Chi le spande? Ma il Parlamento europeo!
Motivo: l’affaire Rocco Buttiglione, che torna alla superficie della coscienza offuscata degli eurodeputati con qualche deplorevole ritardo.
Quella augusta istituzione democratica si è accorta che vi è stato – diciamo così –qualche dérapage ( traduzione: accanimento selettivo), nelle audizioni dei commissari.
Inconsapevole a quanto pare delle regole più elementari del bon ton parlamentare quando avrebbe dovuto applicarle, ora Strasburgo vuole correre ora ai ripari.
Il britannico Andrew Duff, incaricato di un rapporto ufficiale, auspica “maggiore equità nel trattamento dei candidati, un dialogo più consistente tra Commissione e Parlamento, e giudizi più chiari”. Si sono accorti, gli eurodeputati, che le audizioni, per mancanza di regole definite, non sono state condotte tutte nello stesso modo. Ce n’eravamo accorti per la verità anche noi provinciali, ed è un peccato che il soprassalto di scrupoli sia avvenuto per le proteste veementi dei francesi circa il trattamento riservato a Jacques Barrot più che per la gratuita crocifissione di Buttiglione.
Mr. Duff non va con la mano leggera nel criticare i presidenti delle commissioni i quali, in modo del tutto erratico, hanno lasciato correre qui confronti “superficiali” (sic), là discussioni più approfondite.
Non solo. Deplora che le questioni di politica nazionale abbiano dominato le audizioni, magari su istigazione dei deputati del paese di provenienza del commissario, allorché la posta in gioco era ben altra, ossia, ragionevolmente, la valutazione della idoneità dei candidati all’espletamento di un mandato ad hoc. Un mandato che, volutamente, prescinde dalla sensibilità e le identità “regionali”, nonché dai diversi approcci “etici”, dei quali, ammette il relatore Duff, bisogna prendere serenamente atto senza farne pretesti per crociate, onde evitare “messaggi ambigui”.
Meglio tardi che mai! Nel caso di Buttiglione, appunto, Duff ammette che singolarmente due commissioni hanno espresso pareri diversi e contraddittori. Ergo, correre ai ripari per evitare che in futuro, un Parlamento desideroso di affermare il suo ruolo di interlocutore e contrappeso della Commissione diventi la cassa di risonanza di regolamenti di conti domestici o, peggio, la cartina di tornasole di un popolo europeo diviso al suo interno da una ancestrale incomunicabilità.
Come rimediare? Accentrare le audizioni in una commissione unica, formata per metà di membri permanenti, rappresentativi dei gruppi politici, e per metà espressione delle commissioni permanenti specializzate.
Inoltre la gestione dei dibattiti dovrà essere scandita da tempi meno rigidi, onde consentire ai candidati di spiegarsi meglio, quando necessario. Ma ciò che conta di più sono i parametri indicati per la valutazione dei commissari, cinque per l’esattezza:
competenza generale, impegno europeista, indipendenza finanziaria e politica (?), conoscenza dei dossier che i commissari dovranno affrontare, talento comunicativo (?).
Lasciamo stare qualche ingenuità, o meglio ipocrisia tutta britannica, ma la sostanza non è disprezzabile nella misura in cui il tiro al piccione, praticato a spese di Buttiglione, è nella sostanza messo al bando per il futuro.
Trasparenza, probità, integrità: forse che il nostro candidato avrebbe fallito alla prova di questi test? Probabilmente no, visto che – ammette Mr. Duff – se questi criteri di buon senso fossero stati adottati prima dell’autodafé laico-giacobino cui abbiamo dovuto assistere, alcuni candidati commissari sarebbero stati sommersi, mentre altri sarebbero stati salvati.
Rassegniamoci, l’Europa si fa anche così, a piccoli passi, metabolizzando errori grossolani, e lasciando sulla strada qualche ferito innocente.
Ma almeno – per aspera ad astra – questo atto di contrizione servirà forse a spianare la strada a un’identità europea che non è nata nel 1789, che non sguazza nel relativismo etico, che è fatta di decisioni coraggiose libere da pregiudizi.
Stefano Mannoni su Il Foglio
saluti