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Discussione: Novità dal M. O.

  1. #1
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    Predefinito Novità dal M. O.

    Sharon punta alle elezioni.
    Roma. Alcuni coloni degli insediamenti del nord della Striscia di Gaza hanno già chiesto una nuova sistemazione che preservi la natura delle loro comunità.
    Un gruppo di ottanta famiglie, provenienti da Dekelim e Nisanit, sta trattando l’acquisto di nuove case. Altre sono in trattativa per un nuovo kibbutz al confine libanese. Da Gaza è appena rientrato Vittorio Dan Segre, direttore dell’Istituto di studi mediterranei e già docente al Mit di Boston e all’Università di Stanford.
    Non si fa illusioni sul nuovo governo Sharon: “Likud e laburisti sono troppo diversi. Sharon punta alle elezioni, che faranno slittare l’evacuazione. Ha bisogno di 20 mila soldati, ma 3 mila riservisti hanno già detto di no”.
    L’attacco di domenica a Rafah, costato la vita a cinque soldati israeliani, assume un triplice significato: “I terroristi informano Israele della capacità di portargli la guerra sul territorio
    dopo l’evacuazione e di trasformarla in una sconfitta, come quella del Libano.
    Era diretto all’Egitto, che si è impegnato a mettere fine al contrabbando di armi.
    Ma soprattutto ad Abu Mazen: Hamas non deporrà le armi.
    Lo ha ribadito anche ieri dopo che il leader dell’Olp, in un’intervista a un giornale londinese in lingua araba, ha dichiarato che la lotta armata era stata un errore e doveva cessare”.
    Segre è tornato basito da Gush Katif, il blocco di insediamenti della Striscia di Gaza dai nomi bellissimi, tipo “Giardino di luce” e “Villaggio del mare”.
    In mancanza di un nuovo accordo diplomatico, Segre giudica più che realistico immaginare che Gaza, da attuale bacino di violenza, possa trasformarsi in punto di collaborazione, sfruttando gli enormi interessi economici, tanto per i palestinesi quanto per i coloni israeliani.

    Sui 365 kmq di Gaza, i coloni ne occupano 40
    La colonizzazione viene presentata come un’occupazione di terra strappata a una Palestina superpopolata.
    “Ideologicamente è un’immagine corretta, in pratica non lo è”.
    Su 365 chilometri quadrati della Striscia di Gaza, gli israeliani ne occupano quaranta, interamente dune e sabbia, anche se è vero che da sotto vengono estratte quantità di acqua di cui la popolazione di Gaza avrebbe bisogno.
    I 7.500 coloni abitano ventuno agglomerazioni formate da qualche decina di case e rappresentano in tutto 1.500 famiglie. In questo numero, tolti gli impiegati dei servizi e della sicurezza, ci sono soltanto 600 agricoltori che gestiscono 400 fattorie di tipo molto particolare.
    “Si dividono 2.000-3.000 ettari di sabbia coperti di serre in cui vengono coltivati prodotti interamente idrofoni, senza terra, concentrati umidi di sostanze nutritive che producono tre tipi di piante e verdure destinate per il 90 per cento al mercato europeo: gerani, piante ornamentali e prodotti ortofruttiferi senza concimazione organica”.
    Con la fine delle attività agricole di Gaza, subirebbe un colpo anche il mondo kosher americano. E’ lì che si producono le verdure senza vermi, necessarie perché un ebreo osservante possa mangiarle. E’ un tipo di produzione agricolo-industriale sofisticata, computerizzata, unica al mondo, copre l’11 per cento delle esportazioni ortofrutticole d’Israele, per un valore complessivo di centinaia di milioni di euro. Nonostante le tensioni e gli attacchi quotidiani, 3.500 palestinesi lavorano ogni giorno in queste serre, oltre a 500 thailandesi.
    “La colonizzazione di Gush Katif dà oggi sostentamento a decine di migliaia di persone che, in caso di pace, potrebbero triplicarsi. Ma solo a condizione che si possa trovare il modo di garantire la continuità di quest’attività israeliana. La sua cessazione, conseguenza inevitabile dell’evacuazione forzata, comporterebbe una colossale perdita umana ed economica”.
    Tanto i palestinesi quanto i contadini israeliani, secondo Segre, non hanno alcun interesse a vedere distrutti investimenti di milioni di dollari da loro fatti in venticinque anni, e che se mantenuti in loco darebbero a Gaza palestinese milioni di dollari in esportazioni e in tasse.
    “La questione è come avere la botte piena e la moglie ubriaca, come poter mantenere una presenza israeliana in un ambiente di totale violenza. Nessuna soluzione è facile. Ci si potrebbe però domandare se l’estensione della sovranità palestinese su questi 3.000 ettari di sabbia, più o meno quanto una grande fattoria piemontese, non possa accompagnarsi alla continuazione di una presenza lavorativa israeliana, garantita in termini di sicurezza, tanto dall’Autorità palestinese, quanto da accordi internazionali, per un periodo di dieci-quindici anni necessari a questa popolazione di contadini israeliani, di 45-50 anni di età, di esaurirsi o trasferirsi altrove. Oppure decidere di restare sul posto e di trasformarsi in uno dei motori dello sviluppo futuro della zona di Gaza”.
    “Sarebbe, come è stato il caso degli europei nel Sud Africa e contrariamente a quello delle disastrose espropriazioni di terre nello Zimbabwe, un trionfo del buon senso sulla follia. Ma anche un’occasione per l’Europa di elaborare un piano, economicamente non dispendioso e politicamente originale e simbolico, di presenza attiva e costruttiva nel medio oriente”.
    Le tre colonie all’estremo nord della Striscia di Gaza hanno già chiesto di trasferirsi altrove, mentre le tre al centro sono solo dei campi trincerati. Le altre 17 non rappresentano una copia di Yamit, la città costruita e poi distrutta dopo l’evacuazione del Sinai.
    Della “perla del deserto”, come veniva chiamata Yamit, della sua rete stradale, idrica, elettrica e petrolifera realizzata dagli israeliani con un investimento pari al debito con l’estero dello Stato ebraico, non rimase altro che un cumulo di detriti e arbusti bruciati. La speranza di Segre è che l’esperimento agricolo di Gaza non faccia la stessa fine.
    “A Yamit non c’era agricoltura ultramoderna, ma solo turismo e ricerca di qualità di vita. Qui c’è un’attività agricola impressionante e un turismo che non funziona. L’unico albergo è stato chiuso”.
    A domanda perché i palestinesi non possano colmare il vuoto degli israeliani, Segre risponde che
    “non è che i palestinesi non siano capaci di lavorare altrettanto bene. Ma Gush Katif rappresenta un sistema integrato di alta tecnologia, metodi di controllo dell’umidità della terra, della salinazione e delle vasche idrofone estremamente preciso. E’ un sistema di produzione misto cooperativo e privato, accordi di mercato e informazione dei bisogni degli importatori estremamente diversificato. Basti pensare che vengono seminati ogni mese 5.000 tipi differenti di piante con una programmazione che quest’anno prevede già le semine per il 2006. Se passa nelle mani di burocrati palestinesi o di proprietari privi di esperienza di un sistema così articolato, rischia di andare in rovina in pochissimo tempo, ammesso che queste infrastrutture, cosa molto improbabile, vengano conservate intatte e che si trovi chi sia disposto a comprarle. Dove sono poi i geniali contadini arabi computerizzati che possono mandare avanti queste strutture? Possono fare come in Russia, darle a degli impiegati, ma due giorni dopo non c’è più l’acqua”.
    Altrettanto improbabile è il ricollocamento delle strutture, perché non ci sono zone dello stesso tipo, con venti, mare e sabbia. L’unica alternativa sarebbe la valle della Arava nel Negev, ma è già completamente coperta da coltivazioni.
    “Sarebbe un’occasione per rompere le catene dell’odio del passato con strumenti che, considerando gli interessi economici individuali di tutti, potrebbe diventare un modello per il futuro. Dopo tutto 3.000 ettari di serra e 600 famiglie di contadini interessati a non veder distrutta l’opera della loro vita non sono numeri intrattabili, ma esseri umani per i quali l’evacuazione imposta dalla politica è un trauma. Dopo aver visitato la zona e parlato sia con i lavoratori palestinesi sia con i contadini israeliani, mi sembra che varrebbe la pena cercare soluzioni alternative basate sullo sfruttamento dell’interesse economico di gente divisa dalla paura e dall’ideologia, ma accomunata dallo stesso impegno redditizio nella terra su cui lavorano”.

    Giulio Meotti su Il Foglio

    saluti

  2. #2
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    Predefinito

    da www.israele.net

    " Sharon: “2005, anno di opportunità da non perdere”

    Il primo ministro israeliano ha dichiarato giovedì sera che il suo piano di disimpegno serve a unire la nazione, aggiungendo che per Israele “il 2005 sarà l’anno di una grande opportunità storica”.
    Il leader dell’Olp e principale candidato alla presidenza dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha reagito al discorso di Sharon respingendo l’offerta di coordinare con Israele il previsto ritiro dalla striscia di Gaza e da parte della Cisgiordania settentrionale.
    Il piano di disimpegno, ha spiegato Sharon nel suo intervento alla Conferenza annuale di Herzliya, ha migliorato la posizione di Israele nell’arena internazionale tanto più che “è chiaro a tutti che noi non saremo più a Gaza una volta che sarà raggiunto l’accordo per la composizione definitiva del conflitto”.
    “Nel 2005 – ha poi detto Sharon – saremo di fronte alla grande, storica opportunità di cambiare la situazione di Israele” e uno degli elementi chiave sarà proprio l’attuazione del piano di disimpegno. “Per farlo – ha detto Sharon – bisogna fare concessioni da entrambe le parti. Per questo dobbiamo prendere l’iniziativa”.
    Sharon ha spiegato che l’uscita di Israele da Gaza allenterà la pressione demografica sul paese, che deve continuare a essere uno stato democratico con una solida maggioranza ebraica.
    A proposito delle elezioni per la presidenza dell’Autorità Palestinese del 9 gennaio, Sharon ha detto che Israele “sosterrà in ogni modo possibile” gli sforzi dei palestinesi perché le elezioni siano valide e corrette. Secondo Sharon, la scomparsa di Yasser Arafat lo scorso 11 novembre offre una nuova chance per l’emergere di leader palestinesi che siano disposti a fare un accordo di pace con Israele. “Ci troviamo di fronte a una finestra di opportunità unica. Chissà quando avremo un’occasione simile in futuro. Non dobbiamo perdere questa occasione di arrivare a un accordo”.
    Rivolgendosi direttamente ai palestinesi, il primo ministro israeliano ha detto: “Non abbiamo nessun desiderio di governare su di voi né di gestire le vostre vite. Mi sono assunto dei grossi rischi per garantire una strada aperta alla pace. Mi auguro che anche voi sappiate fare passi rischiosi per arrivare a una pace possibile”.
    Israele aveva già annunciato che ritirerà le proprie truppe fuori dai centri abitati palestinesi per almeno 72 ore a cavallo delle operazioni di voto. Tuttavia, ha aggiunto Sharon, i palestinesi devono “eliminare il terrorismo”, cioè “prendere misure concrete contro il terrorismo e fermare l’insegnamento della cultura dell’odio”, come condizione indispensabile per fare progressi verso una composizione di pace.
    Sharon ha specificato che Israele sarebbe pronto a coordinare il suo ritiro da Gaza con una nuova dirigenza palestinese che fosse pronta ad assumersi la responsabilità di combattere il terrorismo. L’offerta di coordinamento, tuttavia, è stata respinta la stessa sera di giovedì dal leader palestinese Abu Mazen. “Le condizioni poste da Sharon non sono nuove – ha detto Abu Mazen in un’intervista telefonica dal Qatar – e sono inaccettabili”.
    I palestinesi devono avere il loro stato, ha affermato inoltre Sharon nel suo intervento a Herzliya, giacché continuare con il controllo israeliano sui palestinesi “significa un popolo che controlla un altro popolo”, e cioè una situazione insostenibile.
    Circa il recente miglioramento dei rapporti con l’Egitto, Sharon ha ringraziato il presidente egiziano Hosni Mubarak per la scarcerazione del cittadino druso israeliano Azzam Azzam, rilasciato all’inizio del mese dopo otto anni di detenzione al Cairo con un’accusa di spionaggio. Sharon ha aggiunto che una efficace prevenzione da parte egiziana del traffico palestinese di armi tra Sinai e Gaza permetterebbe a Israele di ritirarsi dalla Philadelphi Route, la striscia di terra larga 25 metri al confine fra Egitto e striscia di Gaza che i soldati israeliani pattugliano in base agli accordi di Oslo.
    Sharon ha elogiato le forze di sicurezza israeliane per la loro difficile lotta contro le organizzazioni terroristiche, ricordando come negli ultimi quattro anni, dopo l’inizio dell’intifada, Israele abbia dovuto affrontare terrorismo, recessione economica e isolamento internazionale. “Abbiamo dovuto evitare un collasso sul piano economico e della sicurezza. Ci siamo riusciti grazie ai nostri coraggiosi soldati e alle riforme finanziarie, che hanno posto Israele in condizione di tornare a crescere e integrarsi nell’economia globale. Il miglioramento delle condizioni di sicurezza ci permetterà di investire di più in campo sociale ed educativo e di operare per restringere i gap socio-economici”.
    Il sostegno che Iran e Siria offrono alle organizzazioni terroristiche ostacola gli sforzi degli Stati Uniti per portare riforme e democrazia in Medio Oriente. L’Iran e gruppi come Hamas, Jihad Islamica e Hezbollah invocano pubblicamente ed esplicitamente la distruzione dello Stato di Israele. Dunque l’esistenza di Israele è ancora in pericolo. Ma oggi, secondo Sharon, ci troviamo di fronte a una grande opportunità. “Siamo costretti a difenderci dal terrorismo e lo sappiamo fare. Ma il 2005 può essere l’anno della grande occasione, l’occasione di porre fine alle minacce contro la pace e dare inizio a un duraturo accordo fra israeliani e palestinesi. Faremo tutto ciò che è in nostro potere per assicurarci che il prossimo anno sia un anno di opportunità e non un anno di occasioni mancate”.

    (Da: Ha’aretz, Jerusalem Post, 16.12.04)
    "


    Shalom

  3. #3
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    Predefinito Sharon può dire che il ritiro....

    ….da Gaza non è unilaterale

    Herzliya. Il premier israeliano, per la prima volta (e la Conferenza di Herzliya è proprio il luogo delle prime volte per Ariel Sharon), dice “mutual”, in ebraico, riferendosi al piano di ritiro da Gaza: non più unilaterale, dunque, ma coordinato, magari negoziato, con i palestinesi.
    Per il discorso di ieri di Sharon c’erano molte aspettative, il pubblico in sala sperava che il premier rivelasse nuovi punti strategici della sua agenda per il 2005. Quest’anno, però, “Arik” ha voluto soprattutto evidenziare l’operato del suo governo, da quando nel 2003 aveva esposto, per la prima volta e sempre alla conferenza di Herzliya, il piano di separazione.
    “Il 2005 – ha detto Sharon –deve essere l’anno delle opportunità”.
    Il premier ha sottolineato come il rapporto con gli Stati Uniti si sia consolidato e come lo Stato di Israele sia riuscito a ottenere l’appoggio politico della comunità internazionale grazie al piano di ritiro da Gaza.
    Sharon ha anche voluto evidenziare il rapporto di lealtà e di amicizia con il presidente George W. Bush, che non ha mai mancato di dare garanzie allo Stato ebraico, come sulla questione del ritorno dei rifugiati palestinesi in Israele, tema di rilevante importanza per Gerusalemme.
    Il pubblico ha notato il forte ottimismo di Sharon, che continuava a ripetere come il 2005 debba essere l’anno del cambio storico per la nazione ebraica. Il premier ha inoltre ringraziato pubblicamente il presidente egiziano Hosni Mubarak per l’appoggio dell’Egitto a Israele nella striscia di Gaza.
    Inoltre, rivolgendosi chiaramente ai religiosi, Sharon ha detto che il piano di ritiro da Gaza non può essere motivo di divisioni all’interno della società ebraica, ma anzi unisce la nazione nello scopo di mantenere l’identità ebraica di Israele.
    L’ultimo tema toccato è stato il pericolo incombente che costituisce l’Iran.
    Prima di lui, il protagonista della giornata era stato il nuovo capo della destra francese, Nicolas Sarkozy, rivale del presidente francese Jacques Chirac. Il suo intervento era molto atteso.
    Già da due giorni in Israele, il leader dell’Ump si è presentato davanti ai partecipanti al meeting sicuro di sé, con un sorriso pronto a conquistare il pubblico. Tutte le televisioni erano su di lui, mentre apriva il suo discorso con le parole che gli israeliani volevano ascoltare. Dopo i primi quindici minuti, Sarkozy ha fatto quasi dimenticare che qualche ora dopo ci sarebbe stato il tradizionale discorso di chiusura di Sharon.
    “La Francia capisce il vostro dolore – ha detto – Il terrorismo in tutte le sue forme non può essere scusato. Ammiro il vostro coraggio”.
    Sarkozy ha affermato che Parigi non transigerà mai sulla sicurezza d’Israele. “Siamo solidali con le vostre vittime. I vostri figli sono i nostri figli”. Uno scroscio di applausi ha accompagnato la chiusura del suo discorso, mentre il moderatore augurava a Sarkozy di potersi ritagliare un ruolo più significativo nel suo paese per “il bene della Francia”.
    Il summit di Herzliya è stato anche il foro di discussione delle relazioni tra Israele e Siria. Il ministro degli Esteri, Silvan Shalom, ha detto di essere ottimista sulla possibilità dell’avvio di negoziati di pace tra i due paesi, suscitando le critiche del premier israeliano. Shmuel Bar, ricercatore al centro di studi strategici di Herzliya, spiega al Foglio che assieme a Uzi Arad, ex direttore del Mossad, ha proposto in questi giorni un piano per la risoluzione del conflitto con la Siria, che coinvolgerebbe anche il regno hashemita di Giordania. Il piano, non attuabile nell’immediato, prevede che Israele mantenga la parte orientale delle alture del Golan, in cambio la Siria sarebbe ricompensata da Amman con un’area confinante tra i due paesi, già popolata da siriani. Gerusalemme cederebbe a sua volta alla Giordania una parte della valle di Arava, a sud del mar Morto, che permetterebbe al regno hascemita un accesso al Mediterraneo. Il piano tiene in considerazione il continuo cambiamento demografico e si basa su uno scambio equo di terra per chilometri quadrati e per valore monetario.

    da Il Foglio del 17 dicembre

    una grande, coraggiosa e valorosa dimostrazione democratica in una terra che ha tanto bisogno di democrazia.

    saluti

  4. #4
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    Predefinito Israele si avvicina alla Nato....

    ....e viceversa

    Bruxelles. Il premier inglese, Tony Blair, atterra oggi – primo leader occidentale a recarsi in visita in medio oriente dopo la morte di Yasser Arafat – in un Israele già diverso rispetto a qualche settimana fa.
    Una serie di segnali fa infatti credere che, dopo anni di conflitto “freddo” e intermittente, ma senza tangibili prospettive d’inversione di tendenza, la situazione stia girando.
    C’è appena stato il rilascio unilaterale, da parte delle autorità israeliane, di 170 progionieri palestinesi, scelti fra quelli che non si sono “sporcati le mani di sangue”.
    Il gesto è stato presentato come una manifestazione di buona volontà e come una risposta indiretta al rilascio anticipato, da parte dell’Egitto, di un agente israeliano da tempo detenuto nelle carceri del Cairo.
    Sul piano più strettamente politico, c’è il passo in avanti fatto nelle trattative fra il Likud del premier Ariel Sharon e il Labor Party di Shimon Peres, che dovrebbero formare una “grande coalizione”.
    Non tutti gli aspetti dell’accordo sono definiti: Peres non può ancora diventare vicepremier perché ce n’è già uno (Ehud Olmert, del Likud) e la Costituzione non ne prevede due, anche se si può sempre cambiare. Anche la spartizione dei portafogli non è ancora stata finalizzata.
    Ma gli osservatori sono convinti che l’alternativa a un eventuale fallimento, le elezioni anticipate per il rinnovo della Knesset, sia sgradita tanto al Likud quanto ai laburisti.
    Il punto centrale dell’intesa è rappresentato dall’esecuzione del piano di ritiro da Gaza già entro l’estate del 2005, e domenica Sharon ha parlato dell’anno che verrà come di “una chance storica per un salto” in avanti in tutta la regione, un’espressione echeggiata dal presidente americano George W. Bush in una conversazione con i giornalisti.
    Anche la visita di Blair potrebbe portare qualche speranza: Londra è già attiva in entrambi i campi (specialisti britannici stanno addestrando le forze di sicurezza palestinesi) e vorrebbe veder realizzato il progetto di una mini conferenza di pace da tenere a Londra all’inizio del 2005, una volta eletto il nuovo presidente dell’Autorità palestinese.
    Si parla anche di speciali stanziamenti dell’Unione europea e della Banca mondiale (anche James Wolfensohn sarà nella regione a giorni) per sostenerlo.
    E’ in questo contesto che si fa strada – per ora solo nel dibattito fra addetti ai lavori –l’ipotesi di un avvicinamento progressivo fra Israele e la Nato.
    Tsahal, l’esercito, parteciperà presto come osservatore a una serie di esercitazioni dell’Alleanza e la prospettiva che aderisca al programma Nato di Partnership per la Pace – cui sono associati anche paesi come la Georgia o l’Azerbaigian – non appare così remota. Aderire al programma non significa aderire all’Alleanza, anche se la Partnership offre accesso allo scambio di informazioni e a una certa integrazione politico-militare.
    Andare oltre questo livello di cooperazione solleverebbe problemi tanto in alcuni degli attuali paesi alleati (soprattutto in assenza di pace in medio oriente) quanto in Israele, dove si tende a privilegiare l’alleanza con gli Stati Uniti, a diffidare dei quadri multilaterali e a perseguire intese bilaterali ad hoc, come quella con la Turchia.
    Ma secondo alcuni, anche a Gerusalemme, servirebbe a rompere un tabù e ad aprire una discussione sul futuro strategico del paese in una prospettiva di pace con i palestinesi, ma anche di ingresso dell’Iran nel “club” nucleare, o di collasso saudita.
    Da questo punto di vista, le garanzie di sicurezza e protezione offerte dalla Nato potrebbero diventare interessanti.
    Ma l’Alleanza atlantica potrebbe assumere un ruolo per la sicurezza di Israele anche prima, come garante di un accordo di pace con i palestinesi, con forze Nato (americane e europee) schierate in Cisgiordania e impiegate in funzioni di addestramento, cioè quello che i britannici (e la Cia) stanno già facendo.

    Da Il Foglio del 21 dicembre

    saluti

  5. #5
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    Predefinito Peres vuole allearsi con Sharon…

    …per ottenere una tripla vittoria

    Gerusalemme. Ieri si è riunita la Commissione centrale del partito laburista e ha approvato l’accordo raggiunto con il Likud per la formazione di un governo di unità nazionale. Per soddisfare le richieste del partito laburista e l’ego del suo leader, la Knesset sta cercando di emendare rapidamente la Legge fondamentale israeliana per permettere la nomina di Shimon Peres a secondo vice primo ministro. Peres, leader transitorio dei laburisti, ha ottenuto una tripla vittoria nel negoziare l’entrata al governo del suo partito: ha guadagnato otto posti ministeriali e tre sottosegretariati, nonostante la relativa debolezza numerica; si è garantito un ruolo importante nell’attuazione del piano di disimpegno da Gaza, strappandone potenzialmente parte del merito al Likud; è riuscito a ridurre i tagli alla spesa pubblica voluti fortemente da Benjamin Netanyahu che ora, questo il prezzo da pagare per evitare le elezioni, si ridurranno di quasi un miliardo di shekel, circa 180 milioni di euro. Peres guadagnerà quindi un importante ruolo nel processo diplomatico, acquisterà visibilità politica per se stesso e per il suo partito e rimanderà di almeno un anno le elezioni che, in caso di mancato accordo, sarebbero invece avvenute tra breve e avrebbero giocato contro i laburisti. Peres avrebbe dovuto cedere il passo agli aspiranti e governare lo scontro interno al partito tra il recidivo ex premier Ehud Barak e altri sfidanti. Grazie all’entrata al governo e alla necessità di unità politica nel partito e nella compagine governativa in vista del disimpegno da Gaza, potrà rimandare le primarie sino alla vigilia delle elezioni, previste per l’autunno 2006.
    La permanenza al governo permetterà di rafforzare il partito proprio in vista delle elezioni a scapito di Shinui, che aveva beneficiato nel 2003 dell’emorragia elettorale laburista ma che ora, uscito dal governo rischia invece di perdere terreno, relegato all’opposizione ma impossibilitato a opporsi alla questione del disimpegno.
    I laburisti sono riusciti a ottenere due ministeri lasciati da Shinui, Interno e Infrastrutture, che potrebbero aumentare la popolarità, oltre che il potere, di chi li guida.
    I laburisti ora possono presentarsi come i salvatori della patria: hanno impedito al piano di disimpegno di arenarsi e cercheranno di imporre un’accelerazione al processo di pace, tentando di trasformare il disimpegno nel primo passo verso il ritorno alla road map. Se ciò non avvenisse, dopo il disimpegno potrebbero puntare al voto anticipato, sperando che gli eventi diano nel frattempo ragione alla loro visione politica e torto a quella, molto più pessimista e per questo unilaterale, del premier Ariel Sharon.
    Vi sono però due incognite: le rivalità tra candidati alla successione di Peres e la tradizionale propensione dello stesso all’intrigo ai danni di quasi tutti i primi ministri sotto i quali ha servito possono destabilizzare l’esecutivo facendo la fronda all’interno della coalizione.
    Dai governi d’unità nazionale in poi Peres ha sempre cercato di gestire una politica estera indipendente. E oggi, infatti, Peres accoglie accanto a Sharon e al ministro degli Esteri Silvan Shalom il premier inglese Tony Blair, in Israele per convincere il governo a partecipare alla conferenza di pace di Londra all’inizio dell’anno.
    La tentazione anche questa volta potrebbe essere forte, ma sarebbe controproducente.
    Questo è l’anno del disimpegno, e finché la sua attuazione non sarà completata, è nell’interesse personale e di partito di Peres cooperare con Sharon.

    Su Il Foglio

    saluti

  6. #6
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    Israele: Simon Peres sara' braccio destro del premier Sharon
    30/12/2004 - 11: 58
    Secondo un accordo firmato stamani tra Labour e Likud

    (ANSA) - GERUSALEMME, 30 DIC - Il leader laburista israeliano Shimon Peres sara' nel nuovo governo del paese il numero due del premier Ariel Sharon. Lo ha annunciato un comunicato emesso dall'ufficio dello stesso premier secondo il quale un accordo in questo senso e' stato firmato stamani dal deputato laburista Haim Ramon. Nel comunicato si precisa che 'l'accordo di coalizione governativa non tocchera' le prerogative, stabilite per legge, del vice premier e premier a interim (Ehud Olmert)'.
    copyright @ 2004 ANSA

    Link

    Sembra che le cose si stiano davvero mettendo bene...
    Le speranze di pace sono concrete come non lo sono mai state. Alle elezioni palestinesi ora il compito di dare la spinta finale, di creare anche l'ultima condizione necessaria.

    Incrociamo le dita...

  7. #7
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    Predefinito

    Finalmente si ritorna alla formula dell'Unità Nazionale. In questo modo Sharon si emancipa in gran parte dal condizionamento della destra del suo partito e dei partiti integralisti religiosi e la parte maggioritaria e ragionevole del partito laburista........ dai pacifisti oltranzisti ingenui.
    La strada sarà lunga.....ma questa è la via giusta.

    Shalom

  8. #8
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    Predefinito

    Da notare che ora, con l'ingresso di Peres nell'esecutivo, anche le sinistre europee non potranno più esimersi dall'appoggiare (o quanto meno dal non ostacolare) il processo di pace.
    Parlo ovviamente delle sinistre serie, ovvero di quella parte (significativa ma temo non egemone) che si ispira alla "socialdemocrazia" (mah) e non al socialismo-comunismo.

  9. #9
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    Purtroppo non è così automatico. Speriamolo.

    Shalom

  10. #10
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    VOTO ANP/ SCRUTINATI 10 DISTRETTI SU 16, 65% PER ABU MAZEN
    10/01/2005 - 08: 50
    Segue Barghouti col 21%


    Ramallah, 10 gen. (Ap) - Dopo lo scrutino di 10 distretti su 16, Abu Mazen risulta in testa nel voto per la nuova presidenza dell'Anp col 65% dei consensi.Lo rende noto un esponente della commissione elettorale centrale sotto condizione di anonimato.

    Il principale sfidante di Abu Mazen, Mustafà Barghouti ha ottenuto il 21% dei consensi mentre gli altri 5 candidati sono tutti al di sotto del 10%.

    I risultati finali del voto di ieri sono attesi per la serata di oggi.
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    Automatico forse no, come ci fa notare l'amico Pieffe... ma mi pare che i commenti siano unanimi: soddisfazione e speranza.

 

 
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