Risultati da 1 a 7 di 7

Discussione: Grazie Presidente

  1. #1
    l'Edera del Cugino è sempre...
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    Le praterie del dubbio - Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de' miei amici o conoscenti dimostrava d'aver perduto il senno
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    Predefinito Grazie Presidente

    IL DOVERE DELLA SOLIDARIETA’
    Maurizio Viroli
    IL messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica è stato anche questa volta il discorso di un uomo dal viso vero, che crede sinceramente agli ideali morali e politici che propone agli Italiani, primo fra tutti quello della solidarietà nei confronti dei popoli colpiti dall'immane disastro naturale dei giorni scorsi.
    Ciampi non ha parlato di un dovere astratto, ma di un dovere che nasce da un modo di sentire.
    «Mai come ora sentiamo che il mondo è uno»: oggi che le immagini della sofferenza degli altri popoli attraversano distanze che un tempo erano infinite, non esistono più scuse alla sordità morale. Non possiamo più giustificare l'indifferenza di fronte alla sofferenza dicendo «non ho visto», «non ho udito», perché oggi tutti abbiamo visto e tutti abbiamo udito. Sentire che il mondo è uno impone di trovare le vie, per quanto difficili, perché il mondo sappia agire come un mondo unito, oggi per assistere i popoli colpiti, domani per darsi regole che permettano una più efficace difesa dell'ambiente.
    Il presidente Ciampi ha collegato il dovere verso l'umanità, fondato su un nuovo comune sentire, ai doveri verso la Patria, fondati su un comune sentire che ha antiche radici storiche e vive di principi e di memorie condivisi. B]Con le sue parole ha fatto rivivere l'aspetto più alto della lezione di Mazzini, la cui immagine era in bell'evidenza sul tavolo. Per Mazzini, ha rilevato il Presidente, «la Patria è, prima d'ogni altra cosa, la coscienza della Patria»: non è un dato naturale, ma vive se e fin quando esiste la coscienza di comuni principi[/B]. Da quest'interpretazione dell'idea di Patria deriva il monito alle forze politiche di cercare convergenze e soluzioni concordate, soprattutto quando si tratta della Costituzione, che Ciampi ha collocato, accanto al Tricolore e l'Inno risorgimentale di Mameli, fra i «simboli della nostra Nazione» che gli Italiani hanno cari, così come hanno cara la memoria della Liberazione di cui quest'anno cade il sessantesimo anniversario.
    Come altre volte negli anni passati, molti politici giudicheranno il presidente Ciampi, sotto formali e false parole d'elogio, un idealista, così come in passato altri politici realisti e astuti giudicarono Mazzini un sognatore. [La semplice verità è che Mazzini ha contribuito come nessun altro a formare la coscienza della Patria, e Ciampi ha fatto riscoprire a tanti Italiani i valori della nostra Repubblica. Sarebbe ora, ma dubito che avverrà, che ci rendessimo conto che l'Italia ha bisogno di leaders politici che sappiano sentire gli ideali e indicare le vie per realizzarli.
    Di uomini che deridono gli ideali ne abbiamo avuti e ne abbiamo davvero troppi.
    viroli@princeton.edu
    (La Stampa 2/1/2005 – prima pagina)

  2. #2
    l'Edera del Cugino è sempre...
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    Predefinito

    ATTUALITA DEL FONDATORE DELLA «GIOVANE ITALIA»: PERCHÉ è IMPORTANTE IL RICHIAMO DEL CAPO DELLO STATO
    .
    La lezione mazziniana: che cosa significa essere cittadini

    «PREFERIAMO Cattaneo a Gioberti; Marx a Mazzini». Così, nell'ottobre del '22, alla vigilia della Marcia su Roma, un Piero Gobetti infiammato dall'ultima, vana battaglia contro il fascismo, abbandonava alla storia dei vinti Giuseppe Mazzini, contrapponendo, con giovanile entusiasmo, l'autore del Manifesto del partito comunista al fondatore della «Giovane Italia». Non aveva nulla da insegnare, dunque, a un rivoluzionario della prima metà del Novecento, quel predecessore del secolo precedente? E che cosa potrebbe insegnare oggi, doppiato il capo del XXI, Mazzini, agli italiani, agli europei, e a tutti gli uomini di buona volontà non accomodanti davanti alla mera accettazione dell'esistente? A donne e uomini che pretendessero ﷓addirittura ﷓ di dare un diverso indirizzo alle cose del mondo, a cominciare da quelle di casa? Ebbene, malgrado i suoi limiti, personali o legati al contesto storico, il patriota genovese ,questo sarà l'anno del bicentenario della nascita , come un vino di classe, alla distanza «tiene».
    Non v'è bisogno di enfatizzare, né è il caso di accogliere in toto il discorso politico di questo padre del Risorgimento Italiano; ma non v'è dubbio che oggi sta venendo in piena luce il significato profondo di una possibile attualità (e forse necessità) di Mazzini. Questi può essere una barriera ideale davanti all'arrogante semplicismo di quel ceto politico «nuovo», portato a galla dal tracollo della «Prima Repubblica», che propone (qui giganteggia il Cattaneo caro a Gobetti, e dopo di lui a tanti esponenti della cultura italiana, fino a Bobbio), un preteso «federalismo» nei termini di puro egoismo di provincia, o peggio, innescando consapevolmente o meno, la crisi dell'Unità nazionale. Nulla a che fare con un patriottismo nazionalistico fuori tempo massimo, anzi: Mazzini ﷓ il quale, non si dimentichi, fu un rivoluzionario professionale, che al riscatto dei popoli dedicò l'intera sua esistenza ﷓ha in mente, dietro e dopo l'Unità d'Italia, un'Europa unita e federata, con il mondo come meta ultima. Mazzini ci ha insegnato questo il senso forse più luminoso del suo discorso ﷓ che si è «patrioti» in quanto cittadini, e la patria, il luogo dei padri, non è che un punto di partenza per guardare a patrie più grandi: un isola in un mare nel quale occorre navigare, creando ponti e collegamenti tra un punto e l'altro, convinti che 1’Umanità è una e indivisibile. E che essere cittadini significa essere innanzi tutto persone intere, portatrici di una visione «politica», ossia capace di coniugare sempre l'interesse particolare (la piccola patria) a quello generale (la grande patria).
    Come negare, l'importanza oggi di questo messaggio? Un messaggio, anzi, di tutto rilievo, in questa Italia che rischia di andare a pezzi (a dispetto degli sforzi lodevoli di Ciampi), ma anche in un'Europa che stenta a trovare un'anima e in un mondo che guerre e contrasti gravissimi tengono sull'orlo della catastrofe, posto che non ci pensi la natura per suo conto.


    Angelo d'Orsi
    (La Stampa 2/1/2005 – pag.12)

  3. #3
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    Predefinito L'anno dedicato a Mazzini? Un test per la democrazia

    L'anno dedicato a Mazzini? Un test per la democrazia
    Maurizio Viroli

    NELL'ANNO appena iniziato lo ha ricordato il Presidente Ciampi nel suo messaggio, cadono il secondo centenario della nascita di Giuseppe Mazzini e il sessantesimo anniversario della Liberazione. Le due ricorrenze hanno un forte significato simbolico. Esse ricordano, infatti, le due più grandi esperienze di liberazione che l'Italia ha saputo realizzare nella sua storia: quella dal dominio straniero e quella dalla tirannide fascista e dall'occupazione nazista.
    Senza nessuna forzatura apologetica possiamo legittimamente considerare il 25 aprile del 1945 il compimento del sogno mazziniano: l'Italia tornava unita e indipendente, e un anno dopo cacciava il monarca che aveva aperto la strada al fascismo e diventava finalmente una repubblica democratica.
    Ce n'è d'avanzo per rallegrarsi e per rimboccarsi le maniche, in ogni città e paese, per fare del 2005 un anno di vera e propria pedagogia civile, per insegnare con pazienza ai giovani, senza toni roboanti, la storia della libertà italiana, con i suoi martiri, i suoi simboli, le sue contraddizioni, le sue musiche, le sue immagini.
    Sono già molte le iniziative in cantiere, tutte d’alto livello, e quasi sempre ispirate dal sincero desiderio di celebrare degnamente Mazzini e la Liberazione. Non mancheranno ovviamente gli eccessi retorici e i tentativi di trarre profitto dalle due ricorrenze per fini di cucina politica. Nell'insieme, tuttavia, ci sono buone ragioni per ben sperare.
    Eppure, non riesco a liberarmi dal timore che il 2005 potrebbe segnare il definitivo seppellimento di Mazzini negli archivi della storia erudita e l'inizio dell'autunno della nostra repubblica, per lo meno l'autunno della repubblica come l'abbiamo conosciuta dalla sua nascita ad oggi. Sappiamo tutti che quest'anno la maggioranza di governo porterà a compimento il suo progetto di riforma costituzionale. Quale che sia il giudizio di merito è un fatto inoppugnabile che la riforma non si limita a ritoccare questo o quell'articolo, ma cambia la struttura dello Stato. Da repubblica parlamentare con due camere legislative l'Italia diventerà una repubblica con una Camera dei Deputati ed un Senato federale, con un Primo ministro dotato di poteri più forti (in particolare quello di sciogliere le camere) e un Presidente della Repubblica con poteri assai minori.
    Insieme alla struttura dello Stato cambieranno anche i principi fondativi, quelli che in ogni libera repubblica costituiscono le basi ideali del vivere comune e dell'agire politico: Non mi riferisco ovviamente al principi sanciti dalla prima parte della Costituzione. La riforma della maggioranza li lascia intatti, anche se a mio avviso l'attribuzione della "potestà legislativa esclusiva" alle Regioni in materia d'assistenza e organizzazione sanitaria, parte dei programmi scolastici e la polizia amministrativa regionale e locale (art. 117), lede il principio dell'uguaglianza dei cittadini.
    Mi riferisco al modo di far vivere i principi nel linguaggio e nella cultura politica. I principi sanciti dalla Costituzione potrebbero facilmente essere dimenticati senza essere cambiati o sostituiti, di fatto, con un linguaggio politico del tutto diverso.
    L'esempio più calzante è proprio il 25 aprile. Il Presidente del Consiglio in carica non l'ha mai celebrato. Egli, e quasi tutta la sua maggioranza, è culturalmente lontano dalla tradizione dell'antifascismo. Ricordiamo tutti le sue parole sul fascismo regime bonario. Saranno state parole pronunciate senza pensarci troppo, ma a nessun antifascista vero sarebbero mai venute in mente.
    Così, per una crudele ironia, il sessantesimo della Liberazione potrebbe essere una delle ultime celebrazioni del 25 aprile e la nascita di una repubblica profondamente diversa, nella cultura politica e nelle istituzioni, da quella nata nel 1946. Nella nuova repubblica che nascerà Mazzini, con il suo linguaggio austero e profondo della patria e del dovere, non avrà alcun posto.
    Polibio, che visse nel secondo secolo A.C., sosteneva nelle Storie che la democrazia tende a degenerare nelle mani dei nipoti dei suoi fondatori. Resiste insomma per due generazioni circa cinquant'anni o sessant'anni. Appunto.
    viroli@princeton.edu

    (La Stampa 4.1.2005 pag.26 spettacoli e cultura)

  4. #4
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    XXCIAMPI: FIERI DEL PASSATO, SERENI VERSO IL FUTURO
    07/01/2005 - 11:03


    Roma, 7 gen. (Apcom) - "L'Italia è un Paese di antica civiltà forte dei
    valori di democrazia cui si ispirano le istituzioni della Repubblica e di
    un'Europa che ha saputo superare le antiche divisioni dei suoi popoli. Può
    guardare con fierezza al passato e con serenità al futuro". Lo afferma il
    presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, in una dichiarazione
    diffusa in occasione della festa del Tricolore.

    "Il 7 gennaio di ogni anno si onora nel Tricolore, innalzato a Reggio
    Emilia più di duecento anni fa, il simbolo - sottolinea il capo dello
    Stato - dell'unità della patria e della libertà del nostro popolo. E' la
    bandiera delle '5 Giornate' di Milano, della spedizione di Garibaldi,
    delle guerre d'Indipendenza, dei soldati caduti nelle due guerre mondiali,
    dei cittadini d'Italia, ovunque chiamati a difendere l'onore della patria,
    la sua unità, la sua libertà".

    "Con i suoi colori - continua Ciampi - la nazione intera ha salutato,
    cinquanta anni fa, il ritorno di Trieste all'Italia ed ha reso omaggio,
    appena ieri, ai caduti di Nassiriya. Sempre più di frequente i sindaci e
    gli insegnanti dei comuni d'Italia, in occasione delle ricorrenze
    cittadine e nazionali, consegnano quella bandiera ai ragazzi delle nuove
    generazioni: insieme ad essa affidano loro la nostra storia e la nostra
    speranza".

  5. #5
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    Predefinito L’ultimo Ciampi

    2 gennaio 2006
    L’ULTIMO CIAMPI
    Presidente maestro
    di Maurizio Viroli

    Nel suo ultimo messaggio di fine anno, il Presidente della Repubblica ha voluto lasciare agli italiani un'alta lezione di etica repubblicana nella quale ha compendiato i principi del suo settennato.

    Ha ribadito che i valori che hanno ispirato la sua opera di Capo dello Stato sono stati il senso del dovere e l'amore della patria. Il primo impone di lasciare da parte gli interessi personali; il secondo sollecita a guardare sempre al bene comune dell'Italia, non a quello di una parte, quale essa sia.

    Nel nostro Paese «dovere» e «patria» sono parole difficili da pronunciare. In troppi le hanno declamate in malafede per coprire, o meglio, come scrivevano i classici, per «colorare» politiche di oppressione e di discriminazione. La monarchia parlava di patria e chiamò Mussolini al potere. In nome della patria e della nazione il fascismo metteva in carcere e inviava all'esilio, quando non assassinava, gli oppositori. Troppi politici dei primi decenni della nostra storia repubblicana parlavano sempre di dovere e furono scoperti colpevoli della più ripugnante corruzione.

    Ciampi ha proposto agli italiani il vero significato delle parole dovere e patria. Ha interpretato il primo come obbligo interiore, con la propria coscienza, di rispettare scrupolosamente il mandato che la Costituzione affida al Capo dello Stato. Ha spiegato che patria è principio di libertà e di unità, del tutto opposto al nazionalismo, e come tale aperto alla visione della più grande patria europea che non sopprime, ma arricchisce, le patrie nazionali. Lo ha fatto, anche nel suo messaggio di commiato, con profonda convinzione («Vi ho parlato di ciò che avevo nel cuore e nella mente»).

    Gli italiani, nonostante l'abitudine al cinismo e alla diffidenza nei confronti di chi parla di dovere e di valori, hanno avvertito che dietro alle parole c'era questa volta l'uomo, con le sue passioni più sincere, con la sua storia personale, con i suoi ideali. Hanno capito, soprattutto i giovani, che dovere e patria non sono addobbi retorici, ma i valori che permettono di vivere liberi. I sondaggi d'opinione, anno dopo anno, lo confermano in modo inequivocabile.

    Con la medesima sincerità, Ciampi ha insistito sul valore del Risorgimento e ha ribadito il legame storico e ideale che unisce il Risorgimento, la Resistenza e la Costituzione repubblicana. Ha espresso il suo profondo rispetto per chi ha dimostrato di vivere con sincerità la fede religiosa, ma al tempo stesso ha ribadito la separazione fra Stato e Chiesa e la piena laicità della Repubblica. Infine, ha voluto ricordare a tutti che la democrazia non è esercizio della forza ma ricerca del dialogo, nelle assemblee legislative e nella società, come teorizzava Guido Calogero, suo maestro alla Normale di Pisa.

    Nell'arco di tutto il settennato, Ciampi è stato il Presidente-maestro che ha cercato di unire gli italiani insegnando l'etica della libertà nell'unico modo in cui essa può essere insegnata: con la coerenza fra le parole e i comportamenti e con l'esempio. E con l'esempio ha dimostrato la dignità e la bellezza della politica vissuta come servizio fondato su principi morali fermi. Seguendo la strada che Ciampi ha tracciato, si potrebbe forse realizzare quella riforma morale che è presupposto di ogni seria politica democratica. Molto dipenderà da chi prenderà il suo posto al Quirinale, e dalla volontà dei partiti politici, delle amministrazioni locali, delle istituzioni dello Stato e della società civile. Quel che è certo è che se disperderemo questo patrimonio faticosamente costruito perderemo le energie morali e politiche che sono necessarie alla rinascita dell'Italia.

  6. #6
    L'auriga
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    Ciampi sarebbe stato un buon presidente in un contesto politico normale: nel'attuale, che normale non è nanche un po', si è rivelato - a mio avviso - un presidente men che mediocre (a suo confronto, Scalfaro è stato una specie di gigante), in quanto totalmente privo di coraggio politico e di abilità politica: speriamo che il suo successore sia migliore di lui.

  7. #7
    laico progressista
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    Su Scalfaro concordo in pieno. Sia Scalfaro che Ciampi si sono trovati davanti a una situazione difficile per la nostra democrazia.
    Il primo soprattutto, perché ha dovuto fronteggiare di colpo il fenomeno anomalo e deviante berlusconiano. Un evento insidioso, perché supportato dal voto e dal favore popolare, cosa che costringeva il Presidente a limitarne gli eccessi con equilibrio e intelligenza.
    Scalfaro ha compiuto il suo mandato con grande maestria. Ha impedito la nomina di Previti (allora avvocato personale del plurinquisito magnate) a ministro della giustizia (uno scandalo, un insulto!); ha respinto proposte di legge incostituzionali e immorali (ricordate il decreto Biondi, detto "salvaladri"?); ha tentato di tenere in piedi una legislatura seguendo pedissequamente il regolamento istituzionale, anche quando il Cavaliere non aveva più la maggioranza di governo.
    Scalfaro ha operato secondo i dettami della democrazia più profonda. I suoi detrattori sostengono che abbia forzato le regole. In realtà, ha forzato una forzatura, quella di un conflitto di interessi che giganteggiava come un'ombra sul Paese.
    Scalfaro, inoltre, pur cattolico osservante e militante, ha incarnato bene il ruolo di un Presidente laico.

    Per Ciampi, il giudizio è diverso, anche se ugualmente positivo. Ciampi ha considerato il fenomeno Berlusconi un dato acquisito (e come poteva fare altrimenti, dopo tanti anni?) e si è preoccupato di rappresentare al meglio tutti gli italiani. Certamente questa imparzialità ha dovuto fare buon viso a molte porcherie (non tutte, comunque). Ma questo è stato fatto almeno salvando la forma e l'autorità dell'istituzione.
    A suo favore però, dobbiamo registrare il frequente richiamo alla laicità dello Stato, il profondo sentimento patriottico, e la sottile rivalutazione di Giuseppe Mazzini. Ciampi non ha perso occasione per dimostrare la sua sincera vocazione mazziniana. L'effigie dell'Apostolo è stata sempre l'unica icona presente sul suo tavolo (anche nel discorso di fine anno, per i più attenti: il volume sulla sua sinistra era quello su Mazzini di recente pubblicazione); Mazzini poi è stato al centro del suo discorso con Sonia Gandhi, durante la sua visita in India.
    Peccato solo che un siffatto mazziniano non abbia osato aprire un dibattito pubblico sulla figura del Genovese, quale simbolo nazionale da riscoprire e rilanciare. Ne avrebbe avuto la facoltà, e l'occasione, considerati anche i festeggiamenti del bicentenario.
    Gliene saremmo stati infinitamente grati. Ma forse era chiedere troppo.

 

 

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