Luca Leonello Rimbotti

L'uomo astratto e universale è un detrito del peggior kantismo illusionistico. Universalismo intellettuale, forzato umanismo, moralismo generico. Queste le depotenziate categorie di pensiero che hanno partorito il più meschino dei cyborg: un essere inesistente, falso, impoverito di tutte le naturali doti umane: l'uomo universale. Quest'uomo irreale, mai esistito da nessuna parte, uscito fuori dalle divagazioni concettuali di qualche aristocratico dei secoli XVII e XVIII, quest'uomo non di carne e sangue, non vivente di appartenenza, destino, storia e cultura, ma frutto di immaginazione, di odio per la natura, di passione insana per la costruzione artificiale, quest'uomo è un semplice concetto come tanti. Eppure, è in nome di questo androide immaginario che da un paio di secoli l'umanità è costantemente investita dalle paranoie e dalle intolleranze giacobine, che non la smettono di voler sovrapporre il loro mondo di concetti astratti al mondo reale, imponendo la loro inesistente "umanità" ai popoli quali sono e quali sono sempre stati. L'ideologia dei "diritti dell'uomo", in questo modo, da trovata estemporanea, da costruzione artefatta del concettualismo illuministico, è divenuta la protagonista assoluta di tutte le politiche democratiche: la chiave di volta propagandistica del partito unico universalista. E' il ponte su cui corre veloce la globalizzazione, che di spersonalizzazione, di genericità e di annullamento identitario si nutre. Gli Stati Uniti d'America, sulla scorta del loro morboso messianismo universale di conio biblico-puritano, sono i tragici esecutori materiali di alcuni diktat ideocratici che, se non fossero quotidiani portatori di morte, sarebbero esilaranti. Tra di essi, apici dell'assurdo come il proclamato "diritto alla felicità", ci danno testimonianza di quanto lontano si sia spinta l'adolescenziale immaturità degli utopisti: se non fosse che questi argomenti, da risibili che sono, diventano drammatici se posti in mano a quella sorta di bambino criminale che sono gli USA, da sempre abituati a maneggiare giocattoli di morte: dal fucile Winchester adoperato contro gli inermi Pellerossa alla bomba atomica. Il cieco fanatismo dei rieducatori del genere umano è un disegno di sterminio per tutti coloro che non credono allo storico inganno di una democrazia, i cui liberali diritti si espandono nel mondo con l'eloquente parola evangelizzatrice dei missili. Si nasconde in tutto questo la regressiva utopia di un nuovo e distorto diritto naturale basato sulla concezione privata e individualistica della società, volto a demolire i secoli e i millenni di diritto positivo che, da Aristotele a Machiavelli, da Hobbes a Hegel a Schmitt, avevano inteso di portare disciplina etica nella convivenza umana, adoperandosi per una conciliazione civile tra legge di natura e ordine tecnico-razionale della società: non contratto individualistico, dunque, ma ordine organico totale, sintesi etica di un superiore senso della giustizia comune. Non quindi l'assolutismo dell'individuo astratto, ma la totalità delle persone reali, non disgiungibili dal loro patrimonio giuridico comunitario ereditario. E' per tenere in piedi quel fantoccio virtuale che è "l'umanità", partorito dalla fantasia di alcuni allucinati utopisti, che da duecento anni si umiliano i popoli, iniettando nelle loro vene il veleno del dubbio su ogni antica e sudata certezza. Spingendoli verso il tradimento di sé, questi utopisti cosmopoliti ottengono dai popoli esattamente ciò che desiderano: l'abbandono progressivo dell'identità, la sovversione delle necessità vitalistiche, organiche e naturali, soppiantate da un prontuario di sciocchezze elevate al rango di indiscutibili totem. Nella realtà del mondo, non esiste alcuna "umanità". Esistono uomini, ben riconoscibili tra loro in quanto nobilitati dalle differenze, in base alle quali essi appartengono alla comunità, che fa di loro qualcosa di prezioso, di unico e di irripetibile. L'uomo vero è fatto di bios e di techne, di natura e di cultura: cioè di gene ereditario e di apprendimento comunitario. Quest'uomo esiste, è sempre esistito: è l'uomo eterno, che veicola un sapere intessuto dalla vicinanza, dalla quotidianità, dalla reciprocità che intrecciano nei secoli immaginazione, fantasia, mitopoiesi, psiche e corporeità, creando lo stupefacente patrimonio delle culture, della diversità inesauribile che è lo stigma delle grandi creazioni del genio individuale, come di quello comunitario. Un Michelangelo privato della sua struttura di appartenenza bio-storica, privato della sua natura di erede, non avrebbe potuto esprimersi ai suoi livelli: sia le tecniche apprese in un determinato contesto, quello in cui è nato ed è vissuto, sia l'immaginativa, sia il talento individuale sia quello di stirpe, nel suo caso sono apparsi concentrati in un unico uomo: ed ecco il genio. Un Lao-tsu non sarebbe pensabile al di fuori del contesto taoista, è inimmaginabile come "uomo universale" privo di cultura di riferimento, privo di referenti metafisici, linguistici, storici, tradizionali etc., che in lui si sono manifestati, e non potevano non manifestarsi, in quel momento e in quel luogo…Sempre l'individualità d'eccezione è l'altra faccia della realtà comunitaria di un popolo. L'uomo non è l'inesistente "uomo di natura" pensato da Rousseau in qualcuno dei suoi numerosi momenti di appannamento: l'inganno dei "diritti dell'uomo" deriva ancora da quell'immaturo abbaglio di credere all'esistenza di un archetipo da laboratorio - il famoso "buon selvaggio" - che gli illuministi settecenteschi pensarono di aver trovato in uomini che invece, e più ancora degli europei, erano legati alle loro arcaiche strutture di appartenenza tribale, familiare, di stirpe. Questa fissazione illuminista ha causato non poche sciagure nel suo dilagare per il mondo, e ancora non si stanca di distribuire il suo carico di odio per la vita e di inganno ideologico. L'uomo come individuo trae la sua più alta nobilitazione dal senso dell'appartenere. L'apolide non è nessuno, poiché non si riferisce a nessuno. Egli incarna l'idea di uomo universale, cioè una non-esistenza: non è nessuno, poiché pretende di essere e rappresentare tutti. E l'idea di "tutti" è talmente generica, che non esiste nell'oggettivo realismo della mente umana, non può trovar posto nella realtà pensabile e rappresentabile, ma solo in quella macchina di invenzioni cerebrali che, allo stesso modo, può liberamente fantasticare di marziani, giganteschi o lillipuziani Gulliver, società perfette, città ideali, paradisi, nuove Sion e così via…L'uomo vero, l'uomo creato dal gene della vita e non dal pensiero, non vive di genericità immaginativa, ma di solida realtà e di potenti miti, dalla stessa realtà scaturiti come fonti di rappresentazione delle forze e delle dinamiche eterne di natura. L'uomo non conosce "l'uomo" e neppure "l'umanità", ma il prossimo: e persino Gesù ammoniva ad amare il prossimo, cioè l'altro vivo e vero, colui che vive accanto veramente, che possiamo toccare e con cui parliamo, e non sobillava affatto ad amare una generica "umanità": concetto inesistente presso tutti i popoli in tutte le epoche, e presente solo nei trattati illuministi e nelle costituzioni massonico-puritane della Francia e degli USA. Diceva Maurice Barrés che "i popoli sono uguali nella loro incompatibilità". Quando sono sani, i popoli sono sempre incompatibili. Entità vigorose non si corrompono aprendosi a casaccio all'altro-da-sé, così come si apre una casa vuota in cui non ci sia più nulla da proteggere, così come si apre la valva morente. Entità marce, all'opposto, usano negare se stesse, attraversate da un intimo brivido di dissoluzione, e per sentirsi vive si aggrappano al surrogato delle categorie intellettuali universali. L'innesto dell'intera concezione politica mondiale sulla retorica dei "diritti dell'uomo" non è che l'ennesima maschera dietro a cui si nasconde l'eterna volontà di rapina di quanti aspirano alla dominazione del mondo. Parlano di umanità, in modo da non dover essere costretti a fare i conti con rocciose e resistenti realtà, i popoli. Parlano di diritti, in modo da non dover fare i conti con i doveri, i propri e quelli che ogni nazione ha verso se stessa. Solo chi tradisce i doveri straparla di diritti. E noi sappiamo che ogni matura comunità si edifica prima di tutto sui doveri, che sono il cardine della reciprocità e della vera solidarietà. E l'universalismo non è affatto nobiltà di sentimenti umani, ma il più comodo mezzo su cui viaggia il concretissimo mercantilismo internazionalista, che non conosce popoli, ma masse. Masse di umanità rimescolate e private di anima: "L'umanità - ha scritto Carl Schmitt - è uno strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche ed è, nella sua forma etico-umanitaria, un veicolo specifico dell'imperialismo economico". Questa nitida fotografia scattata da Schmitt a quell'epocale stortura che è la "filosofia" dei diritti dell'uomo strappa la maschera dal volto di quanti, negando l'oggettivo relativismo differenzialista di uomini e popoli, negano la vita, la natura e la storia. E così, proprio i teorici del materialismo, i guru dell'oggettività, diventato i patetici portatori dell'illusione, del bluff, dell'utopia, tutte ingannevoli affabulazioni messe al servizio dei conti di cassa degli speculatori cosmopoliti. La legittimità della volontà nazionale-popolare, in quanto volontà individuata, basta da sola a togliere di mezzo le pretese ideologizzanti dei falsi egualitarismi. E il vero e unico umanesimo - che è l'opposto dell'umanismo illuministico - poggia sul diritto di natura che ogni comunità umana sana deve rivendicare, nel senso di confidare nella forza dello sguardo sul mondo circostante proprio ad ogni popolo: questo crea la cultura, il comune sentire, la fratellanza tra simili che insieme condividono fatica e progetto, vita e morte. Come è possibile che quella innominabile ragnatela psichica che è la modernità poggi ancora i suoi contorti "diritti" su impotenti polluzioni letterarie, come la "società generale" dei vari Diderot, devianze razionaliste già date per morte e sepolte due secoli fa? Come è possibile ancora oggi, che il mondo è in pasto al conflitto cronico scientificamente programmato, pretendere l'asservimento dei popoli nel nome di un'utopia di assolutismo che è gestita dagli stessi artefici dell'etnocidio in serie? Il diritto di ogni popolo consiste nella protezione e nel potenziamento della sua vita biologica e mitica. Questo diritto è tutta quanta la cultura. Il vacillare su questo punto è un invito all'avanzare della malattia mortale dell'universalismo, con tutti i suoi demoni dell'oblio, del rinnegamento, della divisione parcellizzante fino all'ultima e più povera, più disperata e più inerme cellula: l'individuo solo. Davanti al nulla rappresentato dai "diritti dell'uomo" sta la massiccia oggettività del diritto che ogni popolo ha di veder riconosciuti in faccia al mondo la propria specificità, la propria identità, il proprio prezioso patrimonio ereditario di cultura, di tradizione, di con-vivenza col suolo che è lo spazio geo-storico del proprio unico e ineguagliabile destino. La legge della bio-diversità distribuisce per natura ad ogni popolo talenti in misura diseguale, ma sempre tali da assegnare ad ognuno il diritto a veder riconosciuta una particolarità in cui risiedono il valore, la fierezza e l'onore di un legame non equiparabile a nessun altro. Il diritto dei popoli è essenzialmente legame, il diritto di veder protetto il reticolo di quei preziosi vincoli che creano la solidarietà tra uomini che con-vivono e con-dividono un destino. I generici diritti dell'uomo, al contrario, sono essenzialmente la sanzione di uno scioglimento. I legami spezzati sciolgono, avviano all'abbandono, disperdono in un vagare privato di ancoraggi: ab-soluti, cioè per l'appunto sciolti, assoluti e assolutisti, sono quei diritti che agli uomini non promettono altro che il disperante tradimento della relazione comunitaria. La massa mondiale di individui così sciolti e spezzati, a questo punto, non avrà più da pretendere alcun diritto, neppure alla vita. Già lo vediamo. Ad esempio, gli attacchi della tecnoscienza, che notoriamente lavora per lo più al servizio degli interessi cosmopolitici, già avanza crescenti minacce alla stessa integrità dell'uomo non più solo etica o psico-fisica, ma biologica. Essi non sono che l'avanguardia di ciò che aspetta al varco i popoli, rintanato dietro la retorica dei "diritti": assalto diretto alle basi stesse della vita, demolizione finale di ogni struttura di resistenza al caos mondialista. Una resistenza è possibile solo con l'organizzazione, e l'organizzazione è di nuovo organismo, comunità, socializzazione tra uomini entro sistemi di appartenenza: nazioni, Stati, comunità solidali, aggregazioni in gruppi, fino alla tribù, fino alle più minute tradizioni locali. Oggi, di fronte al pericolo di morte che è ìnsito nel disegno di trasformare i popoli del pianeta in una indifesa poltiglia umana indifferenziata, esiste un solo diritto: quello di lottare per ogni frammento di identità, facendo di ogni legame - dalla famiglia alla terra patria, dalla cultura etnica alla solidarietà di popolo - una linea di resistenza, sempre più tenace, sempre più risoluta.