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  1. #1
    Obama for president
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    Predefinito Perché i riformisti non sono popolari

    Perché i riformisti non sono popolari


    Chapeu a Vendola, la vecchia scuola del Pci non mente, e le terze file di allora oggi primeggiano. Chapeu a Bertinotti: è l’unico leader di partito che nel centrosinistra sta dimostrando una forza espansiva, la capacità di andare oltre i propri confini (l’altro tentativo, speculare, lo sta conducendo Rutelli, con maggiori difficoltà e finora inferiori successi). I riformisti prendono il colpo più serio da quando, dopo le europee, si decise che era meglio non parlare più di partito riformista, poi che era meglio non esagerare nemmeno con la federazione riformista, poi che era meglio non insistere troppo neanche con la lista unitaria. Il fatto è che non c’è in campo un leader dei riformisti, perché Prodi fa un altro mestiere, quello del candidato premier, e si tiene al di sopra delle parti nella gara tra riformisti e sinistra-sinistra. Mentre i «radicali» il loro leader ce l’hanno, si chiama Fausto Bertinotti, e ha già sciolto tutti i nodi che lo tenevano legato al suo cinque per cento (tranne uno, il consenso del suo partito, che fatica a strappare in un difficile congresso).
    Le conseguenze del voto pugliese sono molte e rilevanti. Alcune di esse attengono al complesso problema del rapporto tra i due corni dell’alleanza di centrosinistra, altre all’effetto che potranno avere sull’elettorato più vasto. Queste ultime sono decisamente negative. Le primarie in Puglia rappresentano il più netto spostamento a sinistra dell’asse della Gad. E le prossime primarie, quelle nazionali, non devono essere considerate troppo scontate. Certo, Prodi vincerà, ma saremmo pronti a scommettere che Bertinotti ne uscirà come il numero due della Gad, con un risultato tale da bissare l’effetto politico della vittoria di Vendola in Puglia. Di conseguenza, il volto che l’alleanza presenterà agli elettori sarà meno rassicurante e più «comunista». Esattamente ciò che cerca Berlusconi, che per un revival del comunismo pagherebbe miliardi. Nella stessa Puglia, la partita per Fitto (che sarebbe stata probabilmente vincente anche contro Boccia) diventa ora molto facile: con ogni probabilità, sarà lui ad avere nel simbolo la parola «riformisti», da contrapporre al «comunista» Vendola.
    Scavando negli effetti più interni al centrosinistra si può, con un grande sforzo di ottimismo, trovare qualche elemento positivo. Per esempio: le primarie funzionano, e funzionano proprio all’americana, nel senso che mobilitano gli elettori, oltre che i militanti dei partiti che compongono l’alleanza. Per esempio: il far play post-primarie sostanzialmente tiene. I Ds, che si sono svenati per Boccia e la cui base ha votato per Vendola, dicono che tutto va bene e che ora sosterranno lealmente Vendola. Più incerto è sapere se la Margherita, scottata nel suo candidato, ora sosterrà con altrettanta lealtà e partecipazione Nicola Latorre, il dalemiano che nel prossimo fine settimana si gioca una suppletiva difficile proprio a Bari.
    Dal voto pugliese, però, bisogna trarre qualche riflessione anche per coloro che si dicono - e talvolta lo sono davvero - riformisti. Francesco Boccia, per esempio, è un vero riformista, e ha perso. Che cos’è che rende così poco popolari i riformisti? E perché più lo sono davvero e meno popolari sono? Secondo noi la causa prima è in una forma di autocensura, cui i riformisti impegnati in politica costantemente ricorrono. Il riformista che deve cercare voti ha spesso paura della radicalità delle proprie idee. Per questo le annacqua, le edulcora, le nasconde, e alla fine manda un messaggio non moderato, ma solo ambiguo. Il radicale, invece, ha libertà di parola: può dire tutto quello che vuole, anzi, più esplicitamente lo dice e meglio è per lui: parlando allo stomaco dei suoi elettori, sembra uno che parla col cuore. Gente come Boccia - o come Enrico Letta - in privato espone idee riformiste molto più radicali e convincenti di quelle che si concede in pubblico. Ma, per qualche ragione che ha a che fare con la storia della sinistra italiana (ex comunista), il riformista vi si sente sostanzialmente un estraneo, e dunque si taglia le unghie per farsi accettare. Blair non ha vergogna di fare appello all’individualismo, o di prendere di petto l’antiamericanismo: in Italia la sua sfrontatezza è un tabù che nessuno osa sfidare.
    Guardate il caso di Rutelli: ha detto due cose abbastanza ovvie, che socialdemocrazia ed egualitarismo non sono più strumenti per una sinistra moderna. In Europa lo sanno per primi i socialdemocratici, che a Londra come a Berlino e perfino a Stoccolma hanno rinnovato la socialdemocrazia e messo in soffitta l’egualitarismo da un quarto di secolo. Ma in Italia cose così non si possono dire, sennò apriti cielo, e perfino Rutelli è costretto a correggerle, ridimensionarle, diplomatizzarle. Così i riformisti sembreranno sempre la destra della sinistra, e nessuno si accorgerà che, nel mondo di oggi, i conservatori sono quelli della sinistra-sinistra, della sinistra che non si tocca, della sinistra che, dopo aver considerato per decenni un insulto l’appellativo «socialdemocratico», è rimasta ferma a un’età dell’oro socialdemocratica che i socialdemocratici stessi considerano conclusa negli anni ’70, quando lo shock petrolifero e l’avvio della globalizzazione cambiarono le carte in tavola, non a caso portando ben presto al governo la Thatcher e Reagan.

  2. #2
    eh?
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    di sicuro Bertinotti non è il Mio leader, nè quello del Partito Dei Comunisti Italiani

  3. #3
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    articolo condivisibile, persino ovvio...dove l'hai preso? dal riformista?

  4. #4
    Obama for president
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    indovinato........

  5. #5
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    bel giornale, diventa ogni giorno più interessante (soprattutto considerato che all'inizio era proprio un po' penoso)

  6. #6
    Hanno assassinato Calipari
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    Non farei paragoni tra Bologna e la Puglia

    I comunisti, si sa, tendono sempre ad essere egemoni. Fa parte del nostro dna, che ci porta a spingere sempre in avanti i limiti della politica.

    La crisi del riformismo in Italia, come dice giustamente Bertinotti, sta nel fatto che non si è ancora capito cos'è. I riformisti cioè, al contrario delle forze della sinistra radicale o dei Radicali stessi, non portano avanti dei punti di programma che facciano da bandiera, qualcosa sui quali identificarsi.

    Ad esempio, la proposta di detassazione sui contributi in busta paga è una proposta del csx che gode di consensi ampi, una misura alternativa al fallimentare e vano taglio dell'Irpef dell'attuale maggioranza.

    Però la gente sente solo parlare di ulivi, gad e altro.

    Prendete 5-10 punti di programma "riformista" e ripeteteli a manetta. Riconducete ogni questione a questi 5-10 punti, in modo da non disperdere il dibattito.

    E soprattutto non cadete nelle provocazioni del cdx

  7. #7
    Obama for president
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    è tristemente vero

  8. #8
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    Nulla di nuovo sotto il sole : i riformisti che si alleano per opportunismo con i massimalisti sono destinati ad essere annientati politicamente.
    Il massimalismo fa più presa , o il riformista si oppone o si fa inglobare.
    E' la storia del socialismo.
    Saragat lo aveva capito sessanta anni fa , Nenni ci arrivò un po' dopo , di sicuro non c'era bisogno della conferma pugliese.

  9. #9
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    Predefinito Re: Perché i riformisti non sono popolari

    In origine postato da benfy
    ...Così i riformisti sembreranno sempre la destra della sinistra, e nessuno si accorgerà che, nel mondo di oggi, i conservatori sono quelli della sinistra-sinistra, della sinistra che non si tocca, della sinistra che, dopo aver considerato per decenni un insulto l’appellativo «socialdemocratico», è rimasta ferma a un’età dell’oro socialdemocratica che i socialdemocratici stessi considerano conclusa negli anni ’70, quando lo shock petrolifero e l’avvio della globalizzazione cambiarono le carte in tavola, non a caso portando ben presto al governo la Thatcher e Reagan.
    Il Riformista sta pubblicando proprio buoni articoli.
    Anch'io da tempo stavo notando come i post-ex-neo-comunisti abbiano un idea totalmente inattuale della socialdemocrazia.

 

 

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