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Discussione: Le ragioni di....

  1. #1
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    Predefinito Le ragioni di....

    ....Montezemolo

    Non è questione di generosità verso il governo o di tirchieria, come lamentano alcuni leader della maggioranza; Montezemolo ha illustrato ieri con comprensibile allarme i dati non nuovi forniti dal centro studi di Confindustria sulla crescita italiana che langue e minaccia di languire ancora a lungo, sulla mancanza di infrastrutture moderne e sui vincoli europei e domestici di bilancio che ci impediscono di provvedere, contro i quali sbattiamo “come calabroni prigionieri di un vetro” che si chiama Maastricht e spesa pubblica; ha insistito sulla crisi di competitività del nostro sistema economico e industriale, sulla difficoltà di creare nuova occupazione e qualificata in un mondo unificato in cui la concorrenza del lavoro a basso costo è spietata, sul problema della ricerca e della formazione, sul ridimensionamento in corso del nostro assetto industriale, e su tante altre magagne già note a sociologi, economisti, imprenditori, sindacati e governo.
    Montezemolo ha anche aggiunto che si tratta di problemi strutturali legati a una crescita stagnante da quindici anni e a condizioni internazionali in cui l’euro grasso ha la sua parte di responsabilità nel decurtare le nostre quote di esportazioni, da sempre più legate alla famosa creatività italiana e alla svalutazione monetaria che non alla forza del sistema produttivo e alla spinta politica del potere pubblico (maggiori nei paesi che sono nostri concorrenti in Europa); e ha concluso con un accento drammatico che finalmente smentisce i suoi eccessi di ottimismo passati, quando sembrava che fatta la “squadra vincente” e concertata una riscossa “di sistema”, tutto si poteva risolvere in buona pace e d’amore e d’accordo.

    Di questo nuovo timbro, che definisce la crisi economica italiana come “la più ampia e profonda dal dopoguerra”, si è accorto il sindacalismo più legato a vecchi e rispettabili ma inservibili schemi classisti, tanto che uno dei capi della Fiom ha avanzato questo sospetto: la Confindustria torna a scaricare sul lavoro i problemi delle imprese, e Montezemolo riscopre la cucina “in salsa D’Amato”, tornando “alla politica confindustriale di sempre”.

    Etichette a parte
    Ma lasciamo da parte le etichette e andiamo al sodo. Montezemolo ha detto delle verità che sarebbe sciocco cucinarsi in salsa elettorale, sia per l’opposizione sia per il governo, che in realtà hanno già provveduto a politicizzare e polarizzare impropriamente la sua analisi.
    La verità è sempre in linea di principio una forza.
    Ma la debolezza di questa Confindustria consiste nella sua illusione “apolitica”, nell’idea che le “fotografie” dei fatti e la buona volontà bastano a risolvere i problemi.
    La Confindustria, invece, non è né il Cnel né il Censis, e una volta studiati e fotografati i problemi deve “fare politica” e “fare movimento”, con la rappresentanza dei suoi interessi e con il suo discorso pubblico il più esplicito possibile, per risolverli.
    Con tutte le sue difficoltà e contraddizioni, la Confindustria di Antonio D’Amato era attestata su questa frontiera, come accade oggi alle altre associazioni imprenditoriali europee.
    Ora che Montezemolo scende finalmente dal circuito di Formula 1, denuncia i guasti strutturali dello stato fiscale che impigrisce e tutela, ma non afferma i presupposti di libertà e di responsabilità che sono alla base della produttività e della crescita moderne, ora gli tocca fare delle scelte più chiare in Italia e in Europa, senza paura di passare per un governativo o per un euroscettico o per un contrattualista incapace di concertare tutto con questi sindacati: tre vincoli politicamente corretti che legano le mani alla società italiana almeno quanto le politiche deflazionistiche della Banca centrale europea, il supereuro, l’interpretazione stupida e rigida del patto di Maastricht e l’oppressione
    normativa e fiscale che grava sulle imprese.


    editoriale de Il Foglio

    saluti

  2. #2
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    Predefinito

    Penso che un discorso franco come quello che l'autore si auscpica non ci potrà mai essere da parte di Montezemolo.
    Purtroppo, nonostante le indubbie capacità manageriali, il Presidente di Confindustria si è impelagato nel consociativismo su cui tanti, troppi industriali italiani hanno marciato dal Dopoguerra ad oggi.

  3. #3
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    Predefinito Montezemolo O.K., ma ora...

    …stani la politica

    Ho molto apprezzato che con il suo editoriale dell’altro ieri il Foglio, spesso ruvido con l’attuale Confindustria, si sia sottratto alla canea di chi ha sgangheratamente attaccato Luca Cordero di Montezemolo per il suo allarme sulla “peggior crisi del dopoguerra”.
    A parte le fobie dei vedovi del duo D’Amato-Parisi che scambiano il “rosso” della Ferrari per una scelta politica – sono gli stessi che hanno fatto perdere un anno e mezzo al paese per la velleitaria battaglia sull’articolo 18 – per il resto le accuse sono state di
    tre tipi.
    La prima: non è vero che c’è il declino, anzi è stata la stessa Confindustria a dire che siamo “usciti dalla stagnazione”. Ora, a parte che anche in termini congiunturali sia il risultato di quest’anno (pil +1,4 per cento) sia le previsioni per i prossimi due (1,4 e 1,5) sono del tutto distanti tanto dalla media europea quanto dalla velocità di crescita degli altri protagonisti mondiali, è del tutto evidente che per declino s’intendono i problemi strutturali della nostra economia: perdita di competitività del manifatturiero, crollo dell’export, scarsa concorrenza nei servizi, crescente precarietà dei conti pubblici. E al loro cospetto affermare che siamo di fronte a “rischi di cedimento” del sistema non appare affatto una forzatura. D’altra parte, basta sfogliare le cronache – dal gruppo Orlando che passa la mano a un finanziere rampante a quello siderurgico di Lucchini che si consegna ai russi – per vedere in che stato comatoso versi il nostro capitalismo.
    E qui, seconda accusa a Montezemolo, si tira in ballo la Fiat.
    Ma sottolineare la crisi in cui versa l’auto degli Agnelli pensando di metterne in fuorigioco il presidente, in realtà significa confermare il declino del nostro apparato produttivo, salvo non esporsi al ridicolo, come hanno fatto ministri e sottosegretari, sostenendo che la Fiat va male e l’economia italiana ve bene.
    Magari. Infine, non regge neppure l’argomento secondo cui gli industriali sanno solo criticare il governo.
    Intanto perché Montezemolo ha descritto una parabola declinante che durando da quindici anni non può che riguardare molteplici responsabilità (e qui valeva la pena di rinfacciargli Capri, quando pronunciò un improvvido “basta parlare di declino”, dicendo che sbagliò allora, non oggi). E poi perché ha fatto una sana e robusta autocritica. Infatti, a chi, se non agli industriali, è rivolta l’affermazione secondo cui “non basta migliorare la competitività e cercare di esportare i prodotti, ma occorre puntare su una forte integrazione internazionale dei processi produttivi e insediarsi sui mercati di sbocco”?
    Il Foglio, però, non si è limitato a “non dar torto” al presidente della Confindustria sul declino, ma ha cercato di “stanarlo”.
    E bene ha fatto: se vuole evitare di limitarsi alla denuncia, o a evocare genericamente un salvifico “spirito di squadra”, Montezemolo deve “sporcarsi le mani”.
    Il problema, semmai, è come.
    Il suggerimento di individuare quattro nemici – sindacato, fisco, Bceeuro e Maastricht – è fondato, ma appare troppo parziale e soprattutto un po’ fuorviante.
    Dove, se non nel sistema politico, risiede la sovranità delle decisioni, comprese eventualmente quelle di rovesciare i tavoli europei, di usare la leva fiscale e di “limare le unghie” al sindacato?
    E da chi, se non dalla politica, passa la scelta, ancor più urgente rispetto alle ragioni strutturali del declino, di riformulare il nostro modello di sviluppo e di dotarci di un nuovo patto sociale?
    Per questo la Confindustria deve avere il coraggio di abbandonare una malintesa forma di equidistanza politica e “scendere in campo”, non per pretendere che gli interessi che rappresenta siano considerati generali, ma per esigere che qualcuno li sappia mediare e si assuma la responsabilità di scegliere.
    Il che significa dire con chiarezza: non è con questo bipolarismo –capace solo di battaglie ideologiche (senza neppure le ideologie) e di contrapposizioni elettorali permanenti – che si può condividere la responsabilità del risanamento e della trasformazione del sistema economico.
    Caro Montezemolo, declino e crisi della politica sono due facce della stessa medaglia: bisogna partire da questo assunto se vogliamo un “nuovo Rinascimento”.

    Enrico Cisnetto su Il Foglio

    saluti

 

 

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