanti e un colpo a vuoto. Questo scandalo elettorale si è accompagnato ad una grossolana manovra: tre giorni prima dello scrutinio Washington riconosceva la FYROM con il nome proibito di Macedonia. Si offendevano i Greci, ma si "salvava la democrazia" facendosi beffe dei famosi "standard mondiali", tanto sbandierati e pretesi altrove. L'Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza, l’OCSE, della quale non si dirà mai abbastanza che è un marchingegno americano, si sprecava in un comunicato secondo il quale lo scrutinio si era svolto normalmente. Quando è in gioco l’interesse americano-occidentale, si dimenticano le "norme democratiche" e gli "standard mondiali", come fossero tante frivolezze (Interesse della Macedonia: è sul suo territorio che deve passare l’oleodotto tra il Mar Nero e il Mare Adriatico secondo il progetto AMBO (Albanian Macedonian Bulgarian Oil Pipeline) che coinvolge grosse imprese americane tra cui Halliburton, lungo il Corridoio n°8. Questo progetto prevede anche altre infrastrutture (autostrade, fibre ottiche, moderni sistemi di telecomunicazioni). Grazie alla guerra d’aggressione contro la Serbia si è costruita in Kossovo la grande base militare di Camp Bondstel a due passi dalla Macedonia dove si addestrano con cura le fazioni. Si mantengono in vita dei poteri che non sono tali e dipendono totalmente dai piani e dall’umore dei "proconsoli". A cavallo tra diversi paesi ed entità, i capi dei clan albanesi sono particolarmente apprezzati e corteggiati per il loro ruolo di perturbatori. L'Europa di Bruxelles collabora ad occhi chiusi a questa mascherata). La guerra dell'informazione precede la guerra tout court In Ucraina, dunque, la grande vittima della frode alle presidenziali sarebbe stato il candidato dell’opposizione Viktor Yuscenko. Ex primo ministro ed ex governatore della banca centrale, egli viene presentato come un paladino della democrazia, un "western liberal" , un "western reformer", "well US educated". Un vantaggio: sua moglie, Katerina Shumashenko, di nazionalità statunitense, è stata funzionario al Dipartimento di Stato. Volto scabro e ruvido, in quanto si è tentato di avvelenarlo (Arafat non ha avuto diritto a questa diagnosi...). Di fronte a questo autentico signore, il volgare apparatcik di un’epoca passata, un certo Viktor Fjodorovic Yanukovic, ex affarista e delinquente del Donetsk russofono, "handpicked successor to Soviet-style president", è sul punto, se non s’impone la vigilanza cittadina, di rubargli la vittoria a vantaggio di Vladimir Putin, del nuovo KGB, degli spetsnaz e del Fronte Nero Rosso Verde. Questa insalata è rimasticata, ripetuta senza posa all’opinione internazionale dal secondo turno. Dove si percepisce ancora una volta che quel che conta non è la realtà dei fatti, ma la messa in scena hollywoodiana, la trasmissione istantanea delle immagini e la diffusione reticolare delle "news". A Kiev non ci si esime dall’utilizzare il vecchio trucco dell’accusa proiettata, che in questo caso consiste nel denunciare una volontà di dominio sull’Ucraina, mentre questo è esattamente l’obiettivo degli Stati Uniti e dei loro complici. La requisitoria atlantica vale tanti hamburger quanto pesa: "un exit poll effettuato con questionari anonimi all’interno di un programma finanziato da diversi governi occidentali ha detto che Yuscenko aveva ricevuto il 54 per cento del voto". Dopo tutto, altri hanno anche affermato che la terra era piatta. La velocità è un fattore capitale della "guerra dell’informazione" e, nella prima fase dell’aggressione, è l’elemento decisivo nella propagazione delle false notizie, nella (dis)informazione... L'importante è che l’intossicazione sia un bombardamento intensivo ai quattro angoli del pianeta. Testi, immagini e video sono velocizzati ad un tale ritmo per cui il nemico deve restare pietrificato, non deve più potere, né lui né i suoi eventuali sostegni, dire una sola parola. Con il massiccio flusso di informazioni ad hoc e il ritmo sfrenato della loro diffusione, si toglie la parola al nemico e gli si nega il diritto di vivere. Non si tratta più, dunque, di informare, ma di impressionare e soggiogare. I pappagalli e signorsì del "resto del mondo" riprendono l’antifona. E' così che gli Stati Uniti d’America si sono arrogati il monopolio di designare gli amici e i nemici. In questi ultimi anni si è assistito in Ucraina alla nascita di una sequela di thinks tanks, di siti internet, di istituti di sondaggio, di movimenti giovanili, di gruppi rock, di comitati di elettori, di sindacati indipendenti, di radio "libere" (oltre a Radio Free Europe) e anche di sétte, come quell'"open society" incaricata di preparare il terreno di un nuovo "nation building" e di una nuova (contro)rivoluzione dei velluti, delle rose, delle castagne... Appoggiandosi alla numerosa diaspora ucraina negli Stati Uniti e in Canada, sétte virulente si sono messe a proliferare, cercando di sminuire l’influenza della Chiesa ortodossa, a complemento del lavoro di scavo assegnato fin dall’inizio alla Chiesa Uniate. E' noto il ruolo svolto dalla Fondazione Soros (un nome che in ungherese significa mascalzone), onnipresente dai Balcani al Caucaso: fermamente avversato in Bielorussia, Soros ha visto recentemente chiudere in propri uffici in Russia. Questo "grande filantropo", che finanzia buona parte delle attività sovversive degli Stati Uniti tra Trieste e il Kamcatka, a fine Marzo era presente in Crimea per dare l’ultimo tocco all’operazione in corso (Soros ha le mani in pasta tramite il gruppo Bratstvo). E' noto anche il ruolo svolto dal clone dell’Otpor in Serbia, Pora, che da il la alle manifestazioni, dal National Endowment for Democracy-NED, dal Democratic Institute (NDI), dall’International Republican Institute (IRI), dalla Freedom House; ma sono attive anche altre associazioni meno conosciute, come il Committee to Expand NATO di Bruce, K. Jackson (CFR, PNAC e Comitato Chalabi...), Poland America Ukraine Cooperation Initiative (PAUCI). Quest’ultimo, un organismo che agisce tra la Polonia e l’Ucraina, è destinato a formare i quadri e distribuisce danaro nella prospettiva, enunciata da Zbigniew Brzezinski: bisogna fare della Polonia e dell’Ucraina "liberata" l'asse principale della New Europe incaricata di controbilanciare l’asse franco-tedesco, colpevole, al momento della guerra d’aggressione contro l’Iraq, di essersi messo insieme con la Russia. Il PAUCI è finanziato dalla United States Agency for International Development (USAID) ed è amministrato dalla "Freedom House", secondo quanto dichiara un suo l’opuscolo. "In relazione all’accusa di brogli elettorali, la Freedom House ha chiesto agli Stati Uniti e all’Europa di esercitare pressioni sul parlamento dell’Ucraina a difesa del processo necessario e del voto giusto". La Freedom House ha della bella gente nel suo staff; dalla Jugoslavia all’Ucraina passando per l’Iraq, si ritrovano sempre gli stessi individui: James Woolsey, Kenneth Adelman, Samuel Huntington, Jeane Kirkpatrick, Bill Richardson, Diana Villiers Negroponte, ecc. "Esercitare pressioni", come dicono le brave persone di questi "charitable trusts"... I colleghi di William Walker Per "accompagnare le elezioni" sono stati montati con l’appoggio della NED e del NDI di Madeleine Albright dei gruppi specifici di "social monitoring" come la Democratic Initiatives Foundation, l’Independant Domestic Committee of Voters of Ukraine (CVU) e lo European Network of Election Monitoring Organizations (ENEMO). La particolarità di questa ONG è che essa si compone di osservatori per lo più originari dei paesi recentemente raccolti nella crociata (anti)terroristica americana e radunati sotto lo striscione della "New Europe". Questi goumiers della democrazia, i 1000 osservatori dell’ENEMO, pretendono di aver sorvegliato 5000 seggi. In tutta questa agitazione, si ritrovano delle vecchie conoscenze, come il senatore dell’Indiana Richard Lugar, "republican head of the US Senate Foreign Relations Committee republican head of the US Senate Foreign Relations Committee", che ha già prestato servizio in Serbia prima e dopo l'Ottobre del 2000. L'individuo è talmente anti-serbo, che nel 2002 ha accusato Vojislav Kostunica, allora presidente della RFY, di essere "il continuatore di Slobodan Milosevic". C’è poi il suo collega, il senatore democratico del Delaware Joseph Biden jr., che ha dimostrato, anche lui, di nutrire un interesse tutto particolare per gli Slavi ortodossi. Citiamo infine l’ex commissario speciale di Clinton per i Balcani, Richard Holbrooke, del quale è noto l’accanimento nel sostenere i separatismi anti-serbi, e il clan Brzezinski, l’ideatore del piano globale di smantellamento e di colonizzazione armata dello spazio slavo ortodosso. (In questi tempi si sono potuti notare i punti segnati dalla Russia in America Latina, in Brasile e nel Venezuela di Chàvez (legami rafforzati specialmente nel campo delle forniture militari), come in Asia Centrale. In data 12 Novembre un teso pubblicato da Ariel Cohen sotto l’egida della Heritage Foundation, uno dei più importanti think tanks neocons, definisce la posta in gioco ucraina: "Dopo le elezioni presidenziali ucraine, il Kremlino probabilmente eserciterà una maggiore influenza politica in Ucraina. Gli USA hanno interesse strategico a conservare la sovranità dell’Ucraina e a mantenere in pista il processo democratico". Di conseguenza l’amministrazione Bush dovrebbe: · sostenere i gruppi ucraini impegnati per la democrazia, il libero mercato e all’integrazione euro-atlantica fornendo supporto diplomatico, finanziario e mediatico. · sostenere la sovranità e l’integrità territoriale di tutti gli Stati post-sovietici espandendo la cooperazione attraverso la Partnership for Peace della NATO, i legami militari bilaterali, gli scambi, i programmi train-and equip, e anche con un limitato spiegamento di truppe dove necessario. · espandere il dialogo diplomatico ad alto livello con Mosca sui problemi sotto contenzioso, come l'Ossezia del Sud e l’Abcasia e la presenza USA in Asia Centrale". Il colore arancione in voga questi giorni a Kiev non è il colore della libertà, ma quello dei prigionieri di Guantanamo e di Abu Ghraib). Ma esaminiamo il vero ruolo degli osservatori e di altri verificatori occidentali, in particolare di quegli Americani a cui si dovrebbe credere ad ogni costo, a ovest come ad est. E’ passata completamente sotto silenzio la presenza di altri osservatori, come quelli della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI): zoticoni dalla pessima vista o dotati di pessimi occhiali, perché non hanno osservato le stesse cose. Senza dubbio erano funzionari del "nuovo KGB". Il fatto è che l’acume visivo degli osservatori occidentali, in particolare degli Americani, è eccellente ed il loro valore morale è impareggiabile: l’abbiamo visto in Kossovo, in Irak e in Afghanistan. Si da il caso che una nostra amica, la francese Béatrice Lacoste, divenuta in seguito portavoce della MINUK (UNMIK), abbia fatto parte di quegli osservatori a un metro da William Walker, capo della missione di verifica dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OCSE) nel Kossovo giusto prima dei bombardamenti della NATO e che abbia potuto verificare sul campo l’acume visivo e la moralità di quegli osservatori. "Ero attorniata, ci ha detto di recente, da agenti dei servizi americani e britannici, il personale dell’OCSE ne era pieno". Quei particolari membri dell’OCSE informavano tanto i loro governi quanto i terroristi dell’UCK che ben conoscevano, perché certuni di loro li avevano reclutati e addestrati qualche tempo prima. Prima di filarsela a un fischio di Madeleine Albright, questi operatori mascherati dovevano lasciare all’UCK materiale di comunicazione satellitare del più moderno e ripartire gli incarichi degli obiettivi per gli imminenti bombardamenti. Non è allora da stupirsi che, fin dal primo impatto (per riprendere questa espressione inadeguata), l'Esercito Nazionale Jugoslavo (JNA) abbia scoperto e liquidato proprio alcune dozzine di questi agenti americani e britannici rimasti sul posto e i loro rinforzi venuti dall’Albania. Vestendo uniforme delle forze speciali, costoro erano incaricati di inquadrare l'UCK in previsione dell’attacco di terra e di fare svolgere a quest’ultima lo stesso ruolo dei Curdi o dei mercenari di Chalabi o Allawi in Iraq. Béatrice Lacoste ha vissuto da vicino la montatura di Racak e conferma con il medico legale finlandese Hélène Ranta, con cui ha lungamente conversato, quello che un certo numero di persone, tra cui l’ambasciatore di Francia a Belgrado Keller, sapeva e ha diplomaticamente taciuto: Racak è stata la macabra montatura di un ex agente USA in Salvador e in Nicaragua, promosso generale della Scuola delle Americhe, la SOA fabbrica di assassini. Racak è stato il coronamento mediatico necessario utilizzato per giustificare, presso un’opinione pubblica mondiale ingannata, la sanguinosa barbarie della NATO a partire dal 24 Marzo 1999. Come Markale in Bosnia o le "armi di distruzione di massa" in Iraq, l’ipermediatizzato "massacro di Racak" è stato una costruzione da parte individui che hanno agito sotto la copertura degli ispettori dell’OCSE. Queste montature continueranno finché proseguirà il Drang nach Osten dell’imperialismo americano-occidentale. Stando così le cose, oggi non c’è alcuna ragione di credere sulla parola a questi signori osservatori dell’OCSE, dell’ENEMO o di un qualunque comitato ad usum Delphini, in seno ai quali si sono accomodati i colleghi di William Walker in Ucraina. Basta consultare una cartina per cogliere l’importanza dell’Ucraina nella grande battaglia in corso per una Russia che ha perduto il suo versante marittimo occidentale dei Paesi Baltici e si trova minacciata dallo zelo atlantista di ex satelliti dell’Unione Sovietica divenuti rabbiosi satelliti degli Americani, come la Polonia, la Romania e la Bulgaria, nonché dall’eventuale ingresso nella NATO, sul fianco sud, di un’Ucraina occidentalizzata. La Grande Europa è coinvolta Coloro che, Stati Uniti in testa, violano senza vergogna la sovranità e l’indipendenza degli Stati, agitano gli abituali temi della democrazia e dei diritti dell’uomo; ma si sa benissimo che dietro queste parole si nascondono interessi e obiettivi che non hanno niente a che vedere con i discorsi che si sentono: le operazioni ucraine hanno in vista la presa di controllo di una regione perno, assolutamente necessaria per la conquista dell’Eurasia e la distruzione della Russia. Stiamo dunque per assistere, quali che siano i tentativi di conciliazione, le missioni di buon ufficio degli uni e degli altri – aver fatto venire i Walesa e i Kwasniewski è stato di pessimo gusto – e la politica di facciata, ad una sorda battaglia che maschera per gli spettatori la reale natura del braccio di ferro. Quando la facciata crollerà, sarà assai probabile che si vedranno scintillare le lame dei coltelli. Si può sin d’ora già avanzare come ipotesi plausibile la creazione a Est e a Sud di una Ucraina libera e indipendente, se i dissidenti occidentalisti persistono nella loro iniziativa separatista e bellicista. L'Ucraina occidentale perderebbe allora il suo versante marittimo sul Mar Nero, mentre la Crimea e la via degli oleodotti tra l’Est e l’Ovest cadrebbero sotto il controllo "filo-russo". (...) L'affaire jugoslavo è stato forse un antipasto, in rapporto a ciò che si sta preparando. Fra la Transnistria e il Caucaso cova il fuoco, con effetti che rischiano di manifestarsi ben al di là di questa regione. Tutta l’Europa, la Grande Europa, è coinvolta. Tutta l'Europa rischia di essere trascinata nel turbine di una guerra che potrebbe essere di ampiezza assai maggiore della guerra jugoslava. E' evidente che l'Europa di cui parliamo non ha molto a vedere con quella degli onorevoli di Bruxelles, questa pseudo-Europa il cui attuale rappresentante, il portoghese José Manuel Barroso, ex maoista riciclato nella NATO (sulla linea di Solana e di Fischer), non è nient’altro che il portavoce degli interessi statunitensi. Al seguito di Glucksman, Bruckner e Cohn Bendit, i goyim teleguidati da Washington incriminano e insultano Putin per la legittima difesa della Cecenia contro il terrorismo wahhabita sul suo limes, ma si guardano bene dal condannare i crimini di guerra dell’invasore angloamericano in Iraq. Quando evocano l'Europa, i circoli eurasiatisti pensano evidentemente a tutt’altra cosa che non a questa moscia zona di libero scambio senza volontà politica né capacità di decisione, a questa "integrazione euro-atlantica" che equivale alla nostra disintegrazione continentale. In questa prospettiva, il ruolo assegnato all’Ucraina attualmente sotto attacco consisterebbe nel consentire la giunzione delle colonie americane della "New Europe" con il Caucaso e l'Asia Centrale ed impedire l’unità politica europea, mediante la frammentazione organizzata dell'Eurasia e lo spezzettamento della Russia (come della Jugoslavia). Da Vladivostok a Dublino e fino a Montréal e Caraquet-l'Acadie di Philippe Rossillon (nel quadro dell’estensione del campo di lotta e della balcanizzazione dell’America del Nord), oggi il partito europeo, che comprende evidentemente la Russia, possiede un vantaggio: conosce i metodi del nemico. Esso deve essere dunque in grado di contrastarlo sul suo stesso terreno e di impegnare i mezzi materiali e umani necessari al contrattacco. Gli Americani hanno denaro, piani e mezzi tecnici importanti, ma il loro tallone d’Achille è sempre il fattore umano. Basandosi su personale avido e corrotto, di qualità scadente, che sviluppa cattive relazioni con le popolazioni, a cui vogliono imporre i loro difetti mascherati da virtù, essi si vedono ben presto rifiutati dovunque si installino e sono costretti a cambiare in permanenza le loro pedine. Non basta prodigarsi in sedute di formazione e fare del "monitoring elettorale". Ancora, dovrebbero poter reclutare un personale affidabile, con convinzioni profonde e non con interessi sordidi o semplicemente superficiali. Un po' dappertutto, una grossa parte del denaro distribuito per la "difesa della democrazia" si perde nelle tasche dei collaborazionisti. Il metodo operativo delle forze d'aggressione è noto e le loro reti sono in archivio. Oggi la posta in gioco ucraina è all’altezza delle urla lanciate, in nome della democrazia, dal clero della Nuova Cartagine. E' di importanza vitale il contrattacco dell’Eurasia. (Yves Bataille, da http://www.eurasia-rivista.org)
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 

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