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    Predefinito Senza peli sulla lingua

    New York. Il 3 gennaio ho incontrato Ann Coulter in un ristorante italiano dell’Upper East Side. Aveva un aspetto splendido, radioso. Più bella che mai.
    Indossava una camicia azzurro chiaro e stivali neri; al collo portava una croce fatta di diamanti. Non l’avevo più vista dai giorni della convention repubblicana.
    Nel frattempo, il presidente Bush è stato rieletto, il suo nuovo libro “Come parlare a un liberal (se proprio devi )” è entrato nella lista dei bestseller del New York Times e, durante un discorso che stava tenendo alla University of Arizona, alcuni idioti hanno cercato di tirarle una torta in faccia, ma l’hanno mancata. “I liberal ora quasi mi piacciono”, ha esordito, sorseggiando un bicchiere di vino bianco.
    “Sono proprio carini quando tremano impauriti. Sono così patetici e tristi. Non sono in grado di sostenere alcuna battaglia. Insomma, se tutto quello che sanno mettere in tavola è la firma prestampata di Rumsfeld sulle lettere di condoglianze per le famiglie dei soldati caduti in Iraq…”.

    Perché il 2004 è stato un ottimo anno?
    “Ho intenzione di offrire un premio al primo liberal che parlerà dell’Afghanistan o dei curdi. Voglio dire, l’85 per cento dell’Iraq oggi è libero - fatto davvero meraviglioso - ci sono circa trecento soldati che pattugliano l’intera regione curda. Questi poveri e tormentati curdi sono finalmente liberi, felici, danzano nelle strade: ma i liberal semplicemente non ne parlano.
    Senza dubbio avevo temuto che l’Afghanistan potesse rivelarsi un osso più duro dell’Iraq (…) invece l’abbiamo conquistato in un mese. Ora gli afgani, comprese le donne, hanno avuto le elezioni e non hanno certo votato per qualche folle e fanatico mullah. Insomma, è stato un ottimo anno”.

    Il popolo iracheno non sembra aver passato davvero un bel Natale.
    “E’ vero. Ma presto potranno aprire anche loro i regali di Natale. E saranno felici. Vedremo. Comunque le cose stanno andando abbastanza bene, persino meglio di quanto si prevedesse. Prima che Bush termini il suo nuovo mandato avremo trasformato il medio oriente, o ci saremo molto vicini. Penso che la possibilità che un arabo scaraventi un altro aereo contro un nostro grattacielo sia concreta quanto quella che ci provi un kamikaze giapponese”.

    Che cosa ti avrebbe convinta ad ammettere che l’invasione sia stata una cattiva idea?
    “E’ una buona domanda. Sarebbe un errore se ci mettessimo a bighellonare permettendo che l’intero paese si trasformi in una grande Fallujah. A mio giudizio si è perso già troppo tempo su questo punto. Insomma, si tratta di una guerra: vinciamola e basta. Conquistiamo quella città una volta per tutte! Penso che lo ammetterei se si dovesse arrivare al punto di dover rimanere per sei, sette anni, con gli americani che controllano la zona senza uccidere nessuno – inizio a essere stufa di sentire tutte queste lamentele sulle perdite civili. Penso che dovremmo tirare una bomba atomica sulla Corea del nord semplicemente per dare un avvertimento al resto del mondo”.

    Tirare una bomba atomica sulla Corea del nord?
    “Esattamente. Questo è legato alla mia tesi che, in Iraq, bisogna lasciar fare ai marine il loro lavoro. Ci potranno essere delle vittime civili: ebbene, la guerra è proprio questo. Gli americani possono convivere con questo. E quando mai siamo diventati guardiani del mondo per impedire ogni perdita civile? E che dire dei nostri civili?”.

    Dopo che avremo bombardato la Corea del nord, quale paese dovremo invadere?
    “L’Iran. Anche se è proprio questa la cosa fantastica dell’Iraq: potrebbe anche non essere necessario. Proprio per quello che ho detto a proposito di un bombardamento contro la Corea del nord – nonostante la bellissima pace che Madeleine Albright aveva negoziato con i nordcoreani, sei secondi prima che questi ultimi avviassero un programma di armamento atomico. I nordcoreani sono una grave minaccia. Penso che sarebbe divertente sganciargli una bomba atomica lanciando allo stesso tempo un avvertimento al resto del mondo”.

    Che dire della Mecca?
    “Seriamente, penso che tutti i paesi del medio oriente, dopo l’Afghanistan e l’Iraq, sono praticamente diventati il cagnolino di George W. Bush. Credo che si rendano perfettamente conto che noi facciamo sul serio: abbiamo un presidente che può fare ciò che ritiene giusto, infischiandosene delle lamentose proteste di un manipolo di liberal e delle lettere inviate al New York Times da cittadini che provano vergogna per ciò che sta facendo il loro paese”.

    Che cosa diranno i liberal quando George W. Bush lascerà la Casa Bianca?
    “Ecco che cosa diranno: ‘Molta gente vorrebbe attribuire a George Bush il merito di avere trasformato l’intero medio oriente. Ma era inevitabile, sarebbe accaduto comunque. Sarebbe accaduto anche con John Kerry’”.

    Che cosa dovremmo ricordare di Bill Clinton?
    “Beh, era un ottimo stupratore. Penso che questo non dovrebbe essere dimenticato, anche se non mi sembra che stia avvenendo. Quando l’ho visto in televisione con Bush sono sobbalzata: che cosa sta pensando Bush? Che cosa significa questo? Mi ricorda uno degli episodi peggiori della storia americana: Clinton che parla al telefono con qualche membro del Congresso della possibilità di inviare truppe americane nei Balcani mentre Monica Lewinsky gli fa un servizietto sotto il tavolo. Ai liberal questo non importava, in compenso li turba moltissimo il fatto che Bush abbia aspettato 48 ore prima di lasciare il ranch di Crawford in Texas. Avrebbero potuto almeno mostrare metà dell’indignazione che hanno espresso contro Bush per non avere immediatamente consegnato l’intero tesoro americano all’Indonesia – dove, detto per inciso, tutti gli indonesiani indossano le magliette di Osama bin Laden. Hai visto che lo Sri Lanka non accetta squadre di medici provenienti da Israele? ‘E’ un disatro naturale, stiamo morendo, mandateci aiuti! Ma niente ebrei’. Oh, sì. Che popolo adorbile”.

    Qual è il più grave difetto del partito repubblicano?
    “Non si fida abbastanza di se stesso e lo innervosisce la possibilità di candidare un vero repubblicano. Il nostro problema è esattamente l’opposto di quello dei democratici, i quali devono fare in modo che il popolo americano non comprenda ciò in cui veramente credono. Invece, più il popolo americano sa in cosa crediamo, più ci apprezza”. (…)

    Rudolph Giuliani diventerà mai presidente?
    “Adoro Giuliani, ma penso che debba cambiare la sua posizione sull’aborto. Noi siamo un partito pro-vita. E non credo che la metà del paese si renda conto che lui si dichiara a favore dell’aborto. E’ un ragazzo cattolico del Queens, faceva parte dell’opera club – andiamo! Questi repubblicani newyorkesi non sanno comprendere i Red States (gli stati conservatori, ndt) così come li comprendo io. Io ho fatto tutti i miei discorsi in questi posti, e so che l’America non è soltanto New York. E loro dicono: ‘Oh, ora possiamo avere un candidato pro aborto che ci farà ottenere i voti dei moderati nel nordest; tanto la destra cristiana voterà comunque per noi’. No, non lo farà!”.

    Ann Coulter ha detto di non essere una grande sostenitrice dell’attuale sindaco di New York.
    “Penso che chiunque altro sarebbe meglio. Michael Bloomberg è esattamente come Maria Antonietta. Non deve rispondere a nessuna base elettorale, sta alzando vertiginosamente le tasse, non ha alcuna intenzione di ridurre i programmi sociali, e con il divieto sul fumo… insomma, non ha fatto altro che danneggiare bar e ristoranti. E’ in tutto e per tutto come Maria Antonietta.
    A New York, la gente vive in appartamenti grandi come questo tavolo. La nostra sala da pranzo sono i ristoranti della città. Non siamo tutti come Michael Bloomberg, che può invitare i suoi amici in un enorme palazzo. E non permettere alla gente di fumare nella propria sala da pranzo è proprio quello che avrebbe fatto Maria Antonietta. Io lo disprezzo”.

    Perché i liberal dicono spesso cose molto violente?
    “Lascia perdere quello che dicono; sono violenti e basta. Il giorno delle elezioni erano in giro a tagliare pneumatici. Quest’anno sono stata aggredita. Ho sentito che MoveOn.org offre un premio a chi riesce a tirarmi una torta in faccia. Finora non ci è riuscito nessuno. Credo che uno sia ancora dietro le sbarre. E’ divertente che siano finiti in prigione – dove possono godersi i vantaggi del matrimonio gay. Uno ci ha rimediato una spalla fratturata e un altro il naso rotto. E questo mentre stavo viaggiando priva di ogni protezione. Lasciateli provare un’altra volta, e ci lasciano la pelle”.

    La nomina di Condoleezza Rice a segretario di Stato è un evento enorme, giusto?
    “Sì, i liberal dovranno trovare un modo per escluderla da tutte le fotografie. Sarà un po’ come nella Russia stalinista: ‘Chi è quella donna nera vicino a Bush? No, lascia perdere, probabilmente è qualcuno che Bush sta arrestando! O magari è la cameriera!’. Se ne accorgeranno. E mi sembra curioso l’atteggiamento che i democratici hanno nei confronti dei neri: non si scagliano contro i conservatori ispanici con la stessa violenza con cui attaccano i conservatori neri. Con questi ultimi i democratici tornano immediatamente ai vecchi stereotipi razzisti. Proclamano subito: ‘Sono incompetenti e stupidi’. Guarda gli attacchi che sono stati fatti contro Clarence Thomas e Condoleezza Rice. Fanno di tutto pur di non darle riconoscimenti. Ricorrono ad accuse tipicamente razziste: ‘Oh certo, non è all’altezza del compito. E’ incompetente. E’ un pupazzo”. Bush, ci ripetono continuamente, è cretino, cretino, cretino. E’ soltanto un burattino, e il burattinaio è Dick Cheney o Donald Rumsfeld e viene continuamente rigirato da questi scaltri neocon. Ma quanto a Condoleezza Rice, lei è il burattino di un cretino: ecco fino a che punto è cretina”.

    Potrebbe essere lei a dire qualcosa sui conservatori neri?
    “Durante il dibattito sul matrimonio gay, questi sacerdoti neri andavano in tv e dicevano cose che nessun conservatore bianco avrebbe mai osato dire: ‘Sodomia? Brucerai all’inferno per questo peccato!’. E mi sono accorta con grande gioia che se riusciremo ad attrarre i neri nello schieramento conservatore avremo a disposizione un’intera razza di Ann Coulter. A loro non importa nulla di essere politicamente corretti. Sarebbe davvero divertentissimo. E oltretutto sono già dei conservatori! Io voglio rivolgermi direttamente a loro. Ho deciso che sarà il solo discorso gratuito che pronuncerò quest’anno. Andrò in una chiesa di neri e parlerò del matrimonio gay. I fratelli neri non sono affatto entusiasti di tutte queste teorie omosessuali. I quattro gruppi più decisamente contrari al matrimonio gay sono i neri, gli ispanici, le persone anziane e i colletti blu, vale a dire i quattro pilastri del partito democratico”.

    Com’è stato il suo Natale a New York?
    “Oh, quest’anno è stato molto divertente, perché dire ‘Buon Natale’ è come dire ‘Vaffanculo’: io l’ho detto a tutti. Ai tassisti, alla gente che passava per la strada, a chiunque. E loro rispondevano: ‘Buone feste’. ‘Buon Natale’. Questo sì che è un insulto newyorchese”.

    George Gurley
    © New York Observer - Il Foglio
    traduzione di Aldo Piccato

    saluti…..ha…..ha….ha

  2. #2
    Makeru ga, katta
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    Before you all die ghastly, horrible deaths, let me take the hour to describe my latest plan for world domination! Uhauhauha!
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    Predefinito

    In origine postato da mustang
    New York. Il 3 gennaio ho incontrato Ann Coulter in un ristorante italiano dell’Upper East Side. Aveva un aspetto splendido, radioso. Più bella che mai.
    Indossava una camicia azzurro chiaro e stivali neri; al collo portava una croce fatta di diamanti.

    [snip]

    Che cosa ti avrebbe convinta ad ammettere che l’invasione sia stata una cattiva idea?
    “E’ una buona domanda. Sarebbe un errore se ci mettessimo a bighellonare permettendo che l’intero paese si trasformi in una grande Fallujah. A mio giudizio si è perso già troppo tempo su questo punto. Insomma, si tratta di una guerra: vinciamola e basta. Conquistiamo quella città una volta per tutte! Penso che lo ammetterei se si dovesse arrivare al punto di dover rimanere per sei, sette anni, con gli americani che controllano la zona senza uccidere nessuno – inizio a essere stufa di sentire tutte queste lamentele sulle perdite civili. Penso che dovremmo tirare una bomba atomica sulla Corea del nord semplicemente per dare un avvertimento al resto del mondo”.

    Tirare una bomba atomica sulla Corea del nord?
    “Esattamente. Questo è legato alla mia tesi che, in Iraq, bisogna lasciar fare ai marine il loro lavoro. Ci potranno essere delle vittime civili: ebbene, la guerra è proprio questo. Gli americani possono convivere con questo. E quando mai siamo diventati guardiani del mondo per impedire ogni perdita civile? E che dire dei nostri civili?”.

    _______________________
    Gli zeri, per valere qualcosa,
    devono stare a destra.

  3. #3
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    nulla da dire una lucida pensatrice...

  4. #4
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    Predefinito La guerra al terrorismo non è...

    ....un giochino

    “La politica di questa amministrazione non prevede alcuna tolleranza verso la tortura o condotte disumane nel trattamento di chiunque sia da noi detenuto”.
    “Penso che la decisione di non applicare la Convenzione di Ginevra nel nostro conflitto con al Qaida sia stata assolutamente giusta”.
    “Vogliamo naturalmente rispettare criteri basilari di condotta nel trattamento dei militanti di al Qaida, ma l’informazione è molto, molto importante. E se ci sono modi per ottenerla, per esempio attraverso stimoli (“through inducements”), mi sembra che sia responsabilità del governo applicare questi metodi”.

    Alberto R. Gonzales, ministro della Giustizia, dalla deposizione al
    Senato degli Stati Uniti, 6 gennaio 2005

    su Il Foglio del 8 gennaio

    saluti

  5. #5
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    Milano. Alberto Gonzales, consulente legale della Casa Bianca, è il nuovo ministro della Giustizia di George W. Bush. Sostituisce John Ashcroft, il politico cristiano evangelico che fino alla nomina di Gonzales è stato accusato di aver ridotto drasticamente le libertà civili americane e, in generale, di aver commesso le peggiori sconcezze giuridiche possibili.
    Ora gli stessi antichi accusatori di Ashcroft dicono che Ashcroft non c’entrava nulla, ché il cattivo in realtà è sempre stato questo Gonzales, il giurista latinos che ha vissuto questi anni di guerra al terrorismo nella stanza di fianco a quella del presidente.

    La legge americana prevede che la nomina del nuovo Attorney General (così negli Stati Uniti si chiama il Guardasigilli) passi attraverso un’audizione pubblica, seguita da un voto di conferma, alla commissione Giustizia del Senato.

    In questa sede istituzionale, giovedì e venerdì, s’è discusso del ruolo ricoperto da Gonzales nella formulazione della cornice giuridica entro la quale s’è mossa la politica di Bush contro al Qaida. Che è questa: la guerra al terrorismo è una guerra asimettrica; i terroristi di al Qaida non sono paragonabili ai prigionieri di guerra regolati dalla Convenzione di Ginevra del 1949; e non soltanto perché sono i primi a non rispettare alcuna convenzione.
    Il punto è che i terroristi non hanno un’uniforme, non c’è uno Stato a cui riconsegnarli e, a differenza dei soldati di una guerra tradizionale, dispongono di informazioni utili a sventare altri attentati.
    La chiave di questo dibattito è la parola “tortura”.
    L’espressione evoca, anche nell’impaginazione iconografica dei giornali, lo scandalo di Abu Ghraib, il carcere iracheno dove è stata scoperta una serie di abusi sui detenuti.
    Quelle fotografie richiamano un bel po’ di altre cose: il campo di prigionia a Guantanamo Bay, il Patriot Act, la Convenzione di Ginevra e i memorandum giuridici, alcuni scritti da Gonzales altri da lui sollecitati, che avrebbero dato il via libera, appunto, alle torture made in Usa.
    Tutto insieme, tutto legato.
    Come se questi elementi fossero la prova provata di un unico disegno criminoso ordito da Bush per torturare i nemici e cancellare le regole della nostra civiltà.
    Un progetto crudele, ovviamente suggeritogli dalla malefica lobby dei neoconservatori (il Corriere di giovedì definiva Gonzales un “neocon”, ma è un’informazione che risulta soltanto al quotidiano di via Solferino).
    La questione Gonzales invece è molto più seria, ed è centrale nella lotta occidentale contro lo stragismo islamista.
    Eppure è ristretta a un solo punto: come si interrogano i terroristi di al Qaida.
    Gli abusi di Abu Ghraib non c’entrano nulla, come è evidente. Quelle fotografie non mostravano torture per estorcere informazioni ai detenuti. Sono piuttosto immagini di pochi o tanti mascalzoni, non importa, che hanno abusato dei prigionieri per divertimento. Il caso è stato scoperto da altri soldati. Il Pentagono ha sospeso, processato e punito i responsabili.
    Da allora per valutare altri casi si sono susseguiti otto diversi rapporti sui maltrattamenti (Taguba, Fay-Jones-Kerr, Schlesinger, Navy I.G., Army I.G., Jacoby, Ryder, Miller) e altre inchieste sono in corso.
    Non c’entra nemmeno il Patriot Act, legge votata quasi all’unanimità e anche da John Kerry, John Edwards, Ted Kennedy e Hillary Clinton.
    Non c’entra la Convenzione di Ginevra.
    O, meglio, c’entra, ma non per la tortura.
    Invece giornali e commentatori ripetono che Bush, grazie a Gonzales, ha scelto di non applicare la Convenzione sui diritti dei prigionieri di guerra, così da poterli torturare.

    Ginevra impedisce di interrogare i terroristi
    La polemica nasce da un memorandum scritto da Gonzales il 29 gennaio del 2002, tagliato e ricucito male l’11 novembre 2004 dal New York Times. Nell’articolo del quotidiano newyorkese, ripreso da tutti i giornali del mondo, il memo di Gonzales suggeriva di non applicare la Convenzione di Ginevra perché “alcune sue previsioni sono curiose”, come a far intuire chissà quale lasciapassare giuridico a violazioni di diritti fondamentali.
    In realtà, come è stato costretto ad ammettere il Times il giorno dopo, ma solo nella rubrica “correzioni, “le curiose previsioni” di cui scriveva Gonzales erano specifiche e ben specificate: riguardavano “gli anticipi sulla paga mensile”, le “uniformi sportive” e gli “strumenti scientifici”, roba effettivamente curiosa da fornire ai “nemici combattenti” catturati in battaglia in Afghanistan.
    Alla fine del 2001, mentre era in corso la guerra in Afghanistan, la Cia e altre agenzie hanno chiesto alla Casa Bianca, quindi a Gonzales, di specificare che cosa costituiva “tortura” visto che c’era da interrogare i talebani catturati.
    Le Torri gemelle fumavano ancora, si temeva un altro attentato e c’era l’allarme antrace.
    L’Amministrazione e le agenzie di intelligence volevano trovare un modo di non violare la legge e, contemporaneamente, essere efficaci nella prevenzione di un altro attacco.
    La Convenzione di Ginevra, ed è questo il punto, impedisce di interrogare i prigionieri, se questi rifiutano di rispondere.
    Le uniche domande ammesse sono (articolo 17) quelle sul nome, cognome, data di nascita, numero di matricola e grado.
    Non solo. Come è ovvio “nessuna tortura fisica o morale né coercizione alcuna potrà essere esercitata sui prigionieri di guerra per ottenere da essi informazioni di qualsiasi natura”, ma i prigionieri che rifiutano di rispondere “non potranno essere né minacciati, né insultati, né esposti ad angherie o a svantaggi di qualsiasi natura”.
    Secondo Ginevra, non si può neanche premiare chi collabora. Insomma se gli americani avessero catturato Osama bin Laden non avrebbero potuto estorcergli informazioni sul suo network né su eventuali altri attentati.
    Gonzales allora ha chiesto all’Ufficio legale del Dipartimento di Giustizia, l’organo che interpreta per l’Amministrazione le leggi in vigore, un parere sullo status giuridico da accordare ai terroristi catturati in battaglia.
    L’ufficio ha risposto con una serie di memorandum scritti dal professor John C. Yoo, dell’Università della California.
    Il più rilevante, del 9 gennaio 2002, argomenta in dieci fitte pagine che la Convenzione di Ginevra non si applica a terroristi e a talebani perché riguarda esclusivamente conflitti tra Stati oppure guerre civili.
    Nel 1949 ovviamente non c’era terrorismo. In realtà, nel 1977, alla Convenzione è stato aggiunto un protocollo (Protocol one) che tra le altre cose equipara i terroristi ai soldati di quelle nazioni che non hanno firmato la Convenzione.
    A costoro sono riconosciuti alcuni diritti. Il protocollo però non è stato ratificato da molti paesi, tra cui gli Stati Uniti.
    Fin da allora, e l’Amministrazione era quella liberal di Jimmy Carter, questa è la politica ufficiale dei governi americani: rifiutare di considerare i terroristi come dei semplici prigionieri di guerra. Alcuni giorni dopo, Gonzales ha scritto un memo giuridico per il presidente, quello con cui definiva “curiosa” l’applicazione ai terroristi e ai talebani di alcune previsioni della Convenzione di Ginevra.
    A meno che non si voglia sostenere che a gaglioffi come Khaleed Sheikh Mohammed dovesse essere fornito un anticipo in dollari da spendere allo spaccio, il ragionamento non fa una grinza. Gonzales ha aggiunto, e lo ha ripetuto anche all’audizione al Senato, che Ginevra obbliga a detenere i prigionieri di guerra nello stesso edificio, liberi quindi di potersi scambiare informazioni e di coordinare le loro versioni, come spesso si è visto al cinema. Nella guerra al terrorismo però è fondamentale riuscire a ottenere informazioni dai detenuti.
    Il caso di scuola è quello proposto dal professore liberal di Harvard, Alan Dershowitz: che fare di fronte a un terrorista che sa di un imminente attentato e si rifiuta di dare le informazioni necessarie a prevenirlo?
    Il 7 febbraio George Bush ha deciso, sulla base dei pareri legali ricordati, di non applicare la Convenzione ai terroristi di al Qaida, ma di applicarla ai talebani.
    Al punto 3 del memorandum inviato a Cheney, Rumsfeld, Powell, all’esercito, alla Cia, e intitolato “Trattamento umano dei detenuti di al Qaida e talebani”, ha scritto: “Naturalmente i nostri valori ci impongono di trattare umanamente i detenuti, anche coloro che legalmente non hanno diritto a questo trattamento”.
    Dunque: Bush non ha applicato la Convenzione di Ginevra solo ai terroristi di al Qaida, pur garantendo il trattamento umano dei detenuti. Non è stata mai sospesa, invece, per i detenuti talebani e per quelli iracheni.
    La Croce rossa, come previsto da Ginevra, entra regolarmente nei campi di detenzione e salvo casi isolati di abusi fisici, ha lamentato solo l’assenza di status giuridico dei detenuti.
    Ora, dopo una decisione della Corte suprema, è stata avviata la procedura per fare sapere ai prigionieri di Guantanamo il motivo della detenzione e consentirgli di contestarla davanti a un giudice neutro.
    Il primo agosto del 2002 il vice Attorney General, Jay S. Bybee, su richiesta di Gonzales ha scritto un parere di 50 pagine per definire che cosa è tortura e che cosa no. E’ tortura, ha spiegato il giurista restringendo la definizione, tutto ciò che provoca la morte o un dolore fisico pari a quello che provoca danni permanenti.
    Bybee ha scritto che il presidente, invocando la sicurezza nazionale, ha il diritto di autorizzare la tortura.
    A dicembre scorso, il Dipartimento della Giustizia ha ribaltato il parere, definendo in modo più ampio la tortura e spiegando che non c’era alcun motivo di dire che il presidente ha il diritto di autorizzare la tortura perché, inequivocabilmente, fin dal 7 febbraio 2002, Bush ha detto che l’America non la permette.

    Christian Rocca su Il Foglio del 8 gennaio

    saluti

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    Alcuni dicono: Bush è cattivo, l’amministrazione americana è fanatica, la guerra al terrorismo è ingiusta, la tortura sul modello di Abu Ghraib ne è la conseguenza.
    Sono gli stolti, felici di esserlo.
    Alcuni dicono: la guerra è asimmetrica, il nemico è oscuro, tutti i mezzi sono consentiti.
    E’ un’altra forma di scemenza, per di più infelice, ma moralmente identica alla prima.
    Chi non voglia ridere né piangere, bensì capire, ragionerà in altro modo.
    Prima di tutto si spoglierà del suo status privilegiato.
    Comincerà con il dirsi che non sta scrivendo un articolo, rilasciando una dichiarazione, testimoniando della bontà della sua anima.
    Si metterà nei panni di chi debba operativamente esigere informazioni da spietati terroristi che seminano morte tra i civili e non rispettano convenzioni o costituzioni o carte dei diritti umani.
    Le informazioni sono strettamente necessarie a impedire nuovi lutti, a stroncare una rete che sequestra, decapita, spara nel mucchio, a proteggere da un nemico armato la sicurezza e la libertà di popoli che si autogovernano contando le teste e che ripudiano la guerra come mezzo di offesa o di conquista coloniale, anche quando devono fare fronte a un’offensiva decisa da altri.
    In questi panni, che cosa devo fare?
    Forse devo limitarmi a chiedere al catturato le sue generalità, poi rinchiuderlo insieme ai suoi compagni, trattarlo con la gentile e severa umanità dovuta ai prigionieri, e alla fine affidarlo a un avvocato e a un tribunale in tutti quei casi, la quasi totalità, in cui il combattente illegale non ha una divisa e si presenta con il profilo di un criminale che reclama di essere trattato attraverso i rigori e le garanzie della legge penale.
    Non importa il fine, cioè le informazioni, importa il mezzo, e sul mezzo non si transige, quello moralmente inaccettabile devo escluderlo e basta. In questo modo rendo onore alla mia idea di umanità, mi esento dal male e dal peccato, obbedisco a un tabù che mi sono imposto, dimostro la superiorità del mio sistema legale e dei miei principi contro gente che è nemica dell’uno e degli altri.
    Se sono sincero, però, ammetterò che comportandomi così non avrò le informazioni strettamente necessarie che cercavo e indebolirò la guerra al terrorismo, con il forte rischio di prolungarne i tragici effetti o addirittura di perderla.
    Chi combatte, se davvero ci siamo messi eticamente nei panni di chi deve ottenere informazioni essenziali dal nemico catturato, non ha un mandato legale né un compito di formazione o applicazione della legge, che anzi impedisce di uccidere, castiga chi uccida; chi combatte ha un mandato militare e politico del potere esecutivo a vincere la guerra, a uccidere e farsi uccidere pur di prevalere sul nemico.
    E’ una brutta cosa, ma è la cosa nominata con il suo nome.
    Si entra allora nel dominio del più indispensabile e opaco dei poteri, il potere esecutivo, e della sua specifica morale e responsabilità.
    Alberto Gonzales, udito al Congresso dai guardiani della legge, ha dato la sua franca risposta.
    Il governo americano non applica la Convenzione di Ginevra ai terroristi.
    Il governo americano si riserva di ottenere informazioni dai terroristi catturati “through inducements”, attraverso “stimoli”, parola opaca come il potere che rappresenta.
    Spaventarli? Minacciarli? Intimidirli con mezzi brutali come la privazione del sonno, l’isolamento, forme diverse di coazione fisica?
    La tortura è esclusa. Una condotta disumana è esclusa. Ma che cos’è la tortura? Che cos’è la condotta disumana in guerra?
    Abu Ghraib è l’abisso privato di un branco di disgraziati del turno di notte.
    Il resto è il nostro pubblico abisso, l’abisso del potere esecutivo.
    Guardarlo è stato un atto di coraggio. Un atto etico.

    Ferrara su Il Foglio del 8 gennaio

    saluti

 

 

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    Di Oli nel forum Aviazione Civile
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 15-05-04, 15:14

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