Inverno nero per il globalismo Made in Usa. La Cina ed altri dieci Paesi del sud-est asiatico si sono impegnati a stabilire fra loro, entro il 2010, un “mercato comune” che conterà 1,9 miliardi di consumatori. Poco dopo, i capi di Stato e di governo di 12 nazioni latino-americane hanno posto le basi per un’area di libero commercio fra loro, modellata sul mercato comune europeo, che potrà contare su 360 milioni di consumatori. Al dodicesimo vertice Asia-Pacifico (APEC) i responsabili di 21 paesi, fra cui Cina e Russia, hanno febbrilmente stretto nuovi rapporti commerciali reciproci, avendo cura di ignorare le proposte di Washington e di scavalcare ostentatamente persino la presenza di George Bush. Nulla è stato lasciato d’intentato per farlo sentire un ospite sgradito.
La cosa sta allarmando le multinazionali Usa, per il motivo che il Christian Science Monitor ha spiegato così: questi vasti mercati-comuni regionali “rischiano di vanificare dagli anni ’80 verso il Mercato Unico Globale gestito dal WTO”. Tutto ciò potrebbe (Dio ci scampi) portare a “protezionismi regionali” e a “barriere doganali” che frazionerebbero il mercato globale. Specie se si aggiunge ai due nascenti mercati regionali sopra citati l’Unione Europea, con 460 milioni di consumatori, non restano più tanti mercati passivamente soggetti al WTO.
La responsabilità primaria di questi sviluppi sgraditi alle multinazionali risale, come riconosce il Christian Science Monitor, allo stesso Bush. Due anni fa a Doha, gli Usa premettero con brutale arroganza per imporre la loro idea del libero commercio planetario. “Vuole la globalizzazione a solo vantaggio delle imprese, in un mondo dove la gente viene dopo”, disse allora Sarah Burrow, dei sindacati australiani. Di fronte alle molte resistenze, non solo dai paesi poveri ma dall’Europa, Bush ha cominciato, per ritorsione, a firmare tutta una serie di patti bilaterali, per dimostrare ai paesi recalcitranti che poteva chiudere il mercato americano a chi non si piegasse alle condizioni di Washington. Ovvio che altri Paesi abbiano risposto stringendo patti bilaterali fra loro, che lasciano fuori gli Usa. “Gli Stati Uniti potrebbero trovarsi emarginati mentre sia la Cina sia l’UE stanno affermandosi come giganteschi convogliatori di potenza economica e di solidarietà politica”.
Ma il giornale della “scienza cristiana” tace sui motivi delle resistenze incontrate dalla Casa Bianca a Doha. Il fatto è che l’America ha posto, per aprire il suo mercato agli altri, condizioni non economiche ma altamente politicizzate. Prima: nessun paese può sperare di diventare partner degli Usa se non è parimenti “amico” di Israele. Seconda: l’America pretende anche che i paesi partner rifiutino l’adesione al tribunale internazionale dell’Onu, perché paventano che i loro generali possano essere messi in stato d’accusa per crimini e atrocità, in una nuova Norimberga.
di Maurizio Blondet