I riformisti sono il motore dell’Alleanza»
ROMA Per un riformista doc come Giorgio Napolitano l'adesione alla mozione di Piero Fassino è coerente con la lunga battaglia cominciata nelle file del Pci.
Ora che sembra trovare l’approdo unitario e innovatore, è naturale che sia piuttosto esigente.
Nel suo nuovo ufficio di presidente della Fondazione Camera, batte il tasto sui contenuti, più che sul contenitore: «Il dibattito congressuale - dice Giorgio Napolitano con una schiettezza segnata dalle occasioni mancate - fatica a concentrarsi sulle scelte più qualificanti del momento».
Rischia di essere svuotata la scelta più rilevante, quella della Federazione tra le forze riformiste della coalizione, che il congresso è chiamato a compiere?
«Intendiamoci, il confronto non può ridursi alla conta di chi è a favore o contro la realizzazione di questo tipo di “contenitore”, per usare un termine che personalmente considero orribile. Proprio perché persuaso che questa scelta debba uscire nettamente definita dal congresso, dico che essa presuppone o, comunque, implica un chiarimento sulle possibilità di accordo politico-programmatico con le altre componenti del centrosinistra e sulle vie opportune da seguire per arrivarvi».
Fed o Gad: non sarebbe più lineare, come sostengono le mozioni della sinistra dei Ds, un processo unitario dell’insieme o delle forze di sinistra?
«Le mozioni alternative a quella di Fassino si oppongono all'avvio e alla concretizzazione della Federazione considerandola qualcosa di artificioso. Artificiosa, a loro dire, sarebbe la distinzione fra riformisti e radicali. C'è da rilevare, però, che sono proprio certe formazioni o componenti dell'alleanza di centrosinistra che si compiacciono di definirsi radicali o antagoniste, come Rifondazione o il Pdci, e mostrano fastidio per il richiamo al riformismo. Al di là di queste schermaglie che possono apparire nominalistiche, è un fatto, non un artificio, l'assai maggiore affinità di ispirazioni, culture e posizioni politiche che lega i Ds, la Margherita e lo Sdi, insomma le forze che hanno dato vita alla lista unitaria per le elezioni europee».
Ma che adesso si mostrano riluttanti, in particolare la Margherita, a dare continuità a quella'esperienza con liste comuni alla Regionali...
«Le difficoltà, che non mancano, sono il segno della complessità di un avvicinamento sempre più stretto tra partiti che provengono da storie ed esperienze distinte. Ciò non toglie che i Ds, lo Sdi e la Margherita formino un aggregato sufficientemente omogeneo, rappresentativo delle diverse correnti del riformismo italiano, che va formalizzato per poter costituire il nucleo propulsivo di una più larga alleanza di centrosinistra».
Il ritorno in campo di Romano Prodi è all'insegna di questa novità rispetto alla traumatica esperienza del 1998?
«Sì, Prodi si pone come leader dell’intero centrosinistra, ma ha bisogno di poter contare su quel nucleo che si caratterizza per una più coerente e responsabile visione di governo».
A un uomo della sua storia interesserà sicuramente la meta: è il partito riformista?
«Mi interessa che si imbocchi il cammino. E che i Ds si mostrino determinati e tenaci. Sapendo di non poter compiere forzature. Anzi, temo che più si indica come destinazione naturale, o fatale, del percorso il partito unico dei riformisti, più si rendono difficili le decisioni sulla Federazione e, successivamente, la vita della Federazione. Se vogliamo che non sia solo una alleanza elettorale, dobbiamo farla nascere e farla vivere politicamente, non porci ora il problema di quale possa essere il traguardo successivo o lo sbocco finale».
Non ritiene più produttiva per l'alternativa a Berlusconi, come sostengono le altre mozioni, l'unità dell'intera coalizione?
«Se è vero che occorre la più larga unità per battere il centrodestra, è anche vero che si vince solo sulla base di una piattaforma di governo credibile e sostenibile. Per arrivare a un'intesa con Rifondazione, il Pdci e i Verdi da un lato, e l'Udeur dall'altro, bisogna fingere di non vedere le divergenze o edulcorarle ed eluderle? Non lo credo. Penso invece che, a partire dagli orientamenti comuni ai partiti della Federazione, si debba realizzare un confronto schietto e serrato. Questo, allora, dovrebbe essere il cuore della discussione per il congresso: non limitarsi alla scelta del 'contenitore' ma mettere a fuoco questioni discriminanti di politica europea, di politica finanziaria, economica e sociale, e anche di politica della giustizia e di politica istituzionale».
Le mozioni congressuali non riproducono, come lamenta Cofferati, distinzioni che sono d’ostacolo ad apporti più liberi?
«Non si può tornare a vecchi unanimismi o a compromessi pasticciati».
Ma le indicazioni della mozione della maggioranza dei Ds, in cui lei si riconosce, sono adeguate?
«Per alcune questioni la mozione Fassino contiene indicazioni precise, per altre meno. Ma non è questo il punto. È che nel suo complesso mi sembra si discuta poco delle scelte qualificanti dell'alternativa di governo».
Quali scelte ritiene necessario rendere più nitide e incalzanti?
«Anzitutto non penso si possa glissare sulla posizione negativa di Rifondazione comunista, e anche su quella un po' ambigua di altre componenti della sinistra, a proposito della ratifica della Costituzione europea. Mi auguro che in una discussione seria questo dissenso possa essere superato».
Come è avvenuto nel Partito socialista francese nei confronti della sinistra interna, alle cui posizioni si richiama la mozione di Salvi?
«Non solo il referendum tra i militanti socialisti francesi ha nettamente sconfitto posizioni interne al partito molto influenzate da calcoli personali di Fabius in vista delle elezioni presidenziali, ma tutto il dibattito ha dimostrato quanto pericolosa per il socialismo europeo e per l'Europa sarebbe una vittoria del no».
Completiamo il quadro della politica estera.
«Per sommi capi, un chiarimento s'impone a proposito della Nato, dopo che Rifondazione ha avallato manifestazioni contro l'assemblea parlamentare di Venezia, peraltro del tutto innocua, battezzandola assurdamente come vertice di guerra. Lo stesso punto, già molto chiaro della mozione di Fassino relativo all'appoggio italiano a missioni militari volte a preservare e ristabilire la pace e la sicurezza internazionale che siano state deliberate dall'Onu, va discusso con le componenti radicali o antagoniste del centrosinistra come elemento discriminante e irrinunciabile del nostro programma di governo. E importantissima rimane la definizione di una politica estera comune dell'Unione europea che sia autonoma dagli Usa ma coltivi una nuova relazione transatlantica»
Sulla politica economica e sociale nel centrosinistra molte tensioni del passato sembrano appianarsi. O c'è da temere che la forzatura di Berlusconi sul taglio delle tasse insinui nuove contese sulla redistribuzione delle risorse pubbliche?
«Su molte questioni di politica italiana vedo che si succedono convegni di maggiore o minore rilievo dei Ds, una iniziativa nel suo complesso così frammentata e dispersiva che, francamente, non acquisisce peso politico nonostante la generosa partecipazione del segretario del partito. C'è bisogno di individuare scelte e posizioni cruciali, come per l'emendamento alla legge finanziaria, da far conoscere e ben illustrare nei suoi termini e nella sua portata perché serva da chiarimento sulla nostra linea in merito al rapporto tra i vincoli di finanza pubblica e lo sviluppo. Il discorso di Prodi al Palalido è un buon punto di partenza per rendere credibile lo schieramento di alternativa al centrodestra oggi, e permettergli di governare domani».
Lo scontro bipolare è reso più acuto dall'alterazione degli stessi equilibri istituzionali in nome della "regola di maggioranza" con la quale il centrodestra legittima la contrapposizione, prima sulla giustizia e ora sulla seconda parte della Costituzione?
«Rigettiamo con decisione il pericoloso pasticcio votato a maggioranza dalla Camera, ma nello stesso tempo dobbiamo essere impegnati a riproporre, anche ripensandole criticamente, le nostre proposte di riforma della seconda parte della Costituzione quali sono state elaborate con il concorso della attuali forze dell'Ulivo nel giro di 15 anni. Riforma, non qualche semplice ritocco. Non possiamo alimentare l'equivoco di un nostro ripiegamento conservatore».
Vale anche per la modifica del sistema elettorale?
«Già da presidente della Camera nel 1993, quando le attuali regole furono discusse e votate dopo un referendum popolare, dissi con molta chiarezza che la riforma del precedente sistema, per lungo tempo proporzionale, non sarebbe da sola bastata a produrre una feconda competizione bipolare come base della democrazia dell'alternanza. Così è accaduto, perché a quella riforma elettorale non sono seguiti seri processi di riaggregazione politica e culturale, sia sul versante del centrodestra sia su quello del centrosinistra. Ma le colpe della persistente e persino accresciuta frammentazione partitica non sono solo della legge del 1993...».
Quali altre colpe sono da svelare?
«C'entrano, e come, le decisioni in materia di finanziamento dei partiti, di editoria politica e di regolamenti parlamentari. Comunque, è un fatto che non possiamo essere soddisfatti dell'attuale funzionamento zoppo, o bastardo, del bipolarismo fondato su due coalizioni di scarsa omogeneità e coattivamente tenute insieme dal solo vincolo della legge elettorale maggioritaria».
Quindi non ha senso discutere di meccanismi tecnici che prescindano dai processi politici del fragile bipolarismo italiano?
«Bisognerebbe poter discutere seriamente di tutto ciò in uno spirito di ricerca e di comune senso di responsabilità. Ma da parte di Berlusconi si vuole imporre brutalmente con la forza dei numeri, come già per la revisione della Costituzione, una modifica del sistema elettorale consistente nell'istituzione di una scheda unica che negherebbe le ragioni della riforma del 1993, senza peraltro aprire nemmeno il discorso sollecitato da una parte dei suoi alleati su un possibile sistema proporzionale fortemente corretto rispetto a quello del passato».
Immagino che il riferimento sia al nuovo vice presidente del Consiglio, il centrista Marco Follini. Questi, però, si fa scudo della riproposizione da parte di Massimo D'Alema del doppio turno elettorale per adeguarsi all''aggiustamento' della legge elettorale su cui sembra aver ripiegato Berlusconi. Ma è davvero una soluzione 'tecnica'?
«Non è serio che l'on. Follini dica che la questione l'ha posta D'Alema. Come egli sa benissimo, la questione l'ha posta Berlusconi con l'indecente argomento che si deve adottare una modifica tale da permettergli di vincere più agevolmente le elezioni. D'Alema, a torto o a ragione, ha richiamato l'antica proposta che risale al 1993 del maggioritario a doppio turno di collegio, ma nemmeno nel centrosinistra si vedono possibilità di intesa in questo senso. E allora non si tocchi nulla anche per le ragioni saggiamente richiamate dall'on. Mattarella, vale a dire che facendo esprimere all'elettore il voto sulle liste di partito e non separatamente sui candidati dei collegi uninominali si renderebbe il sistema schizofrenico. No, a un anno e mezzo di distanza dalle elezioni politiche non vedo la possibilità di affrontare questo problema. E si stia attenti da parte della maggioranza a perseguire con le sue sole forze la soluzione già unilateralmente annunciata per la legge elettorale o la par condicio. Si faccia attenzione, se non si vuole che questa legislatura finisca male, molto male».