EUROPA E USA, LAVORARE INSIEME SI PUO'
di Francesco Tempestini



Che l’unilateralismo americano si possa condizionare solo stando in campo, solo se l’Europa si assume le sue responsabilità non è l’inguaribile illusione dei nostalgici del rapporto transatlantico: ogni tanto trova conferma nei fatti. Innanzitutto in Ucraina dove gli europei, sia la vecchia che la nuova Europa e gli Stati Uniti, sono riusciti a parlare lo stesso linguaggio. Si è evitato un approccio cinicamente realista non accettando la tesi di Putin di una nuova divisione in zone di influenza. E’ stato invece dato alla democrazia ucraina un appoggio senza ambiguità sapendolo sempre accompagnare al ribadimento delle necessità del dialogo costruttivo con Mosca sul presupposto che non è interesse di nessuno che si alzino nuovi steccati. C’è qualcosa da dire anche per quel che riguarda l’Irak. L’obiettivo nelle elezioni è certo pesantemente condizionato e messo in forse dall’offensiva terroristica saddamita ma non si può non osservare che la guerriglia oggi appare sul piano internazionale dopo il Cairo molto più isolata. Persino la Francia ha smesso l’azione di puro contrasto e pur mantenendo le posizioni divergenti è intenzionata a collaborare. L’unico freno è purtroppo rappresentato dai regimi arabi che quando sentono parlare di elezioni e di democrazia hanno un attacco di orticaria. Sono loro ad aver spinto l’Onu al comportamento neglittoso che conosciamo ma resta comunque l’impressione che sia riavviato il dialogo e ciò è quello che conta. Se ne ha la prova nelle ripresa di relazioni positive tra il Cairo e Gerusalemme: si tratta di cogliere l’occasione che si presenta in Medio Oriente per ritessere il filo multilaterale. Se oggi gli europei riuscissero nel risultato non impossibile di “moderare” la transizione Palestinese si troverebbero ad aprire degli spazi di pace. Penso che persino di fronte al problema dei problemi, ossia l’Iran, Europa e Stati Uniti possono, come in parte hanno già fatto, pur se con una utile divisione di ruoli, governare quello che appare il vero nodo per la stabilità della regione. Sono questi segnali sufficienti a farci uscire dal cupo pessimismo in cui è stato gettato l’Occidente dalla guerra all’Irak? Mi limito ad osservare che lo stracciarsi i capelli, tracciare orizzonti tragici è congeniale non da oggi a che vede nell’America solo l’odiato nemico e che un approccio positivo è invece di chi pensa che si debba, si possa, nonostante tutto, lavorare utilmente insieme.