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Discussione: Difesa dell'embrione

  1. #71
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    Predefinito Staminali embrionali, tutti i....

    ....limiti di una ricerca mitizzata

    In linea di principio, la pluripotenzialità permette alle staminali embrionali di produrre cellule di muscolo, cervello, rene, intestino, pancreas e così via… Da qui l’equazione: staminali embrionali = numero quasi illimitato di cellule di tutti i tipi = candidate ideali per lo sviluppo di terapie che rigenerino i tessuti. Rappresenterebbero, stando ad alcuni colleghi, l’unica e ottimale sorgente di cellule terapeutiche. In realtà, come dicono gli anglosassoni, “there is no free meal in nature”; letteralmente, la natura non offre pasti gratis, la rosa ha le sue brave spine e l’equazione è incompleta.
    Come per le staminali adulte, la manipolazione di quelle embrionali al fine di trapiantarle presenta problemi tecnici che richiederanno del tempo per essere risolti e che, al momento, non ne permettono l’utilizzo in ambito clinico, nemmeno per una sperimentazione preliminare… Fermo restando che ad oggi esistono cure salvavita che utilizzano staminali somatiche (adulte), ma nessuna con staminali embrionali. […] In sintesi, non ci siamo ancora, non ne sappiamo abbastanza. Attualmente, non siamo in grado di costringere le staminali embrionali a produrre le cellule che ci servono e soltanto quelle.
    Appena ci sembra di esserci riusciti sorgono complicazioni ulteriori. Una volta prodotte in vitro le staminali embrionali sufficienti, una volta trovati i segnali che inducono la genesi di cellule mature utili al fine terapeutico, ci si trova e ci si troverà inevitabilmente in presenza di una miscela di cellule che contiene allo stesso tempo cellule utili e cellule indesiderate.
    Come pensare di praticare un trapianto intracerebrale in pazienti che soffrono di morbo di Parkinson se nella sospensione cellulare da trapiantare ci sono, insieme ai neuroni dopaminergici, altri tipi di cellule?
    E cosa accadrebbe nel tessuto del paziente se a contaminare le cellule mature che gli vengono trapiantate fosse rimasta qualche staminale embrionale indomita, pluripotente o tornata tale a dispetto di tutti gli sforzi fatti per domarla? Quale rischio di tumore comporterebbe?
    Come se non bastasse, ci sono problemi etici. Per raccogliere staminali embrionali bisogna creare embrioni e distruggerli. Che problema c’è? sento dire. A questo stadio, è soltanto un grumo di cellule, non può essere considerato una vita, perché non comunica, non elabora informazioni, non è in grado di sopravvivere autonomamente.
    Questa è la nemesi della faciloneria, della superficialità. L’embrione comunica eccome, in modo complesso e articolato, scambiando milioni di segnali con la madre e l’ambiente che lo circonda.
    Nemmeno un neonato è autonomo, ma nessuno dubita che sia vivo.
    Non è questo a discriminare tra vita e non vita, in nessun animale. Credo che a distinguerci dagli altri animali sia la capacità di usare la logica, la ragione. Se la pratica della scienza ci ha insegnato qualcosa, è proprio di usare anche gli occhi della mente, di non fermarci all’apparenza. L’apparenza suggerisce che l’embrione sia un grumo di cellule qualsiasi, infatti assomiglia a quello di qualunque mammifero. Ma già dopo solo 4 divisioni cellulari che seguono la fecondazione si riesce a capire se è di topo o di uomo.
    Se io l’ho fatto con gameti umani, so che è umano dal primo giorno, è quello che ero io alla sua età. Capisco che si clonino pecore e persino pachidermi estinti, nel caso della mia specie però provo qualcosa di diverso. Avverto che “non è giusto”, un sentimento condiviso anche da parecchi colleghi. Un tabù, per dirlo in termini laici.
    Dal momento della fecondazione la cellula originaria evolve, oggettivamente, in un continuum, senza soste né interruzioni, attraverso le fasi diverse della vita: quella embrionale, fetale, neonatale, adolescenziale, adulta, fino alla morte.
    Tra il primo atto e l’ultimo c’è un essere umano in tutte le sue forme. I biologi dello sviluppo, per mestiere, hanno bisogno di segnare le tappe di ogni minima differenza, ma non hanno bisogno di discontinuità arbitrarie. Voler indicare stadi in cui la vita non c’è ancora e lo stadio in cui compare all’improvviso è fare ideologia o affidarsi a forti dogmatismi.
    Per la religione ebraica, cristiana (fino a poco tempo fa) o musulmana, la vita corrispondeva all’arrivo dell’anima, da 40 a 120 giorni dal concepimento quando il feto iniziava a muoversi (ma se era femmina, non arrivava mai).
    Soltanto da quel momento era considerata degna di essere protetta.
    Per certi versi, aveva un senso perché prima dei 40 giorni una donna può perdere l’embrione che porta senza nemmeno sapere di essere rimasta incinta.
    Adesso si sono aggiunte varianti culturali, il concetto forte di individuo e di identità per cui la vita inizierebbe due settimane dopo il concepimento, quando è già certo che l’ovulo ha dato luogo a uno o due o più embrioni e futuri individui. Troppo arbitrari questi parametri. Con la biologia e la ragione c’entrano poco. La conclusione che l’embrione è solo un grumo di cellule si basa sull’osservazione dell’apparenza e non della sostanza. E’ una conclusione che ci si potrebbe aspettare da un qualunque animale (se potesse parlare) ma non dall’uomo, che non valuta in base all’apparenza ma per scienza e conoscenza, usando il proprio raziocinio. Scienza e conoscenza ci dimostrano senza dubbio che quello che sembra un grumo di cellule altro non è che vita umana in uno dei suoi tanti stadi, tutti unici. A proposito di donne, l’altro problema etico è che gli ovuli con i quali creare embrioni in vitro non crescono sugli alberi, e nemmeno in laboratorio (almeno per ora). Per ogni embrione, occorre prelevarne centinaia da decine di donne che si devono sottoporre a una procedura penosa, non priva di pericoli sul momento, e che può mettere a rischio maternità future. A volte la donna lo fa per soldi, il che fa intravedere un mercato osceno. I ricercatori intenzionati a clonare embrioni umani ne tengono conto? Dovrebbero. Anche se non li condividiamo, i problemi etici sono come ogni altra obiezione, non necessariamente morale, suscitata dal nostro lavoro: ci fanno un gran bene, a noi ricercatori. Ci spronano a esplorare alternative che altrimenti non ci sarebbero venute in mente o che avevamo scartato a priori.

    Angelo Vescovi da “La cura che viene da dentro”, © 2005 Mondadori editore

    su il Foglio del 31 marzo

    saluti

  2. #72
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    Predefinito Il rabbino Di Segni suggerisce tre si....

    ...e un no

    Roma. Dopo Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Riccardo Pacifici e Yasha Reibman, portavoce rispettivamente delle comunità di Roma e di Milano, anche il rabbino capo di Roma, il medico Riccardo Di Segni, invita al voto referendario sulla legge 40.
    Lo fa con una certa enfasi nel rimarcare la diversità e la lontananza dalle posizioni astensionistiche cattoliche. E sceglie, come tribuna, un affollato incontro su “Fecondazione assistita e referendum. Cosa dice la legge ebraica”, svoltosi martedì scorso alla Protomoteca del Campidoglio e introdotto da Fiamma Nirenstein.
    Mentre la giornalista ha sottolineato le caratteristiche dell’ebraismo, “religione non dogmatica, in continua evoluzione anche se radicata nei precetti”, Di Segni non ha nascosto la difficoltà di un passaggio diretto, nel caso in questione, dalla legge ebraica (halakhà) alla decisione politica.
    Il suo esame dei diversi aspetti materiali, addirittura tecnici, dei temi referendari (si è parlato di gameti maschili e femminili, di fecondazione omologa e di eterologa, di blastocisti e di diversi stadi di sviluppo dell’embrione, di diritti del concepito e della donna) è stato in continuazione attraversato dalla preoccupazione di illustrare posizioni che non appaiono quasi mai definite una volta per tutte.
    C’è, dice Di Segni, quasi sempre una posizione di minoranza da considerare, accanto a un pronunciamento maggioritario dei rabbini. Una riflessione in chiaroscuro che finisce quando arriva a parlare di cellule staminali.
    Allora (ed è un peccato), Riccardo Di Segni sceglie l’assoluta assertività.
    Le cellule staminali ricavate da embrioni, dice, servono a curare il Parkinson, l’Alzheimer e altre gravi malattie, sono pezzi di ricambio a disposizione dei malati.
    Dice proprio così, al presente, come se la terapia con le staminali embrionali fosse già realtà e non, ancora, un’assoluta incognita.
    Un errore blu, che non giova alla causa dell’informazione che pure è il movente dichiarato dell’incontro. Sul punto dell’uso di embrioni per la ricerca (e sul relativo quesito referendario) la posizione di Di Segni, e della grande maggioranza dei rabbini, è quindi che si tratta di un’attività lecita, purché lo scopo (in prospettiva, s’immagina) sia il salvataggio di altre vite umane, e purché avvenga su un embrione fuori dal corpo della donna, ed entro quaranta giorni dalla formazione in vitro.
    La legge ebraica, che riconosce al concepito i pieni diritti solo al momento della nascita, gli accorda una forma di tutela solo dopo i quaranta giorni dalla fecondazione, e solo nel corpo materno.
    A questo proposito, ha esemplificato Riccardo Di Segni, c’è l’obbligo di soccorrere una donna con minaccia d’aborto entro i primi quaranta giorni di gravidanza, perché così agendo non si profana il riposo del sabato. Ma se s’interviene, di sabato, per mantenere in vita embrioni in un congelatore che si sia guastato, il sabato è profanato. L’uccisione del feto, seppure proibita, non è considerata uccisione di un essere umano, perché “il feto fa parte della madre”.
    Di Segni ha ricordato più volte che l’obbligo della riproduzione, stabilito dalla Genesi, mentre autorizza la fecondazione in vitro omologa (rifiutata dalla Chiesa cattolica, che non ammette nessuna forma di fecondazione extracorporea), non raccomanda l’eterologa, cioè l’utilizzazione di seme o di ovuli al di fuori della coppia, per i problemi psicologici e di attribuzione di paternità e di maternità che ne possono derivare, mentre l’adozione “non introduce un elemento estraneo nel vincolo matrimoniale” (ma il ricorso all’eterologa potrebbe essere giustificato in casi eccezionali, non meglio specificati).
    Di Segni ha poi detto che, proprio in vista di una maggiore possibilità di successo, e quindi sempre nell’ottica di ottemperare all’obbligo della riproduzione, si deve superare il limite massimo di tre embrioni da produrre e da impiantare prescritto dalla legge 40.
    E a proposito della diagnosi preimpianto, ha ricordato la grave malattia di Tay-Sachs, di cui è portatore un askenazita su ventisei, e della possibilità di selezionare embrioni che non ne siano affetti. Le conclusioni, in termini di pronunciamento referendario, vanno in direzione di tre sì e un no al quesito sull’eterologa.
    Ma questo il rabbino Di Segni, che pure l’ha suggerito, non l’ha detto.

    Su il Foglio del 31 marzo

    saluti

  3. #73
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    Predefinito Il gioco delle 3 carte

    Mentre in molti paesi si sperimenta, senza risultati, sugli embrioni, decretandone la morte, tanti, in Italia, fanno leva sulle speranze dei malati, con una leggerezza che ha dell’incredibile.
    Si sprecano gli interventi di chi promette guarigioni, esaltando le mitiche proprietà delle cellule staminali. Solitamente, in questi proclami, non è mai chiaro di cosa precisamente si tratti: staminali embrionali, fetali, del cordone ombelicale o staminali adulte?
    Un esempio per comprendere il funzionamento della strategia fumogena: sulla Repubblica del 21/12/2004, in una pagina, intitolata “La Cina, la clinica degli embrioni e i ‘miracoli’ del dottor Huang”, Federico Rampini racconta la storia di “un’oasi privatizzata dove una operazione costa 20.000 dollari”: “per molti occidentali è la Terra Promessa”.
    Rampini parla di centinaia di persone provenienti da ogni parte del mondo: paralizzati, paraplegici, malati di sclerosi multipla, di Parkinson ecc. Il tono della narrazione è a metà fra il trionfalistico e il leggermente dubbioso.
    Il dottor Huang infatti è descritto come un personaggio “semplice e dimesso”, con la “faccia tonda e gli occhi sorridenti”. Sulle sue scoperte la “comunità scientifica è spaccata”: qualcuno lo considera un mago, ma la realtà è che i suoi lavori non hanno superato alcun test scientifico.
    Rampini, però, conclude con una frase incoraggiante dello stesso Huang: “Ho solo osservato nei miei pazienti a pochi giorni dall’operazione, un’alta frequenza di recuperi in alcuni movimenti. Non so quanto dureranno questi progressi. Ma intanto possono rappresentare un miglioramento nella qualità della loro vita”. E il giornalista chiosa: “Per chi aveva perso ogni speranza, non è poco”.
    Si può intuire, dopo la lettura di una pagina di questo tipo, quale possa essere la reazione del lettore, specie se malato: che questi cinesi siano dei fenomeni? Che le cellule embrionali, su cui in Italia è vietato sperimentare, possano veramente guarire tutti?
    Reazione ovvia e scontata: decine di lettori scrivono e telefonano per informarsi sul dottor Huang, sul suo indirizzo, su come raggiungerlo. Probabilmente imprecano contro la legge 40.
    Così, a 20.000 dollari a operazione il dottore cinese è destinato a fare il nababbo, anche coi soldi degli italiani.
    Ma dove sta l’inganno? Nell’ignoranza o nella falsità di tutto il racconto. Il Rampini infatti non conosce assolutamente l’argomento di cui scrive: esordisce parlando di terapie rivoluzionarie a base di cellule embrionali, per specificare, immediatamente “da non confondersi con le cellule staminali”.
    Ma le embrionali di cui si discute sono staminali: staminali embrionali, appunto!
    Poi, per confondere ulteriormente, spiega che “in Cina dietro l’uso terapeutico degli embrioni c’è il dramma degli aborti di massa provocati dalla politica del figlio unico”: cosa c’entrano gli embrioni con gli aborti? Che si stiano confondendo gli embrioni con i feti, la vita umana al suo inizio con quella dopo il secondo mese di gravidanza?
    Il sospetto aumenta leggendo, nello schemino illustrativo, che le cellule embrionali verrebbero “prelevate dal feto” e che esisterebbero “le embrionali del cordone ombelicale”.
    Una confusione allucinante tra embrioni, feti e cordoni ombelicali!
    Informandosi meglio, si scopre che Huang non utilizza affatto “cellule olfattive da embrioni”, come sostiene Rampini, ma particolari “staminali neurali chiamate olfactory ensheathing glial cells (Oeg) estratte da feti abortiti durante il secondo trimestre di gravidanza” (“Prodigio”, bimestrale su disagio ed handicap, luglioagosto 2004).
    Il nodo è tutto qui. Huang, forse, cura qualcuno, ma non vi è nulla di certo: qualcuno è anche morto. In ogni caso lo fa non con staminali embrionali, ma con staminali fetali, utilizzate anche in Italia, ad esempio al San Raffaele dal professor Vescovi, che però procede coi piedi di piombo, per rispettare gli altissimi requisiti di purezza delle cellule richiesti dall’Ue (ma non dalla Cina), affinché il trattamento non risulti pericoloso.
    In ogni città italiana infatti c’è ampia disponibilità di feti abortiti spontaneamente, il cui uso non comporta remore di tipo morale.

    Francesco Agnoli su il Foglio del 31 marzo

    saluti

  4. #74
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    Predefinito Nascere, guarire, scegliere

    Il cuoricino nel logo è perfetto. Illustra la voglia di tenerezza del fronte del “sì” al referendum sulla fabbricazione (con scarto) dei bambini. Sono per la vita, e dicono nascere. Sono per la medicina che guarisce, e dicono guarire.
    Sono per la libertà dell’uomo, e dicono scegliere. Però avrebbero dovuto più esattamente scrivere: “Bimbi sani, di prima scelta”. E’ altrettanto breve, ma spiega meglio la loro filosofia.
    Se si dovesse discutere in astratto del diritto a nascere, si dubita che il fronte del “sì” referendario possa essere competitivo con tutte quelle beghine (da loro disprezzate) che s’industriano, dentro la Chiesa e fuori di essa, per impedire centinaia di migliaia di aborti ogni anno in ogni paese sviluppato.
    Nel caso in cui il tema fosse il guarire, dovrebbero spiegarci come si fa a guarire da una condizione esistenziale in cui la tua salute equivale alla manipolazione tecnica di un altro essere umano.
    Si trattasse poi di scelta intesa come esercizio della libertà, sarebbe utile delucidare che cosa sia la libertà senza comandamenti razionali accettati, senza tabù e divieti come l’imperativo kantiano di non considerare l’uomo come un mezzo.
    Il “sì” richiesto non è al nascere di individui autonomi, attesi per mezzo dell’amore. E’ un “sì” a una metodica biogenetica, quella della fecondazione artificiale, priva di regole e tutele per il concepito, per l’essere fecondato in vitro, che diventa oggetto, l’elemento di una serie numerica nelle nostre mani, da noi prodotta secondo i nostri desideri indotti dalla possibilità di fabbricarci una nuova realtà paraumana.
    E’ il sostegno all’idea che gli scarti di fabbrica debbano essere selezionati eugeneticamente, la prima scelta di ogni serie produttiva, e che da quella lotteria debba uscire la panacea per i mali da guarire negli individui adulti: questo sarebbe il loro guarire, con l’eccezione da risolvere sbrigativamente degli inguaribili, al principio e al termine della vita.
    Quanto alla scelta, allo “scegliere”, sarebbe meglio dire
    “selezionare”.
    Sarebbe più sincero spiegare agli adepti del “sì” che l’uomo non è creatura, l’homo faber, ma creatore, e che nel suo conflitto con la natura non trova limiti la sua fantasia modernista.
    Se dunque può reinventarsi, tecnicamente, lo fa. Punto e basta.
    E’ da tempo che aspettiamo dai nostri avversari, al posto dei discorsi di convenienza, un discorso difficile ma autentico di verità.
    Ci hanno dato invece un logo, e un piccolo cuoricino rosso.

    Ferrara su il Foglio

    saluti

 

 
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