Il Messaggero - Domenica 12 Dicembre 2004
I GULAG? PER IL TIRANNO ERANO UN GRANDE AFFARE
di MARIA FERRETTI
Mosca
SONO sei imponenti volumi, rilegati in rosso scuro, circa 700 pagine l’uno: è la monumentale Storia del Gulag staliniano , in arrivo in questi giorni nelle librerie russe. L’opera, patrocinata dall’Archivio di Stato della Federazione russa (Garf) e dall’Istituto Hoover per la guerra, la rivoluzione e la pace (Usa), è il risultato di anni di ricerche di un’équipe di studiosi e archivisti, in maggioranza russi, e rappresenta uno strumento essenziale per poter infine ricostituire la storia dell’universo concentrazionario sovietico in tutti i suoi aspetti. Per la prima volta, infatti, sono sistematicamente raccolti e presentati i documenti più importanti che regolarono la vita del Gulag, dal momento della sua fondazione, nel 1929 - anno in cui Stalin, sconfitte tutte le opposizioni, divenne il dittatore assoluto del Paese dei soviet – fino alla metà degli anni Cinquanta, quando, dopo la morte del tiranno (1953), il sistema concentrazionario staliniano venne sostanzialmente smantellato.
I documenti inediti
delle violenze
I documenti, quasi tutti inediti, permettono di dare una risposta a domande vivacemente discusse fra gli studiosi - sull’importanza economica del Gulag, per esempio - e chiarire molti punti finora oscuri, come l’organizzazione della vita interna dei campi.
Il primo volume, curato dallo storico francese Nicolas Werth e dal direttore dell’Archivio di Stato, Sergej Mironenko, ricostruisce la storia delle repressioni staliniane, mettendone in rilievo le diverse ondate. La prima, di grande violenza, venne scatenata con la collettivizzazione forzata delle campagne iniziata nel 1929: per spezzare la disperata resistenza dei contadini, costretti a abbandonare i loro miseri averi per entrare nelle fattorie collettive, i kolchozy e i sovchozy, fu messa in atto, all’inizio del 1930, la “dekulakizzazione”, che portò all’arresto e alla deportazione di milioni di contadini, spediti a colonizzare le terre deserte e inospitali della Siberia o nel Gulag. Proprio i contadini, colpiti da tutta una serie di leggi repressive - come quella per la difesa della proprietà socialista, nel 1932, che puniva con 10 anni di lager le madri che rubavano un pugno di grano per nutrire i figli affamati – costituivano in effetti nel 1935 quasi il 90 per cento dei prigionieri.
La seconda ondata fu il “Grande Terrore” del 1937-1938. La scure delle repressioni si abbatté allora sulle opposizioni politiche, vere o presunte. Fu allora che venne annientata la vecchia guardia bolscevica. Fu allora che furono sterminati in massa i quadri dell’Armata Rossa, dai generali ai semplici comandanti. Fu allora che vennero fatti fuori i dirigenti del partito e dello Stato di tutti i livelli, sospettati di non essere del tutto fedeli a Stalin. La violenza repressiva, dopo una breve pausa per la guerra, si scatenò di nuovo già nel 1944, quando tutta una serie di popoli (fra cui i ceceni), sospettati di aver collaborato col nemico, furono deportati in massa, e proseguì per ondate successive nel dopoguerra.
Finirono allora nel Gulag i prigionieri di guerra rimpatriati, gli ex partigiani, tutti i “sospetti” di nutrire simpatie nazionaliste dei territori annessi (baltici, polacchi, ucraini...) e naturalmente tutti gli “asociali”, una categoria che si era venuta estendendo fin dagli anni Trenta per punire i comportamenti bollati come devianti, come arrivare in ritardo a lavoro, per esempio. Proprio agli inizi degli anni Cinquanta, il Gulag toccò la sua massima estensione, con quasi due milioni e mezzo di anime.
La selezione
dei carcerieri
Il secondo volume, curato da Nikita Petrov, di Memorial, è dedicato invece a ricostruire la formazione e l’evoluzione del Gulag, mettendo in luce il complesso intrecciarsi delle funzioni punitive ed economiche. Interessantissimi i documenti sul personale del Gulag, sui carcerieri dell’universo concentrazionario, con i criteri di selezione stabiliti dal ministero degli interni (Nkvd) e con i programmi delle scuole per prepararli al loro futuro mestiere. Quel che emerge sono le continuità, ma anche le discontinuità, del Gulag rispetto al sistema repressivo messo in piedi da Lenin dopo la rivoluzione. La politica di rieducazione verrà abbandonata nel 1929, quando, con la svolta verso l’industrializzazione, si darà invece la priorità alla possibilità di utilizzare il lavoro forzato dei detenuti per la costruzione economica del socialismo: e da qui nascerà il Gulag.
Proprio a questo aspetto del Gulag, alla sua funzione nell’industrializzazione staliniana, è dedicato il terzo volume, certamente uno dei migliori e più originali. L’autore è Oleg Chlevnjuk, forse il più brillante della nuova generazione di storici russi che si occupano dell’Urss. Fin dall’atto della sua fondazione, al Gulag erano stati infatti affidati compiti economici di primaria importanza: colonizzare le regioni più lontane e desolate del Paese, spopolate ma ricche di preziose materie prime – dal legname all’oro, dal nichel ai diamanti - al fine di poter sfruttare, grazie al lavoro gratuito dei detenuti, le ricchezze naturali del Paese. Il lavoro forzato offriva molti vantaggi, ma aveva però un grave difetto: la produttività del lavoro schiavistico era ineluttabilmente bassa. Proprio questa sarà del resto una delle ragioni che porteranno ad abbandonare il sistema.
Il quarto volume è dedicato alla vita quotidiana del Gulag. Qui sono accolti i documenti più importanti che consentono di ricostruire il numero delle vittime – calcolo assai complesso, nonostante lo zelo con cui responsabili di ogni grado inviavano a Mosca i loro rapporti, se non altro perché, per ricevere maggiori finanziamenti statali, i comandanti dei campi avevano interesse a gonfiare le cifre dei prigionieri, includendo nelle loro puntigliose statistiche anche le “anime morte”. La mortalità era assai variabile, secondo dei campi e dei periodi. Quel che emerge tuttavia dai documenti è la volontà del centro di assicurare ai detenuti un minimo per consentirne la sopravvivenza e l’uso come forza lavoro (alimenti, vestiti), minimo che veniva spesso a mancare per la diffusione dei furti a tutti i livelli della gerarchia dei carcerieri. Questa volontà di preservare la forza lavoro, nonché di “rieducarla” – non c’era campo senza le sue brigate di agitazione e i suoi spettacoli teatrali – è, assieme alle funzioni economiche affidate al Gulag, uno degli elementi di differenza fondamentali rispetto al sistema concentrazionario nazista.
Il Gulag era tuttavia soltanto la parte più visibile del sistema repressivo staliniano. Accanto ad esso esisteva infatti l’universo - assai meno noto - degli esiliati di ogni sorta, dai contadini collettivizzati cacciati dai loro villaggi a tutti i disgraziati considerati “pericolosi” dal regime sovietico (categoria di cui facevano parte anche i prigionieri che avevano finito di scontare la pena nei campi), costretti a vivere in luoghi di confino lontani dalle grandi città e, spesso, dalla Russia europea. A questi coloni forzati, che erano circa, all’inizio degli anni Cinquanta, 2 milioni e mezzo, è dedicato il quinto volume che mostra l’interconnessione fra il Gulag e il confino. L’ultimo volume, infine, è dedicato alle forme di protesta nel Gulag, che andavano dai tentativi di fuga alla resistenza passiva, atti di sabotaggio inclusi, fino ad arrivare, in alcuni casi – rarissimi, in verità - allo sciopero e a moti vari. Rivolte aperte scoppiarono invece solo dopo la morte di Stalin, ed ebbero un ruolo non secondario nell’affrettare lo smantellamento del sistema concentrazionario.
A trent’anni esatti dall’uscita dell’ Arcipelago gulag di Solženicyn, che rivelò al mondo intero la mostruosità dell’universo concentrazionario sovietico, sottraendolo all’amnesia a cui il Cremlino l’aveva condannato, il cerchio si è dunque chiuso. Adesso, qualunque siano le volontà di riscrivere la storia e di riabilitare l’epoca staliniana, nessuno potrà più negare l’esistenza del Gulag. Parola di storici.
LA SCHEDA
La sigla Gulag significa Direzione generale dei campi correzionali e di lavoro. Dall’anno della fondazione al 1953, vi passarono fra i 22 e i 27 milioni di persone, nella stragrande maggioranza comuni cittadini, colpevoli di aver violato le draconiane leggi di disciplina – lavorativa, in primo luogo - dell’Urss staliniana (i politici in senso stretto erano in realtà una sparuta minoranza dei detenuti). Vi persero la vita quasi 2 milioni di prigionieri, costretti a vivere in condizioni disumane, soffrendo la fame e il freddo, e a lavorare come schiavi, a mani nude nel gelo dell’infinito inverno russo.
Tutto cominciò con il canale sul Baltico Serve un tecnico? Basta condannarne uno
Mosca – Il Gulag, che inizialmente si limitava a subappaltare la manodopera dei prigionieri, si trasformò alla metà degli anni trenta in una delle principali potenze economiche dell’Urss. Fu il premio per l’abilità dimostrata durante la costruzione del canale che univa il Mar Baltico al Mar Bianco, prima impresa realizzata interamente al Gulag. Com’era andata?
La costruzione del canale, considerato di grande importanza militare e strategica, era stata decisa nel 1930. Doveva essere fatto in tutta fretta, visto il timore di una guerra imminente. Ma come fare, visto che il tracciato passava attraverso una regione inospitale e deserta? La soluzione fu presto trovata: usare il lavoro forzato dei prigionieri. Il Gulag realizzò il progetto in tempi di record, grazie non solo all’uso massiccio del lavoro schiavistico di più di 100.000 detenuti, che vivevano e lavoravano in condizioni miserabili, senza mezzi di produzione – c’erano pale e carrette, e rudimentali strumenti di legno, perché mancava il metallo, usato per scopi più nobili -, semi nudi nel freddo. Il Gulag poteva mobilitare in tempi rapidissimi uomini e risorse. Le risorse, le prendeva in priorità e, grazie al controllo del sistema di trasporti, le faceva arrivare subito a destinazione. Quanto agli uomini, bastava prelevarli da altri campi e trasferirli sul posto. Se poi mancavano tecnici e ingegneri, era semplice. Bastava montare un “caso”, fare un processo per direttissima, e hop! la manodopera qualificata era stata reclutata.
L’esperienza fu così esaltante che i più prestigiosi scrittori del paese, gli “ingegneri di anime” dell’Urss staliniana, si recarono, Maxim Gorkij in testa, sul cantiere per trovarvi fonte di ispirazione. Il risultato fu un libro firmato dalle più insigni piume dell’Urss, da Gorkij a Zošcenko, da Aleksej Tolstoj a Šklovskij -, in cui si esaltavano le alte qualità morali degli aguzzini del Gulag. Fu il primo monumento letterario a un campo di concentramento.