GAZA
SCRIVO queste righe mentre sono bloccato al check-point di Erez, per uscire dalla striscia di Gaza e tornare a Gerusalemme. E’ buio fitto in questo desolato avamposto palestinese, popolato di rari taxi gialli che devono fermarsi alla sbarra perché nessuna macchina può uscire da Gaza, nemmeno quella degli osservatori che sono venuti a controllare come si sono svolte le elezioni presidenziali palestinesi. Per tutto il giorno ho girato in lungo e in largo la striscia di Gaza.
Posso dire, da testimone oculare, che i check-point interni, numerosi perché anche Gaza come la riga occidentale del Giordano una tremenda pelle di leopardo dove ogni movimento è un tormento per chi deve viverci e lavorarci. Sono stato a Sud nell’aeroporto nuovo di zecca costruito dai palestinesi e la cui unica pista è stata arata dagli israeliani nel 2003. Appena un chilometro più a Sud c’è l’Egitto, ma la frontiera è in mano a Israele e non si passa.

Telefoniamo al Ministero degli esteri israeliano: c’è un posto per passare? Cortesi rispondono: c’è, ma a una quindicina di chilometri più a Sud. Cioè un palestinese che volesse votare a Gaza dovrebbe entrare in Israele e fare un giro di almeno trenta chilometri, solo per entrare nella striscia. Da Erez, al Nord, da dove scrivo. Per arrivarci, da Rafah, proprio a ridosso della linea del fuoco tra palestinesi e israeliani, ci vorrebbe un’ora in auto. Se ci fosse la strada. Una voce cortese in italiano ci comunica che non c’è nemmeno l’anima di un palestinese a quel posto di passaggio.
Nessuno di quei palestinesi voterà e ci è stato detto che di là ce ne sono almeno 20.000. A Rafah nei seggi si vota a buon ritmo, ma l’occupazione militare la vedi facendo duecento metri dal seggio di una scuola media il cui direttore ci ha raccontato di aver perduto undici alunni tra settembre e dicembre. Via di nuovo al Nord. Seggio dopo seggio i palestinesi ci sono, votano. Più della metà, in molti seggi, e anche oltre il 60% verso sera. Bene, sono preparati. Ma oltre il campo di Khan Junis, il check-point non lascia passare, e noi sappiamo che dall’altra parte, prigionieri dentro la prigione che è Gaza, ci sono centinaia di famiglie palestinesi che non possono né entrare, né uscire, schiacciati tra gli insediamenti israeliani e il mare. Quelli, probabilmente, non voteranno. E qui a Erez, mentre aspettiamo più di un’ora di percorrere a piedi una lunga terra di nessuno, noi che siamo osservatori privilegiati, vediamo arrivare una donna con un bambino in fasce in braccio.
L’autista che ci riporta a Gerusalemme e che troviamo dall’altra parte è stato ad aspettarci ore e ci racconta che quella donna ha anche lei aspettato molto più di lui, più di cinque ore per passare. E non c’è nessuno, proprio nessuno, in fila al check-point più importante di Gaza.Lei non ha votato e nemmeno ha votato il giovane di venticinque anni che, circa un’ora prima del nostro arrivo sul territorio israeliano, era giunto a bordo di un’ambulanza norvegese. Aveva numerose ferite d’arma da fuoco. E’ morto dentro l’ambulanza.

Giulietto Chiesa
Fonte:wwwlastampa.it
11.01.05