INDUSTRIA Il gruppo nipponico Aida, leader globale delle presse, compra Manzoni, azienda lombarda di macchine utensili
Sakaki: i giapponesi d’Europa siete voi
«I lavoratori italiani - dice il manager - sono molto preparati e simili ai nostri. Coi sindacati? Dialogheremo»
Ci sono due bandiere nella pulita e anonima sala riunioni della Manzoni di Calolziocorte, che ai confini fra Bergamo e Lecco fabbrica presse per le scocche della Ford o i frigoriferi della Merloni. Una è dell'Europa, l'altra del Giappone. «La bandiera italiana? No, non c'è», sorride Amilcare Pietroboni, direttore generale. Da novembre questo fiore all'occhiello dell'industria nazionale, che era secondo in Europa con 125 milioni di euro di giro d'affari e 557 dipendenti prima di finire in amministrazione controllata, nel 2002, «per un'espansione sbilanciata», come ammettono fonti interne, ha cambiato padrone. Non più la signora Lucia Manzoni, detta «la Thatcher delle macchine utensili», che alle 7 di ogni mattina visitava gli stabilimenti, bensì la nipponica Aida Engineering, quotata a Tokio con primo azionista la famiglia del presidente, Kimikazu Aida. Vale a dire il primo produttore esclusivo di presse al mondo, una nicchia globale da 300 milioni di euro di fatturato, 1400 dipendenti in 165 Paesi, 60 mila presse prodotte all'anno, 166 mila metri quadrati di stabilimenti e, secondo la brossure, «la più avanzata tecnologia industriale nel settore». Aida, vincendo in gara la tedesca Müller Weintergarten, ha rilevato il 100% di Manzoni e Rovetta, i due marchi più noti del Manzoni Group. Un salvataggio che ha scongiurato il fallimento: nel novembre 2004 il giro d'affari era precipitato a 26,3 milioni di euro e il numero dei dipendenti s'era dimezzato: 276. Ora Calolziocorte è l'avamposto dell'espansione giapponese nel Vecchio Continente nel nerbo della old economy, le macchine utensili. Un progetto da far tremare i polsi alle aziende locali. «Partiremo dall'Italia per crescere in Europa», annuncia infatti, da sotto la bandiera giapponese, Masaharu Sakaki, presidente di Aida Europe. Vuol costruire qui le presse per automobili ed elettrodomestici, da vendere anche ai suoi connazionali che stanno aprendo stabilimenti nell'Est europeo (come Toyota nella Repubblica Ceca, Daewoo e Suzuki in Polonia). Perché in Italia «i lavoratori hanno un livello tecnico molto elevato e un'attitudine al lavoro che ben si combina con quella giapponese». C'è soltanto una cosa da imparare: i rapporti con i sindacati.
Che quota di mercato avete in Europa, signor Sakaki, e quale obiettivo?
«Fino a prima dell'acquisizione di Manzoni, il 3%. Ora l'obiettivo è arrivare almeno al 10% in 3 o 4 anni».
Perché vi interessa l'Europa?
«Siamo un'azienda globale e non abbiamo ancora fabbriche qui. Crediamo che sia opportuno produrre là dove si vuole vendere e in Europa si producono 17 milioni di auto all'anno, più degli Usa. E' un importante mercato potenziale».
Perché avete scelto l'Italia?
«Abbiamo fatto indagini anche in Europa Orientale, dove il costo del lavoro è inferiore, poi abbiamo sentito che il gruppo Manzoni era in vendita e ci è sembrato interessante. Abbiamo mandato i nostri esperti per un'indagine approfondita e concluso che fosse meglio acquisire un'azienda già esistente, con i macchinari e il personale addestrato, piuttosto che acquistare un terreno, costruire la fabbrica, attrezzarla e formare il personale. Abbiamo scelto l'Italia per cinque fattori: il personale, la base geografica di produzione, le conoscenze tecnologiche, le sinergie e il tempo. Possiamo iniziare subito».
Che idea vi siete fatti del personale?
«I lavoratori di questo gruppo hanno una preparazione tecnica molto elevata e un'attitudine al lavoro simile alla nostra. Prima ero presidente di Aida negli Usa e posso dire con certezza che il livello dei lavoratori, qui, è assolutamente superiore».
Però l'industria italiana patisce, anche per il dollaro debole.
«Ritengo che l'Italia abbia un'ottima base industriale e che, se ci si concentra sulla qualità, molti problemi si potranno risolvere. Quanto al cambio, siamo un'azienda globale, non ci vincola troppo. Anche se il momento economico in Italia non è molto favorevole, ci estenderemo su una base più larga».
Produrrete qui anche presse giapponesi?
«Sì, di media gamma. E' già partito un progetto, saranno inviate in Cecoslovacchia, Usa e India».
Qual è la vostra strategia?
«Costruire prodotti di alta qualità e competitivi, riducendo i costi. Ma, prima di tutto, avere persone felici di lavorare».
E con i sindacati?
«E' la mia prima esperienza, sto imparando. E’ mia intenzione avere una mente aperta. E fare in modo che possiamo capirci».
Alessandra Puato
Inutile dire che si parla di lavoratori padani...