DI MASSIMO FINI
L''Organizzazione internazionale dellavoro (Ilo), organismo dell'Onu, ci informa che nel mondo circa un miliardo e mezzo di persone vive con meno di due dollari al giorno e, di queste, più di mezzo miliardo con meno di un dollaro.
In sé il dato non dice nulla. In un'economia di sussistenza, basata sull'autoproduzione, l'autoconsumo e il baratto, su cui per secoli e millenni ha vissuto buona parte dell'umanità - e fino all'alto Medioevo europeo tutta la popolazione del pianeta - uno o due dollari possono anche essere superflui.

Cosa serve il denaro quando si ha da mangiare, da vestire, un'abitazione, famiglia, amici e feste?
Il fatto è che l'economia monetaria, industriale, di libero mercato, nata in Inghilterra attorno al 1750 con la Rivoluzione industriale, e diventato il modello di sviluppo dell'Occidente (Europa e Stati Uniti) attorno al 1870, ha pian piano eroso, nel secolo successivo, anche tutte le economie di sussistenza del cosiddetto Terzo Mondo, con un'accelerazione vertiginosa negli ultimi trent'anni. È qui che una parte consistente del mondo è diventata povera, anzi miserabile.

Un conto è, infatti, se un agricoltore africano o pachistano vive sul suo e del suo, sulla propria terra, altro è se lo stesso individuo vive in una città di cinque milioni di abitanti come Nairobi o di dodici come Karachi dove due dollari sono appena sufficienti a sfamarsi memtrte nel primo caso se ne poteva fare anche a meno.

Ecco perché il trionfalismo con cui lo stesso "Ilo" sottolinea che comunque negli ultimi dieci anni la percentuale di chi vive con due dollari al giorno è diminuita dal 57,2% al 49,7% e sarebbe quindi diminuita anche la povertà, è del tutto fuori luogo. Ciò significa semplicememte che un altro dieci per cento della popolazione mondiale è stata strappata dall'economia di sussistenza, in cui si vive anche senza due dollari al giorno, e portata in quella monetaria in cui con due dollari si fa la fame, ma si esce dalle statistiche. La povertà planetaria è quindi aumentata, ad onta di queste statistiche fatte senza ragionarci su.

Ed è perciò pura utopia la previsione della stessa Onu che entro il 2015 la povertà mondiale sarà dimezzata. Sarà caso mai allargata l'area di coloro che essendo entrati a far parte dell'economia mondiale integrata non potranno fare a meno di vendersi, magari per tre dollari invece che per due, sfuggendo così ufficialmemnte dall'area della povertà.

D'altra parte nemmeno l'agricoltore terzomondista che rimanga sul suo campo si salva. Lo spopolamento delle campagne e la globalizzazione economica gli impediscono quel minimo di interscambio, con i vicini e con la città, che prima integrava e rendeva possibile la sua economia di sussistenza. In Mongolia, un Paese che ha vissuto per migliaia di anni dei latticini locali, gli empori sono pieni di burro tedesco. In Kenya il burro importato dall'Olanda costa la metà di quello locale. Il Venezuela è stato sempre un gran produttore di carne, oggi la importa per più della metà del suo fabbisogno e l'eventuale minor prezzo dei prodotti importati non compensa minimamente la disgregazione complessiva portata nei Paesi del Terzo Mondo dall'intrusione del modello economico occidentale.

La conclusione è che il modello di sviluppo su cui abbiamo puntato tutte le nostre carte ha enormemente impoverito, nel complesso, la popolazione mondiale senza nemmeno sanare le feorci disuguaglianze all'interno dei Paesi cosiddetti sviluppati, e ne ha aumentato in grande misura la violenza, potenziale e reale. Ciò non di meno si continua a lavorare per rendere questo modello ancor più planetario e totalizzante e assicurargli un successo definitivo e senza ritorno. D'altro canto è anche vero che siamo incrodati. Sia che si vada avanti, sia che si torni indietro, le prospettive sono catastrofiche. Come ha scritto il filosofo tedesco Wolfang Sachs, nel suo "Development Dictionary", «solo il successo di questo modello di sviluppo sarebbe peggiore del suo fallimento».

Massimo Fini
Fonte:Arianna editrice
"AAAriannaEditrice"
dicembre 2004