L’antiamericanismo alternativa al bertinottismo

Dunque, domenica prossima 30 gennaio, nascerà ufficialmente il movimento antiamericanista.Da molto tempo discutiamo in lista su fini, motivazioni e prospettive di questo progetto.C’è però un aspetto che è rimasto piuttosto in ombra e che mi pare invece opportuno affrontare.E’ chiaro che Legittima Difesa nasce sulla base di analisi e convinzioni di carattere generale e vuole dunque rispondere ad esigenze di medio-lungo periodo. E sarà solo nel tempo che potremo valutare l’efficacia e la riuscita di questa proposta. Sbaglieremmo tuttavia se prescindessimo da alcuni elementi che caratterizzano l’attuale fase politica nel nostro paese. Siamo infatti ad un punto di passaggio assai importante. In breve: il sistema bipolare nato nel 1994, e vissuto in mezzo a contraddizioni di ogni tipo, prova a darsi una maggiore stabilità, soprattutto sul fianco sinistro con l’inglobamento del Prc e più in generale con il ruolo che viene di fatto attribuito a Bertinotti come rappresentante della cosiddetta “sinistra alternativa”.Pensiamo forse che questo non ci riguardi?Pensiamo di poter agire in una campana di vetro senza alcuna interazione con elementi e fattori esterni?Credo che tra chi condivide il progetto antiamericanista vi siano ben pochi dubbi. Tra chi, anche in questa lista, lo contrasta mi pare invece che ci sia una forte sottovalutazione di questi aspetti. Aspetti che però interessano in Italia alcune migliaia di militanti, collocati in modo assai variegato, e più in generale molte altre persone che avevano creduto (e partecipato) ai principali movimenti di massa che si sono espressi negli ultimi 3 anni, in primo luogo il movimento contro la guerra e quello per la difesa dei diritti dei lavoratori (art. 18 ecc.).Sbaglierebbe quindi chi volesse sottrarsi a queste questioni.Del resto non è un caso che proprio Bertinotti abbia ispirato gli attacchi più duri non solo all’antiamericanismo, ma alla stesso sostegno alla Resistenza irachena. Chi ricorda anche solo un pò i giorni che precedettero il 13 dicembre sa di cosa parlo. E non è un caso che proprio Bertinotti sia stato l’inventore della “spirale guerra-terrorismo” e – soprattutto – dell’assunzione della nonviolenza come scelta assoluta, come il paradigma della nostra epoca. Dunque, per farla breve, mi pare necessario soffermarsi su due questioni: la prima riguarda la natura e le prospettive dell’attuale fase di sviluppo e rafforzamento del bipolarismo attraverso il tendenziale inglobamento organico di vaste aree della sinistra realmente esistente; la seconda riguarda la possibilità che l’antiamericanismo possa rappresentare l’alternativa a questo processo di omologazione e assorbimento. 1. Bipolarismo, Primarie, Obbedienza Da mesi osserviamo un processo a cascata che possiamo così sintetizzare: nascita della Gad, collocazione organica nella coalizione del Prc, crisi del movimento no global e di quello contro la guerra.Naturalmente questo è uno schema volutamente assai rozzo: la Gad è cosa tutt’altro che stabile e forse cambierà anche di nome, nel Prc è in corso un dibattito congressuale assai aspro, la crisi del movimento c’era già prima, eccetera. Ma qui più che l’albero interessa la foresta e semmai le relazioni che consentono la vita del suo attuale ecosistema avvelenato. Un avvelenamento che ha già annientato alcune specie, che nel tempo ne ucciderà altre, ma che intanto consente lo sviluppo di piante carnivore e di erbe allucinogene.L’ideale, naturalmente, sarebbe l’incendio della foresta. Ma si tratta di una foresta umida, acquitrinosa, melmosa quanto infida. E’ una foresta da cui è bene tenersi alla larga, ma non sempre potremo combattere i suoi disgustosi abitanti con l’aggiramento ai fianchi. Qualche volta occorreranno delle incursioni, delle battaglie in campo avverso. Alla fine, per estirparla e poter costruire un nuovo e più salubre ecosistema bisognerà perfino attraversarla in lungo e in largo.La foresta, dunque, ci riguarda. Ho già detto del tentativo di dare una nuova stabilità al bipolarismo. E’ un tentativo complesso ed anche contraddittorio. Gli attori sulla scena lavorano tutti per il medesimo obiettivo, ma naturalmente ognuno ha la sua soluzione. Curiosamente è un obiettivo che si può ottenere tanto con più maggioritario (eliminazione della quota proporzionale), tanto con più proporzionale opportunamente “corretto” (sistema delle regionali). Il risultato finale dipende infatti non da un unico fattore (il sistema elettorale) come pensavano i primi ingegneri della seconda repubblica una dozzina di anni fa, ma da una pluralità di fattori, il primo dei quali è quello che i “repubblichini” del 1993 (nel senso di edificatori della repubblichetta che ha sostituito la Repubblica del 1947) consideravano l’ultimo.Per dirla in maniera imprecisa, ma comprensibile, essi pensavano infatti che la forma determinasse la sostanza. In realtà sappiamo ovviamente che le forme istituzionali sono esse stesse sostanza, ma rimane il fatto che il percorso scelto allora fu per così dire “forzato” dal meccanismo elettorale maggioritario. Non è che quest’idea fosse stupida, al contrario nell’essenziale ha funzionato benissimo, fondandosi su un ceto politico autoreferenziale nel senso di essere fondamentalmente interessato alla propria conservazione ed autoriproduzione.Tuttavia questo sentiero forzoso all’omologazione ha dovuto fare i conti con alcune variabili, specie sulla faccia sinistra (ma anche su quella destra, vedi il caso della Lega) della medaglia bipolare.Il caso del Prc è decisamente emblematico. Nel 1994 si colloca nella coalizione dei “Progressisti” che perde le elezioni, nel 1995 si spacca sulla scelta di “baciare il rospo” (Dini), ma quando può affondarlo (ottobre 1995) si ritrae per arrivare alla desistenza del 1996. Inizia così l’appoggio esterno al governo Prodi, che cessa solo dopo invereconde piroette nell’ottobre 1998 dando luogo alla scissione cossuttiana. Nel 2001 Bertinotti si inventa la “non belligeranza”, ma nel frattempo il Prc entra nella coalizione e nelle amministrazioni locali un pò in tutta Italia.Poteva durare in questo modo? Evidentemente no, e si arriva così ai giorni nostri. Ed il quadro cambia radicalmente: l’alleanza con il centrosinistra non è più il portato di un meccanismo elettorale che “obbliga” a quella scelta in virtù dell’imperativo della lotta alla destra, bensì un’opzione strategica con tutti gli annessi e connessi.Volendo fare un paragone storico, l’attuale orientamento governista del Prc ricorda molto più l’entrata del Psi nei governi di centrosinistra, che non la politica dell’Unità nazionale del Pci negli anni ’70. Con la collocazione di fatto (fuorchè nominalmente) post-comunista, Bertinotti somiglia assai di più (e in peggio) a Nenni che a Berlinguer. Il governismo di Bertinotti è in “positivo”, non nasce da alcun emergenzialismo (benché lo sorregga l’antiberlusconismo) ma da un adattamento strategico che è sì camaleontico, ma – questo è il punto - al momento anche efficace.Se vi fosse solo il camaleontismo potremmo anche disinteressarcene.Se vi fosse un camaleontismo efficace, ma contrastato da altre proposte strategiche, potremmo confrontarci anzitutto con queste per ricavarne una comune azione oppositiva.Siamo invece di fronte ad un camaleontismo efficace (sia pure solo per il momento, che nel medio periodo ne vedremo delle belle!), senza opposizioni convincenti sul piano strategico.Ecco allora il nostro problema, che non è tanto quello di disvelare le ambiguità – per questo basta e avanza il famoso “tempo galantuomo” – quanto quello di contrapporre da subito una proposta strategica altrettanto efficace e, anche perché non camaleontica, credibile nel tempo. Prima di arrivare al secondo punto è però necessario un passo indietro.Alcuni considerano Bertinotti un semplice voltagabbana (col movimento ieri, con Prodi oggi, con il governo della Gad domani; col comunismo in qualche modo rifondato ieri, col riformismo annacquato oggi, con il riformismo senza riforme domani), oppure come un dilettante allo sbaraglio, una via di mezzo tra la figura dell’avventurista e quella dell’apprendista stregone.Non sono d’accordo con nessuna di queste semplificazioni.Bertinotti è un nemico serio, un avversario vero con il quale dovremo fare i conti.Voglio essere più preciso e provocatorio: Bertinotti, per certi aspetti, è il nemico principale per l’affermazione del movimento antiamericanista.Qui non si tratta di valutazioni sulla persona, ma di considerazioni di altra natura. Bertinotti non viene dal niente, se volete è il prodotto distillato da una radicata cultura di sinistra che ha fatto proprio il motto secondo cui “il movimento è tutto ed il fine è niente”, dove il “movimento” in questo caso altro non è che l’insieme delle sue mosse sul palcoscenico della politica spettacolo.La storia è ricca di apparenti paradossi, ma anche l’attualità. Prendiamo il caso di Berlusconi. Anch’egli ha le caratteristiche dell’avventuriero, un avventuriero che si arricchisce dietro la sagoma del capo degli avventurieri, quel Bettino Craxi morto esule ad Hammamet. Ma quando Ghino di Tacco diventa il bersaglio del partito trasversale dei repubblichini di cui si è già detto, chi gode i frutti del loro lavoro se non l’imprenditore arraffone che stava dietro la sua ingombrante sagoma?D’altra parte, chi semina vento, raccoglie tempesta! Si è voluto il maggioritario? E chi è più “maggioritario” nelle tasche e nei media del trentadue denti treppiedato? Idem per Bertinotti. Quando Occhetto dichiara raggiante che (sic) “il comunismo è finalmente finito!” non apre la strada né ad una forza socialdemocratica classica (quella semmai si incarnava proprio nel Pci, ma dopo il 1989 la socialdemocrazia vive anch’essa di stenti), né ad un qualsivoglia “partito del lavoro”. Ne deriva uno sterile pachiderma che ha un unico e curioso vessillo: la governabilità. Proprio quella governabilità (altro paradosso apparente) celebrata dal cinghialone Craxi come il compito primario dei socialisti. Il Pds prima, i Ds poi, avranno infatti un unico leit-motiv: noi siamo i migliori nel governare, i migliori amministratori, eccetera.Questo migliorismo, cioè questa estrema funzionalità alle esigenze sistemiche delle oligarchie finanziarie, aveva però bisogno di una veste di sinistra, da qui il nome scelto da Occhetto che intendeva evocare – nel momento in cui sanciva nominalisticamente l’uscita dal comunismo – un riposizionamento di “sinistra” sul terreno della democrazia, dei diritti civili eccetera.Da questo punto di vista l’occhettismo (prescindendo qui dalle primarie esigenze di ricollocazione di un ceto politico numericamente imponente) non voleva significare una svolta a destra, ma semplicemente una modernizzazione del principale partito della sinistra.Attenzione! Questa non fu una peculiarità dell’occhettismo delle origini. Un processo analogo di demarxistizzazione e di “modernizzazione arcobaleno”, con l’idea conseguente di un “partito contenitore” e la rinuncia – questo è il punto – ad ogni prospettiva rivoluzionaria, partì proprio da una parte importante di Democrazia Proletaria. E partì da dirigenti politici che oggi sono infine approdati in vario modo al baraccone bertinottiano e che già allora inciuciavano (vedi lista “Verdi arcobaleno”) con uno dei campioni dell’americanismo di sinistra: Francesco Rutelli.A qualcuno questa ricostruzione potrà sembrare di comodo. Nossignori, è necessariamente una ricostruzione semplificata, ma coglie, a mio avviso, l’essenziale. E l’essenziale è che una sinistra governista regge solo se comprende anche una componente apparentemente radicale ed “alternativa”. D’altronde questa non è una particolarità italiana, basti pensare ai connotati originari ed al percorso dei Verdi tedeschi per trovare una conferma.Ma il segretario del Prc non si accontenta di rappresentare la parte “radicale” della sinistra, il suo disegno è invece quello di incorporare questa parte nell’insieme della sinistra per poi tentare di rappresentarla complessivamente. Il tentativo non è dunque quello di “spostare a sinistra” la coalizione, bensì quello di scombinare i ruoli tradizionali. Operazione, appunto, camaleontica ed intelligente. In conclusione, se Berlusconi è l’erede di Craxi, Bertinotti in un certo senso lo è di Occhetto. Vediamo ora, brevemente, le vicende delle ultime settimane. Bertinotti si colloca a pieno titolo nella Gad (o come vorrà chiamarsi in futuro), dichiara che Prodi è il candidato naturale e che anzi è intoccabile, chiede la candidatura a presidente della Puglia per Nichi Vendola, gli viene negata con la soluzione “riparatrice” delle primarie, a sorpresa Vendola le vince, i vertici della Gad vanno in tilt e chiedono a Bertinotti la rinuncia alla candidatura nelle primarie nazionali, Bertinotti dice di no.Come si vede non sono le mosse di un “dilettante” e neppure di un “rinnegato”, sono piuttosto i movimenti di un dirigente politico che va da un’altra parte, che ha deciso di stare nel blocco di sinistra del pensiero unico politicamente corretto, anzitutto americanista e filosionista.Ma guai a pensare che Bertinotti sia già per questo “smascherato”. Chi dovrebbe smascherarlo poi non è chiaro, visto che continua ad essere presentato come l’estrema sinistra dello schieramento politico italiano.Il fatto è che andando con Prodi, Bertinotti non diventa né prodiano né fassiniano, continua invece ad essere convintamente bertinottiano, cioè un venditore chic di un’ininfluente chincaglieria radical certo incapace di turbare il vero mercato della politica, ma capace di attrarre creduloni di ogni tipo, da chi crede – ad oltre 40 anni da Nenni – all’ingresso nella stanza dei bottoni, a chi pensa ad una traduzione governativa di alcuni obiettivi del movimento no global. Ed è proprio questa capacità di attrazione che egli porta in dote a Prodi, ed è per questo che gli viene affidata d’ufficio la rappresentanza non del solo Prc, ma dell’intera “sinistra alternativa”.E’ chiaro che questa collocazione ha dei prezzi. Una volta al governo Bertinotti avrà le mani assai più legate, ma nel frattempo può svolgere pienamente il suo compito perseguendo il suo obiettivo di fondo che non è tanto quello di fare il ministro, quanto piuttosto quello di approfittare delle debolezze altrui per diventare in capo a qualche anno il leader riconosciuto dell’intera sinistra istituzionale.Ma vediamo ora due dichiarazioni emblematiche del tempo che viviamo.Da un’intervista di Bertinotti a Liberazione del 18 gennaio, commentando le primarie in Puglia: “Per la prima volta nella seconda repubblica ha fatto irruzione la democrazia di massa”.Da una dichiarazione di Prodi a Porta a Porta dello stesso giorno: “Bertinotti? Obbedirà”.Entrambe queste dichiarazioni sono assai interessanti.Dalla prima traspare l’autentica natura del segretario del Prc, che ha trasformato con un colpo di bacchetta magica il più classico strumento lobbystico in una immaginifica irruzione di democrazia di massa. Dalla seconda, con un linguaggio ruvido reso possibile soltanto dall’accordo di ferro che li lega, si ricava invece il senso politico della conversione bertinottiana alle primarie. D’altra parte chi accetta il gioco, arrivando persino alle primarie, non potrà più fare scherzi in futuro. Certo, non rinuncerà a perseguire i suoi obiettivi (da qui la conferma della sua candidatura alle primarie nazionali), ma dentro una prospettiva strategica ormai pienamente integrata nel bipolarismo e nelle sue regole. 2. La via antiamericanista Mi sono dilungato assai sulle recenti vicende politiche italiane, ed in particolare sulla figura e sul ruolo di Fausto Bertinotti, per meglio sottolineare un punto: mentre la deriva del Prc si ricongiunge con la più generale deriva di quella che fu una delle più grandi sinistre dell’occidente, non c’è né nella sinistra comunista, né in quella sindacale, né nelle aree più radicali e conseguenti del movimento antiglobalizzazione alcuna proposta politica che ambisca a contrapporsi credibilmente alla deriva bertinottiana.C’è dunque un problema che va capito e non rimosso. Innanzitutto dovremmo sforzarci di capire come mai non c’è alcuna proposta. In secondo luogo si tratta di capire se l’antiamericanismo può essere veramente la risposta efficace che noi (cioè i promotori dell’assemblea del 30 gennaio) pensiamo.Come mai non c’è alcuna proposta credibile? Sottolineo il credibile, perché ovviamente alcune proposte vi sono. Ma non penso che possiamo considerare credibile l’eventuale nascita di un partitino trotztkysta che aderisce ad una IV Internazionale la cui rifondazione pare sia stata avviata a Buenos Aires (area Ferrando), né il (n)Pci (dove n sta per nuovo) recentemente fondato dai compagni dei Carc, tanto per fare qualche esempio. Sia chiaro: sempre meglio chi propone qualcosa, rispetto a chi non fa niente vivacchiando in attesa di tempi migliori, ma con tutto il rispetto per queste esperienze, con le quali collaboriamo nel sostegno alla Resistenza irachena, non mi pare proprio che si possa parlare di proposte credibili.Per certi aspetti questi progetti sono più arretrati di quello di Bertinotti, nel senso che il segretario del Prc approfitta della sconfitta del comunismo per congedarsene definitivamente, mentre altri pensano di contrapporvisi o fingendo di ignorare l’esistenza stessa della sconfitta, o pensando in maniera consolatoria che essa abbia riguardato solo una parte (ovviamente quella avversa) del composito movimento comunista internazionale.Se dal mondo dell’estrema sinistra comunista giungono flebili segnali identitari e nulla più, da quello della galassia del sindacalismo di base, autorganizzato, di classe, eccetera non arriva nessun segno di vita. Un elettroencefalogramma piatto che, senza niente togliere al valore di queste esperienze, ci parla della impossibilità strutturale di queste realtà di essere centri motori di un’autentica elaborazione politica di natura strategica.La mia non è una critica, ma solo una constatazione.E’ chiaro che quanto detto fin qui su questo punto riguarda anche settori non irrilevanti del movimento antiglobalizzazione, con l’aggravante che altre componenti di quel movimento sono parte integrante e decisiva del progetto bertinottiano.Non c’è dunque da farsi illusioni. La proposta che è finora mancata non verrà certo da questi settori.Naturalmente, in questi casi, vale il principio del “salvo smentita”, nel senso che dovremmo essere ben contenti di essere smentiti da qualcuno perché se siamo oggi un pò soli ed isolati non è certo per scelta, ma solo per una condizione che supereremmo ben volentieri. Può essere l’antiamericanismo la proposta credibile?Chiariamo subito che l’antiamericanismo non nasce per rispondere a Bertinotti, tantomeno alle sue mosse più recenti. Esso nasce come risposta alla concreta configurazione dell’imperialismo contemporaneo ed alla sua pretesa totalitaria oltreché egemonica.L’antiamericanismo ci parla dunque del mondo di oggi e del suo prevedibile sviluppo per una fase comunque non breve. Nell’antiamericanismo possono convergere comunisti, anarchici, antimperialisti, ambientalisti, islamici, cristiani che vogliono opporsi al nuovo fondamentalismo crociato e chiunque avverta come prioritaria la vera guerra di civiltà contro il totalitarismo di Washington (basti pensare al discorso di reinvestitura di Bush del 20 gennaio scorso).Anche se non lo volessimo sarà inevitabilmente così. Anzi, è già così, perché l’antiamericanismo non lo abbiamo certo inventato noi, ma – in senso generale – è il movimento d’opinione e di lotta che unisce di fatto già oggi tutti coloro che combattono, o comunque intendono combattere, il mostro a stelle e strisce. Ma nell’antiamericanismo non si chiede a nessuno di cessare di essere ambientalista, o cristiano o comunista.I comunisti perciò potranno avere un ambito, in prospettiva ritengo assai vasto, in cui avviare – se ne avranno la capacità - un nuovo percorso ricostruttivo.E se lavoreremo bene, quando il bertinottismo imploderà travolto dalla sua costruzione mediatica, sprofondando nella palude governativa di centrosinistra (che altro non è che una delle due facce dell’americanismo in salsa italiana), oltreché brindare – cosa che personalmente farò in ogni caso – potremo offrire una proposta seria ed efficace, un’alternativa chiara e comprensibile. La credibilità dell’antiamericanismo nasce a mio avviso da quattro elementi semplici quanto decisivi.L’antiamericanismo è credibile perché nomina senza giri di parole il nemico, quello che è percepito come tale dalla maggioranza dell’umanità.L’antiamericanismo è credibile perché parla del mondo così com’é e così come è percepito dalla maggioranza dell’umanità.L’antiamericanismo è credibile perché si connette immediatamente all’anticapitalismo, individuando nel modello capitalistico americano la forma vincente e più pura del capitalismo contemporaneo.L’antiamericanismo è credibile perché ci parla direttamente della necessità di fare pulizia non solo dell’imperialismo USA e della sua pervasiva cultura, ma anche di un intero ceto politico ormai insopportabile come i suoi privilegi. Ci parla cioè, sebbene in termini nuovi, della necessità di cambiamenti rivoluzionari.E’ poco? E’ troppo?Per qualcuno è poco, perché l’antiamericanismo non appare sufficientemente classista, per altri è troppo perché l’antiamericanismo implica la lotta e rifugge l’opportunismo.Io penso invece che l’antiamericanismo non sia, sempre per dirla in questo modo, né poco né troppo, credo piuttosto che sia la prospettiva giusta da cui ripartire, una chiave che può connetterci al sentire confuso ma reale di milioni di persone nella sua semplice ed immediatamente comprensibile radicalità. Naturalmente, nessuno di noi si fa illusioni. Partiamo con forze modeste lungo una strada in salita. Ma partiamo, e questo può fare la differenza. Mentre altri si limitano ad inveire contro il bertinottismo, noi indichiamo un’alternativa a partire dalla contraddizione principale della nostra epoca che sovrasta e sovradetermina le manovrette che si svolgono nel pollaio della politica italiana.Avvertiamo che l’insopportabilità del presente è ormai forte nella società italiana, ma non siamo così sciocchi da sottovalutare gli elementi di tenuta del sistema. Inoltre, operiamo pur sempre in una delle principali potenze industriali, per quanto in declino, e non possiamo certo pensare ad una manifestazione dell’antiamericanismo nelle stesse forme sviluppatesi nei paesi che soffrono brutalmente l’oppressione degli USA. L’Italia, inutile insisterci, non è né l’Iraq, né la Palestina, né il Venezuela.Ma le contraddizioni e le lacerazioni aperte dal progetto americano-americanista si paleseranno sempre più anche nello scenario europeo ed in particolare in quello italiano. Qui inizierebbe un lungo discorso che alcuni nostri critici tendono spesso a chiudere con uno schematismo economicista un pò inquietante. Sono comunque temi che abbiamo già sviluppato e che qui – anche per ragioni di spazio – non mi pare il caso di riprendere.Certo, c’è sempre il rischio di commettere errori ed alcune critiche che ci sono state rivolte le accogliamo volentieri come uno stimolo a precisare ulteriormente il nostro progetto.Se fare errori è inevitabile, prendere cantonate a ripetizione è però o il sintomo di una totale cecità politica od il prezzo che si paga ad un opportunismo mascherato da strabismo.A chi ci ritiene un pò folli monomaniaci per il nostro antiamericanismo, che effetto fa sapere che il giorno 29 gennaio, nella stessa sala dove il giorno dopo terremo l’assemblea fondativa di Legittima Difesa, si svolgerà un convegno – promosso dalla Rete dei comunisti – dal titolo “L’Europa superpotenza – I comunisti, la democrazia e l’Europa”? Evidentemente, ognuno ha le sue priorità...Ma questo è soltanto un esempio, per domandare: chi è fuori e chi è dentro la realtà del nostro tempo? Il 30 gennaio inizieremo ad aprire una strada, né più né meno.Chi ha voglia di lottare comprende la forza della nostra proposta.

Leonardo