Vip, volti noti della televisione, attori, sportivi e naturalmente molti politici per festeggiare, sabato 29 e domenica 30 gennaio, al palazzo dei congressi di Roma, i dieci anni di Alleanza nazionale.
PROGETTO IN CRISI
Ma a guardare bene, l’ambizioso progetto politico lanciato da Gianfranco Fini dieci anni fa a Fiuggi, su intuizione dello scomparso Pino Tatarella, avrebbe molto su cui riflettere, oltre che fare festa. Il partito erede del Msi era allora al 13,5 per cento, oggi è all’11,5. L’obiettivo di aggregare una destra più ampia è dunque fallito dal punto di vista numerico. Ma anche se guardiamo all’identità politica, la situazione non è così consolante. Nell’ansia (giusta) di liberarsi dalle ombre del fascismo, An ha tralasciato di riscoprire e rilanciare un patrimonio di destra che preesisteva al fascismo, e che è tipico di ogni paese democratico: quella destra «legge e ordine» che per esempio va oggi per la maggiore negli Usa; ma che ha anche trovato nuovo slancio in Francia, culla europea del politicamente corretto.
FATTORE NOSTALGIA
Il risultato è che An è ancora alle prese con la concorrenza esterna ed i problemi interni di Alessandra Mussolini o di Domenico Gramazio, custodi della nostalgia della fiamma tricolore. Mentre la sua azione di governo, più che sulle linee di una destra magari ortodossa e nazionalista, ma adeguata ai tempi, si è sviluppata su quelle di un filone sociale che alla fine si traduce nella difesa di ceti assistiti come i ministeriali ed i forestali calabresi.
In definitiva Alleanza nazionale ha occupato uno spazio improprio: anziché a destra di Forza Italia si è posta quasi alla sua sinistra, o più vicina al centro, in una sorta di ansia di sdoganamento e scavalcamento che sembra non finire mai. Su tutto questo influiscono certo le personalità di Fini e di Silvio Berlusconi: con il secondo che prende tutta la scena lasciando pochi margini agli alleati. Eppure fu proprio Berlusconi (prima ci aveva provato timidamente Bettino Craxi) a recuperare l’allora Msi al gioco democratico, comprendendo che con il sistema maggioritario e il bipolarismo, tutto ciò che non era a sinistra avrebbe avuto un proprio ruolo e una collocazione, oltre ad una utilità elettorale, nel centrodestra. Il problema si pone anche dall’altra parte, con la sinistra antagonista e con Rifondazione. Ma quei partiti e movimenti non sono e non aspirano ad essere forze di governo: la loro vocazione è minoritaria.
LA GRANDE INCOMPIUTA
Diversamente, Fini ha portato al governo i suoi per ben due volte. E oggi che ci sta da oltre tre anni, è difficile appunto capire quale ruolo voglia svolgere: la destra sociale di Gianni Alemanno, la destra liberale e di mercato di Adolfo Urso, la destra nazionalista di Maurizio Gasparri?
Non bisogna ovviamente essere troppo severi: dopo quasi 50 anni di ghetto politico sarebbe ingeneroso sottovalutare anche i passi avanti di An. Il principale dei quali è di essersi fatta trovare pronta, a stragrande maggioranza, nella base e nella classe dirigente, ad accettare le regole di una democrazia evoluta.
Né va sottovaluto il rispetto e la credibilità che Fini ha ormai definitivamente guadagnato a livello internazionale.
Tuttavia, così come è, il progetto di Alleanza nazionale sembra un’incompiuta e mostra già la corda. I primi ad accorgersene sono i suoi dirigenti: tra i quali c’è chi (come Urso) vorrebbe confluire in un partito unico del centrodestra, e chi (come il governatore del Lazio, Francesco Storace) vagheggia modelli locali «alla bavarese», dove mettere d’accordo il mercato e la socialdemocrazia.
È giusto, giustissimo essersi recati a Gerusalemme e, in occasione della Giornata della Memoria, chiedere scusa per le leggi razziali. Ma è anche vero che An non è riuscita a diventare sufficientemente forte e autonoma da poter ignorare l’ombra lunga della nipote del Duce, o le gaffe di Gramazio.
di Renzo Rosati