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    Thumbs up Una Farsa I Processi Ai Vinti

    DI MASSIMO FINI


    Sono cominciati in Iraq, davanti a un Tribunale Speciale, i processi ai principali gerarchi del regime di Saddam Hussein e allo stesso rais. Com'è noto il capostipite di questi processi dove i vincitori giudicano i vinti è stato, all'indomani della seconda guerra mondiale, quello di Norimberga ai capi politici e militari della Germania nazista sconfitta. Il processo di Norimberga fu un fatto inaudito, nel senso letterale di mai udito prima nella pur lunga e variegata storia del mondo. Ma oggi simili processi sono diventati quasi una prassi grazie all'egemonia degli americani che di Norimberga furono i principali fautori (gli inglesi e i russi erano contrari quanto ai francesi dovevano far dimenticare che sedevano del tutto arbitrariamente al tavolo dei vincitori).
    Ciò nondimeno questi processi ai vinti suscitano anche oggi le stesse perplessità - o forse ancora maggiori - che sollevò Norimberga soprattutto in ambienti liberali.

    Scriveva l'americano Rusten Vambery, docente di diritto penale, sul settimanale «The Nation» del 1. dicembre 1945: «Che i capi nazisti e fascisti debbano essere impiccati e fucilati dal potere politico e militare non c'è bisogno di dirlo, ma questo non ha niente a che vedere con la legge... Giudici guidati da «sano sentimento popolare», introduzione del principio di retroattività, presunzione di reato futuro, responsabilità collettiva di gruppi politici e razziali, rifiuto di proteggere l'individuo dall'arbitrio dello Stato, ripristino della vendetta tribale, tutti questi erano i punti salienti di quella che la Germania di Hitler considerava legge. Chiunque conosca la storia del diritto penale sa quanti secoli, quanti millenni, ci sono voluti perché esattamente il contrario di questa storia e di questa prassi nazista fosse riconosciuto come parte integrante del diritto e della giustizia. Sfortunatamente i capi d'accusa formulati dal Tribunale militare internazionale contro i principali criminali di guerra ricordano, per certe caratteristiche, il diritto «hitleriano...».

    E il grande intellettuale liberale Benedetto Croce in un coraggioso discorso (perché ci voleva del coraggio allora - e forse ancora oggi) tenuto all'Assemblea costituente il 24 luglio 1947, affermava: «Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai giorni nostri (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo) i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituito per giudicare, condannare e impiccare, sotto il nome di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti; abbandonando la diversa pratica esente da ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni di loro e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra».

    Per parte mia, come scrivevo in un articolo sull'Europeo dell'ormai lontano 1986, sono sempre stato contrario a questi processi, anche per altre ragioni oltre a quelle splendidamente sviluppate da Vambery e Croce.

    1) Perché fanno coincidere il diritto con la forza. La forza del vincitore. Ora, per parafrasare Vambery, Dio sa quanti secoli, quanti millenni, ci sono voluti per ottenere il contrario, per sostituire il diritto della forza con la forza del diritto.

    2) Un processo del genere ha come presupposto che i vincitori oltre che più forti siano anche moralmente migliori dei vinti. Anche ammesso che un simile giudizio abbia un senso, chi può darlo è solo la Storia, vale a dire il passaggio del tempo che consente il recul necessario per fornire una risposta passabilmente oggettiva, non certo il vincitore che è una delle parti in causa.

    3) Questi processi sono fatti per umiliare i capi dei vinti. Le cronache delle prime udienze, che riguardano Alì Hassan al-Mauid, cugino di Saddam, il famigerato «Alì il chimico» e il ministro della Difesa, Sultan Hashim e che sono trasmesse anche in video, descrivono così gli imputati: «Hanno giacche un po' troppo larghe, pantaloni senza cintura e camicie senza cravatta... Prigionieri. Inoffensivi. Umiliati... le immagini dell'istruttoria sono diventate soprattutto uno spettacolo di dissacrazione». Spettacolini fuori ordinanza, morbosi e subliminalmente osceni che piacciono molto alla plebaglia che poi, in genere, è la stessa che un tempo adulò lascivamente il dittatore decaduto di turno, come fu per il Mussolini appeso per i piedi e pisciato a piazzale Loreto. Comunque, a parte il fatto che interrogare qualcuno con i calzoni che gli cascano, in modo che si ridicolizzi nel tentativo di tenerseli su, era una pratica nazista, l'umiliazione pubblica è una tortura, la peggiore perché colpisce l'individuo non nella carne, dove, se ha tempra, può tener botta, ma nello spirito, senza difesa. In qualsiasi civiltà che seppur feroce abbia conservato un minimo senso dell'umano non si tortura e non si umilia il nemico vinto, lo si uccide. Montaigne nei suoi Saggi (capitolo XXXI) racconta come i cannibali brasiliani trattassero con rispetto i loro prigionieri per poi ucciderli e mangiarli secondo i propri rituali. Questa antropofagia aveva lo scopo di incorporare la forza del nemico vinto ed era quindi, a modo suo, un segno di riconoscimento. I Nuer, etnia nera del Sudan meridionale, quando, in una qualche periodica razzia, catturavano i tradizionali nemici Dinka avevano regole severissime per cui non solo non si potevano avere rapporti sessuali di qualsiasi tipo con i prigionieri (vero Abu Graib?) ma non si poteva ordinar loro nemmeno di portare un bicchiere d'acqua, per non umiliarli. Dopo di che il Dinka prigioniero o veniva ucciso o, più spesso, integrato nella comunità e diventava un Nuer a tutti gli effetti.

    4) I processi ai vinti sono una farsa. Non solo perché le sentenze sono già scritte, ma perché se fossero processi veri sul banco degli imputati dovrebbero salire anche ben altri personaggi. Prendiamo proprio il caso di «Alì il chimico», un vero pendaglio da forca che ha «gasato», con le armi chimiche, 5000 curdi ad Halabya e un numero imprecisato di sciiti iracheni nel sud del Paese. Ma chi ha dato quelle armi a Saddam Hussein? Gli americani, i francesi e, via Germania Est, i russi. E gliele hanno date proprio perché il rais, lasciato appositamente in sella nella prima guerra del Golfo (dopo che le «bombe intelligenti» e i «missili chirurgici» avevano ucciso 160 mila civili, fra cui 32.195 bambini), le usasse in funzione anticurda (l'indipendentismo curdo in Iraq costituisce un grosso pericolo per l'alleata Turchia che ha nel suo territorio alcuni milioni di curdi che aspirano a loro volta all'indipendenza) e antisciita perché gli sciiti, prima aizzati dagli americani alla rivolta contro Saddam, a guerra in corso, per facilitare le operazioni, dovevano essere poi riportati rapidamente all'ordine perché non creassero una Repubblica islamica e teocratica sul modello iraniano, cosa che agli Usa non garbava e non garba.

    A me l'ipocrisia degli occidentali comincia a dare un voltastomaco che monta di giorno in giorno e che non riesco più a frenare. Preferisco i cannibali.

    Massimo Fini
    Fonte:www.ilgazzettino.it
    22.12.04
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
    Totila
    Ospite

    Predefinito Re: Una Farsa I Processi Ai Vinti

    Originally posted by Der Wehrwolf
    DI MASSIMO FINI


    Sono cominciati in Iraq, davanti a un Tribunale Speciale, i processi ai principali gerarchi del regime di Saddam Hussein e allo stesso rais. Com'è noto il capostipite di questi processi dove i vincitori giudicano i vinti è stato, all'indomani della seconda guerra mondiale, quello di Norimberga ai capi politici e militari della Germania nazista sconfitta. Il processo di Norimberga fu un fatto inaudito, nel senso letterale di mai udito prima nella pur lunga e variegata storia del mondo. Ma oggi simili processi sono diventati quasi una prassi grazie all'egemonia degli americani che di Norimberga furono i principali fautori (gli inglesi e i russi erano contrari quanto ai francesi dovevano far dimenticare che sedevano del tutto arbitrariamente al tavolo dei vincitori).
    Ciò nondimeno questi processi ai vinti suscitano anche oggi le stesse perplessità - o forse ancora maggiori - che sollevò Norimberga soprattutto in ambienti liberali.

    Scriveva l'americano Rusten Vambery, docente di diritto penale, sul settimanale «The Nation» del 1. dicembre 1945: «Che i capi nazisti e fascisti debbano essere impiccati e fucilati dal potere politico e militare non c'è bisogno di dirlo, ma questo non ha niente a che vedere con la legge... Giudici guidati da «sano sentimento popolare», introduzione del principio di retroattività, presunzione di reato futuro, responsabilità collettiva di gruppi politici e razziali, rifiuto di proteggere l'individuo dall'arbitrio dello Stato, ripristino della vendetta tribale, tutti questi erano i punti salienti di quella che la Germania di Hitler considerava legge. Chiunque conosca la storia del diritto penale sa quanti secoli, quanti millenni, ci sono voluti perché esattamente il contrario di questa storia e di questa prassi nazista fosse riconosciuto come parte integrante del diritto e della giustizia. Sfortunatamente i capi d'accusa formulati dal Tribunale militare internazionale contro i principali criminali di guerra ricordano, per certe caratteristiche, il diritto «hitleriano...».

    E il grande intellettuale liberale Benedetto Croce in un coraggioso discorso (perché ci voleva del coraggio allora - e forse ancora oggi) tenuto all'Assemblea costituente il 24 luglio 1947, affermava: «Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai giorni nostri (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo) i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituito per giudicare, condannare e impiccare, sotto il nome di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti; abbandonando la diversa pratica esente da ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni di loro e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra».

    Per parte mia, come scrivevo in un articolo sull'Europeo dell'ormai lontano 1986, sono sempre stato contrario a questi processi, anche per altre ragioni oltre a quelle splendidamente sviluppate da Vambery e Croce.

    1) Perché fanno coincidere il diritto con la forza. La forza del vincitore. Ora, per parafrasare Vambery, Dio sa quanti secoli, quanti millenni, ci sono voluti per ottenere il contrario, per sostituire il diritto della forza con la forza del diritto.

    2) Un processo del genere ha come presupposto che i vincitori oltre che più forti siano anche moralmente migliori dei vinti. Anche ammesso che un simile giudizio abbia un senso, chi può darlo è solo la Storia, vale a dire il passaggio del tempo che consente il recul necessario per fornire una risposta passabilmente oggettiva, non certo il vincitore che è una delle parti in causa.

    3) Questi processi sono fatti per umiliare i capi dei vinti. Le cronache delle prime udienze, che riguardano Alì Hassan al-Mauid, cugino di Saddam, il famigerato «Alì il chimico» e il ministro della Difesa, Sultan Hashim e che sono trasmesse anche in video, descrivono così gli imputati: «Hanno giacche un po' troppo larghe, pantaloni senza cintura e camicie senza cravatta... Prigionieri. Inoffensivi. Umiliati... le immagini dell'istruttoria sono diventate soprattutto uno spettacolo di dissacrazione». Spettacolini fuori ordinanza, morbosi e subliminalmente osceni che piacciono molto alla plebaglia che poi, in genere, è la stessa che un tempo adulò lascivamente il dittatore decaduto di turno, come fu per il Mussolini appeso per i piedi e pisciato a piazzale Loreto. Comunque, a parte il fatto che interrogare qualcuno con i calzoni che gli cascano, in modo che si ridicolizzi nel tentativo di tenerseli su, era una pratica nazista, l'umiliazione pubblica è una tortura, la peggiore perché colpisce l'individuo non nella carne, dove, se ha tempra, può tener botta, ma nello spirito, senza difesa. In qualsiasi civiltà che seppur feroce abbia conservato un minimo senso dell'umano non si tortura e non si umilia il nemico vinto, lo si uccide. Montaigne nei suoi Saggi (capitolo XXXI) racconta come i cannibali brasiliani trattassero con rispetto i loro prigionieri per poi ucciderli e mangiarli secondo i propri rituali. Questa antropofagia aveva lo scopo di incorporare la forza del nemico vinto ed era quindi, a modo suo, un segno di riconoscimento. I Nuer, etnia nera del Sudan meridionale, quando, in una qualche periodica razzia, catturavano i tradizionali nemici Dinka avevano regole severissime per cui non solo non si potevano avere rapporti sessuali di qualsiasi tipo con i prigionieri (vero Abu Graib?) ma non si poteva ordinar loro nemmeno di portare un bicchiere d'acqua, per non umiliarli. Dopo di che il Dinka prigioniero o veniva ucciso o, più spesso, integrato nella comunità e diventava un Nuer a tutti gli effetti.

    4) I processi ai vinti sono una farsa. Non solo perché le sentenze sono già scritte, ma perché se fossero processi veri sul banco degli imputati dovrebbero salire anche ben altri personaggi. Prendiamo proprio il caso di «Alì il chimico», un vero pendaglio da forca che ha «gasato», con le armi chimiche, 5000 curdi ad Halabya e un numero imprecisato di sciiti iracheni nel sud del Paese. Ma chi ha dato quelle armi a Saddam Hussein? Gli americani, i francesi e, via Germania Est, i russi. E gliele hanno date proprio perché il rais, lasciato appositamente in sella nella prima guerra del Golfo (dopo che le «bombe intelligenti» e i «missili chirurgici» avevano ucciso 160 mila civili, fra cui 32.195 bambini), le usasse in funzione anticurda (l'indipendentismo curdo in Iraq costituisce un grosso pericolo per l'alleata Turchia che ha nel suo territorio alcuni milioni di curdi che aspirano a loro volta all'indipendenza) e antisciita perché gli sciiti, prima aizzati dagli americani alla rivolta contro Saddam, a guerra in corso, per facilitare le operazioni, dovevano essere poi riportati rapidamente all'ordine perché non creassero una Repubblica islamica e teocratica sul modello iraniano, cosa che agli Usa non garbava e non garba.

    A me l'ipocrisia degli occidentali comincia a dare un voltastomaco che monta di giorno in giorno e che non riesco più a frenare. Preferisco i cannibali.

    Massimo Fini
    Fonte:www.ilgazzettino.it
    22.12.04
    Verrà un giorno in cui questi crminali che giudicano, saranno giudicati e puniti.

 

 

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