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Discussione: Il Governo Prodi

  1. #471
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    Predefinito Forse hanno visto

    anche l'uomo che vive e prospera sul fittizio sul quale ha modellato l'operato del suo governo e l'uomo che vive nel concreto e che vuole dare una prospettiva concreta al Paese.
    E' qua la differenza: fra un'Italia mediatica (editoriale, televisiva e pubblicitaria, assicurativa) ed edile ed un'Italia legata al mondo della produzione.

    Tex Willer

  2. #472
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    Predefinito Una piccola storiella

    Quando facevo le medie avevo in classe un ragazzo che studiava tutto a memoria. Date, nomi, frasi dette dal professore, ecc. Quando veniva interrogato era veramente bravo, ripeteva tutto il libro, perfino le note, disegnava grafici alla lavagna, stupiva tutti con la sua simpatia e forza d'animo.
    Il suo problema era la matematica. Conosceva a menadito le formule, i teoremi, ma non sapeva applicarli. Si sforzava, non si poteva dire che non ci mettesse impegno, ma non riusciva mai a far quadrare i conti.

    Poi in terza media la nostra prof d'italiano voleva prepararci per il gran salto verso le superiori e cambiò registro nelle interrogazioni e nei compiti scritti. Quindi spazio alle analisi ai commenti, alle riflessioni.
    Beh.. imaggino che avrete capito... il mio compagno di classe calò vertiginosamente la media dei voti in italiano e storia. Oltre a peggiorare in matematica. Non era più sufficiente sapere a memoria tutto. Bisognova capirlo, comprenderlo a fondo e spiegarlo. Passò le medie con sufficiente e s'iscrisse a ragioneria.

    La cosa curiosa è che qualche mese fa ho reincontrato il mio ex compagno di classe. Sapete che lavoro fa adesso??? Vende auto usate.

    ciao

  3. #473
    brescianofobo
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    Non ho capito la metafora.

    Vorresti dire che i venditori di auto usate erano bravi in prima e seconda media?

  4. #474
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    Ovviamente no. I venditori di auto usate sono bravi e basta (fino a quando non cercano di fregarti... ma questo è un problema comune a tutti... qeullo di essere fregati...)

    Non è l'epilogo ma il divenire di quel mio compagno di classe che mi ricorda oggi qualcuno...

    ciao

  5. #475
    Da una grotta tra i monti...
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    Il che ci riporta ad una classica domanda da campagna elettorale americana, una di quelle che fregarono Nixon ai tempi del confronto con Kennedy:
    "Comprereste un'auto usata da quest'uomo?"

    Con una metafora lavorativa, Prodi è un "commerciale", ossia una figura di fiducia che accompagna il cliente/elettore nelle sue scelte, condividendone il rischio insieme alla possibilità di riuscita del progetto; il BerLosco è un "venditore", uno che oggi commercia in sapone, domani in auto, dopodomani in lavatrici, e che non si fa scrupolo di seminare il terreno di cadaveri mentre si riempie le tasche, perché tanto sa che comunque si è già costruito una via di fuga... basterà cambiare articolo, no?

    Insomma, ieri sera abbiamo assistito alla ennesima esibizione della Wanna Marchi della politica italiana... ci mancava solo la promessa di una bustina di sale ad ogni pensionato, per capire se avrebbe avuto o meno l'aumento...

    Fraternamente

  6. #476
    brescianofobo
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    A proposito di auto, pare che Bonaiuti abbia fato un macello all'uscita della Rai.

    [La Stampa 15 Marzo 2006

    «Male, male, male»
    Il premier se ne va seccato


    E Bonaiuti, imprecando, grida: «Non mi ascolta mai!»


    [FIRMA]Mattia Feltri
    ROMA
    L'imperdonabile ingiustizia, prossima al sadismo, è stata di sottrarre ai telespettatori tutto il resto. Il gelo iniziale e poi la delusione finale di Silvio Berlusconi, che alla conclusione del match si è alzato per primo, ha teso la mano al notarile Clemente Mimun, direttore del Tg1 e moderatore, poi l'ha tesa all'avversario, Romano Prodi, e rapidamente ai due intervistatori, Marcello Sorgi e Roberto Napoletano, e quindi s'è messo in marcia, passi svelti e corti, e quando ancora si sentivano i tacchi battere sulla scale, da lontano è arrivato il giudizio del premier: «Male, male, male».
    Questo era lo spettacolo. Lo spettacolo erano la diffidenza e la durezza degli sguardi nei minuti d'esordio. Come i pugili in accappatoio che annunciano la ferocia mettendo gli occhi negli occhi del nemico, Prodi e Berlusconi si erano salutati senza aprire bocca, limitandosi alla mano nella mano per gli scatti dei fotografi. E senza dirsi nemmeno buona fortuna si sono diretti alla sedia pronti alle botte. E allora sì, questo era lo spettacolo: niente marachelle, né boccacce né braccia sollevate in segno di protesta, né niente altro che potesse disturbare chi stava parlando con l'esclusiva dell'inquadratura. Lo spettacolo erano quei fogli riempiti di inutili ghirigori, disegnini per far passare il tempo come a scuola, durante le lezioni invernali. Uno diceva la sua, secondo le tecniche studiate, e quell'altro restava a testa china sulle pagine bianche, con la stilografica impegnata allo schizzo, e all'appunto per l'intervento successivo.
    E invece ai preziosi elettori, sintonizzati da casa, è stata inflitta una tortura a telecamera fissa, eccitante come il premio della critica al festival del cortometraggio di Timisoara. E la scenografia era adeguata alla copertura dell'evento: tutto bianco e trasparente, coma la sala d'aspetto di una clinica della Svizzera tedesca; e i candidati, e con loro i tre giornalisti, erano impeccabili nella divisa da pranzo della cresima. Il tutto vivacizzato dalla rigidità dei tempi concessi alle domande e alle risposte: undici cronometri, piazzati sulle pareti, sulla scrivania e persino sui braccioli delle poltrone degli sfidanti, dovevano essere le sentinelle della par condicio. E quando Berlusconi sforava allegramente di dieci secondi, il brivido si concretizzava nell'intervento del depresso Mimun, che inesorabile puntava la penna contro l'autore dell'infrazione, roba da vigile urbano più che da giornalista di razza.
    E peccato, perché teatrale era stato l'approccio, con lo spettegolare sull'allenamento, sugli sparring partner, sull'abbigliamento fin sotto i pantaloni: boxer per il premier, slip per l'avversario, almeno secondo gli ultimissimi scoop. Teatrale nel preambolo, con Romano Prodi in arrivo con buon anticipo, intorno alle 20,20, dopo una sosta allo storico bar Antonini, al quartiere Prati, per un panino al prosciutto e un bicchiere d'acqua minerale. Non meno studiato era stato l'ingresso di Berlusconi nel cortile di via Teulada, alle 20,56, in extremis, preceduto dallo sgommare dei poliziotti in motocicletta, e poi la macchina parcheggiata col piglio dei telefilm newyorchesi, e tutti che escono: l'autista, gli agenti della scorta, e resta dentro soltanto lui, Berlusconi, da solo, già bello truccato, con la fronte aggrottata a sfogliare gli ultimi documenti per l'ultimo ripasso di trenta secondi almeno, a beneficio degli astanti, con telecamera o taccuino.
    Peccato anche perché, da un certo punto in poi del confronto, cupamente teatrale è stato il ripiegarsi di Berlusconi, che accoglieva le frasi terminali di Prodi con sorrisi ironici sempre più metallici. Il duello così ardentemento inseguito si stava trasformando in una trappola di aride regolette, devastanti per il politico più esuberante ed estemporaneo degli ultimi decenni. Prodi se ne accorgeva, distendeva sempre più le guanciotte, si annotava la ribattuta sfoggiando il sorriso dell'occasione irripetibile. Ha atteso che tutto terminasse e poi si è goduto la scena onesta del nemico di sempre, carico di muto rammarico: il saluto veloce e secco, i passi, i tacchi sulle scale, e la lapide su se stesso: «Male, male, male».Ed è per questo, per tutto questo, purtroppo sottratto ai telespettatori, che Paolo Bonaiuti è uscito e, prendendo a calci le automobili, e imprecando, ha gridato: «Non mi ascolta mai!». Mentre Prodi si è fermato coi cronisti. Contento come una pasqua.

  7. #477
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    Quando Prodi tremò: «Salvatemi da Di Pietro»

    di Giancarlo Perna
    tratto da Il Giornale

    Nel '93, torchiato dall'ex pm sui fondi Iri, di cui era presidente, cercò l'aiuto di Mancuso. «Degli altri me ne fotto, devo tutelarmi ad ogni costo»

    Nel luglio del '93, il melomane Filippo Mancuso stava uscendo da casa per acquistare un manuale sul clavicembalo ben temprato, quando suonò il telefono. Era Romano Prodi da Parigi che singhiozzava nella cornetta e quasi non riusciva a parlare. «Sembrava Anna Magnani nella Voce umana di Cocteau», ricorda Mancuso. «Devo parlarle con urgenza. È successa una cosa gravissima», riuscì a articolare Romano che da un mese e mezzo presiedeva per la seconda volta l'Iri. Stabilirono di vedersi l'indomani all'Istituto.
    Prima di capire cosa sia successo, spieghiamo che c'entra Mancuso con Prodi. Raggiunti i più alti gradi della magistratura e da poco in pensione, l'allora settantunenne Mancuso era membro del Comitato di consulenza giuridica dell'Iri. Aveva avuto l'incarico da Franco Nobili che nel frattempo era stato ammanettato dal pool di Milano e languiva in carcere da due mesi. Subentrato a Nobili, Prodi aveva confermato la nomina di Mancuso che il giorno dopo si presentò puntualissimo nella sede di Via Veneto.
    Ecco, per bocca dell'ex Guardasigilli del governo Dini (1995), il racconto dell'incontro.
    «Prodi era prostrato. Appena mi vede, mi si abbandona addosso e implora: "Eccellenza, mi salvi". Aveva un affanno doloroso sul volto e non riusciva a parlare. Io non capivo. Alla fine si dà un contegno e dice: "Sono stato interrogato pochi giorni fa, il 4 luglio, da un giudice feroce, certo Di Pietro, che mi ha trattato come il peggiore criminale. Minacciava di non farmi tornare a casa. Si alzava e andava alla porta urlando intimidazioni contro di me, perché i giornalisti che aspettavano fuori sentissero. Quell'ossesso lo faceva per sputtanarmi". Lasciai che si sfogasse, poi chiesi: "Ma che voleva da lei questo Di Pietro?". Prodi rispose: "Gli avevo detto che il primo periodo all'Iri era stato il mio Vietnam. Questa frase è stata interpretata da quell'orrore di magistrato come l'ammissione di pressioni per favori illeciti ai partiti. Si è messo a urlare forte: 'È vero o no, che il segretario della Dc decideva lui chi doveva sedere su quella poltrona?' e poi, urlando di più: '
    Ma i soldi alla Dc chi glieli dava?'. Per ore ha continuato a scagliarsi contro di me, finché ha detto: 'Adesso esce coi suoi piedi, ma entro una settimana mi deve portare un memoriale spiegandomi quella frase, altrimenti lei a casa non ci torna'. Cosa posso fare, Eccellenza? Replicai: "Lei cosa vuole esattamente da me?". Prodi rispose: "Il mio legale, prof. De Luca, ha scritto questa memoria. Vorrei che la leggesse". Ho detto: "Non sono in grado di rivedere un professionista come Giuseppe De Luca. È un difensore eccellente e io, che sono un giudice, non so vedere le cose in chiave difensiva". Così risposi alle sue lacrimevoli insistenze. Ma Prodi continuava: "La guardi... veda... giusto una scorsa...". Voleva un parere, in realtà pensava che potessi fare pressioni sui magistrati. È una mia interpretazione. Io però non abboccai e dissi: "Lei mi dice che ha a che fare con un pm di questo tipo. Stia attento a non fare nomi di persone che potrebbero essere ingiustamente coinvol
    te creando nuovi dolori". Qui, Prodi esce al naturale e sbotta: "Io me ne fotto. Io devo salvare a ogni costo me stesso e non devo preoccuparmi di altro". Mi alzai dicendo: "Professore, lei ha sbagliato a consultare me anche perché non sono in sintonia con questo modo di vedere. Lei mi dà l'impressione di quei personaggi che nei film Western fuggono a cavallo, sparando sui bambini". Su questo, me ne sono andato e mai più ci siamo visti. Poi, lui disse che io ero pagato "principescamente" per l'incarico all'Iri. Non è vero, ma se lo fosse stato, niente di male. Dicendolo però, Prodi ha mostrato quello che è: un misero. Un misero naturale». Questa l'eloquente testimonianza sul carattere di Romano nei momenti difficili.
    Facendo poi l'esatto contrario del consiglio ricevuto, Prodi presentò ai pm Totò Di Pietro e Paolo Ielo un dossier folto di nomi. Cinquantatré pagine sul suo settennato all'Iri, in cui si assolveva da tutto incolpando invece Craxi, Gianni De Michelis, Giuliano Amato, il pm Infelisi (che lo aveva indagato per Nomisma) e perfino Berlusconi, reo di avere ostacolato la svendita della Sme all'Ing. De Benedetti. Una spiata in piena regola, accolta con voluttà dai due pm, ma che, di per sé, non sarebbe bastata a tirarlo fuori. A salvare Romano, fu infatti il Quirinale di Oscar Luigi Scalfaro.Poteva metterci una pietra sopra. Invece, ha voluto strafare e si è attaccato a Di Pietro come un siamese a suo fratello. Premetto, e confesso, che ho addolcito i giudizi di Prodi su Di Pietro nel dialogo con Mancuso. Le parole autentiche davano meglio l'idea dello stile giudiziario del pm, ma le ho cambiate per non dargli altre occasioni di arricchirsi con le querele. Tutto perciò fa pensare ch
    e Romano avesse in origine un autentico disprezzo per Di Pietro, misto a paura. Ma questa ha prevalso. Così, per tenerselo buono anche dopo l'abbandono della toga, l'ha preso prima nel suo governo del '96 come ministro dei Lavori pubblici, poi come stretto alleato. Da anni, in tv, compaiono in coppia come pappagalletti. Le formazioni tipo sono, Totò alla destra di Romano, Totò alle spalle di Romano, Totò che annuisce a Romano che parla, Romano che guarda Totò per vedere se annuisce. L'insana simmachia tra carcerato e carceriere e il delatorio dossier di 53 pagine folto di nomi, hanno procurato a Romano nomea di codardo. Giorni fa, il suo ex preside di Scienze Politiche, Nicola Matteucci, ha scritto: «La cosa divertente è che il nostro Prodi, che certo un prode non è, gli ha offerto (a Di Pietro, ndr) per le prossime elezioni un posto sicuro... Una totale mancanza di dignità, dove la paura di ieri si mescola alla viltà di oggi».Per otto lunghi anni, Romano ha guidato l'Iri ch
    e con l'Eni è stato il tangentificio d'Italia. Le ha viste tutte, fatte altrettante, ma si erge moralista. Insincero anche nel dossier per i magistrati. Finge di aprirsi, invece tace ciò che vuole tacere.I fondi neri dell'Iri nascono prima di Prodi, ma è lui a coprirli. Sono serviti a finanziare partiti, sovvenzionare giornali, costruire chiese, compiacendo questo o quel cardinale, favorire l'Opus Dei. Lo scandalo scoppia sotto la presidenza Prodi. Il maggiore imputato è Ettore Bernabei, uomo di rispetto della Dc, amico di Amintore Fanfani, sospetto Grande Elargitore. Per evitare la gattabuia, l'astuto fanfaniano si fa operare di un calcolo. Il pm Gherardo Colombo, che ha spiccato il mandato, aspetta impaziente la convalescenza per eseguirlo. Ma il chirurgo ha provvidenzialmente dimenticato una garza nella pancia del paziente che torna sotto i ferri. Colombo, depresso per l'interminabile malattia, ritira il provvedimento. Il malato guarisce all'istante e Prodi il giorno stes
    so, 27 giugno 1985, lo promuove presidente dell'Italstat. Poi dichiara: «Tutti i fondi neri sono rientrati nei bilanci dell'Iri: il danno economico non c'è stato». Non è così, ma sarebbe lungo spiegare il trucco. All'indignato Franco Bassanini, un ex dc, passato ai socialisti, poi ai comunisti, che gli chiede chiarimenti, Romano risponde, leale e coraggioso: «Se tocco Bernabei rischio di saltare io».
    Oltre al favore fatto a Fanfani, via Bernabei, il dossier di Romano ne tace un altro, fatto a Andreotti. Nell'89, agli sgoccioli della prima presidenza, Prodi vende a prezzo stracciato il Banco di Santo Spirito alla Cassa di Risparmio di Roma. Una decisione imperiale, senza gara al migliore offerente e neanche uno straccio di perizia, denunciò scandalizzato Pietro Armani vicepresidente dell'Iri. Ma era quanto desiderava il Divo Giulio, d'accordo con l'amico Cesare Geronzi che, direttore generale della Cassa, diventa, con l'acquisizione, anche amministratore delegato del Santo Spirito. Quando poi le due banche, completando il piano segreto, finiscono nel Banco di Roma, oggi Capitalia, Geronzi presiede l'uno e l'altra. Andreotti è appagato e Romano rinsalda un antico rapporto di cui domani vedremo l'origine.
    Per molte di queste decisioni politicamente addomesticate e tecnicamente aberranti, come Santo Spirito, Sme, ecc., Prodi l'ha fatta franca. Per una però, è finito in Tribunale. Nel '96, già capo del Governo, la Procura di Roma lo rinviò a giudizio per la vendita della Cirio-Bertolli-De Rica. Un affare sballato della seconda presidenza Iri. La pm, Giuseppina Geremia, lo accusa di abuso di ufficio per avere «intenzionalmente avvantaggiato» l'acquirente, la Fsvi dell'imprenditore Lamiranda, «pur sapendo che non aveva i mezzi».
    La storia si tinge subito di giallo. La Geremia riceve minacce e telefonate anonime. Un'aura mafiosa plana sull'indagine al premier: chi tocca i fili muore. Ma la pm va avanti. Cautelativamente, il Parlamento, dominato dalla sinistra, fa una legge ad personam sull'abuso d'ufficio alleggerendo a ogni buon conto la posizione di Romano. Il gip Landi assolve Prodi applicando la nuova norma e con una gimcana che impedirà alla Geremia, intenzionatissima a farlo, di impugnare il proscioglimento. La sentenza doveva essere depositata il 23 gennaio '98. Lo è invece il 9 febbraio, due giorni dopo il trasferimento della Geremia a Cagliari. Partita lei, nessuno impugna e la cosa muore lì.
    Ancora una volta, Romano è miracolato. L'antica riserva della Repubblica, ora politico professionale, può proseguire impunita la strada intrapresa.

  8. #478
    Da una grotta tra i monti...
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    Miiiiiiiiinchia, Perna+"Il Giornale"... una autorevolezza britannica... chissà che mi credevo!

    E tu ti alzi così presto per copiare con le tue manine certe str***ate? Ma non hai proprio una fava da fare!

    Vabbè, i danni della "180"...

  9. #479
    brescianofobo
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  10. #480
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    Predefinito ... e allora leggiti il Riformista del 16 marzo 2006

    Citazione Originariamente Scritto da Eremita
    Miiiiiiiiinchia, Perna+"Il Giornale"... una autorevolezza britannica... chissà che mi credevo!

    E tu ti alzi così presto per copiare con le tue manine certe str***ate? Ma non hai proprio una fava da fare!

    Vabbè, i danni della "180"...
    "Non capisco la ricetta di Prodi"
    Ricolfi sul Riformista:"Cosa nasconde?"


    "Ma tutti quei soldi dove li trova? Non capisco la ricetta di Prodi" Per Luca Ricolfi il Prof o nasconde qualcosa o non la dice giusta.

    Tommaso Labate per il Riformista di giovedì 16 marzo

    gombriamo il campo dagli equivoci e partiamo dalla fine: a Luca Ricolfi non sono piaciuti né Silvio Berlusconi, né Romano Prodi. Anche prima del duello televisivo, il sociologo che recentemente ha indagato sull'antipatia della sinistra e su quanto sia stato effettivamente rispettato il berlusconiano contratto con gli italiani aveva scritto ad entrambi i leader manifestando la propria delusione a proposito dei programmi ufficiali di Unione e Cdl, e chiedendo loro di compilare un questionario di 48 domande. «Come elettore non sono in grado di capire né che cosa farete effettivamente una volta al governo, né dove troverete le risorse per mantenere le vostre promesse. Già, perché almeno un punto è chiaro a tutti: qualsiasi cosa le vostre promesse concretamente significhi no, la loro somma costerà un sacco di soldi» (la lettera e il questionario sono sul sito della rivista Polena).

    La sfida televisiva non ha risolto i dubbi di Ricolfi. Tasse, cuneo fi scale, famiglia, conti pubblici, immigrazione, grandi opere. Su tutti questi temi, dice il sociologo al Riformista, «Prodi è stato vago. Non si capisce quali ricette intende adottare quando, verosimilmente, sarà al governo». A partire dalla spesa pubblica. Sostiene Ricolfi: «Prodi fa capire che i nostri servizi - dalle ferrovie alla scuola - e le infrastrutture sono allo sfascio. Nello stesso tempo, però, ha dichiarato che un governo serio deve controllare la spesa pubblica e contemporaneamente rafforzare lo stato sociale. Ma una riforma che rafforzi lo stato sociale è molto difficile da attuare senza aumentare la spesa. Reciprocamente, se alleggeriamo la spesa pubblica sarà difficile rafforzare lo stato sociale». E poi, aggiunge Ricolfi, «la cosa che mi ha colpito è che con il centrodestra al governo l'incidenza della spesa sociale sul pil è aumentata di più di un punto. Altro che attacco di Berlusconi al
    lo stato sociale... II problema è che all'aumento della spesa non è corrisposto un miglioramento dei servizi. Berlusconi ha speso di più in stipendi - che nel pubblico impiego sono aumentati più dell'inflazione ufficiale - e di meno in beni intermedi e investimenti. Ad esempio, per migliorare l'università, potremmo aumentare le biblioteche, i computer, i collegi, ma per farlo bisognerebbe risparmiare sugli stipendi. Non mi sembra che Prodi si sia espresso in maniera chiara su questo».Dai servizi al costo del lavoro. Altro tema, stessa (poca) chiarezza. «Su questo la situazione è ancora più preoccupante», dice Ricolfi. E spiega: «Se Prodi dice che ridurrà il cuneo fiscale, nello stesso istante i cittadini hanno il diritto di capire dove ha intenzione di prendere le risorse. II leader dell'Unione spiega che gran parte dei soldi arriveranno dalla redistribuzione del carico fiscale, e fin qui va bene. Poi, il Professore ha spiegato che aumenterà il costo del lavoro precario e di
    minuirà quello del lavoro regolare. Ma attenzione: fatti quattro conti, non è detto che il costo complessivo del lavoro si riduca, o che non finisca per ridursi in maniera troppo lieve». In poche parole, «non è detto che con la ricetta del centrosinistra il saldo per le imprese sia positivo. Perché il costo che si sottrae con una mano (riduzione cuneo fiscale) rischia di essere aggiunto con l'altra (maggiori contributi sul lavoro atipico)». Per Ricolti, il capitolo sul costo del lavoro è quello su cui si potrebbero nascondere le peggiori insidie. «Sono un elettore del centrosinistra - dice - e la cosa che ho più apprezzato del programma dell'Unione è la maggiore attenzione alle imprese e all'offerta come strumento per tornare a crescere. Ma se il punto chiave, anche in televisione, è stato così poco messo a fuoco non posso che essere preoccupato. Anche perché proprio questo è il punto su cui i due programmi ufficiali si differenziano. Quello di Berlusconi guarda più alla fam
    iglia; quello di Prodi si concentra anche sulle imprese. E se non si fa la necessaria chiarezza, il rischio per le imprese è che le cose alla fine non vadano per il verso giusto».

    La madre di tutte le questioni, perché ingloba tutte le altre, riguarda lo stato dei conti pubblici e il risanamento. «Capisco che Berlusconi abbia tutto l'interesse di dire che i conti pubblici sono a posto», sospira Ricolfi. «Ma se Prodi dice che i conti sono allo sfascio - prosegue - allora dovrebbe dirci quali correzioni intende apportare e in che modo. In questa situazione, il minimo che ci si possa aspettare da un politico serio è che ci dica "troveremo il modo di sistemare le cose ma ci aspettano sacrifici". In effetti Prodi mi è piaciuto quando ha fatto riferimento ai sacrifici che si prospettano agli italiani. Purtroppo il Professore non ha spiegato quali. Ci sarà una patrimoniale sulla casa? Un aumento dell'Iva? Un'imposta speciale come l'eurotassa? II paese ha diritto di sapere queste cose prima di esprimere la propria preferenza.». Secondo i calcoli di Ricolfi, poi, «la situazione dei conti pubblici è ancora peggiore di quel che appare». Per il sociologo, «l'extra
    -deficit per il 2005, che la stima Istat fissa a 15 miliardi (1,1 oltre i13 per cento), potrebbe ammontare a 22 miliardi circa (1,6 di extra-deficit), secondo i più recenti dati della Banca d'Italia. E poi, solo sulle grandi opere, le nostre indagini dimostrano che ci sono 30-40 miliardi di debito occulto che la collettività dovrà accollarsi nei prossimi anni». Risultato? Per Ricolfi, «se Prodi ci dice che vuol ridurre il deficit e contemporaneamente spendere per lo stato sociale e per i bonus che ha promesso, allora ci mettiamo a ridere. Non è realizzabile un disegno così fuori portata. II discorso, naturalmente, vale anche per Berlusconi».
    Quando la conversazione si sposta sul tema dell'immigrazione, Ricolfi è sconsolato. «A dire il vero non sono sicuro di aver capito quali sono le differenze tra i duellanti. Berlusconi, come al solito, ha fatto lo struzzo evitando accuratamente di rilevare l'elevato numero di clandestini presenti oggi in Italia. Leggendo il programma di Prodi, invece, mi è parso di intendere che il centrosinistra pensi a una sorta di diritto permanente alla regolarizzazione degli immigrati che hanno alcuni requisiti minimi (ad esempio essere entrati regolarmente in Italia e avere un'offerta di lavoro). Può essere una posizione ragionevole, ma se è questa bisognerebbe renderla esplicita, assumendosene la responsabilità». Arriva l'ora del bilancio finale. Oltre le ambiguità, per Ricolfi «Prodi è stato senza dubbio più rassicurante». Riavvolgendo il nastro della sfida televisiva, il sociologo torinese sostiene che «il Professore non è stato per nulla convincente sull'Irap e in generale su fisco e
    conti pubblici. Mi è parso invece molto efficace e positivo quando ha fatto il discorso finale sul "dialogo" e sulla "speranza"». In fondo, in fondo, a Ricolfi non rimane che un'impressione: «Il cittadino che ha visto il dibattito si sarà convinto che votando Prodi darà una speranza al suo futuro. Probabilmente ha ragione. lo rimango dell'idea che i leader dovrebbero dare anche risposte chiare e non ambigue, specie se gli intervistatori lo richiedono, come ha fatto l'ottimo Roberto Napoletano. Altrimenti, è meglio non guardarli neanche, questi duelli».

 

 
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