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  1. #1
    Silvioleo
    Ospite

    Predefinito Cosa sperare per un 2005 migliore

    Ecco il "decalogo liberista" per l'anno che verrà

    di Carlo Lottieri

    Quando un anno si chiude, si finisce per stilare bilanci. E rifacendosi alla sapienza della partita doppia (un’antica invenzione italica) si cerca anche di soppesare i pro e i contro di dodici mesi di una vita economica caratterizzata da vizi che paiono insuperabili e, al tempo stesso, da un dinamismo produttivo che continua a sorprendere.
    In questa occasione, però, si è preferito guardare avanti. Ecco, dunque, un “decalogo” che esprime i principi e gli auspici di chi crede nella proprietà privata e nel libero mercato, e di chi è persuaso che ampliare la libertà sia giusto, utile e necessario.



    Meno tasse, più libertà

    La prima e fondamentale questione sono quelle imposte che, nello scorcio finale del 2004, il governo ha deciso di ridurre almeno un poco. Nei tagli da portare al bilancio pubblico tra dodici mesi bisognerà però essere ben più risoluti: ridimensionando l’Irpef e sfoltendo la miriade di gabelle e accise che gravano sui bilanci di famiglie e imprese. Si può provare a prendere ad esempio la piccola Estonia post-comunista già guidata da Mart Laar, che una decina di anni fa ha introdotto un’aliquota unica al 26% (poi abbassata al 24%) e che ora sta valutando l’adozione di un’imposta unica al 20%.



    E se liberalizzassimo davvero?

    C’è poi una specie di tassa occulta connessa al permanere di monopoli protetti. In questo senso, l’elenco dei settori da liberalizzare è lunghissimo: telefonia, trasporti, gas, elettricità e via dicendo. Ognuna di queste realtà può presentare problemi tecnici (reali o presunti) del tutto diversi: e così quanti controllano “l’ultimo miglio” non vogliono mollare, né le municipalizzate sono disposte a far posto a concorrenti privati che possano entrare nei ricchi mercati dell’energia elettrica o del gas. Ma a dispetto delle resistenze, si può fare molto, specie se si elaborano strategie che rendano possibile aprire davvero tali mercati.
    Ad esempio, si potrebbe regalare ad ogni tassista un’altra licenza: ovviamente commerciabile. In questo modo si aggirerebbe la resistenza corporativa dei guidatori (molti dei quali, in effetti, solo qualche anno fa hanno speso una cifra rilevante per poter lavorare…) e si otterrebbe il risultato di raddoppiare il numero dei taxi. Ma strategie come questa vanno elaborate in ogni ambito, esattamente come fece la signora Thatcher nell’Inghilterra di vent’anni fa.



    Aboliamo gli ordini professionali

    Negli scorsi giorni alcuni parlamentari hanno presentato una proposta di legge per introdurre l’ordine degli addestratori di cani. L’augurio è che, consumati spumante e panettone, di quel progetto si perdano le tracce.
    In effetti, una nuova stagione liberale dovrebbe risolvere una volta e per tutte lo scandalo italiano degli ordini professionali e delle professioni chiuse. Quella del notaio, del farmacista e del commercialista devono essere professioni come le altre, in cui all’onore del profitto corrisponda anche l’onere della concorrenza. Aprire questi settori potrebbe creare posti di lavoro e certo abbasserebbe le tariffe che oggi gravano sui consumatori.



    Sud: non solo forestali

    Negli anni scorsi si è tanto parlato del polo tecnologico di Catania, del “Rinascimento napoletano” e della Natuzzi di Santeramo in Colle. Si è cercato di dare alle regioni meridionali un altro volto, ma poi – nella discussione sui tagli alla finanziaria – sono ricomparsi in scena gli 11 mila forestali della Calabria (ma ci sono, in tutta la regione, 11 mila alberi?) e il Sud è tornato quello di sempre.
    Il guaio è che il reiterarsi di simili politiche assistenziali e quella reincarnazione della Cassa del Mezzogiorno che è Sviluppo Italia non servono affatto al Sud. Né è pensabile che si possa avere un’economia imprenditoriale grazie a mutui agevolati e finanziamenti a fondo perduto.
    Il Sud più avvertito ha capito da tempo di essere vittima dell’assistenzialismo pubblico, dell’intreccio tra Stato e mafie, della compressione di ogni spazio di mercato. Dovrebbe avere più voce e farsi più sentire all’interno del Palazzo.



    Dare un futuro all’agricoltura, superare la Pac

    A tale proposito, è importante ricordare che l’agricoltura è al Sud anche quando si trova in Veneto o Lombardia. In effetti, la Politica agricola comune ha distrutto le antiche logiche imprenditoriali, trasformando il settore primario in un’area protetta. Come spesso succede, però, i beneficiari sono divenuti vittime del sistema stesso. Ai “montanti compensativi” (i soldi dei contribuenti) si sono affiancate in effetti le “quote” (i limiti di produzione), così che gli allevatori più dinamici ora non possono espandere le loro attività e vanno incontro a multe ogni volta che lo fanno.
    Tutto questo va cancellato: nell’interesse dei contribuenti, dei consumatori e degli imprenditori agricoli.



    “Sali & Tabacchi”: in vendita

    Girando il Bel Paese ci si imbatte di continuo in beni pubblici malgestiti e che dovrebbero essere privatizzati al più presto. Ha una logica che lo Stato italiano produca il sale a Margherita di Savoia? Che gestisca (malamente) le poste e i vagoni ferroviari? Che possegga le coste del mare e quei quadri accatastati negli scantinati di Firenze?
    L’anno nuovo sarà davvero tale, allora, se sarà accompagnato da un ampio programma di dismissioni, che sappia anche voltare pagina dopo le polemiche su quelle false privatizzazioni grazie alle quali lo Stato cede alla Cassa Mutui e Prestiti alcuni beni che in un secondo tempo prende in affitto.



    Basta cultura di Stato

    Uno dei settori in cui più è invadente la mano pubblica è quello culturale: a partire dalla scuola. Un’economia e una società dinamiche, però, devono poter poggiare su un sistema educativo pluralistico, in cui ogni istituto si dia regole e programmi propri, competendo liberamente e sforzandosi di offrire un prodotto di qualità. Il dibattito scientifico e la ricerca, inoltre, devono essere “sganciati” dalle logiche fatalmente perverse delle organizzazioni politico-burocratiche.



    Più energia per tutti

    È positiva e fa ben sperare la decisione del ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli, di una possibile indisponibilità dell’Italia a sottoscrivere, nel 2012, un secondo accordo di Kyoto. Le questioni dell’ambiente e dell’energia sono cose troppo serie per essere lasciate agli ecologisti.
    Ma per affrontare in maniera più responsabile l’intero problema è indispensabile iniziare a discutere l’eventualità di avere in Italia – come già avviene negli Usa – un nucleare privato, in competizione con le altre fonti di energia. Più in generale, bisogna liberalizzare la produzione d’energia e, come si è detto, aprire il mercato della distribuzione, scongiurando inoltre il rischio di nuovi “black-out”.



    Mettere in competizione regioni e città

    La scelta di orientarsi verso un ordine istituzionale federale può essere molto positiva se l’Italia non adotterà un “federalismo solidale” a base di fondi di compensazione per le aree più povere, ma invece se saprà indirizzarsi verso un “federalismo autentico” (come lo conobbero in passato la Svizzera e gli Stati Uniti), nel quale l’autonomia di bilancio obblighi ogni comunità a gestire al meglio. In tal modo, le imprese sarebbero incentivate a stabilirsi in quelle aree in cui il rapporto tra imposte e servizi sia migliore.
    La concorrenza istituzionale terrebbe quindi bassa la pressione fiscale e alta la qualità. Una crescente competizione tra gli enti locali può solo indurre a comportamenti più virtuosi.



    Riscoprire l’ottimismo.

    L’11 settembre sembrava aver chiuso l’epoca della globalizzazione. Dopo una breve età dei mercanti si tornava ad un’epoca dominata dai guerrieri. Ma lo spirito liberale è ottimista per natura e guarda oltre, rigettando il protezionismo e anche le paure ancestrali di quell’ecologismo che vede in ogni novità una minaccia.
    Le economie della Vecchia Europa devono allora saper aprirsi sempre di più alla Turchia, ma anche alla Cina e all’India, e perfino a quella Libia che ora può diventare per noi un luogo di opportunità, scambi e relazioni pacifiche.
    A metà Ottocento, Frédéric Bastiat disse che se una frontiera non è attraversata dalle merci, prima o poi sarà attraversata dagli eserciti. Era un liberale: un inguaribile ottimista che credeva nelle virtù del libero commercio e della pace

  2. #2
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    Guarda, per avere un 2005 migliore basta (e avanza) che nel CSX le cose restino così come sono, con tutto il giocondo asilo sul triciclo.
    Finchè questi lasciano a casa il cervello, noi possiamo anche non muovere un dito: fanno tutto loro...


    happy new year!

  3. #3
    Silvioleo
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    In origine postato da vacanze romane
    Guarda, per avere un 2005 migliore basta (e avanza) che nel CSX le cose restino così come sono, con tutto il giocondo asilo sul triciclo.
    Finchè questi lasciano a casa il cervello, noi possiamo anche non muovere un dito: fanno tutto loro...


    happy new year!
    si ma se i nostri lavorassero meglio non credo farebbe male...

  4. #4
    Makeru ga, katta
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    In origine postato da silvioleo
    Ecco il "decalogo liberista" per l'anno che verrà


    Riscoprire l’ottimismo.

    L’11 settembre sembrava aver chiuso l’epoca della globalizzazione. Dopo una breve età dei mercanti si tornava ad un’epoca dominata dai guerrieri. Ma lo spirito liberale è ottimista per natura e guarda oltre, rigettando il protezionismo e anche le paure ancestrali di quell’ecologismo che vede in ogni novità una minaccia.
    Le economie della Vecchia Europa devono allora saper aprirsi sempre di più alla Turchia, ma anche alla Cina e all’India, e perfino a quella Libia che ora può diventare per noi un luogo di opportunità, scambi e relazioni pacifiche.
    A metà Ottocento, Frédéric Bastiat disse che se una frontiera non è attraversata dalle merci, prima o poi sarà attraversata dagli eserciti. Era un liberale: un inguaribile ottimista che credeva nelle virtù del libero commercio e della pace


    L'ultima volta che si è parlato di ottimismo in politica fu ai tempi del presidente Hoover, che, dopo l'elezione a presidente nel '29, vide il paese crollare sotto i colpi della grande crisi economica, e per i 4 anni di presidenza tentò di rialzare l'economia con dichiarazioni tipo "questo paese ha solo bisogno di farsi una risata". Ma gli americano avevano ben poca voglia di ridere mentre languivano disoccupati per le strade e pativano la fame.

    Per loro fortuna poi arrivo FDR che risollevò la nazione con il New Deal.

    Però una toccatina agli attributi, me la dò ugualmente...
    _______________________
    Gli zeri, per valere qualcosa,
    devono stare a destra.

  5. #5
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    In origine postato da vacanze romane
    Guarda, per avere un 2005 migliore basta (e avanza) che nel CSX le cose restino così come sono, con tutto il giocondo asilo sul triciclo.
    Dipende qual è il tuo scopo: se vivi per vincere le elezioni d'accordo, se invece speri che chi vince le elezioni ti restituisca un pizzico di libertà star fermi non basta.
    E il decalogo di Lottieri dovrebbe esser scolpito nei cuori di tutti.

  6. #6
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    In origine postato da marcejap
    L'ultima volta che si è parlato di ottimismo in politica fu ai tempi del presidente Hoover, che, dopo l'elezione a presidente nel '29, vide il paese crollare sotto i colpi della grande crisi economica, e per i 4 anni di presidenza tentò di rialzare l'economia con dichiarazioni tipo "questo paese ha solo bisogno di farsi una risata". Ma gli americano avevano ben poca voglia di ridere mentre languivano disoccupati per le strade e pativano la fame.

    Per loro fortuna poi arrivo FDR che risollevò la nazione con il New Deal.

    Però una toccatina agli attributi, me la dò ugualmente...
    Ovviamente non è così.
    Di ottimismo hanno parlato tutti i grandi liberali (penso a Reagan) e non sempre a sproposito.
    Quanto a Hoover, facile predicare l'ottimismo dopo che lo stato, tramite la FED, aveva causato la crisi. Per fortuna arrivò FDR che, constatato il fallimento dell'anticostituzionale New Deal, e preparato il background per la crisi definitiva con la criminale soppressione della convertibilità dollaro-oro, risollevò la nazione con la seconda guerra mondiale.
    Tanto per ricordare ai più distratti che welfare e warfare sono sempre strettamente connessi.

  7. #7
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    In origine postato da ARI6
    Ovviamente non è così.
    Di ottimismo hanno parlato tutti i grandi liberali (penso a Reagan) e non sempre a sproposito.
    Quanto a Hoover, facile predicare l'ottimismo dopo che lo stato, tramite la FED, aveva causato la crisi. Per fortuna arrivò FDR che, constatato il fallimento dell'anticostituzionale New Deal, e preparato il background per la crisi definitiva con la criminale soppressione della convertibilità dollaro-oro, risollevò la nazione con la seconda guerra mondiale.
    Tanto per ricordare ai più distratti che welfare e warfare sono sempre strettamente connessi.

    Sono semplicemente allucinato da questo post.

    Mi dai un elenco dei libri in cui hai trovato 'sta roba? Io ho letto cose totalmente diverse. A chi si deve dare ragione? (naturalmente io dò ragione a quel che ho letto io, am a questo punto sono curioso).
    _______________________
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  8. #8
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    In origine postato da marcejap
    Sono semplicemente allucinato da questo post.

    Mi dai un elenco dei libri in cui hai trovato 'sta roba? Io ho letto cose totalmente diverse. A chi si deve dare ragione? (naturalmente io dò ragione a quel che ho letto io, am a questo punto sono curioso).
    Sulle reali cause della crisi del '29 - cioè la manipolazione al ribasso dei tassi d'interesse operata dalla FED, che portò dapprima al boom insostenibile eppoi al collasso - c'è un ampia letteratura. Purtroppo non si trova quasi nulla in italiano poichè la scuola austriaca di economia è stata molto furbescamente ignorata dai nostri accademici-parassiti. Solo ultimamente, grazie a giovani e agguerriti studiosi, si sta riscoprendo questo grande patrimonio, e credo che il 2005 sarà un anno cruciale, visto che dovrebbe essere ripubblicato il colossale "Human action" di Mises e "Man economy and state" di Rothbard. Dello stesso Rothbard sono in fase di traduzione anche "What Has Government Done to Our Money?", sulla moneta, e "America's Great Depression" (clicca sul titolo per scaricarlo in pdf), proprio sul tema di cui stiamo discutendo.
    Quanto al fallimento del New Deal (giova ricordare che fosse un provvedimento anticostituzionale che passò solo per l'ampliamento della corte suprema, a ulteriore dimostrazione che la democrazia liberale non può esistere), lo ammetterà qualsiasi studioso obiettivo (il mio insegnante di storia dei trattati, pur keynesiano, lo diceva senza problemi): i lievi benefici dati da certi provvedimenti nel breve periodo avrebbero acuito la crisi nel lungo, se non ci fosse stato lo scossone della guerra. Infatti, anche in quell'occasione, FDR non ci pensò due volte a buttarcisi a capofitto.

    Adesso però una domanda te la faccio io: com'è che i grandi antifascisti esaltano le policies di Roosevelt, quando è oramai appurato che egli fu ispirato proprio da Mussolini nel concepire il new deal?

  9. #9
    Makeru ga, katta
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    In origine postato da ARI6
    Sulle reali cause della crisi del '29 - cioè la manipolazione al ribasso dei tassi d'interesse operata dalla FED, che portò dapprima al boom insostenibile eppoi al collasso - c'è un ampia letteratura. Purtroppo non si trova quasi nulla in italiano poichè la scuola austriaca di economia è stata molto furbescamente ignorata dai nostri accademici-parassiti. Solo ultimamente, grazie a giovani e agguerriti studiosi, si sta riscoprendo questo grande patrimonio, e credo che il 2005 sarà un anno cruciale, visto che dovrebbe essere ripubblicato il colossale "Human action" di Mises e "Man economy and state" di Rothbard. Dello stesso Rothbard sono in fase di traduzione anche "What Has Government Done to Our Money?", sulla moneta, e "America's Great Depression" (clicca sul titolo per scaricarlo in pdf), proprio sul tema di cui stiamo discutendo.
    Quanto al fallimento del New Deal (giova ricordare che fosse un provvedimento anticostituzionale che passò solo per l'ampliamento della corte suprema, a ulteriore dimostrazione che la democrazia liberale non può esistere), lo ammetterà qualsiasi studioso obiettivo (il mio insegnante di storia dei trattati, pur keynesiano, lo diceva senza problemi): i lievi benefici dati da certi provvedimenti nel breve periodo avrebbero acuito la crisi nel lungo, se non ci fosse stato lo scossone della guerra. Infatti, anche in quell'occasione, FDR non ci pensò due volte a buttarcisi a capofitto.

    Ho dato una lettura veloce (per ora) del libro che mi hai linkato, e devo dire che presenta il solito problema dei trattati simili: parte prevenuto nei confronti del New Deal, e considera la guerra come la vera soluzione della crisi. Sinceramente lo trovo difficile da ammettere, soprattutto se si considera che la guerra scoppiò per tutte altre cause che la crisi economica e la Germania attuò la piena occupazione senza l'ausilio della produzione militare (lo sapevi che fino al '44 il Terzo Reich ebbe un'economia di guerra da tempo di pace? E che la produzione militare diminuì ulteriolmente nel '41?).

    Oltre a questo, c'è anche l'altro solito problema, e cioè che il crollo così repentino dell'occupazione (per niente paragonabile alle altre crisi recessive, precedenti ed antecedenti) necessitava di risposte politiche, non solo economiche, anche in virtù della presenza sul pianeta dell'Unione Sovietica che dichiarava la sua piena occupazione e quindi attirava le simpatie della masse lavoratrici americane (a cui Hoover non seppe dare risposta se non quella brutale della repressione attuata da MacArthur).

    Adesso però una domanda te la faccio io: com'è che i grandi antifascisti esaltano le policies di Roosevelt, quando è oramai appurato che egli fu ispirato proprio da Mussolini nel concepire il new deal?
    Oh, ma io lo so, di questo, ma devi considerare due cose:

    a) gli altri governanti del pianeta consideravano Mussolini come l'unica soluzione per l'Italia perchè a loro parere gli italiani non erano abbastanza intelligenti da tenere in piedi una democrazia (clamoroso esempio di razzismo - d'altra parte occorre ricordare che anche Sacco e Vanzetti furono condannati a morte non perchè le accuse mosse verso di loro fossero reali e provate, ma in quanto italiani ed anarchici...)

    b) malgrado le politiche economiche del regime, l'Italia rimase un paese poverissimo e privo di risorse, molto di più dell'America di Roosvelt (oltre al fatto che il regime fascista fu uno dei più corrotti e corruttori della storia della penisola, ed in queste condizioni è difficile creare un vero benessere per la popolazione).
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  10. #10
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    In origine postato da marcejap
    Ho dato una lettura veloce (per ora) del libro che mi hai linkato, e devo dire che presenta il solito problema dei trattati simili: parte prevenuto nei confronti del New Deal, e considera la guerra come la vera soluzione della crisi.
    Mah, più che altro Rothbard spiega le cause del crollo, che la scuola austriaca aveva previsto in anticipo.
    Sugli effetti New Deal valgono gli indicatori economici di prima della guerra: una politica che avrebbe dovuto dare risultati immediati (perchè nel lungo periodo saremo tutti morti, come sosteneva il responsabile Keynes) non ne aveva dati se non di marginali. Tutto cambiò nel dopoguerra, non tanto per la produzione militare quanto per il ruolo egemonico che gli USA s'eran conquistati nel frattempo, accumulando crediti a destra e a manca.

    ]la guerra scoppiò per tutte altre cause che la crisi economica
    La guerra scoppiò per la follia del democraticamente eletto Hitler, a vabbè. Ma si stava parlando dell'entrata degli USA, e sugli inganni di FDR per "trovare una scusa" oramai quasi tutti gli storici non nutrono dubbio alcuno.

    la Germania attuò la piena occupazione senza l'ausilio della produzione militare
    Sinceramente non capisco cosa c'entri questa precisazione, ma sì, è risaputo che il sistema tendenzialmente socialista di Hitler sopperisse alla disoccupazione. Infatti ribadisco che Keynes a suo tempo spese parole lusinghiere verso quel sistema.

    Oltre a questo, c'è anche l'altro solito problema, e cioè che il crollo così repentino dell'occupazione (per niente paragonabile alle altre crisi recessive, precedenti ed antecedenti) necessitava di risposte politiche, non solo economiche, anche in virtù della presenza sul pianeta dell'Unione Sovietica che dichiarava la sua piena occupazione e quindi attirava le simpatie della masse lavoratrici americane (a cui Hoover non seppe dare risposta se non quella brutale della repressione attuata da MacArthur).
    Se qualcuno vuole sovvertire l'ordine pacifico della proprietà privata mi pare ovvio che l'unica risposta valida sia la repressione. I criminali non si accontentano.

    gli altri governanti del pianeta consideravano Mussolini come l'unica soluzione per l'Italia perchè a loro parere gli italiani non erano abbastanza intelligenti da tenere in piedi una democrazia
    Sì ma questo non m'interessa, io ti ho chiesto come mai si critichi il fascismo in patria e si esaltino i suoi emuli statunitensi.

    Mi dai una risposta affermando che

    malgrado le politiche economiche del regime, l'Italia rimase un paese poverissimo e privo di risorse, molto di più dell'America di Roosvelt (oltre al fatto che il regime fascista fu uno dei più corrotti e corruttori della storia della penisola, ed in queste condizioni è difficile creare un vero benessere per la popolazione).
    cioè dichiarandoti un ammiratore del fascismo.
    Ecco, questi sono i progetti innovativi della sinistra italiana per l'economia. C'è qualcosa di freudiano in questo amore-odio.

 

 
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