Un'antologia della letteratura curata da Michela Grosso

Il Piemonte, terra di scrittori e di poeti

Un panorama completo dalle antiche origini celto-liguri all'epoca moderna, passando per gli autori medievali e la grande stagione del Settecento: un'opera importante per tramandare un patrimonio culturale ricchissimo



Nel luglio 2004 è nata un’antologia di letteratura piemontese dal titolo “Alla ricerca delle nostre radici”, opera di Michela Grosso, appassionata studiosa, ricercatrice, autrice di parecchi libri di poesia, prosa, grammatica e insegnante dell’idioma piemontese, che ha profuso impegno ed intelligenza nel mantenere viva e diffondere la nostra lingua, e con essa la nostra cultura e le nostre tradizioni.

E’ doveroso ringraziare la professoressa Michela Grosso e tutti coloro che si sono dedicati allo studio e alla difesa e alla divulgazione della lingua piemontese, che dopo secoli di utilizzo in tutti i ceti sociali, in uso ecclesiastico, civile, in giurisprudenza, in politica, oltre che come produzione letteraria in poesia, prosa e teatro, per imposizione centralistica (1861), è stata sostituita con “il toscano” definito lingua ufficiale.

Infatti, a partire dall’unificazione della penisola. i vari governi che si sono succeduti, per esigenze amministrative e di comunicazione, hanno imposto una parlata comune, e hanno agito in modo che le lingue locali venissero ghettizzate e perdessero ogni possibilità di assumere in patria qualsiasi uso ufficiale e apparissero solo come dialetti, con conseguente svilimento del sentimento d’identità delle varie popolazioni. Effettivamente, è più facile governare le “masse” piuttosto che popoli con una forte identità.

Anche la letteratura, ha sempre lasciato poco spazio alla lingua locale privilegiando quella ufficiale e anche in epoche caratterizzate da visioni storiche e politiche tanto diverse fra le regioni, ha “ricercato” soprattutto elementi di omogeneità.

Tale concezione unitaria non concorda però, con una realtà storica fatta di particolarità culturali, di convenienze, di tradizioni regionali ben vive e radicate, ma è stata una cultura imposta e non sempre riconosciuta come propria dagli intellettuali e tanto meno dalle popolazioni.

In Piemonte, ci sono volute ripetute immigrazioni per far perdere quasi del tutto l’uso della parlata locale nelle città, che invece permane ancora in centri più piccoli.

E’ auspicabile che le nostre lingue naturali ricuperino il loro spazio in contrapposizione ad una visione centralistica, dove le letterature dei vari idiomi regionali sono state sempre considerate come momento minore “dialettale”, negando a tradizioni spesso secolari la capacità di essersi evolute in maniera autonoma e originale.

E’ vero che nessuna letteratura regionale può essere considerata completamente estranea al contesto della letteratura italiana, ma è anche vero che le lingue locali sono interpreti privilegiate di realtà peculiari particolari che meglio evidenziano l’evoluzione, lo spirito, le caratteristiche radicate da secoli.

La letteratura in lingua naturale, consente inoltre di ritrovare la saggezza, l’arguzia, il buon senso, e aiuta a conoscere meglio i problemi, le ansie, gli ideali e le speranze, e di comprendere la profonda espressione dell’anima di un popolo. Grazie all’aggregazione di appassionati cultori e ricercatori, che hanno dato vita adincontri culturali ed associazioni, si assiste ora ad un rinnovato interesse per le cose ed i libri piemontesi e si torna ad essere fieri, delle nostre radici e della nostra lingua.

Umberto Bossi, infaticabile nell’incoraggiarci a rivalutare le nostre radici ed a riscoprire l’orgoglio del nostro passato, ci sprona a rifuggire dalla massificazione, e a ricuperare il messaggio spirituale che proviene dalla cultura di ogni popolo, per farne strumento di libertà. Il Consiglio d’Europa fin dal 1981 ha riconosciuto il piemontese, come una delle trentacinque lingue minoritarie europee, e l’UNESCO lo ha riconosciuto tra le lingue meritevoli di tutela. Pur troppo il parlamento italiano nel ratificare la deliberazione europea, ha completamente ignorato l’esistenza del piemontese.

Il Consiglio Regionale del Piemonte, con leggi 26/1990, del 3/7/1997, e con l’o.d.g. 1118 del 15 dicembre 1999, ha assunto l’impegno di valorizzare e tutelare il patrimonio linguistico e culturale, e sostenere la lingua piemontese in modo che possa essere insegnata nelle scuole.

Dall’anno 2000, il piemontese viene insegnato facoltativamente nelle scuole di ogni ordine e grado. dalle materne alle superiori, i corsi sono seguiti dai ragazzi con partecipazione ed entusiasmo e con viva soddisfazione delle loro famiglie. E’ in questo contesto di rinato interesse perla lingua e la letteratura piemontese. che nasce l’antologia della professoressa Michela Grosso, “Alla ricerca delle nostre radici”, e costituisce un prezioso strumento didattico per un “Incontro attraverso i secoli con i principali autori della letteratura piemontese” per riscoprire, “l’esistenza dei tesori racchiusi nella sua produzione letteraria”.

L’opera inizia con una breve premessa grafico-fonetica, brevi cenni storici precedono i periodi lette rari e consentono di comprendere a grandi linee l’atmosfera dei vari secoli e il cammino spirituale per corso nel tempo. Delle opere più antiche sono indicate le biblioteche dove esse sono conservate. Sono descritte le origini della lingua piemontese a partire dall’idioma celto-ligure, a cui si è sovrapposto il latino parlato dai legionari oltre 2000 anni fa, a cui ancora si sono aggiunti vocaboli introdotti dai soldati europei che nella nostra terra hanno combattuto.

Nell’intera Europa romanizzata, già dal V e VI secolo d.C. hanno origine le lingue “volgari”, in cui la lingua celto-ligure-latina viene sempre più modificata dal sovrapporsi dell’idioma delle popolazioni locali e, in considerazione che la parlata comune ormai non era più il latino, il Concilio di Tours, nell’813, stabilisce che prediche e sermoni, dovranno essere tenuti in lingua volgare o romanza.

Una delle prime parlate europee che diventa lingua letteraria è quella dell’Ile de France (Langue d’oil) e il primo documento letterario europeo composto in questa lingua è la Chanson de Roland. La letteratura piemontese deriva dalle letterature romanze o neo-latine (ramo occidentale) a differenza dell’italiano che è nato dal ramo orientale e la lingua piemontese non può, in alcun modo, essere considerata un dialetto dell’italiano.

Come lingua scritta, il piemontese è svito usato fin dal dodicesimo secolo, tempo in cui risalgono i “Sermoni Subalpini”, attribuiti ad un monaco del convento di San Solutore in Torino. In questo prezioso documento, si evidenzia che l’autore ha profonda conoscenza delle sacre scritture, che spiega in piemontese e in forma semplice affinché possano essere recepite dai fedeli.

Dell’epoca dei Comuni (1300) una preziosa documentazione ci viene fornita dagli “Statuti dell’Ospizio della Società di San Giorgio di Chieri” (1321) sanciti per regolare i rapporti fra gli appartenenti alla Società di San Giorgio (che rappresentava il partito popolare con sede nell’Ospizio di San Giorgio) e la società dei nobili.

Nel Medioevo erano molto importanti le Confraternite finalizzate all’elevazione spirituale. Le “Laudi Sacre” piemontesi, si differenziano da quelle della penisola in quanto non ispirano timore del castigo divino, ma suscitano speranza e fiducia in Dio.

Nel 1410 nasce la prima poesia epica in lingua Piemontese, è la “Canzone per la presa di Pancalieri”, accurata cronaca di una vittoria sabauda con annessione ai Savoia, del castello di Pancalieri. In questa poesia, si trova la prima documentazione scritta col nome della nostra terra “Peamont” che fino a quel momento era stato citato in latino “Pedemontis”. Fra gli antichi documenti piemontesi, uno scorcio di vita civile e religiosa, ci viene offerto da “La sentenza di Rivalta” (1446) che tratta dello scioglimento di una promessa di matrimonio (per l’importanza che veniva attribuita alla promessa di matrimonio), il suo scioglimento sia in campo civile che religioso, era di competenza dell’autorità ecclesiastica, e in questo caso, dall’Abate di Rivalta. Questo documento mostra inoltre l’uso della lingua piemontese anche in campo ecclesiastico-civile.

La lingua e la letteratura piemontese, seguono l’alterno destino civile e politico del Piemonte che nei primi cinquant’anni del secolo XVI è sottoposto alle invasioni degli eserciti francesi e spagnoli, e dopo la pace di Chateau Cambresis (1559), Emanuele Filiberto dopo aver riorganizzato i possedimenti sabaudi sposta la capitale da Chambery a Torino.

In questo secolo, la produzione letteraria è scarsa ed emerge Gian Giacomo Alione, notaio e giurista, con le sue novelle, in stile boccaccesco, che essendo scritte in lingua parlata, evidenziano la trasformazione della lingua naturale che lentamente si modifica per giungere poi al piemontese moderno.

Nel secolo XVII, nascono i “Toni”, composizioni popolari satiriche musicali, di autore anonimo, che descrivono l’ambiente e la vita di Torino. L’autore più importante di questo periodo è Giovanni Battista Tana, marchese d’Entraque, con la sua commedia musicale “El cont Piolet” assimilabile alle commedie goldoniane per la grazia e l’arguzia dei personaggi, opera analizzata dai linguisti per regolarizzare la grafia e la grammatica piemontese.

Un altro notevole autore è il frate Ignazio Isler, Provinciale dei Padri Trinitari Calzati, parroco della Crocetta, compositore di piacevolissime canzoni che si cantano ancora oggi, in cui il popolo è il vero protagonista.

Nel secolo XVIII il Piemonte si afferma come Stato fra le grandi nazioni europee, e parallelamente al clima sociale e politico, nasce una ricca produzione letteraria. Nel 1783, viene pubblicata la prima “Grammatica piemontese” che normalizza la grafia e codifica la morfologia della lingua piemontese.

Negli ultimi anni del secolo XVIII ed i primi anni del XIX secolo, Edoardo Ignazio Calvo, medico, compone poesia e prosa civile e rivoluzionaria, di cui fanno parte le notevoli “Favole Morali”; mentre verso la metà del secolo XIX, la produzione letteraria con Brofferlo e altri - purtroppo - si adegua al mutato clima politico e la poesia può essere chiamata “risorgimentale” (es. La vos d’italia). Originano ancora altre due correnti: una in cui il il piemontese viene provincializzato e nasce la poesia “birichinoira”, un’altra ad opera di raffinatissimi autori assimilabili ai poeti d’Oltralpe: Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, Baudelaire.

Il teatro piemontese, nel secolo XIX, è ricco di validi autori che esprimono il pensiero e l’anima del Piemonte fra cui: Vittorio Bersezio, Luigi Pietracqua, Eraldo Baretti.

Nel secolo XX, in risposta alla intensificata “promozione del toscano” si riscontra invece un notevole aumento di validissimi scrittori piemontesi fra cui Nino Costa, Pinin Pacot, Tavo Burat, Camillo Brero, Antonio Bodrero “Barba Toni” per citarne solo alcuni, ma gli autori sono molti con una ricca e pregevole produzione lettera ria.

Leggere queste opere, suscita un gran desiderio che non vengano dimenticate, perché se ne andrebbe un pezzetto di noi. Ciò che ci fa sperare, e che qualche anno fa sembrava un sogno, pare ora essere più realizzabile: il Federalismo. Tuttavia occorre vigilare costantemente per ché le nostre lingue, culture, tradizioni siano difese e valorizzate; che lo Statuto del Piemonte in fase di elaborazione sia strumento di vera libertà e che le regioni facciano a gara per promuovere la sovranità delle famiglie. Si chiede inoltre che venga chiaramente espresso l’impegno di difendere con il patrimonio culturale piemontese, la sua lingua storica. Al nostro caro Piemonte desideriamo fare un augurio:

che lo Statuto tenga conto delle profonde aspirazioni di coloro che per questa terra hanno lavorato e lottato e sofferto e che sono pronti ancora a dare il meglio di loro stessi; non per possederlo gelosamente ma perché continui a vivere e a trasmettere i valori e la preziosa eredità lasciata dalle generazioni che ci hanno preceduti.



http://www.padania.to.it/Freelance/Taziana_Gallo.htm