Ecco il "decalogo liberista" per l'anno che verrà
di Carlo Lottieri
Quando un anno si chiude, si finisce per stilare bilanci. E rifacendosi alla sapienza della partita doppia (un’antica invenzione italica) si cerca anche di soppesare i pro e i contro di dodici mesi di una vita economica caratterizzata da vizi che paiono insuperabili e, al tempo stesso, da un dinamismo produttivo che continua a sorprendere.
In questa occasione, però, si è preferito guardare avanti. Ecco, dunque, un “decalogo” che esprime i principi e gli auspici di chi crede nella proprietà privata e nel libero mercato, e di chi è persuaso che ampliare la libertà sia giusto, utile e necessario.
Meno tasse, più libertà
La prima e fondamentale questione sono quelle imposte che, nello scorcio finale del 2004, il governo ha deciso di ridurre almeno un poco. Nei tagli da portare al bilancio pubblico tra dodici mesi bisognerà però essere ben più risoluti: ridimensionando l’Irpef e sfoltendo la miriade di gabelle e accise che gravano sui bilanci di famiglie e imprese. Si può provare a prendere ad esempio la piccola Estonia post-comunista già guidata da Mart Laar, che una decina di anni fa ha introdotto un’aliquota unica al 26% (poi abbassata al 24%) e che ora sta valutando l’adozione di un’imposta unica al 20%.
E se liberalizzassimo davvero?
C’è poi una specie di tassa occulta connessa al permanere di monopoli protetti. In questo senso, l’elenco dei settori da liberalizzare è lunghissimo: telefonia, trasporti, gas, elettricità e via dicendo. Ognuna di queste realtà può presentare problemi tecnici (reali o presunti) del tutto diversi: e così quanti controllano “l’ultimo miglio” non vogliono mollare, né le municipalizzate sono disposte a far posto a concorrenti privati che possano entrare nei ricchi mercati dell’energia elettrica o del gas. Ma a dispetto delle resistenze, si può fare molto, specie se si elaborano strategie che rendano possibile aprire davvero tali mercati.
Ad esempio, si potrebbe regalare ad ogni tassista un’altra licenza: ovviamente commerciabile. In questo modo si aggirerebbe la resistenza corporativa dei guidatori (molti dei quali, in effetti, solo qualche anno fa hanno speso una cifra rilevante per poter lavorare…) e si otterrebbe il risultato di raddoppiare il numero dei taxi. Ma strategie come questa vanno elaborate in ogni ambito, esattamente come fece la signora Thatcher nell’Inghilterra di vent’anni fa.
Aboliamo gli ordini professionali
Negli scorsi giorni alcuni parlamentari hanno presentato una proposta di legge per introdurre l’ordine degli addestratori di cani. L’augurio è che, consumati spumante e panettone, di quel progetto si perdano le tracce.
In effetti, una nuova stagione liberale dovrebbe risolvere una volta e per tutte lo scandalo italiano degli ordini professionali e delle professioni chiuse. Quella del notaio, del farmacista e del commercialista devono essere professioni come le altre, in cui all’onore del profitto corrisponda anche l’onere della concorrenza. Aprire questi settori potrebbe creare posti di lavoro e certo abbasserebbe le tariffe che oggi gravano sui consumatori.
Sud: non solo forestali
Negli anni scorsi si è tanto parlato del polo tecnologico di Catania, del “Rinascimento napoletano” e della Natuzzi di Santeramo in Colle. Si è cercato di dare alle regioni meridionali un altro volto, ma poi – nella discussione sui tagli alla finanziaria – sono ricomparsi in scena gli 11 mila forestali della Calabria (ma ci sono, in tutta la regione, 11 mila alberi?) e il Sud è tornato quello di sempre.
Il guaio è che il reiterarsi di simili politiche assistenziali e quella reincarnazione della Cassa del Mezzogiorno che è Sviluppo Italia non servono affatto al Sud. Né è pensabile che si possa avere un’economia imprenditoriale grazie a mutui agevolati e finanziamenti a fondo perduto.
Il Sud più avvertito ha capito da tempo di essere vittima dell’assistenzialismo pubblico, dell’intreccio tra Stato e mafie, della compressione di ogni spazio di mercato. Dovrebbe avere più voce e farsi più sentire all’interno del Palazzo.
Dare un futuro all’agricoltura, superare la Pac
A tale proposito, è importante ricordare che l’agricoltura è al Sud anche quando si trova in Veneto o Lombardia. In effetti, la Politica agricola comune ha distrutto le antiche logiche imprenditoriali, trasformando il settore primario in un’area protetta. Come spesso succede, però, i beneficiari sono divenuti vittime del sistema stesso. Ai “montanti compensativi” (i soldi dei contribuenti) si sono affiancate in effetti le “quote” (i limiti di produzione), così che gli allevatori più dinamici ora non possono espandere le loro attività e vanno incontro a multe ogni volta che lo fanno.
Tutto questo va cancellato: nell’interesse dei contribuenti, dei consumatori e degli imprenditori agricoli.
“Sali & Tabacchi”: in vendita
Girando il Bel Paese ci si imbatte di continuo in beni pubblici malgestiti e che dovrebbero essere privatizzati al più presto. Ha una logica che lo Stato italiano produca il sale a Margherita di Savoia? Che gestisca (malamente) le poste e i vagoni ferroviari? Che possegga le coste del mare e quei quadri accatastati negli scantinati di Firenze?
L’anno nuovo sarà davvero tale, allora, se sarà accompagnato da un ampio programma di dismissioni, che sappia anche voltare pagina dopo le polemiche su quelle false privatizzazioni grazie alle quali lo Stato cede alla Cassa Mutui e Prestiti alcuni beni che in un secondo tempo prende in affitto.
Basta cultura di Stato
Uno dei settori in cui più è invadente la mano pubblica è quello culturale: a partire dalla scuola. Un’economia e una società dinamiche, però, devono poter poggiare su un sistema educativo pluralistico, in cui ogni istituto si dia regole e programmi propri, competendo liberamente e sforzandosi di offrire un prodotto di qualità. Il dibattito scientifico e la ricerca, inoltre, devono essere “sganciati” dalle logiche fatalmente perverse delle organizzazioni politico-burocratiche.
Più energia per tutti
È positiva e fa ben sperare la decisione del ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli, di una possibile indisponibilità dell’Italia a sottoscrivere, nel 2012, un secondo accordo di Kyoto. Le questioni dell’ambiente e dell’energia sono cose troppo serie per essere lasciate agli ecologisti.
Ma per affrontare in maniera più responsabile l’intero problema è indispensabile iniziare a discutere l’eventualità di avere in Italia – come già avviene negli Usa – un nucleare privato, in competizione con le altre fonti di energia. Più in generale, bisogna liberalizzare la produzione d’energia e, come si è detto, aprire il mercato della distribuzione, scongiurando inoltre il rischio di nuovi “black-out”.
Mettere in competizione regioni e città
La scelta di orientarsi verso un ordine istituzionale federale può essere molto positiva se l’Italia non adotterà un “federalismo solidale” a base di fondi di compensazione per le aree più povere, ma invece se saprà indirizzarsi verso un “federalismo autentico” (come lo conobbero in passato la Svizzera e gli Stati Uniti), nel quale l’autonomia di bilancio obblighi ogni comunità a gestire al meglio. In tal modo, le imprese sarebbero incentivate a stabilirsi in quelle aree in cui il rapporto tra imposte e servizi sia migliore.
La concorrenza istituzionale terrebbe quindi bassa la pressione fiscale e alta la qualità. Una crescente competizione tra gli enti locali può solo indurre a comportamenti più virtuosi.
Riscoprire l’ottimismo.
L’11 settembre sembrava aver chiuso l’epoca della globalizzazione. Dopo una breve età dei mercanti si tornava ad un’epoca dominata dai guerrieri. Ma lo spirito liberale è ottimista per natura e guarda oltre, rigettando il protezionismo e anche le paure ancestrali di quell’ecologismo che vede in ogni novità una minaccia.
Le economie della Vecchia Europa devono allora saper aprirsi sempre di più alla Turchia, ma anche alla Cina e all’India, e perfino a quella Libia che ora può diventare per noi un luogo di opportunità, scambi e relazioni pacifiche.
A metà Ottocento, Frédéric Bastiat disse che se una frontiera non è attraversata dalle merci, prima o poi sarà attraversata dagli eserciti. Era un liberale: un inguaribile ottimista che credeva nelle virtù del libero commercio e della pace